IL BUONGIORNO SI VEDE DA BETTIOL
Alberto Bettiol (Team EF Education First) vince il prologo di Adelaide e veste la prima maglia ocra al Tour Down Under 2023. Il toscano precede all’arrivo lo statunitense Magnus Sheffield (Team INEOS) ed il danese Julius Johansen (Team Intermarchè – Circus – Wanty).
Dopo due anni di assenza dovuta alla pandemia il Tour Down Under riapre i battenti inaugurando la stagione 2023 delle corse WT. Un prologo a cronometro e cinque tappe nei dintorni di Adelaide che decreteranno il vincitore di una corsa molto sentita tra i padroni di casa. Basti pensare che nelle ultime dieci edizioni, dal 2011 al 2022, sono state sette le vittorie di un ciclista australiano, e precisamente una di Cameron Mayer nel 2011, tre di Simon Gerrans nel 2012, 2014 e 2016, una di Rohan Dennis nel 2015 e die di Richie Porte nel 2017 e nel 2020. Porte è anche il ciclista che è salito più volte sul podio finale, visto che ha concluso in seconda posizione in ben quattro occasioni (2015, 2016, 2018 e 2019). Dopo il ritiro di Porte, il TDU cerca un nuovo padrone e sono diversi i ciclisti che possono ambire quest’anno alla vittoria finale. Il livello delle squadre è certamente di rilievo e delle 20 squadre alla partenza 18 sono WT, 1 Professional (la Israel Premier Tech) ed 1 Nazionale, naturalmente australiana. In quest’ultima formazione è da segnalare la presenza di Caleb Ewan e Jarrad Drizners, atleti della Lotto Dstny ‘prestati’ alla nazionale di casa. Il prologo odierno si svolge nel pomeriggio inoltrato – ora australiana – quando in Europa sarà mattina presto ed è caratterizzato dall’impossibilità da parte dei ciclisti di utilizzare bici da cronometro ma solamente bici da strada. Il percorso del prologo è totalmente pianeggiante, è lungo 5 km e mezzo e si dipana all’interno di un grande parco di Adelaide, dove svetta l’Adelaide Oval, uno stadio di cricket. La caratteristica principale di questa breve prova a cronometro sarà l’utilizzo da parte dei ciclisti di sole bici da corsa, quindi senza appendici per le braccia. Sotto un cielo per lunghi tratti grigio e con una pioggerella che ha disturbato i ciclisti soprattutto nelle fasi centrali della prova, è stato Alberto Bettiol (Team EF Education EasyPost) a sfruttare le sue ottime doti di passista e soprattutto, partendo tra i primi, a trovare un asfalto ancora non del tutto bagnato; il ciclista toscano chiude con il tempo di 6 minuti e 19 secondi e resta sull’hot seat fino al termine della corsa, visto che nessun altro ciclista riuscirà più a scalzarlo dal primo posto. I tempi al traguardo sono migliorati specialmente nella parte finale della prova, quando ha smesso di piovere e l’asfalto tornava ad asciugarsi. In seconda posizione, a 8 secondi di ritardo da Bettiol, si classificava Magnus Sheffield (Team INEOS) mentre terzo era Julius Johansen (Team Intermarchè – Circus – Wanty) a 10 secondi di ritardo. Chiudevano la top five Kaden Groves e Samuel Gaze, entrambi del Team Alpecin Deceuninck, rispettivamente quarto e quinto a 11 secondi di ritardo da Bettiol. Tra i ciclisti più attesi per la vittoria finale segnaliamo il nono posto di Jay Vine (UAE Team Emirates), il decimo di Michael Matthews (Team Jayco AlUlA) ed il ventunesimo di Ethan Hayter (Team Ineos). Bettiol veste la prima maglia ocra ed a questo punto può giocarsi a buon diritto le sue carte in ottica classifica generale. Domani è in programma la prima tappa da Tanunda a Tanunda di 151 km. Dopo i primi 30 km si entra nel circuito cittadino che dovrà essere ripetuto quattro volte e dove i ciclisti troveranno la salitella di Menglers Hill, niente di trascendentale ma visto che siamo a inizio stagione qualche ciclista potrebbe anche piantarsi improvvisamente. Gli ultimi 10 km sono in discesa e in pianura e la tappa, a meno di fughe vincenti, dovrebbe concludersi nella volata di un gruppo abbastanza compatto.
Antonio Scarfone

Alberto Bettiol vince il prologo di Adelaide (foto: Kei Tsuji/SprintCycling Agency)
VUELTA 2023 PER SCALATORI, MA TAPPE TROPPO BREVI
Presentata la 78a edizione della corsa spagnola, che nel 2023 prenderà il via da Barcellona e giungerà a Madrid proponendo un tracciato che strizza decisamente l’occhio agli scalatori. Ben nove saranno gli arrivi in salita previsti, per nulla bilanciati dai solo 40 Km da percorrere contro il tempo
Una sola tappa oltre i 200 Km, tappe di montagna in formato mini, poca cronometro individuale, pochissime occasioni per gli sprinter e una orrenda cronosquadre.
Questo in pillole il percorso della Vuelta 2023 che appare favorevole agli uomini della montagna, anche se le occasioni di attacchi a lunga gittata mancano. Se fosse ancora in gruppo, diremmo che è una Vuelta stile Purito Rodriguez.
Tappe per orchestrare un attacco da lontano in realtà non ce ne sono per vari motivi, anche se qualcuno che ha davvero coraggio potrebbe avere due occasioni per rompere gli schemi. Gli arrivi in salita saranno ben nove mentre la prova contro il tempo d’apertura sarà una improponibile cronosquadre di 16 Km. Non si comprende come, con gli attuali distacchi ridotti ai minimi termini nel ciclismo, ci sia ancora qualcuno che ha la geniale idea di inserire nel percorso prove di questo tipo.
La seconda prova contro il tempo, ben piazzata a metà Vuelta, è invece troppo breve per poter scavare quei distacchi che costringano gli scalatori ad attaccare a testa bassa.
Dopo l’orribile cronosquadre di Barcellona si affronterà una prima tappa in linea di 181 Km con arrivo anch’essa nel capoluogo della Catalogna, caratterizzata da un percorso movimentato ma non abbastanza per provocare scompiglio e l’epilogo potrebbe così essere in volata, anche se la salita del Montjuïc nel finale, benché non classificata come GPM, rappresenta un’insidia di difficile lettura.
La terza tappa con arrivo ad Arinsal, stazione di sport invernali del principato d’Andorra, chiamerà da subito i big allo scoperto, anche se le salite che conducono al Coll d’Ordino e al traguardo, benché sfiorino quota 2000 e siano di prima categoria, non sembrano in grado di scavare distacchi tra i favoriti per la vittoria finale già alla terza giornata di gara; sembrano invece più dedicate alle seconde linee, anche se non sono escluse sorprese.
Sia la quarta che la quinta tappa – arrivi rispettivamente collocati a Tarragona e Burriana - presenteranno delle asperità non particolarmente complesse e lontane dai traguardi e finali favorevoli al recupero dei velocisti. In entrambe queste frazioni ci saranno delle fughe che potrebbero anche arrivare al traguardo, ma solo in caso di cattiva organizzazione del gruppo.
La sesta tappa, da La Vall d’Uixó all’osservatorio astrofisico di Javalambre per181 Km, proporrà il secondo arrivo in salita al termine di una frazione mossa, corsa sempre a quote medio montane, ma comunque per nulla difficile nella prima parte. La salita finale di prima categoria raggiunge, invece, quota 1950 e misura 11 Km con una pendenza media vicina all’8%.
Il giorno successivo i big potranno riposare in una tappa di trasferimento dedicata ai velocisti (Utiel-Oliva) in attesa della nuova sfida che li attenderà nell’ottava frazione da Denia a Xorret de Catì: 164 Km con 5 gran premi della montagna favoriranno certamente le fughe di outsider potenti, ma sull’ultima salita di prima categoria, la cui sommità è posta a 3 Km dalla conclusione, potrebbero uscire allo scoperto i pretendenti alla vittoria finale perché le pendenze sono molto elevate e vi è poi la successiva discesa che difficilmente potrà portare al ricucire eventuali distacchi.
La nona tappa con arrivo ai 1089 metri di Caracava de la Cruz non presenta difficoltà particolari perché la salita finale è tutt’altro che impossibile (a parte un paio di muri negli ultimi 3 Km) e non potrà certo impensierire i big, ma si snoderà nel territorio murciano, zona tradizionalmente ventosa che potrebbe quindi contribuire a sparigliare le carte.
Dopo il giorno di riposo andrà in scena la cronometro individuale di Valladolid, 25 Km pianeggianti ottimamente piazzati a metà giro e dopo una sosta che notoriamente arreca fastidi a quei corridori che fanno fatica a ritrovare il ritmo dopo un giorno trascorso senza gareggiare. Per questo motivo i distacchi potrebbero essere anche abbastanza consistenti per chi dovesse patire il riposo, anche se il chilometraggio non è certo elevato. Si tratta dell’unica occasione individuale contro il tempo, forse un po’ poco, specialmente in paragone al percorso del Giro d’italia che, invece, proporrà una soluzione di grande equilibrio.
La successiva tappa, con arrivo alla Laguna Negra di Vinuesa dopo 163 chilometri, presenterà una salita finale di quasi 9 Km con una pendenza media del 5,5% che difficilmente potrà scavare distacchi tra i big, anche se sarà importante valutare le “scorie” rimaste nei muscoli degli atleti dopo la prova contro il tempo. Sicuramente le seconde linee che puntano ad aggiudicarsi questa frazione cercheranno di non spingere troppo nella cronometro. Fa comunque ben sperare il precedente del 2020 su questa salita, che vide al traguardo una volata a tre fra i primi della classifica, con l’irlandese Daniel Martin che precedette la maglia rossa Primož Roglič e l’ecuadoriano Richard Carapaz.
Di tutto relax sarà la tappa con arrivo a Saragozza , classica quiete che precede l’uragano perché la tredicesima frazione è forse la più dura di questa edizione, nonostante il mini chilometraggio di 134 Km. Sono previste tre salite, tutte lunghe e dure, di cui due di categoria speciale. L’arrivo è posto sul punto più alto della Vuelta 2023, il mitico Col du Tourmalet mentre la partenza sarà in quota dai 1557 metri di Formigal. Dopo quattro chilometri si scollinerà il facile Col di Portalet, confine di stato, ma le difficoltà cominceranno alla fine della lunga discesa quando i corridori dovranno affrontare i 16 chilometri di dura salita verso i 1709 metri del Col d’Aubisque, teatro di furiose e leggendarie battaglie al Tour de France. La fine della discesa dell’Aubisque coincide con l’inizio della ascesa al Col de Spandelles che, seppur non onorato della categoria speciale, presenta 10,3 Km con una pendenza media ben superiore all’8%. Dopo la discesa ci saranno 18 Km di falsopiano prima dei 20 Km di salita con condurranno gli atleti fino ai 2215 metri del Tourmalet, passo che non ha certo bisogno di presentazione essendo una della salite simbolo della Grande Boucle. La tappa è durissima ma le perplessità non mancano. In primo luogo, il chilometraggio è assai ridotto e, sebbene ci siano coloro che pensano che questo aumenti lo spettacolo, chi scrive pensa che i chilometraggi ridotti siano proposti per far piacere a sponsor e televisioni che ricercano l’audience e il ritorno economico piuttosto che la validità tecnica e sportiva delle prove.
In secondo luogo la collocazione della più dura tappa del giro di Spagna quasi interamente in territorio francese pare stridere con lo scopo di un grande giro, che sta anche nella promozione di un territorio. A tale proposito va, però, sottolineato che l’organizzazione della Vuelta è nelle mani di ASO, la società francese che organizza anche il Tour
In terzo luogo, a livello tecnico, se la prima parte è ben indovinata con le salite in rapida successione, nella seconda ci sono 18 chilometri di falsopiano prima di attaccare la salita finale che misura 20 Km. La circostanza potrebbe evidentemente scoraggiare gli attacchi da lontano. già resi complessi dal breve chilometraggio che non permette una tattica di logoramento.
La quattordicesima tappa con arrivo alla stazione di sport invernali di Larra-Belagua soffre di problemi similari nel senso che, dopo le due salite di categoria speciale inserite nella prima parte del percorso, ci sarà un tratto interlocutorio di quasi 40 chilometri prima di attaccare la salita finale che non è certo impossibile (9,5 Km al 6,3%). Tuttavia, ad onor del vero, va detto che la tappa del giorno precedente si farà sicuramente sentire e, se la salite di categoria speciale verranno affrontate a tutta, un atleta in giornata no potrebbe staccarsi anzitempo ed uscire definitivamente di classifica.
Appare invece dedicata alla fughe la Pamplona – Lekunberri, con circuito finale con il Puerto de Zuarrarate da affrontare due volte e il secondo scollinamento a 8 Km dal traguardo.
La terza settimana si apre con una frazione con arrivo a Bejes, pianeggiante sino alla salita finale che, anche se a quote collinari, presenta severe pendenze e potrebbe provocare distacchi di qualche secondo tra i big alla vigilia di una frazione forse decisiva.
La tappa numero 17 condurrà, infatti, la carovana da Ribadesella al mitico Angliru, una delle salite più dura della Spagna. Il “mostro” sarà preceduto da due salite che serviranno più a carburare che a lanciare attacchi, vista la brutalità della salita finale che non ha certo bisogno di descrizioni. Il punto più duro sarà quello denominato “Cueña Les Cabres”, nel quale la strada raggiunge inclinazioni che sfiorano il 24%, ma le pendenze elevatissime caratterizzano tutta la salita. L’Angliru ha sempre fatto spietata selezione e potrebbe un’altra volta rivelarsi decisivo, anche se arriva al termine di una minitappa di soli 122 km.
La diciottesima tappa presenta, però, un’altra occasione d’oro per gli scalatori con l’arrivo inedito alla Cruz de Linares da affrontare due volte nel finale, dopo una prima parte caratterizzata da altre tre salite, tra le quali anche il duro Puerto de San Lorenzo. Questa forse è la frazione in cui si può provare un attacco da lontano, prima della doppia ascesa alla Cruz de Linares. Il primo scollinamento è posto a 32 Km dalla conclusione e, dopo la discesa, non c’è molta pianura prima di attaccare nuovamente l’ascesa finale, che misura 8 Km e presenta una pendenza media dell’8.6%- Tenendo conto che siamo alle ultime tappe e le fatiche dei giorno precedente sull’Angliru, ecco che l’imboscata diventa possibile.
Dopo la tappa di trasferimento di Íscar e prima della passerella madrilena ci sarà spazio per un’atipica frazione una tappa di collina, l’unica a superare i 200 Km. La Manzanares el Real - Guadarrama non appare impossibile ma proporrà ben con 10 GPM di terza categoria con pochissima pianura tra un colle e l’altro. Sarà certamente una tappa dedicata alle fughe, con un percorso molto interessante, ma poco adatto ad un penultimo giorno di un grande giro, sempre che qualche corridore di classifica decida di confezionare una clamorosa imboscata.
In conclusione, si può dire che si tratta di un tracciato che ha abbandonato fortunatamente le classiche rampe di garage che avevano caratterizzato gli anni 10 di questo secolo, ma presenta ancora alcuni problemi.
La scelta più azzeccata sembra paradossalmente quella riguardante le tappe pianeggianti. Sono solo 4 e disposte molto bene perché sparse in modo omogeneo lungo tutto il percorso. Accanto a queste frazioni, ve ne sono altre due o tre nelle quali l’arrivo allo sprint è possibile ma tutt’altro che scontato.
Benedetto Ciccarone

La salita dell'Angliru (climbfinder.com)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 25: QUI FINISCE IL GRAN “CAMIÑO”
Al Giro di Lombardia del 2022 termina la grande avventura da corridori di Nibali e Valverde. Se per il primo l’ultima stagione tra i professionisti non avrà in bilancio nessuna vittoria, anche sei riuscirà a concludere il Giro d’Italia in quarta posizione a nove minuti dall’australiano Jai Hindley, un paio di soddisfazione riuscirà a togliersele lo spagnolo a inizio stagione. A fine gennaio riesce a far suo il Trofeo Pollença – Port d’Andratx della Challenge Ciclista a Mallorca, il mese successivo tiene a battesimo la prima edizione di O Gran Camiño, breve corsa a tappe disegnata in Galizia. Sulle strade del Cammino di Santiago Valverde è autore di una vera e propria excalation che lo porta dal terzo posto nella frazione d’apertura al secondo della seconda tappa e alla vittoria nella terza, sul traguardo di Luintra. Per 10 secondi non riesce a togliere la maglia di leader della spalle del canadese Michael Woods e per farlo dovrà attendere altre 24 ore, dopo la cronometro dell’ultimo giorno vinta dall’ucraino Mark Padun.
GRAZIE DI TUTTO DON ALEJANDRO!!!!!!
26 febbraio 2022 – 3a tappa: Maceda – Luintra
GRAN CAMIÑO, VITTORIA DI ALEJANDRO VALVERDE A LUINTRA
Alejandro Valverde (Movistar Team) ha vinto la terza tappa del Gran Camiño battendo in uno sprint ristretto Michael Woods (Israel – Premier Tech) e il compagno di squadra Ivan Ramiro Sosa. Woods ha mantenuto un esiguo margine di 10” prima della cronometro finale. Filippo Zana (Bardiani-CSF-Faizanè) ha chiuso 8° come migliore degli italiani.
La terza tappa del Gran Camiño 2022 prevedeva un impegnativo finale in grado di permettere ribaltoni in una classifica già ben delineata dopo la vittoria di Michael Woods (Israel – Premier Tech) con 16” su Alejandro Valverde (Movistar Team), al momento l’unico abbastanza vicino per poter recuperare nella cronometro conclusiva di domani. Sarà quindi il giorno in cui gli inseguitori dovranno provare a recuperare sul leader della classifica che ha dalla sua la possibilità di sfruttare Jakob Fuglsang (Israel – Premier Tech) che è al momento in 5° posizione in classifica generale. La Cofidis e la Movistar potrebbero essere le squadre più dotate per provare degli attacchi, mentre la EF Education-EasyPost dopo la crisi del suo capitano Hugh Carthy potrebbe puntare su Mark Padun che si trova al momento a 1’01” da Woods. La prima salita di giornata arrivava a circa 50 chilometri dall’arrivo con l’Alto de Nogueira, 6.9 Km al 7.1%. A seguire senza soluzioni di continuità seguivano l’Alto de Seragude, 7.4 Km al 6.7% con i primi 3 chilometri all’11%, e per finire l’Alto de Moura, 7.9 Km al 7.5%, con lo scollinamento a solo 2 chilometri dall’arrivo.
La fase iniziale di corsa era fin da subito scoppiettante con vari tentativi di attacchi, dopo 20 chilometri un tentativo prendeva il largo comprendente Simon Geschke e Josè Herrada (Cofidis), Carlos Canal (Euskaltel – Euskadi), Jetse Bol e Angel Fuentes (Burgos-BH) e Stephen Bassett (Human Powered Health). Diego Andrés Camargo (EF Education-EasyPost) e Davide Bais (EOLO-Kometa) si mettevano al loro inseguimento riuscendo a completare il ricompattamento dopo una ventina di chilometri.
L’azione della Cofidis era sicuramente importante perché poteva creare un importante supporto per i diversi uomini in classifica ancora a disposizione della formazione francese, mettendo sicuramente pressione alla Israel – Premier Tech e Movistar per inseguire cercando di mantenerli a una distanza di tre minuti, ma iniziando subito a rosicchiare terreno portandosi a solo un minuto di ritardo all’inizio della prima salita di giornata di Alto de Nogueira. Sulla salita il gruppo inizialmente recuperava terreno su una fuga che andava a disintegrarsi lasciando Geschke al comando, mentre al suo inseguimento restava solo Camargo. Una volta ripreso Jose Herrada, era il fratello Jesus a muoversi, andando a riprendere Geschke che lo aspettava in cima alla salita, il gruppo però era distanziato di appena 10” dopo aver ripreso Camargo e riusciva a rientrare sulla coppia Cofidis ai piedi dell’Alto de Seragude dove la Movistar imponeva un forte ritmo che mandava immediatamente in crisi Hugh Carthy. Non un ritmo sufficiente però per Jefferson Alveiro Cepeda (Caja Rural – Seguros RGA) che provava ad attaccare, poco dopo era però Sosa che accelerava pesantemente in gruppo mandando in crisi Fuglsang; Woods si portava alla sua ruota con Valverde, Mark Padun (EF Education-EasyPost), Jefferson Alexander Cepeda (Drone Hopper) e Ruben Fernandez (Cofidis). Una volta che questi atleti riuscivano a rientrare su Jefferson Alveiro Cepeda, Padun provava ad accelerare non provocando però particolari danni, era quindi Valverde che attaccava con Woods incollato alla sua ruota e Sosa che provava a resistere. A questo punto, non essendo però riuscito a liberarsi del leader della generale, il ritmo calava permettendo i recuperi da dietro. Jefferson Alexander Cepeda attaccava ai -29 mentre alcuni atleti riuscivano a rientrare sul gruppo inseguitore, tra questi José Neves (W52 / FC Porto), Urko Berrade e Igor Arrieta (Equipo Kern Pharma), Ion izagirre, Jesus Herrada e Davide Villella (Cofidis), Tiago Antunes (Efapel Cycling), Derek Gee (Israel – Premier Tech) e Gorka Izagirre (Movistar Team), mentre Sosa e poi lo stesso Gorka dirigevano l’inseguimento chiudendo su Cepeda dopo 2km di attacco. 22 atleti scollinavano al comando inclusi Jakob Fuglsang (Israel – Premier Tech), Fernando Barcelò (Caja Rural – Seguros RGA), Filippo Zana (Bardiani-CSF-Faizanè) e Neilson Oliveira (Movistar Team). La movistar, forte di 4 atleti, conduceva la corsa, seconda solo alla Cofidis come numero di atleti (5).
A fine discesa Valverde sfruttava i compagni di squadra per passare al comando nel traguardo volante, guadagnando 3” d’abbuono su Woods, nel tratto precedente alla salita finale dell’Alto de Moura che presentava pendenze micidiali nella prima parte. I corridori ritornavano a staccarsi uno dopo l’altro sotto il ritmo della Movistar, il quale non era sufficiente per la Israel – Premier Tech che metteva a tirare Fuglsang per lanciare l’azione di Woods ai -7 al quale si agganciavano Sosa e Valverde, i due corridori della formazione iberica sembravano non intenzionati a collaborare, finché Sosa non riceveva comunicazione dall’ammiraglia, mettendosi così a tenere un buon ritmo, mentre dietro Arrieta, Padun e Ion Izaggire erano all’inseguimento.
Woods poco dopo tentava nuovamente un attacco, senza però riuscire a fare la differenza, mentre Sosa tornava a guidare il gruppo, nel frattempo alle loro spalle era Padun ad accelerare per tentare l’inseguimento in solitaria, seguito da Arrieta in compagnia di Izagirre e Fernandez.
Sosa continuava a scavare margine tra il terzetto e tutti gli inseguitori andando a scollinare con circa 45” su Padun. Nel finale in discesa Valverde si garantiva delle ottime linee che lo portavano a lanciare lo sprint affiancato a Sosa e con Woods costretto a inseguire lo spagnolo per il secondo posto, ottimo gioco di squadra della Movistar che conquistava così il successo di tappa, mentre Sosa chiudeva terzo. Nel gruppo inseguitore Arrieta anticipava Padun e il duo Cofidis con un ritardo di 51”. Il migliore degli italiani era Zana che chiudeva 8° perdendo la maglia di miglior giovane ai danni di Arrieta.
La classifica generale prima della cronometro conclusiva vede quindi Michael Woods con un vantaggio di solo 10” da difendere su Valverde, mentre Sosa distante 50” dovrà provare a difendersi dagli inseguitori Ruben Fernandez a 1’39”, Arrieta a 2’07”, Padun a 2’09”, Ion Izagirre a 2’21, mentre Zana è al momento 8° a 2’33”, a 26” dal leader della maglia dei giovani.
La cronometro conclusiva di 15.5 chilometri si disputerà nella cittadina di Sarria con un percorso vallonato comprendente 4 brevi strappi in salita. Una prova quindi che permette ai meno specialisti di difendersi, va però considerato come quando Woods e Valverde hanno gareggiato contro in una cronometro l’iberico si è sempre piazzato meglio, va quindi considerato come favorito dovendo recuperare meno di un secondo al chilometro al canadese.
Carlo Toniatti
27 febbraio 2022 – 4a tappa: circuito a cronometro di Sarria
GRAN CAMIÑO, L’UCRAINO MARK PADUN CONQUISTA LA CRONOMETRO FINALE, A VALVERDE LA CLASSIFICA GENERALE
Mark Padun (EF Education-EasyPost) ha conquistato il successo nella cronometro di Sarria battendo Jesus Herrada (Cofidis) e Alejandro Valverde (Movistar Team).
L’embatido murciano ha vinto la classifica generale battendo di 18” Michael Woods (Israel – Premier Tech) nella giornata odierna scavalcandolo così di 8” in classifica. Per Mark Padun invece la terza piazza nella generale che ha celebrato esibendo tre dita alzate, simbolo di indipendenza per l’Ucraina che sta passando in questo periodo dei giorni terribili dopo l’invasione russa.
La tappa conclusiva del Gran Camiño vedeva andare in scena una cronometro di 15.8 chilometri a Sarria con un percorso vallonato con quattro brevi strappi che vedevano lo scontro decisivo tra la maglia di leader Michael Woods (Israel – Premier Tech) e Alejandro Valverde (Movistar Team) staccato di soltanto dieci secondi. Un primo intermedio era posto al termine del primo strappo, lasciando quindi la maggior parte del dislivello nella seconda parte della prova.
Matthias Brandle (Israel – Premier Tech) era il primo tempo interessante al traguardo in 21 minuti, questo tempo veniva abbassato a metà della prova dal compagno di squadra Mads Wurtz Schmidt di 5”. Era poi lo spagnolo Carlos Canal (Euskaltel – Euskadi) a riuscire ad abbassarlo a 20’45” con il portoghese Nelson Oliveira (Movistar Team) che riusciva a scendere a 20’36”.
Derek Gee (Israel – Premier Tech) nonostante pagasse 6” da Oliveira all’intertempo era riuscito ad abbassare il tempo finale a 20’30”. A quel punto iniziavano a partire gli uomini di classifica con Jesus Herrada (Cofidis) che passava in prima posizione all’intertempo, 10” meglio di Gee, gli atleti in grado di far segnare buoni tempi erano poi Urko Berrade ( Equipo Kern Pharma) a 6”, Ion Izagirre (Cofidis) a 4”, Mark Padun (EF Education-EasyPost) a 1”, Rubén Fernandez (Cofidis) a 9”, mentre Ivan Ramiro Sosa (Movistar Team) pagava già 31”. Erano poi i due corridori a giocarsi la vittoria finale a transitare all’intermedio con Valverde brillante a solo un secondo da Herrada, mentre Woods transitava a 9”, virtualmente ancora leader, ma con un vantaggio risicato a quel momento ad appena 2”.
Nel frattempo all’arrivo arrivava Jesus Herrada che faceva segnare il miglior tempo in 20’24”, mentre Berrade concludeva in 20’41”, era Ion Izagirre però uno dei più temibili nel finale che però si andava a posizionare al secondo posto momentaneo in 20’29”. Con un grande finale era però Padun che riusciva a passare al comando in 20’19”, mentre Sosa perdeva vertiginosamente concludendo la sua prova a 1’28”, lo stesso Fernandez faticava nel finale arrivando a 37”, significando quindi che Padun scavalcasse entrambi andando sul podio conclusivo, mentre attendeva di capire se potesse sognare anche per la vittoria di tappa. La risposta non si faceva attendere con l’arrivo di Valverde, unico a poterlo insidiare che però chiudendo in 20’29” a 10” garantiva la vittoria a Padun. A quel punto l’ucraino capiva che per lui era fatta, mentre Valverde attendeva l’arrivo di Woods segnalato a 15” di ritardo da Valverde, virtualmente 5” dietro in classifica generale prima dello strappo finale. Sul muro finale, nonostante un grande sforzo, il canadese cedeva ancora terminando la sua prova a 28” da Padun e quindi 18” da Valverde.
La classifica finale di tappa ha visto quindi Padun conquistare un successo molto importante, in un periodo molto buio per la storia del suo paese, Jesus Herrada chiudeva 2° e Valverde 3°, il quale conquistava così la generale per 8” su Woods, mentre Padun riusciva a chiudere la classifica al terzo posto davanti a Fernandez di 6” e a Sosa di 8”. Filippo Zana (Bardiani-CSF-Faizanè) è scivolato all’undicesimo posto finale, come migliore degli italiani, mentre oggi Alessandro De Marchi (Israel – Premier Tech) chiudendo 20° è stato il migliore degli italiani.
Per le altre classifiche accessorie i successi andavano ad Arrieta nella classifica riservata ai giovani, a Sosa quella del miglior scalatore e a Valverde quella a punti, infine la Movistar conquistava la classifica a squadra.
Carlo Toniatti
Il successo di Alejandro Valverde a Luintra (Fonte: PhotoGomezSport)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 24: DUE VECCHIETTI ALLA CONQUISTA DELLA SICILIA
Il 2020 stato un anno difficile per tutti a causa della pandemia, anche per i corridori che si sono visti la stagione scardinata. Lo spostamento delle gare tra agosto e novembre finisce per favorire i più giovani e ciò si nota soprattutto nelle classifiche generali dei due dei tre grandi giri, che terminano infatti con i successi del 23enne Tadej Pogačar al Tour e del 25enne Tao Geoghegan Hart al Giro. “Vecchietti” come Valverde (40 anni) e Nibali (38) fanno più fatica e infatti la loro stagione termina con “zero tituli”, anche se lo Squalo alla Corsa Rosa traslocata in autunno riuscirà comunque a riscuotere un dignitoso settimo posto finale. Bisognerà aspettare il 2021 per vedere i due beniamini del pubblico tornare ad alzare le braccia al cielo e per Nibali sarà l’ultima volta, quando conquisterà la tappa conclusiva e la classifica del Giro di Sicilia. Più fortuna avrà lo spagnolo, che andrà a segno per tre volte, la prima al Gran Premio Miguel Indurain, la seconda in una tappa del Delfinato e l’ultima sulle stesse strade del Giro di Sicilia che vedranno imporsi Nibali. Si arriva a Caronia quel giorno, unico arrivo in salita previsto dalla corsa sicula….
GIRO DI SICILIA, IL GIORNO DI DON ALEJANDRO
Alejandro Valverde fa sua tappa e maglia nella terza frazione del Giro di Sicilia. Battuti Covi e Restrepo
Terza tappa del Giro di Sicilia 2021, 181 Km da Termini Imerese a Caronia con diversi metri di dislivello ed una salita finale di 4 km al 6 %. Pronti via ed è subito serrata la bagarre per entrare nella fuga giusta: il primo gruppetto che riesce a prendere un discreto margine è composto da David Gonzalez (Caja Rural-Seguros RGA), Samuele Rivi (Eolo-Kometa), Ben King (Rally Cycling), Davide Orrico (Vini Zabù) e Damiano Cima (Gazprom-Rusvelo). Dietro però non lasciano fare, così che se ne vanno dal gruppo principale anche Alex Tolio (Zalf Desirée Fior) e Paul Double (MG.K Vis VPM), mentre sul primo tratto di salita odierno davanti perde leggermente contatto Cima che però non demorde e rientra insieme ad un altro attaccante appena evaso dal plotone, Francesco Zandri (Work Service Marchiol Dynatek).
Terminate queste difficoltà altimetriche il gruppo finalmente si rialza e lascia crescere il margine dei battistrada che raggiunge un massimo di 6 minuti. A questo punto a prendersi le responsabilità dell’inseguimento sono tre compagini, Trek – Segrafredo, Israel – Startup Nation e Movistar, grazie alle quali il distacco si dimezza intorno ai 3 minuti dopo non molti chilometri. Sulla salita di Pollina si susseguono attacchi nel gruppetto di testa ma senza nessuno che riesca veramente a fare la differenza e a resistere al prepotente rientro del gruppo, ridotto a poco più di una trentina di unità dal ritmo forsennato imposto dagli uomini di Alejandro Valverde.
Giunti allo strappetto finale ci provano in successione Antonio Nibali (Trek – Segafredo) ai -2 e Brandon McNulty (UAE Team Emirates) poco dopo, ma senza riuscire a distanziare gli uomini Movistar con un Davide Villella straordinario a pilotare il suo capitano e rientrare sulle primissime posizioni. Parte così la volata finale a ranghi ridotti ed ancora una volta Alejandro Valverde (Movistar) è il più veloce di tutti, battendo un ottimo Alessandro Covi (UAE Team Emirates) e Jhonatan Restrepo (Androni-Sidermec). Successo doppio per il murciano che indossa anche la maglia di leader della classifica generale sul podio e che subito dopo il traguardo è incappato in una caduta senza grosse conseguenze.
Lorenzo Alessandri
Alejandro Valverde conquista tappa e maglia. Photo Credit: Bettini Photo
VALVERDE STORY – CAPITOLO 23: SUL MAS DE LA COSTA L’ULTIMO SQUILLO ALLA VUELTA
La chiamano “maledizione della maglia iridata” perché spesso chi conquista il mondiale poi l’anno successivo è protagonista di una stagione deludente. Anche Valverde non fa eccezione perché nel 2019 termina lontano dai primi le classiche nelle quali solitamente furoreggiava ed è costretto a saltare il Giro a causa di una caduta in allenamento. Ma il suo bilancio di vittorie è comunque in attivo grazie a 5 affermazioni, sulle quali spiccano i campionati nazionali, che vince per la terza volta in carriera, e la tappa della Vuelta con arrivo in vetta alla breve ma arcigna salita del Mas de la Costa: sarà il suo ultimo successo alla corsa di casa, che lo vedrà comunque tra i protagonista perché giungerà a Madrid in seconda posizione, a 2′33″ da Primož Roglič.
30 agosto 2019 – 7a tappa: Onda – Mas de la Costa
UN QUARTO D’ORA PER RESTARE IN QUATTRO: E UN INFINITO VALVERDE INFILA TUTTI
Il muro tremendo di Mas de la Costa, dominato da Quintana, riduce a quattro i pretendenti per questa Vuelta, dopo meno di una settimana. Valverde finalizza vincendo la tappa. Ma la tragicommedia Movistar inanella un’altra puntata.
Quasi dodici mesi fa alla Vuelta l’emblematica ascesa ai Lagos de Covadonga concludeva la seconda settimana con quattro contendenti per la classifica generale racchiusi in meno di un minuto: in ordine sparso, tre di essi sono gli stessi che fanno a spallate sulla lingua di cemento del modernissimo muro di Mas de la Costa, mentre il resto del gruppo arranca distanziato.
Oggi, alla tappa numero sette, il quartetto che si accalca in cima alla classifica generale è compresso in meno di mezzo minuto, mentre il resto del mondo è ancora più lontano: a due o tre minuti i rivali più prossimi. Una Vuelta dal tracciato più creativo e finora assai vivace ha scremato molto prima dell’abituale le figure di spicco.
I corsi e ricorsi storici non si fermano qui: nella sezione più dura dei Lagos, la Huesera, fu Quintana a forzare la selezione riportandosi su un pimpante Superman López, allentando però il ritmo nel prosieguo per consentire il rientro a un Valverde in affanno. E oggi, per l’ennesima volta, assistiamo a un Quintana che appare il più forte in salita ma che al dunque decide di rispettare il compagno in momentanea difficoltà, nonostante il ben diverso trattamento che – a parti invertite – gli è stato riservato giusto l’altroieri.
Rispetto all’anno scorso, manca l’infine vincente Simon Yates, sostituito da Roglic nel ruolo di contendente non ispanofono: Roglic non veste ancora il rosso del leader, riconquistato ora per la terza (sì, la terza!) volta in appena una settimana da Miguel Ángel López, ma già guarda alla crono di martedì prossimo come a un buono pesante per riscuotere minuti di vantaggio. Quel che viene da chiedersi è se la Movistar riuscirà anche questa volta nella poco invidiabile impresa di far uscire dal podio entrambi i propri atleti come fece nel 2018.
Quest’anno i dubbi su tattica e forma vengono acuiti da una gestione della comunicazione a dir poco scellerata: dopo un Tour de France grottesco per disunione e relativa povertà di risultati, ci troviamo con Valverde che, alla quinta tappa, attacca sfacciatamente il compagno Quintana, per poi indicarlo in sede di intervista come il capitano designato, mentre questi replica a mezzo stampa un paio di giorni dopo che il team manager Unzué ha incoronato proprio Valverde come leader nella tipica riunione sul bus di squadra.
Con queste succose premesse, si direbbe che la telenovela Movistar sia eterna, interminabile, infinita almeno quanto il proprio uomo simbolo, etichettiamolo così, quell’Alejandro Valverde che, in maglia da campione del mondo all’alba dei trentanove anni, sigla oggi il record assoluto di longevità fra la prima e l’ultima tappa vinta in un Grande Giro: sedici anni intercorrono fra la sua prima frazione conquistata alla Vuelta 2003 e l’affondo odierno, scavalcando di un colpo Coppi e Bartali – dici poco! – che prima guidavano appaiati questa speciale graduatoria avendo vinto tappe a quindici anni di distanza. Tanto per capirci, rimanere più o meno sulla cresta dell’onda per dieci anni, come un Contador, è già uno standard notevole per un professionista, e perfino un atleta sportivamente assai longevo come il da poco scomparso Felice Gimondi vede le proprie prima e ultima vittorie di tappa separate da una forchetta di “appena” undici anni. E non è detto che Valverde si fermi qui…
Venendo alla cronaca di giornata, va sottolineato che il tracciato era ben diverso da un biliardo con rampa di garage finale: la presenza di altre salitelle e di segmenti assai tortuosi ha stimolato la formazione di una fuga di grande spessore, con una decina di uomini fra cui spiccavano collaudati cacciatori di tappe come Marczyinski o Brambilla, un potenziale uomo da generale come Henao o un fenomeno a tutto tondo come Philippe Gilbert. Saranno questi ultimi a emergere, per poi vedersi travolti dal gruppo lanciato come un missile sull’ascesa finale. Gilbert, va detto, sembra dedito a preparare il Mondiale, più che altro, con fucilate sugli strappi e progressioni da manuale dell’allenamento d’intensità.
Tutto ciò non resta però senza conseguenze più globali: il gruppo, interessato a contendersi la tappa, deve imporsi un passo devastante, ancor più letale fra atleti tartassati dalle cadute di ieri (Formolo abbandona prima del via, Van Garderen a tappa in corso), e in men che non si dica arriva a contare una trentina scarsa di unità. Astana e Movistar si alternano alla frusta, con qualche puntuale apparizione dei Jumbo-Visma. La velocità impressa su stradine spaccagambe fa schizzare la tensione e la fatica alle stelle. La maglia rossa di Dylan Teuns, pure specialista di muri impossibili, evapora già sul penultimo Gpm.
Chi mostra di aver poca paura è Roglic, che comanda al suo Sepp Kuss, il giovanissimo e promettente statunitense che finalmente rivediamo ad alto livello, un approccio furioso al muro: in un attimo il gruppo dei migliori nonché ormai gruppo di testa si riduce a una decina di unità, peraltro accaparrate da pochissimi team. Roglic con Kuss e Bennett per la Jumbo, Valverde, Quintana e Soler per la Movistar, Superman López e Izagirre per la Astana, Majka da “isolato” per la Bora, quindi il baby fenomeno Pogacar per la UAE Emirates, squadra che vedrà pure il successivo rientro di Aru, dapprima subito in apnea, poi in agonizzante recupero. Chi qui non c’è, perderà minimo minimo un minuto e venti, come il forte scalatore Óscar Rodríguez della piccola Euskadi-Murias (nel 2018 aveva conquistato La Camperona, altro muro infernale). Un Chaves, capitano della Mitchelton-Scott, regolandosi anche grazie all’aiuto di Nieve, perderà “solo” un minuto e quaranta, poi i distacchi degli altri viaggiano sui due minuti e via via oltre: meno di venticinque atleti staranno sotto ai cinque minuti di distacco, un’enormità per una ascesa che ne dura quindici.
Il merito, come detto, è del resto del tracciato, oltreché dell’attitudine in corsa di alcune squadre e in particolare di alcuni atleti: prima i fuggitivi, poi, al dunque, Nairo Quintana, che aspetta seicento metri scarsi e poi apre il gas. E la gara è finita per (quasi) tutti: come anticipato, di dieci ne restano quattro. Tanti saluti ai gregari e ai virgulti (per questioni di esperienza e peso specifico, non contiamo come tale Superman López, anche se tecnicamente è ancora in lizza in quanto “miglior giovane”!).
Quintana accelera, poi spinge, scatta, spunta, allunga, insomma da l’impressione di voler torturare a morte tutti i rivali, compreso quello in famiglia, Valverde. Ma quando il murciano è il primo a mollare botta a tutti gli effetti, Nairo sospende le ostilità. Negli ultimi anni ne ha passate di tutti i colori in casa Movistar, non ultime le vicende dell’ultimo Tour, con il fallimentare tridente riproposto contro le sue espresse richieste e con bisticci insensati al termine dei quali, stringi stringi, l’unico a portare a casa la pagnotta è stato il colombiano con la sua brava tappa (la classifica a squadre lasciamola pur lì, l’effetto mediatico delle liti in casa ne svuota ogni senso promozionale e sportivo). Ce ne sarebbe di che farsi gli affari propri, a maggior ragione con un contratto altrove per l’anno a venire già virtualmente in pugno. Però Quintana proprio non ce la fa: sarà questa freddezza ad averlo privato di tanti trionfi, però in termini di professionalità, dopo i tentennamenti del Tour, stavolta non fa una grinza, a differenza di quanto si possa dire del management Movistar o in generale del giornalismo spagnolo, entrambi del tutto succubi al fascino innegabile del proprio fenomeno nazionale, ma parimenti ciechi o assurdamente severi verso il sudamericano che ha tenuto in piedi la baracca nelle corse a tappe da sette anni in qua.
Da qui il game over è definitivo: il ritmo si fa costante con Quintana sempre in testa, lo stesso Quintana chiude su un timido per quanto apprezzabile sforzo di Roglic, poi in volata Valverde, il re indiscusso di ogni epoca sul muro di Huy, ricordiamolo, annichila ogni parvenza di concorrenza. Quintana, come è ovvio, chiude il drappello, ma i distacchi sono insignificanti, tant’è che la maglia rossa è, come premesso in apertura, di nuovo per Miguel Ángel López. Si fa segnalare il record di ascesa: poche le edizioni, ma rispetto al record precedente di Contador, Froome, Chaves e lo stesso Quintana, stavolta sono volati di colpo 30” secchi, tanti su un quarto d’ora di sforzo, e veramente pazzeschi se consideriamo la maggior durezza della corsa odierna e l’individualità dello sforzo in questo caso.
Domani tappa insidiosa, da agguati, ancora promettente per Valverde, poi domenica l’ormai canonica minitappa di 100 km infarcita di salite in quel di Andorra: ma, per quest’edizione, bisogna ancora complimentarsi con i tracciatori, perché si tratterà dell’unica frazione siffatta, e in questo senso ci può perfettamente stare, anzi stimolerà, ci auguriamo, dei begli azzardi, specie da parte degli svariati ciclisti in top ten della generale ma già alquanto attardati. Sarà pure l’unica tappa che flirta a ripetizione con quota duemila, pur non stracciandola, un fattore che come abbiamo visto nello scorso Tour o al Giro 2016 non è da sottovalutare.
Gabriele Bugada

Alejandro Valverde svetta in cima al muro del Mas de la Costa (foto Bettini)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 22: LA CILIEGINA DEL MONDIALE
È un traguardo che era sempre sfuggito al suo rivale Vincenzo Nibali, che in carriera si era dovuto accontentare del quarto posto ottenuto a Firenze nel 2013. Al mondiale del 2018, il percorso metteva naturalmente lo scalatore siciliano tra i favoriti per il successo finale ma lo Squalo vi si era presentato a poco più di due mesi dall’incidente al Tour nel quale si era fratturato una vertebra a pochi passi dal traguardo dell’Alpe d’Huez. Il recupero lampo seguito all’intervento gli aveva consentito di prendere parte alla Vuelta, ma non era comunque al top, una condizione precaria che gli consentirà di rimanere con i miglior fino all’ultimo giro del circuito tirolese. Esattamente opposto era lo stato di forma di Valverde, che sul traguardo di Innsbruck regolava in volata il francese Bardet e il canadese Woods, gli unici assieme all’olandese Dumoulin, a rimanere assieme al murciano. E così a 38 anni l’Embatido passava alla storia come vincitore più anziano del mondiale, eguagliando il primato dell’olandese Joop Zoetemelk, che si era laureato campione del mondo nel 1985 a Giavera del Montello alla stessa età di Valverde.
FINALMENTE L’EMBATIDO
Dopo innumerevoli podi, Alejandro Valverde riesce a centrare la vittoria in un campionato del mondo, indossando i colori dell’iride a 38 anni. Bene Woods e Pinot sul podio, ottimo Dumoulin in recupero. Il nostro Moscon cede nel tratto più duro dell’ultimo strappo e deve accontentarsi della quinta posizione. Male Alaphilippe, che cede proprio laddove si pensava che potesse fare la differenza.
Peter Sagan (Bora-Hansgroe), che è stato il primo dei big a saltare, ha tuttavia portato a casa una piccola vittoria, azzeccando il pronostico sulla vittoria. Vero che Alejandro Valverde (Movistar) era uno dei principali favoriti della vigilia, tuttavia le maggiori quotazioni erano riscosse da Julian Alaphilippe (Quick-Step Floors), in età più verde rispetto a quella dell’Embatido. Il corridore francese, invece, ha ceduto nel corso dello strappo finale, perdendo parecchi secondi in un batter di ciglia ed a quel punto la punta principale della Francia è diventata Romain Bardet (AG2R La Mondiale) che allo sprint con Valverde aveva ben poche possibilità di vittoria e deve considerare l’argento come un ottimo risultato, anche se è sembrato un po’ deluso dopo il traguardo.
Valverde, come al solito, ha mantenuto un’ottima condizione di forma per tutta la stagione, avendo centrato la prima vittoria in febbraio ed essendo stato protagonista per tutta la Vuelta. Questa condizione straordinaria è stata mantenuta anche da Tom Dumoulin (Team Sunweb) che, dopo il doppio podio a Giro e Tour, è ancora in ottima condizione tanto da centrare l’argento a cronometro, battuto solo un super Rohan Dennis (BMC Racing Team) e riuscendo nella prova di oggi a ritornare sul terzetto di testa, che sembrava aver preso il largo definitivo sul muro finale. Dumoulin, che era rimasto staccato ben prima di Gianni Moscon (Team Sky), è riuscito con la sua regolarità non solo a saltare a piè pari l’italiano, ma anche a raggiungere i tre di testa che, comunque, non si sono studiati troppo. Ovviamente, lo sforzo che ha richiesto il rientro ha poi condizionato la brillantezza di Dumoulin, che non ha neppure tentato lo sprint.
Il chilometraggio al quale i giovani non sono più abituati e i ritmi alti, resi necessari dal grosso vantaggio che aveva preso la fuga e poi dalla necessità del forcing, hanno lasciato sulle ginocchia molti dei big che, alla vigilia, potevano avere speranze di far bene.
Un capitolo a parte va speso per Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) che ha ceduto all’ultimo giro reggendo meglio di molti big. Purtroppo il recupero lampo con aiuto chirurgico al quale il siciliano è stato costretto non gli ha permesso di presentarsi oggi con una condizione sufficiente per tentare il colpaccio. Nibali probabilmente avrebbe tentato di anticipare i tempi con una delle sue azioni fantasiose, ma il maledetto giorno dell’Alpe d’Huez ha privato questo mondiale di un grandissimo pretendente.
La corsa partiva subito molto forte, con molti corridori che avevano la “fregola” di andare in fuga per mettersi in mostra in una vetrina internazionale di somma importanza e così, dopo soli 5 chilometri, si avvantaggiavano il danese Kasper Asgreen (Quick-Step Floors), lo svedese Tobias Ludvigsson (Groupama – FDJ), il canadese Rob Britton (Rally Cycling) e il greco Stylianos Farantakis (Sojasun espoir-ACNC), il quale cederà e si rialzerà nel giro di pochi chilometri. Su questi uomini si riportavano in breve l’irlandese Ryan Mullen (Trek – Segafredo), il kazako Daniil Fominykh ( Astana Pro Team) e il norvegese Vegard Stake Laengen (UAE-Team Emirates). In un terzo momento, si aggiungevano ai battistrada anche l’irlandese Conor Dunne (Aqua Blue Sport), il ceco Karel Hník (Pardus – Tufo Prostejov), il lussemburghese Laurent Didier (Trek – Segafredo), il sudafricano Jacques Janse van Rensburg (Team Dimension Data) e il bielorusso Ilia Koshevoy (Wilier Triestina – Selle Italia), che andavano a comporre una fuga di 11 elementi. Il gruppo lasciava fare e i battistrada prendono il largo, arrivando a guadagnare quasi 18 minuti prima che il gruppo alzi leggermente l’andatura per evitare di perdere il controllo della situazione. Quando al traguardo mancavano ancora 100 Km, iniziavano i primi eventi degni di nota, in particolare la caduta con ritiro del francese Warren Barguil (Team Fortuneo – Samsic) in una curva insidiosa in discesa, mentre la fuga cominciava a perdere elementi. Gia nel terzo giro, con Inghilterra e Slovenia ad alzare notevolmente il ritmo, perdevano contatto Sagan ed il belga Tiesj Benoot (Lotto Soudal). Nel corso del giro successivo, Francia e Spagna cominciavano a farsi vedere in testa, mentre il gruppo dei battistrada continuava man mano ad assottigliarsi; a questo punto la prima azione importante in seno al gruppo veniva inscenata da Dario Cataldo (Astana Pro Team), seguito subito dagli spagnoli Jesús Herrada (Cofidis, Solutions Crédits) e Omar Fraile (Astana Pro Team). Nella discesa, scivolava Primož Roglič (Team LottoNL-Jumbo) nella stessa curva in discesa dove era caduto Barguil, ma lo sloveno aveva miglior fortuna e si rialzava, attendendo che l’ammiraglia lo raggiunga con un’altra bicicletta. Il successivo giro era invece fatale al colombiano Miguel Ángel López (Astana Pro Team), che su un circuito del genere avrebbe potuto cullare qualche ambizione. Il colombiano, però, perdeva contatto nella discesa, terreno a lui non congeniale e affrontato con grande veeemenza dal gruppo che doveva chiudere sui fuggitivi ancora rimasti in avanscoperta. In vista del sesto passaggio riuscivano ad avvantaggiarsi il belga Greg Van Avermaet (BMC Racing Team), Fraile e Damiano Caruso (BMC Racing Team). I tre venivano ripresi grazie alle sollecitazioni del tedesco Simon Geschke (Team Sunweb) e dell’olandese Sam Oomen (Team Sunweb), che cominciavano a provocare le prime defezioni eccellenti: si staccavano, infatti, l’irlandese Daniel Martin (UAE-Team Emirates), il russo Ilnur Zakarin (Team Katusha – Alpecin), il britannico Simon Yates (Mitchelton-Scott), il polacco Michał Kwiatkowski (Team Sky) e l’olandese Wout Poels (Team Sky). La bagarre cominciava però a circa 45 chilometri dall’arrivo, quando molti corridori accennavano scatti senza però riuscire ad incidere, mentre davanti rimanevano solo Asgreen e Laengen, che iniziavano l’ultimo giro con due minuti e mezzo di vantaggio. Nell’ultimo giro, l’inseguimento era guidato dall’Italia, cosa che aveva fatto sperare che qualche azzurro volesse tentare un attacco in anticipo; invece, a partire in contropiede era Steven Kruijswijk (Team LottoNL-Jumbo), con Valverde e il francese Thibaut Pinot (Groupama – FDJ) che fiutavano il pericolo e non lasciavano andare l’olandese. E’ proprio in questo momento che Nibali perdeva contatto, mentre rispondeva molto bene Moscon. Poco prima dei 20 all’arrivo, la fuga si esauriva definitivamente e subito provava l’allungo il britannico Peter Kennaugh (Bora – Hansgrohe), ma il danese Michael Valgren, (Astana Pro Team) riusciva a raggiungerlo e staccarlo per poi proseguire a tutta in discesa, guadagnando sino a 30 secondi. Dietro, in un primo momento, lo spagnolo Ion Izagirre (Bahrain Merida), Pinot, Moscon, il kazako Alexey Lutsenko (Astana Pro Team) e il portoghese Rui Alberto Faria da Costa (UAE-Team Emirates) riuscivano a ritrovarsi con qualche secondo di vantaggio sul gruppo sempre più assottigliato, ma nei successivi chilometri la situazione si ricompattava sino ai piedi del muro di Gramartboden. A questo punto, non ci si poteva più nascondere, il battistrada veniva rapidamente ripreso e davanti rimanevano Bardet, Pinot, Alaphilippe, Moscon, Valverde e il canadese Michael Woods (Team EF Education First-Drapac). La nazionale francese sembrava in una situazione ideale in netta superiorità numerica con due scalatori di razza ed uno scattista formidabile, ma proprio Alaphilippe e Pinot perdevano contatto sotto le sollecitazioni di Woods, mentre Moscon stringeva i denti e, pur con grandi difficoltà, riusciva a mantenere la ruota dei migliori fin quando si giunge sul tratto al 28%. Lì Woods forzava di nuovo e stavolta Moscon si piantava, mentre da dietro arrivava in progressione Dumoulin che, su questo tratto di strada del tutto inadatto alle sue caratteristiche, faceva valere le sue doti di regolarista e riusciva a scollinare con un gap ancora colmabile, dopo aver saltato Moscon. Nel falsopiano in cima e nella successiva discesa, i tre battistrada non si dannavano l’anima a tirare, ance se non si fermano continuando con un discreto ritmo, ma Domoulin riusciva a rientrare grazie alle sue doti di passista, mentre Moscon era ormai cotto.
Allo sprint non c’era storia e Valverde, nonostante la prima posizione, lanciava la volata lunga, senza che nessuno ce la facesse ad uscire dalla sua ruota; Bardet prendeva l’argento e Woods il bronzo, mentre Dumoulin, che aveva fatto uno sforzo enorme per tornare sotto, doveva accontentarsi della medaglia di legno.
Certamente, dopo innumerevoli podi, l’Embatido meritava una vittoria, ha corso in modo molto intelligente e nella volata è stato padrone assoluto. L’Italia forse ha esagerato nel forzare il ritmo all’ultimo giro ed avrebbe fatto meglio a lasciare il lavoro ad altri, ma ha dimostrato la grinta e la voglia di fare la corsa che ha sempre contraddistinta la nazionale azzurro.
Infine una nota al percorso non può essere omessa. Dopo il circuito di Duitama del 1995, questo è stato il mondiale più duro degli ultimi anni ed il tracciato non ha tradito le aspettative; i chilometri che separavano la cima dall’arrivo hanno consentito il rientro di Dumoulin ed un finale ancor più interessante. Sarebbe ora che l’UCI si rendesse conto che corse come il campionato del mondo non possono essere dei piattoni come quello che ci dovremo sorbire il prossimo anno e che corse faticose e lunghe fanno venire fuori i corridori davvero resistenti. Il favorito Alaphilippe probabilmente ha pagato proprio la lunghezza di questo percorso, perché sulla carta lo strappo finale era ideale per uno come lui. L’esperto Valverde, invece, più abituato a corse logoranti, ha saputo gestire al meglio le forze e, nonostante l’età, è andato a prendersi finalmente la medaglia d’oro.
Benedetto Ciccarone

Valverde coglie la sua più bella vittoria in carriera ai mondiali di Innsbruck (foto Bettini)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 21: AD UN PASSO DALLA SESTA FRECCIA
Compromessa la seconda stagione 2017 a causa della caduta rimediata nella crono d’apertura del Tour de France, che lo costringerà a 6 mesi di stop, Valverde decide di puntare per il 2018 a far bene ancora alle classiche del nord, ma stavolta il suo vero obiettivo sarà il mondiale, previsto a fine settembre sull’impegnativo circuito di Innsbruck. Le “primavere” sono oramai 38 ma l’Embatido ha ancora fame di vittorie e il suo stomaco si rivelerà ancora in grado di digerire le prelibate pietanze del calendario: a inizio stagione farà sue tre brevi ma intense corse a tappe (la Volta a la Comunitat Valencian, l’Abu Dhabi Tour e la Volta Ciclista a Catalunya), poi tornerò sulle strade del nord dove andrà vicinissimo a conquistare la sesta Freccia Vallone. Ma stavolta il giovane Alaphilippe farà meglio di lui
IN VALLONIA SI PARLA FRANCESE, ALAPHILIPPE SI VENDICA SU VALVERDE
Dopo due secondi posti sul muro di Huy alle spalle dell’inarrivabile Alejandro Valverde, il francese Alaphilippe va a prendersi di forza la Freccia Vallone ma non esulta, convinto di non essere riuscito a riassorbire Nibali che era andato in precedenza all’attacco.
Certamente Julian Alaphilippe deve aver in cuor suo imprecato non poco tagliando il traguardo della Freccia Vallone 2018. Il francese era, infatti, convinto di aver mancato per la terza volta il gradino più alto del podio. Due volte il corridore della Quick-Step era finito secondo alle spalle dello specialista per eccellenza di corse come queste, il murciano Alejandro Valverde (Movistar), recordman di vittorie alla Freccia con ben 5 successi, quattro dei quali consecutivi. Gli anni, però, passano e, per quanto certi uomini come Valverde sembrino fregarsene dell’età, il momento di cedere il passo arriva per tutti.
Quest’anno, infatti, Alaphilippe non ha semplicemente battuto Valverde allo sprint, ma lo ha addirittura staccato di 4 secondi dimostrando una netta superiorità.
Il capitano della Movistar è comunque riuscito a conquistare la piazza d’onore, dimostrando quindi che, sebbene le oramai prossime 38 primavere comincino a farsi sentire, la grinta e lo spirito agonistico sono rimasti immutati nel tempo.
Buona anche la prova di Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) che, dopo la splendida vittoria di Sanremo, continua ad andare a caccia di classiche in una stagione impostata per arrivare al meglio ai mondiali austriaci.
La corsa si infiamma subito con alte andature che rendono difficili gli attacchi anche se, dopo 5 chilometri di corsa, Patrick Müller (Vital Concept) riesce a distanziare leggermente il gruppo. La sua azione ispira Romain Hardy (Fortuneo – Samsic), Anthony Roux (Groupama-FDJ), Cesare Benedetti (Bora – Hansgrohe), Anthony Perez (Cofidis) e Romain Combaud (Delko Marseille Provence KTM), che si accodano rapidamente a Müller. In un secondo momento si uniscono ai 6 di testa anche Kevin Van Melsen (Wanty-Groupe Gobert) ed Antoine Warnier (WB Aqua Protect Veranclassic), andando così a formare in testa un discreto drappello di fuggitivi.
La fuga riesce a conquistare un margine di vantaggio massimo di 5 minuti e 25 secondi intorno al chilometro 50. Il gruppo decide di non rischiare a le squadre dei big (in particolare Movistar e UAE Team Emirates) si mettono in testa a fare una andatura in grado di tenere il ritardo entro termini ragionevoli.
Le prime salitei passano abbastanza tranquille senza accelerazioni né defezioni poi, sulla Côte d’Amay prima e successivamente in occasione della prima scalata al muro di Huy, il gruppo impone una decisa accelerazione che provoca la rapida erosione del vantaggio, che si riduce a 1′20″ al primo passaggio sotto la linea d’arrivo.
E’ proprio sulle arcigne pendenze che portano al primo passaggio dal traguardo che allungano Robert Power (Mitchelton – Scott), Michał Kwiatkowski (Sky), Mikel Landa (Movistar), Jelle Vanendert (Lotto Soudal), Michael Gogl (Trek – Segafredo) e Alberto Rui Costa (UAE Team Emirates). Si tratta all’evidenza di uomini che non si possono lasciare andar via a cuor leggero e, infatti il gruppo reagisce prontamente neutralizzando il tentativo di attacco.
Sulla Côte d’Ereffe a provarci sono José Joaquín Rojas (Movistar), Alessandro De Marchi (BMC Racing Team), Vasil Kiryienka (Sky), Jack Haig (Mitchelton-Scott), Nibali, Ion Izagirre (Bahrain-Merida), Rafał Majka, Gregor Mühlberger (Bora-Hansgrohe), Tomasz Marczyński e Tosh Van Der Sande (Lotto Soudal), Tanel Kangert (Astana), Matteo Fabbro (Katusha-Alpecin), Simon Geschke (Sunweb), Maximilian Scachmann e Philippe Gilbert (Quick-Step Floors), con Gogl e Rui Costa ci che provano per la seconda volta.
Quest’attacco è ben strutturato, nutrito e composto da uomini di grande spessore come Nibali e Gilbert. I fuggitivi vengono tosto ripresi dai contrattaccanti e si forma in testa un gruppo molto interessante di ben 24 unità. Tuttavia, il tentativo fatica a decollare perchè non c’è accordo tra i battistrada sicché Kangert, Benedetti, Roux, Haig, Nibali e Schachmann decidono di rompere gli indugi e si lanciano in avanti. De Marchi e Kwiatkowski provano a reagire ma le energie cominciano a scarseggiare ed il tentativo di riportarsi sulla testa della corsa naufraga miseramente. Mentre anche il gruppo comincia a perdere pezzi importanti, Benedetti perde contatto sul secondo passaggio dal traguardo, ma con grande caparbietà riesce a riportarsi sotto nel tratto successivo pianeggiante. Il segnale è rivelatore e Benedetti perderà successivamente e definitivamente, insieme a Roux, le ruote dei compagni d’avventura che, nel frattempo, aumentano il loro margine di vantaggio fino a 50 secondi. Dopo la Côte d’Ereffe la corsa esplode, il margine dei battistrada cala e l’inquietudine porta ad una certa confusione della quale fanno le spese Nibali e Kangert che vengono ripresi dal gruppo, cosa della Alaphilippe non si avvede). Schachmann e Haig attaccano l’ascesa finale al muro di Huy con 10 secondi di vantaggio; Haig cede subito, mentre Schachmann tenta di resistere strenuamente, ma anche lui deve arrendersi a poco più di 200 metri dalla conclusione. Jelle Vanendert (Lotto Soudal) in testa al gruppo, con una grande accelerata sorprende un po’ tutti ma non Alaphilippe che resta incollato alla sua ruota mentre Valverde riesce in recupero a raggiungere i due. Alaphilippe, però, è bravo a ripartire a tutta, aprendo il gas proprio nel momento in cui Valverde doveva rifiatare. Il murciano è comunque secondo ma il passivo di quattro secondi da Alaphilippe è eloquente.
Il transalpino non ha, però, la faccia di chi ha vinto una grande classica, perché al portacolori della Quick step era sfuggita la capitolazione del tentativo di Nibali.
Se per Alaphilippe c’è il rammarico di non aver potuto esultare tagliando il traguardo, la sorpresa di una vittoria che credeva sfuggita è una contropartita decisamente superiore.
Benedetto Ciccarone

La grinta di Alaphilippe a pochi passi dalla cima del muro di Huy (foto Bettini)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 20: L’ULTIMA LIEGI NEL RICORDO DI SCARPONI
È una Liegi triste quella che va in scena il 23 aprile del 2017. In gruppo non c’è più Michele Scarponi, che il giorno prima ci era stato portato via per sempre da un drammatico incidente stradale mentre si allenava sulle strade della sua Filottrano, aprendo una ferita nel cuore degli appassionati che ancora non s’è rimarginata e anzi si è fatta ancora più sanguinante dopo la recente scomparsa di Davide Rebellin. I corridori al via della centotreesima edizione della Liegi vorrebbero tutti dedicargli la vittoria ma a farlo può, ovviamente, essere un uomo solo e quell’uomo risponde ancora al nome di Alejandro Valverde, che firma la sua terza doppietta con la Freccia e la sua quarta affermazione alla “Doyenne”, fermandosi ad un passo dal record assoluto di vittorie di Eddy Merckx
MESTA LIEGI: ADDIO MICHELE
Difficile scrivere di corse con nella testa e nel cuore la notizia della morte di Scarponi, ucciso mentre si allenava dall’errore omicida del guidatore di un furgone. Ci pensa Alejandro Valverde a immortalare il ricordo di Michele trionfando tra le lacrime a Liegi.
È uno strazio pensarci ora, ma Michele Scarponi è stato – anche – il miglior corridore italiano per la Liegi fra tutte le generazioni successive all’epoca dorata dei Bettini, Rebellin e Di Luca. Con la solita umiltà sorniona, non ha mai strombazzato la propria solidità nella decana delle Classiche, quella che sa sorridere anche agli scalatori ma solo se se dotati di guizzo, intuito e classe: ha sempre coltivato in modo quasi intimo una storia d’amore personale con la severa signora belga, sfiorando il podio all’esordio, un neoprofessionista di appena ventitré anni col completo zebrato della Domina, e di nuovo quando fu quinto dieci anni dopo, all’ultima stagione in Lampre, non mancando di intascare nel frattempo un altro paio di top ten. I Gasparotto o Nibali, invece, pur avendo dato una più netta impressione di poter agguantare la vittoria, non han brillato che per un paio di stagioni su queste strade. Il ricordo più recente e indelebile è quello di Scarponi che nel 2015 scala la leggendaria Redoute in testa alla corsa, mezzo minuto davanti al gruppo, con il giovanissimo e talentuoso Chaves in scia. Stava lavorando in funzione del capitano Fuglsang, oggi in lacrime alla partenza, ma quell’istantanea di Michele che scollina davanti a tutti sulle rampe del mito è un piccolo regalo che si fece e ci fece: proprio oggi acquista una rilevanza speciale.
È bello allora che arrivi qui il primo di una serie di omaggi a Michele Scarponi da parte dei suoi amici nel mondo del ciclismo, e la parola “amici” per una volta non sembra abusata come troppo spesso accade: Valverde, vincitore con gli indici e lo sguardo puntati al cielo, stenta a parlare nell’intervista, rifiuta come prima domanda di commentare il finale di gara e impone, anzitutto, il ricordo commosso, con la voce rotta e gli occhi rossi di pianto, del collega italiano e della famiglia di questi, a cui devolverà il premio.
Lo sprint folgorante di Valverde, a conclusione di una progressione che sgretola e spazza via la concorrenza, è uno dei pochi gesti tecnici che danno lustro a una giornata a cui, oggi, non ci sentiamo di rimproverare il solito, oppressivo grigiore e l’andamento mesto, contratto, come di chi corra con il cuore in un pugno. Sembra ormai questo il destino costante della Liegi, in attesa di novità che la ravvivino, però, solo per quest’anno, è davvero già molto riuscire a trovare la voglia di correre, spingere, scattare, soffrire.
Poche note di cronaca. La fuga del mattino dilaga, ma si sfalda sulla Rocca dei Falchi nonostante i sussulti finali dell’indefessa coppia Cofidis con Rossetto e Perez. Dietro bisogna aspettare il Maquisard affinché prenda corpo una mossa robusta, con in luce gli ottimi De Marchi, Brambilla e Benedetti rodando i motori per il Giro, assieme a nomi noti come Latour o Betancur, che fa respirare i suoi compagni Movistar fino ad allora in testa al gruppo, o la coppia Dimension Data di Fraile e Haas. La Redoute però, invece che spaccare la corsa, la rimpasta, con le trenate di Sebastian Henao e Kreuziger che ricuciono i distacchi. Eccoci alla Rocca dei Falchi dove ci prova l’altro Henao, il più forte Sergio Luis, con Kreuziger stavolta più aggressivo che difensivo. La testa del gruppo si rimescola con gli abituali giri di mano che vedono gruppetti diversi provare a sganciarsi tra scatti e controscatti – tutti piuttosto timidi, invero – finché non se ne va un’altra buona azione con il sempre coraggioso Tim Wellens a fare la parte del leone, più di nuovo un paio di italiani, Villella che scorta il suo capitano Woods, e Damiano Caruso che sembra pensare soprattutto ai suoi capitani belgi rimasti in gruppo, Van Avermaet e Teuns. Ci sono anche l’assatanato Kreuziger e la promessa Sam Oomen (oltre a Vuillermoz e Konrad).
La Sky è rimasta fuori dal mazzo e si incarica dunque di menare le danze dietro, levando le castagne dal fuoco a un Valverde provvisoriamente a corto di compagni. Moscon, il trentino 23enne che già fu splendido alla Roubaix, viene speso in un’infinita menata da mulo che smonta le velleità degli attaccanti, dei quali si rilancia in avanti solo l’indomito Wellens, senza che però il suo vantaggio faccia mai sperare che possa superare il Saint-Nicolas, la salita degli italiani che ci introduce al gran finale. Fedele al suo nome, la côte tra le case di mattoni imbruniti si apre e si chiude con begli spunti italici: il primo è ancora Villella, che allunga fluido, e viene agguantato solo dalla duplice fucilata di Sergio Henao e Albasini, ansiosi di anticipare. Il gruppo si ricompatta grazie all’intensità di Ion Izagirre altro gregario più o meno involontario di Valverde (in Movistar l’anno scorso, ma ora sarebbe pure capitano in casa Bahrein-Merida!): tuttavia prima che spiani l’ultimo metro del Saint-Nicolas squilla di nuovo un acuto italiano, con Formolo che allunga decisissimo e prende il largo, mentre dietro si tentenna.
Formolo regge bene sui saliscendi infarciti di sanpietrini, ma lo strappo finale di Ans incombe: il primo allungo è di Fraile, ma le polveri sono bagnate da quella fuga di tanti km fa.
Al fulmicotone la sparata di Daniel Martin ai -800 metri dal traguardo, lui sì prende il largo e dribbla Formolo in scioltezza: dietro però è l’Orica che s’incarica di tirare il guinzaglio, peraltro con un’azione confusa in cui non è chiaro se Adam Yates e Albasini collaborino o pensino ciascuno a sé – l’impressione è che entrambi pensino a Valverde, finiranno infatti settimo e ottavo. Quando Valverde innesca la sua progressione, lo sparpaglìo è graduale ma inesorabile, la lunga fila indiana di una ventina di uomini che serpeggiava per le vie delle periferie belghe si sbriciola, perdono le ruote i Bardet, i Majka, i Van Avermaet, mentre Valverde piomba su Daniel Martin come il falco su un coniglio, rifiata in curva, riapre il gas in piena spinta ma in appena pochi metri già capisce di aver schiantato tutti e con ampio anticipo si rialza, leva gli indici, guarda lassù, oltre il cielo di polvere e limatura, lasciandosi alle spalle gli affanni di Martin ancora secondo, di Kwiatkowski in rimonta affannosa, di Matthews che sprinta forte in salita dopo aver sgomitato sorprendentemente sulla Redoute, di Izagirre indomito, e poi tutti gli altri. Pozzovivo dodicesimo, primo degli italiani nell’ordine d’arrivo, ma il primo italiano, oggi, passava il traguardo con Valverde.
Comunque Scarponi oggi sarebbe stato contento dell’azzardo e della smorfia sofferta di Formolo, delle sortite di Villella, delle puntate offensive in funzione dei capitani fatte da De Marchi, Brambilla o Caruso, di Moscon duro, umile e fedele, del proprio capitano di anni anteriori Fuglsang, che arriva a dieci secondi dopo una gara cominciata con un pianto a dirotto ma altresì del compagno e collega Cataldo che, già distrutto emotivamente al via, non ce l’ha fatta a finire.
Eppure, va detto, questa corsa da italiani vede gli italiani anche se degnissimi sempre più outsider e gregari. Forse c’è un qualche rapporto con il calo di oltre il 40% dei km in bici percorsi all’anno per abitante, in Italia rispetto al 1997, vent’anni fa, quando Michele era juniores?
Michele Scarponi fu tra i primi e più entusiasti professionisti a sostenere, l’iniziativa #salvaiciclisti, innescata ormai cinque anni fa. Da allora i ciclisti morti in Italia hanno superato i milleduecento. Michele è uno fra le centinaia di ciclisti che ogni anno vengono ammazzati sulle strade italiane, chi per lavoro – come nel suo caso, o di chi in bici ci va in fabbrica o in ufficio – chi per il puro piacere di spostarsi senza rumore e inquinamento. Non credete a chi dice che è perché la bici è intrinsecamente pericolosa: la straripante maggioranza delle morti è causata da un veicolo a motore. Non credete a chi dice che non potrebbe essere diversamente, perché le strade sono fatte per le automobili: negli altri Paesi europei la situazione è ben diversa rispetto all’Italia. In Francia, dove il ciclismo, numeri alla mano, si pratica quanto in Italia, i morti si attestano intorno ai 150 all’anno. La media italiana dal 2001 al 2015 è di 300.
L’Italia è di gran lunga il Paese con la peggior combinazione di pratica ciclistica relativamente moderata e gran numero di morti: la Polonia, con cui ci disputavamo il poco ambito trofeo, ha rivoluzionato la propria sicurezza stradale nell’ultimo quinquennio. La Spagna, vent’anni fa uno dei Paesi meno pedalatori del continente nonostante il mito Indurain, ha cambiato in modo sempre più radicale il proprio codice della strada dal 2001 al 2014, con governi di ogni colore, e nell’ultimo biennio il ciclismo amatoriale ha scavalcato calcio, nuoto e atletica diventato lo sport più praticato nel tempo libero.
L’isteria dei guidatori italiani, sulle strade o in rete, ignora che vent’anni fa la presenza ciclistica sulle strade del Belpaese era quasi doppia e l’auge recente ha recuperato solo parte di quel prezioso patrimonio. Come si circolava allora? E come faranno mai in Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Corea del Sud con tre, quattro, dieci volte i ciclisti che ha l’Italia? Saranno tutti in coda, o viceversa la mobilità è molto più fluida ed efficiente per tutti?
Mentre in altri Paesi, come appunto la Spagna, le leggi obbligano i guidatori di veicoli motorizzati a contemplare perennemente la possibilità della presenza di un ciclista per reagire di conseguenza (dal metro e mezzo di distanza obbligatoria per sorpassare, fino ai limiti di velocità ridotti in orari di forti flussi ciclistici, o all’obbligo di considerare il gruppo come un tutt’uno e quindi attendere il passaggio fino all’ultimo ciclista nelle rotonde, e molto altro), in Italia invece non si stimola questa cura costante, per cui il ciclista italico o è invisibile o disturba. Se l’occhio non si abitua a guardare sempre con la massima attenzione per individuare ciclisti, pedoni, motociclisti, insomma, la cosiddetta utenza debole, ebbene la probabilità del “non l’ho visto” incrementa esponenzialmente. Non è un caso: è un evento reso possibile o probabile da un contesto. Magari sei controluce, hai fretta, non vedi bene, e se non c’è niente “di grosso” in arrivo, ti butti. Con l’incuranza di chi non sa o finge di non sapere che sta conducendo, a tutti gli effetti, una potenziale arma omicida.
Il Presidente della Federciclismo dichiara che per Scarponi si è trattato di un “destino scritto male”: ad essere scritto male è il codice della strada italiano. “Si sta lavorando”, dice Di Rocco: ma è in carica da dodici anni e mentre in questo stesso periodo altre nazioni hanno fatto passi da gigante sia nella pratica ciclistica, sia nella sicurezza, noi arranchiamo nella prima e sprofondiamo nella seconda. Se davvero ci si tiene, sarebbe il caso di fare un gesto di rottura e dare le dimissioni, di fronte a un caso così eclatante. Che cosa ha fatto la FCI, ad esempio, dall’incidente gravissimo di Marina Romoli a oggi? Quali azioni concrete, quali proposte, quali pressioni sulla politica? Incrociare le dita, sperando che non accadesse qualcosa di ancora più grave? Con centinaia di morti all’anno non è questione di auspici, è solo una questione di tempo. Il tempo corre, i ciclisti vengono uccisi. E fare ciclismo diventa sempre più duro perché ancor più dei morti è il non sentirsi rispettati che fa crescere, giustamente, la paura. Michele – lo dichiarò – percepiva un aumento dei rischi e dell’aggressività del traffico, ma rimaneva ad allenarsi in Italia perché amava la propria famiglia e perché amava questo Paese: sarebbe ora che il Paese ricambiasse l’amore che Scarponi e i ciclisti e cicliste italiani di ogni età, passione, velocità riversano sulle strade dell’Italia.
Scarponi non era in doppia fila. Non era passato col rosso. Non parlava con un amico. Non era in gruppo. Non era uno “che crede di essere al Giro”, perché il Giro lui sapeva benissimo che cosa fosse. Non era uno “che si compra la bici da corsa poi non la sa guidare”. Non si prendeva rischi. Non faceva il prepotente. Aveva il casco.
E noi non dovremmo più tollerare queste sciocchezze sulle centinaia di ciclisti che come Michele vengono uccisi da mezzi a motore, per poi subire l’insulto di vedersi colpevolizzati senza alcun fondamento logico.
Se l’Italia fosse un Paese al passo con gli altri, almeno cento, centocinquanta, duecento vite di ciclisti all’anno non andrebbero perse. È pura matematica. E magari, tra esse, anche quella di un grande uomo e grande campione come Michele Scarponi. O magari no, magari sarebbero stati altri “i morti in meno”: il rischio è e sarà sempre parte del ciclismo come della vita, ogni ciclista lo accetta. Ma vogliamo davvero tollerare di rimanere con il dubbio che, se solo avessimo costruito una cultura stradale migliore, lui, Michele, come tanti altri, sarebbe tornato a casa leggero sui pedali?
Gabriele Bugada

VALVERDE STORY – CAPITOLO 19: E CON QUESTA FANNO CINQUE!!!!!
Non gli è bastato battere il record di vittorie alla Freccia, vuole di più, punta alla quinta vittoria. E questa regolarmente arriva già l’anno dopo, anche stavolta con un risicato margine sugli avversari. Non è presente Alaphilippe, secondo nel due edizioni precedenti e nel 2017 “appiedato” da un infortunio al ginocchio rimediato al Giro dei Paesi Baschi. Dopo questa Valverde di “frecce” non ne vincerà più, ma c’è un corridore che tranquillamente potrà raggiungere il suo personale record e si tratta proprio di Alaphilippe, che al momento ha all’attivo tra affermazioni alla corsa vallone e, soprattutto, ha un’età più “verde” rispetto a quella nella quale l’Embatido ha ottenuto la sua ultima Freccia.
VALVERDE, POKERISSIMO CON VISTA LIEGI
Quarto successo consecutivo e quinto in carriera alla Freccia Vallone per il fuoriclasse murciano che, dopo il gran lavoro della sua Movistar per tenere sotto controllo gli attaccanti di giornata, scherza con gli avversari sul muro di Huy per poi fare il vuoto negli ultimi 150 metri e imporsi davanti a Daniel Martin e al sorprendente Dylan Teuns, candidandosi nel ruolo di grande favorito anche per la “Doyenne”. In casa Italia arriva il 10° posto di Diego Ulissi e con lui si mettono in evidenza anche Alessandro De Marchi, rimasto al comando prima da solo e poi in compagnia di Bob Jungels, e Gianni Moscon, determinante nell’andare a riprendere il lussemburghese prima della rampa finale.
Dopo un’avvincente Amstel Gold Race che ha visto il successo di un Philippe Gilbert tornato ai fasti di qualche anno fa il Trittico delle Ardenne è proseguito con la Freccia Vallone che – anche alla luce dei forfait del campione belga, per via di un risentimento muscolare che lo costringerà a saltare anche Liegi-Bastogne-Liegi e Giro d’Italia, e di Julien Alaphilippe, secondo nelle ultime due edizioni e fermo ai box per problemi a un ginocchio – aveva un favorito d’obbligo in Alejandro Valverde (Movistar), autore di uno strabordante avvio di stagione e già capace di imporsi in cima al muro di Huy nelle ultime tre edizioni, oltre che in quella del 2006.
Non a caso è stata la formazione guidata da Eusebio Unzué a mantenere cucita la corsa per gran parte dei 204,5 km del percorso, incaricandosi di tenere sotto controllo e poi andare a riprendere la fuga iniziale, che ha visto protagonisti Fabien Doubey (Wanty-Gobert), Yoann Bagot (Cofidis), Nils Politt (Katusha-Alpecin), Romain Guillemois (Direct Énergie), Daniel Pearson (Aqua Blue) e Olivier Pardini (WB Veranclassic), che dopo il primo dei tre passaggi previsti sul muro di Huy è rimasto per un breve tratto solo al comando, e a non dare spazio ai successivi contrattacchi. Un brillante Alessandro De Marchi (BMC) ci ha provato una prima volta sulla Côte d’Ereffe, venendo strettamente marcato da Carlos Betancur, e poi ha fatto il vuoto sulla Côte de Cherave a 35 km dal traguardo, acquisendo una ventina di secondi margine sul resto del gruppo.
A sparigliare le carte ci ha provato la Quick-Step Floors che, rimasta orfana di due dei tre capitani e potendo contare sul solo Daniel Martin, si è portata in testa lungo il secondo passaggio sul muro per lanciare Bob Jungels, che si è rapidamente riportato su De Marchi e, dopo aver percorso un tratto in compagnia del 30enne friulano, lo ha addirittura staccato in un tratto in discesa e ha acquisito fino a 50” di margine. Sembrava che l’azione dell’emergente lussemburghese potesse avere buon gioco, alla luce del fatto che la Movistar era rimasta a corto di uomini e al pari dell’Orica-Scott, che aveva affiancato la compagine iberica nel condurre l’inseguimento, non sembra avere le forze per andarlo a riprendere. Invece, determinante è stato il gran lavoro di Gianni Moscon (Sky) che, dopo aver replicato sulla Côte de Cherave, penultima ascesa di giornata, a un allungo di Rafal Majka (Bora-Hansgrohe), si è portato in testa al gruppo dove pedalavano i suoi capitani di giornata Sergio Henao e Michal Kwiatkowski e ha fatto sì che il vantaggio di Jungels venisse dimezzato ai piedi della rampa finale.
Non c’è stato, dunque, nulla da fare per il battistrada e l’ascesa verso il traguardo si è trasformata in una lunga fase di studio con Valverde che, similmente a quanto fatto negli ultimi anni, ha preso la testa del plotoncino che andava via via sfilacciandosi attendendo le mosse dei suoi avversari, tra i quali si è visto un Diego Ulissi (UAE-Abu Dhabi) finalmente competitivo dopo le ultime non esaltanti uscite. A rompere gli indugi è stato Romain Gaudu (FDJ): a quel punto il fuoriclasse murciano ha preso la ruota del giovane francese e ai -150 metri dal traguardo con irrisoria facilità ha salutato la compagnia, andando a conquistare la sua quinta Freccia Vallone e il decimo successo in una stagione che lo sta vedendo dominante come mai, forse, lo era stato in passato. La piazza d’onore è andata, con una buona rimonta nel finale, a Daniel Martin che in prossimità della linea del traguardo ha avuto la meglio su di un sorprendente Dylan Teuns (BMC), mentre 4° si è piazzato Henao davanti a Michael Albasini (Orica-Scott), che si è confermato dopo il terzo posto dell’Amstel Gold Race, a un buon Warren Barguil (Team Sunweb), a un Kwiatkowski per il quale le pendenze estrema del muro di Huy si sono rivelate un po’ troppo ostiche, al duo della FDJ composto da Rudy Molard e da Gaudu e a un Ulissi che è un po’ calato nell’ultimo tratto ma ha salvato un piazzamento nella top ten mentre l’altro azzurro atteso alla vigilia, Enrico Gasparotto, non ha portato a termine la prova, probabilmente a causa dei postumi della caduta avvenuta all”Amstel. L’attenzione si sposta ora sulla Liegi-Bastogne-Liegi con Valverde che sarà ancora una volta l’uomo da battere dopo i successi conquistati nel 2006, nel 2008 e nel 2015.
Marco Salonna

Per la quinta volta Valverde sconfigge le ostiche pendenze del Muro di Huy, prima ancora che gli avversari, e fa sua la Freccia Vallone (foto Tim de Waele/TDWSport.com)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 18: ED È SUBITO RECORD
La quarta Freccia è un traguardo che nessuno aveva mai raggiunto, ma è un obiettivo che è nelle corde di Valverde. E lo spagnolo non se lo lascia sfuggire nemmeno nel 2016, ancora una volta precedendo in vetta al muro di Huy il francesino Alaphilippe. Per un record che viene abbattuto ce n’è un altro che viene eguagliato: vincendo la Freccia per tre anni consecuitivi emula quanto compiuto negli anni della seconda guerra mondiale dal belga Marcel Kint. Ci sarà una quinta vittoria in futuro? Intanto Valverde comincia a pensare seriamente alla terza doppietta con la Liegi, altro clamoroso obiettivo che però gli sfugge perché alla Doyenne del 2016 si dovrà accontentare del 16° posto, a 12 secondi dall’olandese Wout Poels.
VALVERDE CALA IL POKER SUL MURO DI HUY
Sesto successo stagionale e soprattutto quarto in carriera alla Freccia Vallone per il murciano della Movistar, che controlla i rivali nel primo tratto del durissimo strappo finale per poi fare la differenza negli ultimi 150 metri e imporsi davanti al duo dell’Etixx-QuickStep composto da Julian Alaphilippe, che conferma la piazza d’onore del 2015, e Daniel Martin, che aveva tentato di fare il vuoto a metà del muro. Ottime prove per Enrico Gasparotto, che si conferma dopo l’exploit dell’Amstel Gold Race piazzandosi 5°, e per Diego Ulissi, che chiude 8° mentre delude Joaquim Rodríguez. che attacca in due riprese ma si spegne nel finale non andando oltre il 28° posto.
Dopo il trionfo di Enrico Gasparotto all’Amstel Gold Race il Trittico delle Ardenne è proseguito con l’80a edizione della Freccia Vallone, in cui il friulano della Wanty-Groupe si presentava come corridore di punta per quel che riguarda i colori azzurri al pari di Diego Ulissi (Lampre-Merida) ma i cui i favori del pronostico andavano sulla carta ai due atleti che hanno conquistato il muro de Huy nel 2015, vale a dire Joaquim Rodríguez (Katusha), che si è imposto in occasione del Tour de France davanti a Chris Froome (qui assente) e che ha dato buoni segnali al Giro dei Paesi Baschi, e Alejandro Valverde che ha trionfato nella passata edizione della Freccia oltre che in quelle del 2006 e del 2014 e che, dopo un avvio di stagione a fari spenti (dovuto al fatto che per la prima volta in carriera disputerà il Giro d’Italia con ambizioni d’alta classifica), ha dimostrato grande condizione dominando la Vuelta Castilla y Léon. Accanto a loro al via si sono presentati Julian Alaphilippe e Daniel Martin (Etixx-QuickStep), Michael Albasini e Michael Matthews (Orica-GreenEdge), Luis Léon Sánchez (Astana), Wilco Kelderman (Lotto-Jumbo), la rivelazione dell’Amstel Michael Valgren (Tinkoff), Philippe Gilbert e Samuel Sánchez (Bmc), Rui Costa (Lampre-Merida), Tony Gallopin e Tim Wellens (Lotto Soudal), Daniel Moreno (Movistar) e Wout Poels (Team Sky), divenuto capitano unico dello squadrone britannico che ha sospeso Sergio Henao, brillantissimo al Giro dei Paesi Baschi e pertanto atteso a una prestazione importante, per via di valori anomali nel passaporto biologico.
Come avvenuto ormai ininterrottamente nelle edizioni successive a quella del 2003, quando Igor Astarloa si impose grazie a un’azione da lontano, la corsa si è decisa negli ultimi 1300 metri, in salita con pendenza media del 9,6% e punte oltre il 20%. In ogni caso, anche in precedenza vi sono stati degli spunti interessanti, al di là della consueta lunga fuga da lontano, tenuta sotto controllo pressochè esclusivamente da Movistar e Katusha, che ha visto protagonisti Matteo Bono (Lampre-Merida), ormai un habituè di questo tipo di azioni, Koen Bouwman (Lotto-Jumbo), Silvan Dillier (Bmc), Vegard Stake Laengen (Iam Cycling), Kiel Reijnen (Trek-Segafredo), Tosh Van Der Sande (Lotto Soudal), Sander Helven (Topsport Vlaanderen), Mads Pedersen (Stolting Service), Quentin Pacher (Delko Marseille) e Steve Cummings (Dimension Data), ultimo ad arrendersi dopo essere rimasto dapprima con i soli Bono, Van Der Sande e Dillier e quindi da solo avendo staccato i compagni d’avventura subito dopo il secondo passaggio in vetta al Mur de Huy, posto ai -29 dal traguardo, per poi essere ripreso poco dopo. Tra i big le acque hanno iniziato a muoversi già in quel frangente. Si sono mossi dapprima Bjorn Thurau (Wanty-Groupe) e Rubén Fernández (Movistar), la cui azione è stata di breve durata, quindi addirittura Rodríguez che, spalleggiato dal compagno Jurgen Van den Broeck, ha approfittato di un tratto di falsopiano per tentare di avvantaggiarsi in un plotoncino comprendente anche Poels, Albasini, Giovanni Visconti (Movistar), Laurens De Plus (Etixx-QuickStep) e Mikael Chérel (Ag2r) e infine, sulle rampe della Côte de Cherave, il campione lussemburghese Bob Jungels (Trek-Segafredo) e Ion Izagirre (Movistar). A dire il vero, alla luce della presenza di Valverde nel gruppo inseguitore, la continua presenza di uomini della formazione di Unzue in avanscoperta ha destato qualche perplessità, anche perchè non si sono limitati a rimanere a ruota ma hanno collaborato nelle varie azioni. Tutto questo non ha, comunque, influito sull’andamento della corsa dal momento che gli uomini della Etixx-QuickStep hanno chiuso il gap e ai piedi dell’ascesa conclusiva al muro de Huy si è presentato un gruppo compatto di una sessantina di atleti, comprendente tutti i favoriti della vigilia ad eccezione di un Gilbert che, per l’ennesima volta in questo periodo, si è dimostrato in palese ritardo di condizione, anche a sua scusante va portata la recente frattura ad un dito subita dopo un’aggressione.
Negli ultimi 1300 metri Valverde ha corso da padrone, adottando la stessa strategia di un anno fa: quella di mantenersi sempre nelle primissime posizioni, portandosi in scia a chi tentava di fare la differenza e attendendo il tratto finale per muoversi in prima persona. Dopo una fase iniziale di studio il primo ad attaccare è stato Rodríguez, che però ha ben presto esaurito la benzina tanto che al traguardo terminerà solo 28°, mentre molto più decisa è stata l’azione di Daniel Martin, ma anche l’irlandese nulla ha potuto di fronte all’irresistibile progressione negli ultimi 150 metri di Valverde, che si è involato verso il quarto successo in carriera alla Freccia, impresa che non è riuscita in passato neppure a un certo Eddy Merckx e a due grandi nostri specialisti delle classiche delle Ardenne come Moreno Argentin e Davide Rebellin, tutti fermi a quota tre. Proprio come nel 2015, il solo Alaphilippe, che pure non aveva dimostrato questo stato di forma nelle ultime corse (al di là dell’8° posto alla Freccia del Brabante), ha tentato di contrastare il murciano bissando la piazza d’onore di un anno fa mentre Martin, comunque pericolosissimo in vista della Liegi-Bastogne-Liegi di domenica, ha completato il podio resistendo al ritorno di un Poels che non ha comunque fatto rimpiangere Henao, di un Gasparotto (che ha confermato l’eccellente stato di forma dal momento che le pendenze del muro de Huy sono senz’altro a lui più ostiche rispetto a quelle più dolci del Cauberg sulle quali ha fatto il vuoto all’Amstel Gold Race), del sempreverde Samuel Sánchez, di un Albasini che si conferma presenza fissa nelle zone alte della classifica in questa corsa, di un Ulissi che ha migliorato il 9° posto del 2012, mentre Warren Barguil (Giant-Alpecin) e Rui Costa hanno chiuso la top ten. Tutti questi uomini, a partire da Valverde che difenderà il titolo conquistato un anno fa e che anche nella “Doyenne” si è già imposto per tre volte in carriera, saranno sicuramente davanti anche nella Liegi-Bastogne-Liegi in cui dovranno, però, vedersela anche con i reduci del Giro del Trentino, su tutti i nostri Vincenzo Nibali e Domenico Pozzovivo.
Marco Salonna

Lo spagnolo Valverde si applaude il suo personale record: quarta vittoria alla Freccia Vallone, un primato che finora non aveva stabilito ancora nessun altro corridore (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

