TIRRENO ADRIATICO 2010, MINIGIRODITALIA
marzo 9, 2010 by Redazione
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Il calendario del ciclismo mondiale è costituite da date mobili e da altre sacrosante. Lo sanno anche le biciclette che, quattro giorni dopo la partenza della Parigi – Nizza, prende il via la Tirreno – Adriatico, unica alternativa “on the road” alla marcia d’avvicinamento alla Milano – Sanremo. Quest’anno la differenza di latitudine tra le due corse sarà appianata dalle condizioni atmosferiche, con climi che si annunciano rigidi anche sulle solitamente più calde rotte della “corsa dei due mari”. Differentissimi, invece, i tracciati di gara: se oltralpe le salite latiteranno, sulla strada per San Benedetto del Tronto i corridori incontreranno parecchi saliscendi, spesso assai arcigni, con pendenze che anticiperanno i sesti gradi della prossime edizione della corsa rosa. Quest’anno non ci sarà il muro di Montelupone, ma i finali di Chieti, Colmurano e Macerata non lo faranno di certo rimpiangere.
Foto copertina: lo stupendo panorama che i partecipanti alla 45a edizione della Tirreno – Adriatico godranno, una volta raggiunta la cima della Forca di Presta (www.uif-net.com)
Un Giro d’Italia in miniatura. Può essere considerato una versione ridotta della corsa rosa 2010, il tracciato proposto quest’anno per la Tirreno – Adriatico, per il suo aborrire i chilometri da affrontare contro il tempo e per la profusione di pendenze a due cifre che i corridori dovranno affrontare nelle tre giornate centrali, “grattuggiate” come il tartufo sulle colline che, da 44 anni, rappresentano l’essenza della “corsa dei due mari”. Non dalla sfida contro l’orologio – tolta dal tracciato per venire incontro alla fame di percorsi meno impegnativi –, non dalle grandi salite uscirà il nome del successore di Michele Scarponi, ma da questa sbornia di lievi alture che, mai come quest’anno, si annunciano arcigne e proposte a mitraglia.
La 45a edizione prenderà il via mercoledì 10 marzo da Livorno e si concluderà sette giorni più tardi con la consueta passerella di San Benedetto del Tronto, capolinea di una corsa lunga 1247 Km complessivi, una quarantina in meno rispetto alla parallela Parigi – Nizza, che quest’anno è stata sottoposta a una decisa liposuzione della zavorra di salite, intervento che Zomegnan non s’è sentito di applicare sul profilo della Tirreno – Adriatico, gara che sarebbe stato impossibile proporre senza difficoltà altimetriche, data la geografia dell’Italia centrale.
Le prime tre frazioni, interamente tracciate sulle strade di Toscana, a meno di sorprese saranno terreno di caccia per i ghepardi del gruppo, poi entreranno in scena i pretendenti alla maglia azzurra di leader della classifica, da quest’anno intitolata alla memoria di Franco Ballerini. Chieti, Colmurano e Macerata accoglieranno le tre frazioni più impegnative, tutte col traguardo in quota, dopo aver affrontato stilettate che non faranno di certo rimpiangere il muro di Montelupone, affrontato nelle ultime due edizioni.
1a TAPPA: LIVORNO – ROSIGNANO SOLVAY (148 Km)
Come nella passata edizione, la Tirreno prenderà le mosse dalla provincia di Livorno e permarrà sulle strade toscane per tre giornate, caratterizzate da percorsi laocoontici, più intricati dal punto di vista planimetrico – tutte circuiti che s’innesteranno su altri circuiti – che sul piano delle reali difficoltà di gara. Per i velocisti non dovrebbero esserci problemi, almeno per molti di essi, ma vanno tenute in conto sorprese, come quella vista l’anno scorso a Capannori quando, sul traguardo della prima tappa, la volata del gruppo fu anticipata di una dozzina di secondo dall’arrivo del francese El Fares e dell’ucraino Duma.
Quella frazione presentava l’ultimo ostacolo ai meno 16, mentre stavolta saranno appena 7 i Km da percorrere per andare al traguardo di una tappa decisamente più vallonata, ma che si aprirà con un circuito di una quarantina di chilometri totalmente pianeggiante. Trasferitisi da Livorno nella non lontana Rosignano Solvay, località balneare famosa per le “Spiaggie Bianche”, i corridori dovranno affrontare una prima tornata di circa 50 Km, superando le ascese di Rosignano Marittimo e Nibbiaia, in vetta alle quali sarà messa in palio la prima maglia verde, che premierà il leader della classifica dei GPM. A decidere la prima maglia azzurra sarà, invece, il doppio anello conclusivo di circa 18 Km, che prevede la ripetizione della salita di Rosignano Marittimo, con il penultimo passaggio valevole come traguardo volante, presso il quale saranno distribuiti i primi abbuoni che andranno a “costumare” la classifica generale. Le bonificazioni faranno gola a molti e questo ingrediente potrebbe intervenire a rompere le uova del paniere alle squadre dei velocisti, che faranno fatica a tenere cucito il gruppo in questi frangenti di gara.
PARTENZA: Rotonda dell’Ardenza, ore 11.15
VIA VOLANTE: ore 12.45, Via Firenze
MEDIE PREVISTE: 40 – 44 Km orari
TRAGUARDO VOLANTE: Rosignano Marittimo (Km 129,9) tra le 15.42 e le 15.59
GPM: Rosignano Marittimo – 1° passaggio (148m – 1,2 Km al 5,8% – dopo 79,5 Km) tra le 14.33 e le 14.44; Nibbiaia (271m – 6,9 Km al 2,9% – dopo 98,6 Km) tra le 14.59 e le 15.12
ARRIVO: a Rosignano Solvay, Via Salvador Allende, tra le 16.06 e le 16.27
2a TAPPA: MONTECATINI TERME – MONTECATINI TERME (165 Km)
Il gruppo affronterà con molta curiosità la seconda frazione della Tirreno – Adriatico, una tappa in “circuiti” – sarà costituita da tre anelli consecutivi – che li porterà a pedalare sul tracciato che, il prossimo autunno a Melbourne, sarà proposto all’UCI quale sede dei mondiali di ciclismo del 2013. Prima di affrontare il probabile itinerario iridato, i corridori dovranno percorrere due tornate più ampie, simili nel chilometraggio – una cinquantina di chilometri circa cadauna – ma differenti nelle difficoltà, andando a scollinare le salite di Massa e Cozzile e di Goraiolo, primo GPM giornaliero a oltre 700 metri di quota. Difficilmete provocherà selezione, così come la salita di Vico, punto culminante del gran finale, che sarà affrontata nel tratto iniziale dell’ultimo circuito. Le facili pendenze e l’assoluta mancanza di asperità negli ultimi 11 Km dovrebbero lasciare la porta aperta ai velocisti che cominceranno a pregustare un periodo d’oro per loro, considerata anche l’accessibilità dei percorsi mondiali sui quali si gareggerà a Geelong quest’anno e nella danese Rudersdal nel 2011. Ci sarà, comunque, un’insidia che l’altimetria non evidenzia e sarà costituita dalla stretta curva a gomito che, nel corso dell’ultimo chilometro – tra l’altro tracciato in lieve falsopiano ascendente –, introdurrà il rettilineo d’arrivo, affrontata anche nel finale della tappa di Montecatini del Giro d’Italia del 2003. Quel giorno, mentre Mario Cipollini volava verso il suo 42° e ultimo successo sulle strade della corsa rosa, in quello spigolo cadde il lettone Nauduzs che trascinò nel capitombolo anche la maglia rosa Garzelli e l’immediato inseguitore Simoni. Un punto che il futuro ct della nazionale dovrà circolettare in rosso e temere più dei 3200 metri al 5% dell’ascesa su per le prime pendici della Valdinievole.
VIA VOLANTE: ore 12.15, SS 435
MEDIE PREVISTE: 39 – 43 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Pescia (Km 66,6) tra le 13.47 e le 13.57; Montecatini Terme – inizio 3° giro del circuito finale (Km 135,6), tra le 15.24 e le 15.43
ZONA RIFORNIMENTO: Montecatini Terme – inizio circuito finale (Km 103-106)
GPM: Goraiolo (762m – 11,9 Km al 5,2% – dopo 83,2 Km) tra le 14.11 e le 14.22; Vico – 4° passaggio (211m – 3,2 Km al 5% – dopo 153,5 Km) tra le 15.49 e le 16.11
ARRIVO: a Montecatini Terme, Piazzale della Torretta, tra le 16.05 e le 16.28
3a TAPPA: SAN MINIATO – MONSUMMANO TERME (159 Km)
La Tirreno – Adriatico si sposterà di pochissimi chilometri, dalle terme di Montecatini a quelle di Monsummano, per la più impegnativa frazione della tre giorni toscana. Non lo sarà esclusivamente sotto l’aspetto altimetrico, ma anche per il magone che buona parte del gruppo avvertirà nel percorrere quelle che erano le strade della vita e degli allenamenti di Franco Ballerini. Si transiterà da Cantagrillo e Casalguidi proprio a cavallo delle fasi calde di questa tappa, che proporranno le ascese consecutive dei Papi e di San Baronto. La prima è inedita e più impegnativa (contiene un tratto di quasi mille metri al 10,3%, con picchi del 14%) della seconda che, invece, è la più celebre della zona, da sempre affrontata nel tracciato del GP Industria & Artigianato di Larciano, nota corsa professionistica che si disputa poco prima del via del Giro d’Italia. Si salirà dal versante che è tradizionalmente affrontato in discesa, il mediano dei tre possibili per livello di difficoltà, per poi planare sulla stessa Larciano. Più che le salite, potrebbero contribuire alla selezione le successive picchiate che, in entrambi i casi, si annunciano particolarmente acclivi, soprattutto scendendo dai Papi, dove si rasenteranno picchi del 17%. Una volta terminata l’ultima discesa mancheranno solo 11 Km al traguardo, ma non è detto che queste difficoltà bastino per impedire un arrivo allo sprint.
PARTENZA: Via Pizzigoni (San Miniato Basso), ore 12.15
VIA VOLANTE: ore 12.25, Via Roma
MEDIE PREVISTE: 39 – 43 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Pescia (Km 96,4) tra le 14.39 e le 14.53
ZONA RIFORNIMENTO: Monsummano Terme – 1° passaggio (Km 80-83)
GPM: I Papi (283m – 5,2 Km al 4,5% – dopo 131,3 Km) tra le 15.28 e le 15.47; San Baronto – 2° passaggio (340m – 7,2 Km al 4% – dopo 143,5 Km) tra le 15.45 e le 16.05
ARRIVO: a Monsummano Terme, Piazzale Giusti, tra le 16.06 e le 16.29
SITI DEDICATI: http://www.comune.san-miniato.pi.it/index.php/archivio-primo-piano/130-news/998-il-passaggio-della-tappa-tirreno-adriatico-venerdi-12-marzo-
4a TAPPA: SAN GEMINI – CHIETI (243 Km)
La Tirreno – Adriatico entrerà nel vivo dopo aver lasciato la Toscana e aver traslocato armi e bagagli, con un trasferimento di quasi 270 Km, tra i verdi colli umbri. Da San Gemini, altra celebre località di cure termali, prenderà il via una delle frazioni più esigenti di questa edizione. Non sarà la più tosta, prevista per domani e strategicamente collocato in un giorno festivo, ma la più chilometrica, resa ardua negli ultimi 70 Km da una serie di “saccagnate” che potrebbero lasciar stordito il gruppo e che ricorderanno a molti il muro di Montelupone, anche se le inclinazioni da affrontare non saranno molto prolungate. Nella marcia di avvicinamento al gran finale si taglierà nel mezzo la catena appenninica, andando ad attraversare le terre sconvolte dal sisma del 6 aprile 2009. Infatti, dopo aver scavalcalto il primo dei tre GPM di giornata, la facile ascesa verso i quasi 1000 metri della Sella di Corno, si scenderà nella conca aquilana, dove un traguardo volante anticiperà il più succulento arrivo del Giro d’Italia, previsto due mesi più tardi.
I momenti più interessanti di questa giornata li vivremo quando, superato anche il GPM di Pretoro, la corsa giungerà a Chieti e affronterà per due volte l’ascesa verso l’antica Teate. Salendo in città dalla valle dell’Alento, la prima scalata finirà alle spalle del centro storico, superati 2300 di strada all’8% medio, con due rasoiate all’11% che, comunque, saranno un nulla rispetto a quanto si incontrerà 12 Km più avanti, dopo esser scesi nella zona industriale e quindi risaliti dalla “Colonnetta”, classica via d’accesso alla città, teatro delle fasi conclusive della seconda tappa del Giro d’Italia del 1909, la prima edizione della corsa rosa, vinta da Giovanni Cuniolo sul futuro vincitore assoluto Luigi Ganna. Si tratta di una difficoltà abbastanza abbordabile e anche per questo gli organizzatori hanno introdotto una piccola variante al tratto finale, che aggirerà gli ultimi 600 metri dell’ascesa incanalando il gruppo sul muro di Via De Turre, uno strappo di 300 scoscesi metri (media del 15,2%, massima del 19%) al termine del quale si affronterà l’ultimo gran premio della montagna. Il traguardo, infatti, non sarà al termine dell’ascesa ma 3,3 Km più avanti, percorso un tratto in quota che riproporrà, nel chilometro conclusivo, un’altra stilettata a due cifre, poco prima di giungere nella centralissima Piazza Trento e Trieste e d’imboccare il rettilineo d’arrivo, pavimentato in lastre di granito, di Corso Marrucino, la via dello “struscio” dei teatini.
RITROVO DI PARTENZA: Piazza San Francesco
VIA VOLANTE: ore 10.10, Via Ternana (SS 79)
MEDIE PREVISTE: 35 – 39 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: L’Aquila – Viale della Croce Rossa (Km 106) tra le 12.53 e le 13.11; Bucchianico (Km 220,7) tra le 15.49 e le 16.28
ZONA RIFORNIMENTO: Poggio Picenze (Km 120-123)
GPM: Sella di Corno (990m – 13,9 Km al 3,6% – dopo 86,2 Km) tra le 12.22 e le 12.37; Pretoro (725m – 10,1 Km al 4,4% – dopo 201,2 Km) tra le 15.19 e le 15.54; Chieti – Via De Turre / innesto Via Madonna degli Angeli (309m – 3,9 Km al 6,7% – dopo 239,7 Km) tra le 16.18 e le 17.00
ARRIVO: a Chieti, Corso Marrucino, tra le 16.23 e le 17.06
5a TAPPA: CHIETI – COLMURANO (234 Km)
Dopo la felice scalata al Sasso Tetto nella scorsa edizione, nella tappa che mandò in maglia azzurra Michele Scarponi, anche quest’anno gli organizzatori hanno inserito una salita con la S maiuscola nel tracciato della Tirreno – Adriatico. Oggi i corridori dovranno misurarsi lungo i quasi 12 Km che condurranno sino ai 1535 metri della Forca di Presta, valico che accoglierà per la prima volta nella storia il passaggio di una corsa professionistica. In realtà, Torriani l’aveva inserita nel tracciato della tappa di Osimo del Giro d’Italia del 1987 ma poi, dopo i sopralluoghi di rito, gli si era preferito proprio il Sasso Tetto, salita che batte di un soffio la Forca di Presta sul piano del chilometraggio e delle pendenze, mentre scollina a una quota più bassa di quasi 100 metri. Le due ascese godranno, inoltre, di una differente collocazione all’interno del tappone marchigiano: l’anno scorso la cima del GPM era a 43 Km dal traguardo di Camerino, mentre stavolta se ne dovranno percorrere ben 98 dopo lo scollinamento. Ma questo non vorrà dire che la frazione proposta 12 mesi fa sia più impegnativa e appetibile agli scalatori rispetto a quella tracciata per 234 Km tra Chieti e Colmurano. Anzi, è vero il contrario perché gli ultimi 100 Km della quinta frazione saranno massacranti, come ha promesso colui che ha personalmente scelto questo percorso, lo “scenografo” delle corse Gazzetta Mauro Vegni. Il bello, infatti, verrà dopo la Forca di Presta che sarà seguita da due salite più corte ma più pendenti e poi dalla lunga teoria di muri che si dovranno superare nei quaranta chilometri conclusivi: una violenta strappata di 300 metri al 16% medio all’inizio della complessivamente morbida ascesa di Monastero, un’altra di quasi mezzo chilometro, meno acclive ma comunque tosta (12% media) poco prima di Santa Maria di Pieca e, infine, scavalcata la facile ascesa di San Genesio (resa “pepata”, in assenza di grandi pendenze, da un traguardo volante ad abbuoni, strategicamente collocato nelle fasi calde della tappa), la salita finale verso Colmurano, autentico “memento Monteluponi”. Lo striscione del traguardo sarà posto al termine d’un tratto pianeggiante di poco più di mille metri ma non sarà facile raggiungere il triangolo rosso, in vista del quale termirà una verticale di 700 metri al 15%, nel corso della quale si toccherà il picco estremo della Tirreno – Adriatico 2010, col quale la strada s’inclinerà sino al 20%, un punto di percentuale in meno rispetto al muro maceratese.
ULTIM’ORA
Modificato il tracciato della tappa a causa delle presenza di neve (anche due metri) nel tratto appenninico. Salteranno le salite di Forca di Presta, Frontignano e delle Arette, sostituite dal Sasso Tetto, ascesa inserita a 54 Km dal traguardo. Confermato il finale, sarà introdotto un ulteriore GPM in località Castignano, mentre il primo traguardo volante si disputerà a Sarnano. Rifornimento in località Ponte Maglio. In tutto si percorreranno 216 Km.
RITROVO DI PARTENZA: Centro Espositivo della Camera di Commercio di Chieti (Via Pomilio, Chieti Scalo)
VIA VOLANTE: ore 10.25, Chieti Scalo – SS 5
MEDIE PREVISTE: 35 – 39 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Sarnano (Km 146,8) tra le 14.10 e le 14.36; San Ginesio (Km 201,7) tra le 15.35 e le 16.10
ZONA RIFORNIMENTO: Ponte Maglio (Km 114-117)
GPM: Castignano (458m – 14,7 Km al 2,4% – dopo 104,8 Km) tra le 13.06 e le 13.24;
Sasso Tetto / Valico di Santa Maria Maddalena (1455m – 13,1 Km al 7,2% – dopo 161,5 Km) tra le 14.33 e le 15.01
ARRIVO: a Colmurano, Piazza Umberto I, tra le 15.57 e le 16.35
6a TAPPA: MONTECOSARO – MACERATA (134 Km)
Le difficoltà finora affrontate avranno certamente conferito alla classifica generale una ben marcata fisionomia, ma ci sarà ancora possibilità di ribaltare la situazione. Anche la penultima giornata di gara, infatti, offrirà diverse occasioni per tentare l’assalto alla maglia azzurra oppure, a quest’ultima, la possibilità di consolidare il proprio dominio. Quella di Macerata si annuncia come la più facile tappa della terna di frazioni più impegnative, ma non la si potrà assolutamente definire pedalabile. Dopo un tratto in linea iniziale vallonato ma privo di vere difficoltà, il clou di questa giornata sarà rappresentato da un circuito di una ventina di chilometri che dovrà essere inanellato tre volte. Quattro, però, saranno i passaggi complessivi sulle due ascese che caratterizzeranno il finale: in pratica, ci sarà un arrivo in salita preceduto dal “muretto” di Santa Maria del Monte, 1200 metri al 10% (max del 16%) che nelle ultime due edizioni della Tirreno fungevano da ancella al Montelupone, mentre stavolta ricopriranno il ruolo di primadonna, sebbene non sarà lassù che si toccheranno le pendenze più elevate di giornata. I corridori se le troveranno sotto le ruote poco più avanti, col 18% che s’incontrerà a 500 metri dal traguardo, a sua volta posto al termine di un’ascesa di 3 Km, complessivamente inclinata al 5,4%.
VIA VOLANTE: ore 13.00, SP 74
MEDIE PREVISTE: 39 – 43 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Treia (Km 46) tra le 14.04 e le 14.10; Macerata – viale Leopardi / fine 1° giro (Km 95,6) tra le 15.13 e le 15.27
GPM: Macerata – viale Leopardi – 1° passaggio (298m – 2 Km al 7,2% – dopo 76,6 Km) tra le 14.46 e le 14.57; Macerata – viale Leopardi – 3° passaggio (298m – 2 Km al 7,2% – dopo 114,7 Km) tra le 15.40 e le 15.56
ARRIVO: a Macerata, Piazza della Libertà, tra le 16.07 e le 16.26
SITI DEDICATI: http://www.comune.macerata.it/Engine/RAServePG.php/P/127721CMC0400/M/28501CMC0122
7a TAPPA: CIVITANOVA MARCHE – SAN BENEDETTO DEL TRONTO (164 Km)
Una frazione dal destino predestinato, o quasi. Il traguardo di San Benedetto del Tronto è stato quasi sempre terreno di conquista per velocisti, a segno al termine di una tappa che lascia le porte aperte anche a tentativi da lontano, comunque destinati al fallimento. Il tracciato, infatti, presenta diversi trampolini di lancio nei primi 70 Km di gara, che si snoderanno ancora nelle strade dell’entroterra marchigiano, senza però andare ad affrontare ascese impegnative. Sarà difficile andar via solo se la situazione in classifica sarà ancora passibile di variazioni poiché, in tal caso, chi punterà a ribaltare la situazione avrà tutto l’interesse a sprintare sui traguardi volanti ad abbuoni e non vorrà certo consegnare le bonificazioni ai fuggitivi di giornata. Al massimo, il gruppo lascerà loro solo un lieve margine, in maniera da rintuzzarlo in vista del primo sprint, previsto a 40 Km dall’arrivo, quando si sarà già entrati da un bel pezzo nel piattissimo circuito cittadino di 10 Km che metterà il sigillo alla 45a edizione della Tirreno – Adriatico. Due tornate più avanti il programma offrirà un’altra occasione foriera di secondi regalati a suon d’abbuono, mentre sarà molto più difficile approfittare dell’opportunità fornita dal traguardo finale, con le migliori ruote veloci del gruppo sgomitanti per una delle volate più prestigiose del panorama ciclistico.
VIA VOLANTE: ore 12.00, SS 16
MEDIE PREVISTE: 37 – 41 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: San Benedetto del Tronto – fine 3° giro (Km 124) tra le 15.01 e le 15.21; San Benedetto del Tronto – fine 5° giro (Km 144) tra le 15.30 e le 15.53
ZONA RIFORNIMENTO: Grottammare (Km 81-84)
GPM: Monte Giberto (308m – 3,4 Km al 5,6% – dopo 36,8 Km) tra le 12.53 e le 12.59; Cossignano (358m – dopo 57,2 Km) tra le 13.23 e le 13.32
ARRIVO: a San Benedetto del Tronto, Viale Buozzi, tra le 15.59 e le 16.25
Mauro Facoltosi
UN POMERIGGIO DI PURO CICLISMO
marzo 9, 2010 by Redazione
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Avrebbe dovuto essere un’occasione per parlare dell’etica nel mondo dello sport, in quello del ciclismo in particolare. Ma la presenza di due veterani del calibro di Mino De Rossi e Vittorio Rossello ha monopolizzato l’incontro con i ricordi dei tempi andati, quando Coppi e Bartali si sfidavano sulle strade di tutta Italia, quando una sei giorni era un avvenimento, ciclisticamente parlando, paragonabile a quello di un comizio politico, nel quale ciascuno promuoveva il proprio valore per poi puntare a un posto nell’ordine d’arrivo.
Nel freddo pomeriggio di sabato 6 marzo, presso l’aula magna dell’UNITRE di Varazze si è tenuto l’incontro-convegno “il passato, il presente e il futuro nel mondo del ciclismo”.
L’incontro, primo di una serie dedicata al mondo dello sport, è inserito nel programma del corso “L’evoluzione dei valori dell’etica nello sport”.
A fare da padrone di casa e moderatore è stato il conosciuto e ciclisticamente esperto Dott. Carlo Delfino, autore di diverse pubblicazioni sul ciclismo pionieristico.
Ha preso per prima la parola la professoressa Laura De Bellis, direttrice dell’UNITRE varazzina, che ha portato il saluto del prof. Renzo Bardelli, docente di etica dello sport all’Università di Firenze, e citato alcuni stralci dell’intervento tenuto dal prof. Bardelli il 6 febbraio, giorno d’inizio del corso. Stralci dai quali si evince un richiamo deciso alla necessità di ritornare all’etica e alla cultura sportiva in tutte le discipline. Un ritorno necessario per combattere la ricerca eccessiva e a qualunque costo del risultato e il malcostume presente a tutti i livelli (vedasi i conclamati casi di doping, le violenze nel gioco, il tifo che sfocia spesso e volentieri nell’odio, la presenza di oscure figure che agiscono nell’ombra e alle spalle degli sportivi).
L’intervento successivo è stato del Dott. Delfino che ha informato la platea di alcune defezioni tra gli ospiti, come quelle dell’ex corridore Luigi Zaimbro, costretto a dare forfait per uno stato influenzale, e del campione italiano esordienti di downhill Francesco Colombo, impegnato in uno stage federale.
Subito dopo la scena è stata occupata dallo spessore umano e sportivo delle due gueststar dell’incontro: il genovese Mino de Rossi, campione olimpico d’inseguimento a squadre a Helsinki e gregario di Coppi alla Bianchi, e il savonese Vittorio Rossello, ottimo scalatore e gregario di Bartali alla Legnano, del quale ricordiamo il secondo posto alla Milano – Sanremo del 1948, dietro il Campionissimo.
A quel punto la scaletta, come si conviene agli eventi importanti, è saltata.
In un misto d’italiano e dialetto, i due “ragazzi” – classe ’31 De Rossi, classe ’26 Rossello – pungolati anche dai presenti, hanno preso in mano la situazione come facevano un tempo in testa al gruppo.
Si è parlato senza soluzione di continuità di pista, di Olimpiadi, di piccole e grandi ripicche, di rivalità in gara e di grandi amicizie nate appena scesi di bicicletta. Si è rivangato i vecchi tempi e si è auspicato un roseo futuro. Si è paragonato, con rispetto, Coppi a un levriero e Bartali a un trattore.
Si è pure riusciti a trovare la similitudine tra le mitiche sei giorni su pista e la politica, inciuci compresi, dove si avevano 6 giorni a disposizione per dimostrare il proprio valore e, nella riunione del sesto giorno, si dichiarava e si pretendeva un posto nell’ordine d’arrivo, cercando poi mantenere le intenzioni in pista. Insomma, in un susseguirsi di “ti ricordi?” e di “ma tu c’eri?” si è andato avanti con gli aneddoti navigando a vista, stupendo una platea magari poco avvezza a cose di ciclismo, ma affascinata da queste due figure e dal mondo che rappresentavano.
Con le consuete premiazioni di rito e un ricordo nel 50° della morte di Fausto Coppi è terminato l’incontro, auspicando un sempre più vivo legame tra Varazze e il ciclismo e il tanto desiderato arrivo del Giro d’Italia in vetta al Monte Beigua, la montagna che, dall’alto dei suoi 1287 metri, sovrasta la cittadina rivierasca.
Mario Prato
PARIGI – NIZZA 2010: UN PERCORSO “SCIOCCO”, MA….
marzo 6, 2010 by Redazione
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Decisamente negative sono le prime impressioni sul tracciato della Parigi – Nizza 2010. Gli organizzatori francesi, accogliendo le richieste dei gruppi sportivi, hanno alleggerito il percorso, che nelle ultime stagioni aveva presentato impegnativi finali di tappa (Ventoux / Mont Serein, Montagne de Lure) e frazioni di media montagna parecchio frastagliate, quanto bastava per sorprendere un Contador che pensava di avere il successo in tasca. Quest’anno, invece, di realmente duro dovrebbe esserci solo l’approdo sulla Croix-Neuve, sopra Mende, ma l’ascesa è troppo breve perché sia considerata veramente selettiva. Ne uscirà, di conseguenza, una corsa “sciocca”, insipida quanto il tracciato? Non è detto, anzi, potrebbe scaturirne una delle edizioni più massacranti della storia della “Course au Soleil”, nella quale conterrano molto anche in nervi.
Foto copertina: sulla Croix Neuve di Mende si fatica anche a piedi, ma alla Parigi – Nizza potrebbe non bastare…. (mende.blogs.midilibre.com)
Planimetria ed altimetrie tratte dal sito ufficiale della corsa, www.letour.fr
Quotazioni in ribasso per la Parigi – Nizza, ma non ci stiamo riferendo allo tsunami di una crisi finanziaria che ha colpito qua e là anche nel mondo del ciclismo. Semplicemente gli organizzatori della corsa a tappe francese hanno ridisegnato lo skyline della loro creatura, probabilmente per venire incontro alle richieste dei corridori di tracciati meno improbi, all’interno di stagioni che di gare dure ultimamente ne presentano parecchie (Giro, Vuelta e Delfinato su tutte, ma quest’anno nemmeno il Tour scherza, dopo il percorso “farsa” del 2009). Al Tour de Suisse già da alcune edizioni si sono adeguati e, quest’anno, in Italia è stato alleggerito anche il programma della Tirreno – Adriatico, con risultati totalmente opposti rispetto a quelli della “Course au Soleil”. Zomegnan è riuscito ad accontentare sia il gruppo, sia gli appassionati tracciando un percorso interessante nonostanti i tagli: è bastato togliere la cronometro e distribuire diversamente le difficoltà, conservando la salita “faro” (quest’anno sarà la Forca di Presta) e rinunciando a Montelupone ma spargendo tanti piccoli muretti lungo tutto l’itinerario.
In Francia non avevano cronometro da levare – c’era solo il prologo, che non è stato toccato – e così Prudhomme ha deciso di spazzare via le montagne: nella scorsa edizione c’erano stati l’arrivo in salita alla Montagne de Lure e la tormentata tappa di Fayence, quest’anno l’unica tappa veramente dura sarà quella di Mende, con il traguardo posto in vetta a uno strappo ripidissimo ma che, per l’appunto, è solo uno strappo. Per gli scalatori sarà dura e non solo per loro. Se è vero che un tracciato simile è davvero poco appetitoso, va anche detto che, alla fine, il percorso della Parigi – Nizza 2010 potrebbe risultare ancor più impegnativo di quello, nettamente più montagnoso, che sarà proposto alla “Corsa dei due mari”.
Quando fu presentato il Giro d’Italia del 1985 – il più infelice della storia sotto il profilo altimetrico. Con poche montagne, facili e mal collocate – Alfredo Martini disse che, con un percorso del genere, non bisognava assolutamente lasciarsi scappare nemmeno una fuga. Quella era una frase pronunciata a commento di un tracciato che prevedeva anche tre lunghe cronometro, ma alla Parigi – Nizza non ci saranno nemmeno quelle e, dunque, le parole di Martini diventano ancor più sacrosante: se strada facendo andrà in porto un tentativo, poi non s’incontreranno vere difficoltà con le quali si potranno disarcionare dalla vetta della classifica coloro che saranno riusciti a raggiungerla con un tentativo da lontano.
Di conseguenza, chi punta alla vittoria finale dovrà affrontare con le antenne ben dritte tutti i 1288 Km del tracciato predisposto tra Montfort-l’Amaury e Nizza, sottoponendo il proprio organismo a uno stress che, alla fine, potrebbe risultare più deleterio sul piano psicologico che su quello fisico. E occorreranno nervi ben saldi per non naufragare e incappare in clamorose défaillance, come quella vissuta da Contador l’anno scorso nella tappa di Fayence.
1a TAPPA: MONTFORT-L’AMAURY – MONTFORT-L’AMAURY (cronometro, 8 Km)
Il tracciato stabilito dagli uomini ASO sarà uno dei più incerti della storia della Parigi – Nizza, giunta quest’anno alla 68a edizione, e lo si capirà fin dalla cronometro d’apertura. Non si tratterà di un semplice prologo e nemmeno di un’occasione servita su di un piatto d’argento ai cronoman per cercare di mettere in cascina più secondi possibili. Dalla loro parte c’è la scelta di gareggiare su strade in gran parte planimetricamente filanti (una dozzina di curve in tutto), ma dovranno fare i conti con un’altimetria movimentata, che sicuramente ne frenerà le cilindrate. In particolare, la partenza di questa tappa per loro si annuncia ad handicap poiché un chilometro dopo esser scesi dalla rampa di lancio si andrà ad affrontare il primo dei 30 traguardi GPM previsti, la Côte de Boursouffle. Sono appena 600 metri di strada inclinata al 6%, ma potranno influire sul risultato della prima giornata di gara, anche perché ci sarà un secondo tratto da percorrere all’insù, anche se l’ascesa del Chêne Rognieux, prevista a 2300 metri dal traguardo, nulla ha di “rognoso” essendo poco pù d’un falsopiano.
Nonostante le difficoltà non dovrebbe essere difficile volare su questo tracciato a quasi 50 Km/h, anche se poi, alla fine, ad imporsi potrebbe anche essere, più che un passistone alla Cancellara (assente in Francia), un outsider delle gare contro il tempo, come accadde al Giro d’Italia del 1993, nella tappa di Portoferraio, sull’isola d’Elba. Quel giorno l’uomo più atteso era Miguel Indurain ma, dopo 9 Km percorsi a quasi 51 orari e al termine di una crono abbastanza simile a quella di Montfort-l’Amaury, il navarro si dovrà accontentare del piazzamento, preceduto di 2” da Maurizio Fondriest.
PARTENZA PRIMO CORRIDORE: Rue de la Moûtière, ore 13.40
MEDIE PREVISTE: 48 Km orari
GPM: Côte de Boursouffle (3a cat – 178m – 0,6 Km al 6% – dopo 1,5 Km)
RILEVAMENTO TEMPI INTERMEDI: Côte de Boursouffle (Km 1,5)
ARRIVO: l’arrivo dell’ultimo corridore è previsto a Montfort-l’Amaury, Route de Saint-Léger, attorno alle 16.45; previsti circa 10 minuti di gara.
SITI DEDICATI: http://www.yvelines2.yvelines.fr/actus/parisnice/index.html
2a TAPPA: SAINT-ARNOULT-EN-YVELINES – CONTRES (201,5 Km)
La mannaia di Prudhomme è calata anche sulla prima frazione in linea, giornata tradizionalmente riservata alle ruote veloci del gruppo, che solitamente non si lasciavano mai scappare la possibilità di giocarsi la vittoria al termine d’un tracciato che proponeva solo qualche “côtes” di terza categoria. Anche stavolta sarà così, poiché sul percorso è passata la “pialla di San Giuseppe” e l’itinerario della seconda tappa sarà insolitamente piatto, tracciato com’è in terre dove gli zampellotti si trovano come i funghi. La Francia è terra più collinosa che pianeggiante, lo dimostrano le mosse frazioni delle prime settimane di Tour, e riuscire a proporre un tracciato come quello della Saint-Arnoult-en-Yvelines – Contres può essere definito una piccola impresa. Gioiranno gli sprinter che, al massimo, recrimineranno per la mancanza di un circuito finale, che darà loro modo di studiarsi il finale di gara prima della volata. In mancanza di gran premi della montagna, movimenteranno questa giornata i due “sprints intermédiaires”, presso i quali saranno elargiti abbuoni per la classifica generale (3, 2 e un secondo, in base all’ordine di passaggio) – oltre a quelli normalmente previsti al traguardo, ovviamente più consistenti (10, 6 e 4 secondi) –, punti per la classifica a punti e premi in denaro. Tagliare per primo uno di questi sprint vorrà dire intascare 100 €, la stessa cifra che è versata ai vincitori dei GPM, indipendente dalla categoria. Un successo di tappa, invece, sarà gratificato dall’organizzazione con 4000 € e premi monetari a decrescere saranno previsti per i primi 20 dell’ordine d’arrivo (minimo 100 €). Colui, infine, che s’imporrà nella 68a Parigi – Nizza intascherà qualcosa come 16.000 €.
RADUNO DI PARTENZA: Avenue Henri Grivot, ore 11.50
VIA VOLANTE: ore 11.57, D.988
MEDIE PREVISTE: 40 – 44 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Gaubert / Guillonville (Km 66) tra le 13.27 e le 13.36; Herbault (Km 145), tra le 15.15 e le 15.35
ZONA RIFORNIMENTO: Ouzouer-Le-Marche (Km 92,5)
ARRIVO: a Contres, tra le 16.32 e le 16.59
SITI DEDICATI: http://www.yvelines2.yvelines.fr/actus/parisnice/index.html
3a TAPPA: CONTRES – LIMOGES (201 Km)
Le prime due frazioni della Parigi – Nizza sono tradizionalmente terreno di caccia per i velocisti ed anche il traguardo limosino dovrebbe finire nel carniere di qualche sprinter. Condizionale d’obbligo, in questo specifico caso, perché nell’unico precedente a Limoges della corsa francese gli sprinter si videro scappare sotto il naso Franco Pellizotti, scattato a 300 metri dalla linea d’arrivo e capace di fare secco un gruppo provato dai saliscendi di giornata e generalmente avvezzo ad esorcizzare finali ben più ardui. Il finale sarà lo stesso della tappa di tre anni fa, con il traguardo preceduto da una breve rampetta e, 11 Km prima, la Côte de Nieul, nel 2007 semplice luogo di passaggio e stavolta coronata da un GPM di 3a categoria. Sarà di sicuro un trampolino di lancio per chi non vorrà aspettare l’ultimo chilometro per tentare un assolo, al pari delle altre due asperità previste lungo il cammino. Grosse sorprese, comunque, da questa giornata non dovrebbero essercene, essendo l’ostacolo più esigente – il chilometro al 6% circa della Maison Neuve, con tratti al 9% – collocato a distanza di sicurezza dal traguardo.
PARTENZA: ore 11.40
VIA VOLANTE: ore 11.55, D.675
MEDIE PREVISTE: 40 – 44 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Le Blanc (Km 92,5) tra le 14.01 e le 14.14; Roussac (Km 164), tra le 15.39 e le 16.01
ZONA RIFORNIMENTO: Le Blanc (Km 95,5)
GPM: Côte de Saint-Aignan (3a cat – 141m – 2 Km al 3% – dopo 15 Km), tra le 12.15 e le 12.18; Côte de Maison Neuve (3a cat – 283m – 1,1 Km al 6,1% – dopo 156 Km), tra le 15.28 e le 15.49; Côte de Nieul (3a cat – 401m – 2,8 Km al 3,9% – dopo 15 Km), tra le 16.14 e le 16.40
ARRIVO: a Limoges, Boulevard de Beaublanc, tra le 16.29 e le 16.57
SITI DEDICATI:
http://www.tourdulimousin.com/index.php?option=com_content&task=view&id=460&Itemid=27
4a TAPPA: SAINT-JUNIEN – AURILLAC (208 Km)
Sarà una classica frazione di media montagna, come e differentemente da quella che si concluse nel capoluogo del dipartimento del Cantal l’11 luglio del 2008. Si era al Tour de France, ovviamente, al termine d’una frazione che proponeva due salite vere, seppur non durissime, il Col d’Entremont e il Pas de Peyrol, la prima svettante a 1210 metri, la seconda alta 1586 metri ed entrambe collocate non vicinissime al traguardo di Aurillac, dove giunse primo lo spagnolo Luis León Sánchez.
Anche il tracciato della quarta tappa della Parigi – Nizza è iscrivibile nel novero delle giornate di medio impegno, anche se il percorso sarà totalmente differente rispetto al Tour, privo di grandi salitoni ma con le asperità che contano collocate a portata di traguardo. Strada facendo dovranno essere superati 6 traguardi GPM, dei quali gli ultimi tre saranno quelli più appetitosi, classificati di 2a categoria e proposti in un decrescendo di chilometraggio e in un crescendo di pendenze. L’ultimo ostacolo, il Chemin de la Martinié, sarà dunque il più breve, un chilometro scarso, ma anche il più inclinato, con una media del 7,2% e, per chi punterà al successo di tappa e magari anche alla conquista della maglia di leader, rappresenterà anche una sorta di “punto di non ritorno”. Chi si staccherà lassù, anche accusando un esiguo distacco dal suo gruppo, molto difficilmente riuscirà a rientrare, essendo il traguardo distante appena 3 Km. A quel punto, in un finale che si annuncia vorticoso, potrebbero rimanere nelle gambe anche i continui su e giù che proporrà il tracciato, in particolar modo negli ultimi 100 Km. Con un percorso globalmente non eccezionale, anche questi strappi, alla fine, potrebbero pesare sulla classifica generale.
PARTENZA: ore 11.25, square Curie
VIA VOLANTE: ore 11.40, Route St Laurent
MEDIE PREVISTE: 39 – 43 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Coussac-Bonneval (Km 64,5) tra le 13.06 e le 13.16; Montvert (Km 179), tra le 15.50 e le 16.16
ZONA RIFORNIMENTO: Le Bariolet (Km 95,5)
GPM: Côte des Cars (3a cat – 538m – 2,4 Km al 5,9% – dopo 31,5 Km), tra le 12.22 e le 12.27; Côte de la Croix de Teulet (3a cat – 441m – 3,5 Km al 3,9% – dopo 50,5 Km), tra le 12.47 e le 12.55; Côte de la Grande Renaudie (3a cat – 391m – 1,7 Km al 4,6% – dopo 70 Km), tra le 13.13 e le 13.24; Côte de Sainte Fortunade (2a cat – 416m – 5,3 Km al 4,5% – dopo 128 Km), tra le 14.38 e le 14.57; Côte de Sexcles (2a cat – 507m – 4,8 Km al 6,4% – dopo 165 Km), tra le 15.33 e le 15.56; Côte de la Martinie (2a cat – 672m – 1m1 Km al 7,2% – dopo 205 Km), tra le 16.26 e le 16.56
ARRIVO: ad Aurillac, Boulevard du Vialenc, tra le 16.30 e le 17.00
SITI DEDICATI:
http://www.saint-junien.fr/index.php?option=com_content&task=view&id=237&Itemid=1 http://www.aurillac.fr/_actu/sports/ParisNice10
http://www.tourdulimousin.com/index.php?option=com_content&task=view&id=460&Itemid=27
5a TAPPA: MAURS – MENDE (173,5 Km)
Croix Neuve, croix vieille.
È “nuova” solo di nome la salita più dura della Parigi – Nizza 2010. Si tratta in realtà di una “vecchia” conoscenza del ciclismo quella ripida stradina che conduce fuori da Mende, verso l’aeroporto, e che metterà in “croce” gambe e ambizioni di chi si troverà in giornata no proprio in occasione della frazione principessa (regina è un po’ troppo) della “Course au Soleil”. Il mondo del ciclismo ha scoperto i suoi 3000 metri brucianti – 10,7% la pendenza media, 15% la massima – quindici anni fa, cresimati dalla più bella impresa di Laurent Jalabert sulle strade del Tour, al punto che oramai quest’asperità è comunemente chiamata col cognome del corridore francese, pensionando il vecchio “Croix Neuve”. Le cose ripetute giovano e così gli uomini ASO l’hanno riproposta in altre due occasioni, nel 2005 al Tour (che ci tornerà anche in questa stagione) e alla Parigi – Nizza di tre anni fa, quando lassù s’impose Contador, con i primi 5 dell’ordine d’arrivo racchiusi nel fazzoletto di una ventina di secondi. Con molta probabilità sarà così anche quest’anno, verrà fuori una tappa dura, palpitante ma che non chiuderà i giochi per la classifica, perché le elevate pendenze non saranno supportate da chilometraggi importanti. L’ascesa più lunga, infatti, sarà la Côte de Lassouts, 7500 metri pedalabili e totalmente ininfluenti perché collocati lontani dalle fasi calde, che comunque si presentano piuttosto “pepate”. Consci d’aver steso un programma meno impegnativo del solito, gli organizzatori hanno inserito negli ultimi 10 Km una concentrazione di premi che potrebbero fare gola a molti, aumentare la bagarre e rendere più dura questa frazione: l’ascesa finale di 1a categoria, sarà immediatamente preceduta da un secco GPM di seconda (la Côte de Chabrits, 2400 metri al 6,8% che conterrano un primo chilometro al 9,5% e un altro tratto di 400 metri al 10%), separato dalla Croix Neuve da una veloce discesa di circa 4 Km al cui termine, al passaggio nel centro di Mende, sarà messo in palio il secondo traguardo volante giornalierio, col suo carico di eurini, punti e abbuoni.
PARTENZA: ore 11.30, Tour de Ville
VIA VOLANTE: ore 11.40, D.45
MEDIE PREVISTE: 38 – 42 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Saint-Geniez-d’Olt (Km 106) tra le 14.07 e le 14.23; Mende – centro (Km 170,5), tra le 15.40 e le 16.06
ZONA RIFORNIMENTO: Saint-Côme-d’Olt (Km 84,5)
GPM: Côte de Montsalvy (2a cat – 755m – 4,2 Km al 6% – dopo 40 Km), tra le 12.41 e le 12.47; Côte de Lassouts (3a cat – 692m – 7,5 Km al 3,6% – dopo 94,5 Km), tra le 13.51 e le 14.05; Côte de la Crouzette (3a cat – 670m – 3,9 Km al 3,6% – dopo 113,5 Km), tra le 14.18 e le 14.34; Côte de Chabrits (2a cat – 894m – 2,4 Km al 6,8% – dopo 166 Km), tra le 15.34 e le 15.59; Mende / La Croix Neuve – Montée Laurent Jalabert (1a cat – 1055m – 3 Km al 10,7% – arrivo)
ARRIVO: a Mende, Route de l’Aérodrome, tra le 15.48 e le 16.14
SITI DEDICATI:
http://www.2010-paris-nice-maurs.fr/
http://www.mende.fr/page.php?cp=68&id=376&cat=3&langue=1
6a TAPPA: PERNES-LES-FONTAINES – AIX-EN-PROVENCE (157Km)
Se la tappa di Mende non avrà chiuso la partita, aspettatevi una giornata di fuoco. Non è una gran tappa quella che finirà all’ombra della Montagne Sainte-Victoire, l’elevazione provenzale immortalata in molte opere di Paul Cézanne. Questa frazione potrebbe anche concludersi con un nulla di fatto e un epilogo allo sprint, ma non sarà comunque facile arrivare alla volata. Il “quadro” giornalierio presenterà diverse “pennellate” all’insù, non decise ma continue, con quasi nessun tratto realmente pianeggiante. Una tappa difficilmente gestibile poiché le squadre dei velocisti aspettano solitamente gli ultimi 50 Km per entrare in azione. Prima è impossibile, col rischio di spappolare la squadra e seminare al vento, salvo che non si trovi un aiuto nelle formazioni dei corridori in lotta per la classifica, il che consentirà di controllare agevolmente una porzione più ampia del finale. Non potendo mettere il catenaccio al gruppo sin dai chilometri iniziali, in quei frangenti molti avranno carta bianca e potrebbero provarci anche corridori ben piazzati in classifica, che vogliano far saltare il banco. Il terreno accidentato lo permette, a partire dall’ascesa verso i 627 metri del Col de Murs, l’unica delle otto asperità odierne – non tutte coronate dal GPM – ad essere considerata di seconda categoria.
PARTENZA: ore 12.53, place de la Mairie
VIA VOLANTE: ore 13.00, D.1
MEDIE PREVISTE: 41 – 45 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Lourmarind (Km 94,5) tra le 15.11 e le 15.22; Rognes (Km 110,5), tra le 15.31 e le 15.45
ZONA RIFORNIMENTO: Lourmarind (Km 95)
GPM: Col de Murs (2a cat – 627m – 10,5 Km al 4,3% – dopo 40 Km), tra le 14.06 e le 14.10; Côte de Lacoste (3a cat – 371m – 2,6 Km al 3,8% – dopo 75,5 Km), tra le 14.47 e le 14.55; Côte de Bonnieux (3a cat – 440m – 2,6 Km al 4,2% – dopo 84,5 Km), tra le 14.59 e le 15.08; Côte de Saint-Canadet (3a cat – 430m – 4,8 Km al 3,9% – dopo 127 Km), tra le 15.52 e le 16.08
ARRIVO: ad Aix-en-Provence, Avenue Saint-John Perse, tra le 16.29 e le 16.50
SITI DEDICATI: http://www.mairie-aixenprovence.fr/Paris-Nice-etape-aixoise
7a TAPPA: PEYNIER – TOURRETTES-SUR-LOUP (220 Km)
La penultima frazione della Parigi – Nizza è situata nella medesima collocazione geografica e temporale della tappa di Fayence disputata nella scorsa edizione, quella che videre clamorosamente soccombere lo spagnolo Contador. Difficilmente, stavolta, dovremmo assistere a un tal ribaltone – ma mai dire mai nel mondo del ciclismo, le sorprese sono sempre in agguato dietro all’ultima curva – perché il percorso di gara si annuncia meno accidentato rispetto alla tappa andata in scena dodici mesi fa. I gran premi della montagna da scavalcare strada facendo saranno otto, ma i saliscendi saranno meno pressanti e più stiracchiati, se paragonati a quelli segnalati sull’altimetria della tappa vinta da Luis León Sánchez. Se accadrà qualcosa d’interessante, lo vedremo nel circuito finale di una quarantina di chilometri, che porterà la corsa fin sui 963 metri del Col de Vence, ascesa considerata di 1a categoria ma assolutamente non degna di tale classificazione. Se i suoi 9,7 Km al 6,6% metteranno in croce qualcuno – Contador si staccò nel finale, che era molto simile a questo, caratterizzato dall’ancor più pedalabile ascesa al Col de Bourigaille – la corsa potrebbe esplodere, anche perché non sarà assolutamente facile rientrare, il percorso non agevola questo tipo di lavoro. Passato lo scollinamento, infatti, non s’inizierà subito a scendere ma prima dovrà essere digerito un tratto in quota lungo ben 7 Km, che costringerà a pedalare. Finita la planata, poi, inizierà l’ultima difficoltà di giornata, un’ulteriore salita di circa 6 prevalentemente dolci chilometri che ricondurrà per l’ultima volta nel cuore di Tourrettes-sur-Loup, la “città delle violette”.
PARTENZA: ore 12.05, avenue Mireille
VIA VOLANTE: ore 12.15, D.6
MEDIE PREVISTE: 39 – 43 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Flayosc (Km 74) tra le 13.56 e le 14.10; Fayence (Km 114,5), tra le 14.53 e le 15.13
ZONA RIFORNIMENTO: Figanieres (Km 89)
GPM: Côte de Val-Rose (3a cat – 299m – 1,9 Km al 4,3% – dopo 33,5 Km), tra le 13.01 e le 13.07; Côte de Barjols (3a cat – 333m – 1,7 Km al 4,2% – dopo 38 Km), tra le 13.07 e le 13.14; Côte des Tuillières (2a cat – 390m – 2,2 Km al 8,2% – dopo 85,5 Km), tra le 14.15 e le 14.30; Côte du Mont Méaulx (3a cat – 282m – 1,7 Km al 5,1% – dopo 101 Km), tra le 14.35 e le 14.52; Côte de Tignet (3a cat – 230m – 2,8 Km al 5,1% – dopo 131,5 Km), tra le 15.17 e le 15.40; Côte de Plascassier (3a cat – 224m – 3,7 Km al 2,1% – dopo 147 Km), tra le 15.38 e le 16.04; Côte de Châteauneuf (2a cat – 387m – 1,3 Km al 9,5% – dopo 156,5 Km), tra le 15.53 e le 16.20; Col de Vence (1a cat – 963m – 9,7 Km al 6,6% – dopo 187,5 Km), tra le 16.47 e le 17.17
ARRIVO: a Tourrettes-sur-Loup, place de la Libération, tra le 17.22 e le 17.53
SITI DEDICATI: http://www.tourrettessurloup.com/index.php?base=info+paris+nice
8a TAPPA: NIZZA – NIZZA (119 Km)
È forse l’unica corsa a tappe al mondo, assieme al Criterium del Delfinato, a non proporre la classica passerella a uso e consumo dei velocisti come atto conclusivo. Un tempo era la cronoscalata al Col d’Eze, rimasto comunque sul tracciato come salita simbolo della Parigi – Nizza, a caratterizzare l’ultima giornata di gara della “corsa verso il sole”. Da alcuni anni si è deciso di riportare la corsa nel centro della “Nicaea fidelissima”, con la Promenade des Anglais terminal di una frazione di media montagna breve ma concentrata, in grado di ribaltare all’ultimo colpo di pedale la classifica generale. Ne sa qualcosa Davide Rebellin, che nel 2007 perse proprio sul circuito nizzardo la maglia di leader, finita sulle spalle di Contador. E lo stesso spagnolo, memore di quanto compiuto ai danni del nostro connazionale, lo scorso anno aveva tentato di sfruttare questo tracciato per cercare di tornare in maglia gialla o, almeno, di salvare in salvabile, ottenendo però solo una trentina di secondi di vantaggio, che non gli furono necessari nemmeno per salire sul podio. Vediamo, allora, le difficoltà di questo percorso, in sostanza rimasto immutato da quando si è stabilita questa frazione come l’ultima della Parigi – Nizza e che presenta tre salite consecutive. La prima è il Col de Porte, che è la più elevata (68 metri sopra la quota mille) e la più pendente (7,2%), ma anche la meno sfruttabile perché la più distante dal traguardo. Più interessanti il colle di La Turbie, proprio alle spalle del Principato di Monaco, e l’insostituibile Eze, 4200 metri al 6,8% collocati a 16 Km dalla conclusione e immediatamente seguiti dall’ultimo traguardo volante. Un’altra concentrazione di punti e abbuoni per un finale non banale, che rivaluta in parte un tracciato complessivamente “sciocco”.
PARTENZA: ore 11.15
VIA VOLANTE: ore 11.40, D 6202
MEDIE PREVISTE: 38 – 42 Km orari
TRAGUARDI VOLANTI: Plan du Var (Km 18,5) tra le 12.04 e le 12.08; Eze (Km 105) tra le 16.17 e le 16.34
GPM: Col de la Porte (1068m – 7,2 Km al 7,2% – 1a cat. – dopo 51 Km) tra le 12.55 e le 13.07; La Turbie (485m – 7,6 Km al 4,8% – 1a cat. – dopo 88,5 Km) tra le 13.50 e le 14.05; Col d’Eze (496m – 4,2 Km al 6,8% – 1a cat. – dopo 103 Km) tra le 14.13 e le 14.29
ARRIVO: a Nizza, Promenade des Anglais, tra le 14.30 e le 14.48
Mauro Facoltosi
I VALORI ETICI NEL CICLISMO, GENERAZIONI A CONFRONTO
marzo 3, 2010 by Redazione
Filed under Approfondimenti
All’Unitre di Varazze, in via Don Bosco, sabato 6 marzo ore 15,30, straordinario pomeriggio di cultura e sport. Nell’ambito del corso I VALORI DELL’ETICA NELLO SPORT saranno presenti per raccontare la propria verità e le proprie e esperienze i Campioni del pedale degli anni ’50: Vittorio Rossello, Mino De Rossi e Luigi Zaimbro.
Vittorio Rossello, rampollo di una nota famiglia savonese con la passione per le due ruote è nato a Stella San Giovanni e ha corso ai tempi di Coppi e Bartali; anzi è stato per diversi anni gregario del campione toscano alla Legnano portando a termine diversi Giri d’Italia e compiendo imprese memorabili quando la strada, allora sterrata, tendeva ad impennarsi sotto le ruote dei corridori. Ma viene ricordato soprattutto per una sconfitta: il secondo posto nella Milano Sanremo del 1948. Bisogna però dire che il primo fu un certo Fausto Coppi che riuscì a liberarsi di lui poco prima di Imperia. Sosteniamo sempre che arrivare secondo dopo il Campionissimo è come aver vinto….
Mino De Rossi (foto di copertina), genovese ma nativo di Arquata fu campione mondiale dilettanti inseguimento su pista nel 1951 ma soprattutto medaglia d’oro alle Olimpiadi di Helsinki del 1952. Professionista e allievo di Coppi nella Bianchi, riuscì alla fine degli anni cinquanta ed emergere nel difficile mondo della pista e delle Sei Giorni riportando grandi successi e facendosi ben volere da tifosi e avversari.
Luigi Zaimbro, genovese, è forse il più modesto dei tre. Ma ricordiamoci che fu gregario di Pambianco, vincitore del Giro d’Italia del centenario dell’Unità d’Italia del 1961. Un brandello di maglia rosa gli appartiene di diritto.
Con loro una voce delle nuove generazioni legata alle due ruote: il giovanissimo Francesco Colombo, varazzino, atleta emergente in quanto Campione Italiano esordienti di DOWNHILL, una specialità moderna e adatta ai giovanissimi; una specialità che coniuga spericolatezza, velocità, equilibrio e controllo del mezzo meccanico.
Un confronto fra generazioni, dunque, ma non solo. Per i varazzini sarà occasione di rivivere gli anni del “bel ciclismo”, quando Varazze era “il regno del pedale” e la passione era tanta. Coppi e la sua squadra, la Bianchi, facevano del Hotel Genovese il quartier generale per i loro allenamenti in Riviera.
L’incontro è aperto a tutti gli appassionati che potranno intervenire con curiosità, domande e ricordi.
Ciclismo. Uno sport che in questi ultimi anni è decisamente cambiato (forse in peggio) perdendo il fascino dell’avventura e delle strade bianche, ma conservando una marea di estimatori e di videospettatori.
FAR FROM SANREMO: L’ULTIMA SPIAGGIA DEL MORALISMO
febbraio 26, 2010 by Redazione
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Sanremo di esclusioni, gli umoristi si sono già giocati la battuta: via dal festival canoro Morgan, fruitore confesso di droghe, e via dalla Milano-Sanremo Riccardo Riccò, fruitore confesso di doping. Che intanto avrebbe anche scontato la squalifica. Se non che…
Foto copertina: vista panoramica di San Remo (panoramio)
1- LA VICENDA
Di Riccardo Riccò ricorderemo sempre, comunque scorra il resto della sua carriera, quello scatto sul Poggio nel 2007: uno scatto letteralmente annunciato eppure irresistibile, uno scatto che il doping non sa regalare a nessuno che già non lo abbia nelle gambe e nell’animo; ovvietà che, se ce ne fosse bisogno, le ondulazioni rivierasche ci hanno dimostrato nel 2008 e soprattutto nell’ancora più torpido 2009, quando il gruppo – non certo più pulito – è tornato a “vegetare”, a sbrigare il compitino prescritto, al massimo a stiracchiarsi, non a esplodere in salita attacchi da “tutto o niente”. Attacchi che facciano male, e che proprio perciò suscitino qualche malumore: tanto più se sfrontatamente annunciati.
Sembrava allora una fausta ricorrenza che la squalifica – ridotta infine dal TAS nonostante l’accanimento nei ricorsi della procura CONI (che differenza con Sella, che si è visto dimezzare la pena per denunce se non false quantomeno confuse) – si esaurisse proprio un paio di giorni prima della Classicissima del prossimo 20 marzo. Il palcoscenico su cui si era celebrata la definitiva alba professionistica di Riccò (invero già assai in vista alla Tirreno-Adriatico 2007) sarebbe stato quello su cui ne riocchieggiasse l’astro dopo un inverno durato un paio di anni.
Ma come gli inverni peggiori, anche questo si inasprisce nel finale, in una coincidenza wertheriana tra l’inclemenza di una stagione meteorologica spesso sottozero e i rigori di una vicenda dai colpi di scena drammatici. Il 10 gennaio 2010, nel fango dell’Idroscalo di Milano, si tengono i campionati nazionali di ciclocross: in particolare Vania Rossi, compagna di Riccò e da pochi mesi madre del loro figlio Alberto, correrà per raggiungere un secondo posto quasi scontato (troppo il divario tra Lechner e lei, ma anche tra lei e tutte le altre); meno di tre settimane dopo, ecco la notizia di una sua positività al CERA, lo stesso prodotto costato a Riccò la lunga squalifica. Passano pochi giorni e il 10 febbraio RCS annuncia le squadre invitate alle proprie gare di inizio stagione, Strade Bianche, Tirreno-Adriatico, Milano-Sanremo. La Flaminia, squadrà di Riccò, non è invitata a nessuna di queste competizioni. Nel giro di quattro giorni, in un 14 febbraio evocativo di feste futili e amari anniversari, la Gazzetta dello Sport dà spazio alla scomposta reazione di un McEwen indignato perché i “curatori di immagine” di Riccò hanno rilasciato un comunicato stampa in cui si annuncia il distacco sentimentale tra Riccardo e Vania. Gli strepiti del funambolo australiano sono solo la punta dell’iceberg di un chiacchericcio serpeggiante per la rete e nell’ambiente, che copre l’intera gamma che va dal complottismo difensivista all’indignazione scandalizzata. Contro Vania Rossi, contro Riccardo Riccò, pro Vania, pro Riccardo… tutte le combinazioni sono sperimentate, nell’inevitabile ignoranza della vera storia di queste persone, tutti appigliandosi però alla natura intrinsecamente pubblica di quel comunicato.
Fin troppo facile ipotizzare, vista la tempistica, una mossa disperata per levare ai censori un “motivo etico” di esclusione di Riccò dalle gare: anche se la coppia non è sposata, ci pensa l’automatismo del pensiero qualunque ad accomunarli nella buona e nella cattiva sorte. Ma specialmente nella cattiva. E si finisce per ipotizzare “una strategia” anche perché altrimenti non si spiegherebbe tutta questa necessità di diramare comunicati stampa su fatti privati. O forse si può spiegare, questa necessità di Riccò, con la confusione imperante tra le due sfere, per cui il legame personale di una coppia diventa pretesto, mai dichiarato esplicitamente, per penalizzare in eventi pubblici e generali l’una persona per colpe (diciamo così, pur in attesa di controanalisi, pur in assenza di confessioni) che sono altrui, con buona pace del concetto giuridico di responsabilità personale.
Ma non vogliamo dilungarci su una faccenda in merito alla quale, come detto, di parole ne sono già state spese tante. Tornando indirettamente anche a Morgan, all’altro Sanremo, però qualche interrogativo che valga la pena di porsi rimane.
2- L’ARBITRIO DI BANDIRE
La prima domanda riguarda l’arbitrio del potere che ammette ed esclude. Gli organizzatori delle corse hanno condotto nel ciclismo una lunga battaglia politica per avocarsi maggior potere in direzione delle ammissioni e delle esclusioni per le gare. Questo sottointende, giustamente, la compresenza di diversi criteri, potenzialmente confliggenti a livello locale di contro al livello UCI: si può preferire una squadra della nazione in cui si gareggia, o internazionalizzare la competizione; si può puntare su giovani motivati di piccole squadre, o su sponsor grandi che hanno investito molto sul ciclismo, anche se poi non portano in gara i pezzi da novanta; si possono volere squadre complete, o squadre che “si specializzino” in volate, o fughe, o traguardi volanti. Quello che in ogni caso sarebbe apprezzabile è che il criterio della selezione fosse in qualche maniera sportivo, e almeno blandamente coerente, giustificabile; per evitare che il processo di selezione non serva soltanto a esprimere faide o ritorsioni. A premiare il “reality show” di una rete piuttosto che quello concorrente, se vogliamo parlare di Morgan… Purtroppo nel caso della Flaminia – di per sé squadra non trascendentale – riesce difficile capire perché essa sia stata esclusa, non diciamo da Strade Bianche (15 team) e Tirreno-Adriatico (22 team) ma perfino dalle 25 squadre della Milano-Sanremo, una selezione quasi onnicomprensiva che vede ammesse delle vere e proprie squadrette (senza offesa, anzi se vogliamo diciamolo come titolo di merito: ma in ciò non dissimili dalla Flaminia) come la Colnago o la Carmiooro; esempi che valgono anche a dire come non sia criterio vincolante una presunta “etica pregressa”. Non parliamo poi di formazioni straniere di dubbio spessore come la Bbox.
La conferma, in questo caso, la danno gli stessi “selezionatori”: la Gazzetta dello Sport titola la propria notizia con cui segnala gli inviti “Niente Sanremo per la Flaminia di Riccò”. Inequivoco. Il centro della notizia è quello! Tanto più che ricordando, a fine pezzo, l’unica altra formazione italica di certo quale rilievo esclusa (peraltro non dotata di wild card, a differenza della Flaminia, cui invece l’UCI ha riconosciuto tale status), l’articolista ritiene di precisare: “Nessun invito per la Flaminia di Riccò e per la De Rosa, ex Lpr”. Come a dire, la De Rosa – ricordiamocelo – era la LPR (quella di Di Luca, Bosisio)… mentre la Colnago non viene affatto denominata come la “ex CSF”. E la Flaminia non è, che so io, la squadra di Noè, o di Anzà, o di Enrico Rossi, o di quel Caruso che ha scontato da innocente un esilio lunghissimo per OP, o magari la squadra diretta da Petito. O, più banalmente, più giustamente – come è per tutte le altre – solo “la Flaminia”. Deve essere “la Flaminia di Riccò”.
3- IL FILO DELLA MORALE
A questo punto si intravede la grande trappola della “morale”, quella ghigliottina armata di buon senso e affilata di battutine ipocrite al vetriolo.
La morale che suggerisce che Morgan non debba andare a Sanremo perché “sarebbe un cattivo esempio”. Ma sarebbe un cattivo esempio perché ha ammesso una pratica che dilaga nel mondo dello spettacolo (certo), in parlamento (certo), nella società tutta (lo dimostrano le analisi dei liquami fognari)? Ma allora il drogato Morgan è cattivo esempio perché “lo fa” o perché “ha detto” di farlo? Non si va a Sanremo in quanto si è un cattivo esempio, o invece perché si è meritata una punizione, per frasi avventate, fuori dalle convenzioni tacite? E soprattutto, cattivo esempio per chi? Per chi ancora non se ne è trovato uno da seguire, di cattivo esempio, magari in famiglia, o il capo sul lavoro, o il cantante preferito, il conduttore tanto seguito, il calciatore tifato, il politico votato sulla scheda elettorale? Il mondo è pieno di cattivi – anzi: pessimi – esempi, ma a Sanremo no, non ne vogliamo: niente cattivi esempi!, per fare spazio invece ai quanto buoni esempi di adolescenti (poco più che adolescenti, o nemmeno adolescenti) già abituati a prostituire integralmente la propria vita emozionale in un’esibizione non solo dei propri presunti talenti ma soprattutto dei propri sentimenti, facendo spettacolo e immediato mercimonio delle passioni, delle speranze, delle delusioni? I buoni esempi del nazionalismo ottuso e banale, il buon esempio di principi ballerini o quello di smerciatori di pacchi milionari? Il buon esempio di battute al sapor di provolone?
Su uno schermo improntato al rigore, all’onestà intellettuale, al decoro nel senso più alto del termine, siamo d’accordo, forse Morgan sfigurerebbe. Ma al contrario dentro questa cornice, in che cosa stona Morgan? Stona nell’essere della parte sbagliata, nell’essere appena appena anticonformista, ma anche quell’anticonformismo di facciata è già troppo. Solo che forse questi non sono difetti da gettare via, bensì da difendere, nel loro essere difetti, come una riserva indiana di diversità, di potenziale novità, non diciamo di rottura degli schemi (che sarebbe senz’altro dire troppo) ma per lo meno di rimescolamento delle carte.
4- BRUTTI, SPORCHI E CATTIVI
Torniamo allora a Riccò e alla Flaminia, per chiederci se il principio che li “condanna” e li esclude (almeno per adesso), faticando a identificarsi con un principio tecnico non sia piuttosto un principio “morale”, ma “morale” nel senso che abbiamo appena detto. Nel senso, cioè, che a essere definiti immorali in un mondo di radicale immoralità – ormai inghiottita intera e digerita – sono piuttosto i fastidiosi, non i “cattivi” in quanto tali. Non dico con questo che i fastidiosi siano buoni, anzi: possono essere buoni o cattivi, o – è il caso più comune – né buoni né cattivi ma umani come tanti altri; però sono fastidiosi al senso comune, antipatici, e questa antipatia invece che essere riconosciuta col suo nome diventa un marchio… quello lì è “immorale”, lui sì che è un “truffatore”, un “cheater”, lui non lo vogliamo più vedere. Nessuno chiede conto ad Andy Schleck delle gravi magagne in cui è incorso il fratellone (in verità nessuno ne chiede più conto nemmeno a Frank…), ma il conto per le magagne di Vania Rossi lo si presenta a Riccò, e quindi – quel che è peggio – alla Flaminia. Basso “si pente”, ed è subito grande ciclismo. Riccò agli occhi del pubblico non potrà mai “pentirsi”, al massimo potrà… “spergiurare di essersi pentito”; potrà porgere l’altra guancia dopo i ceffoni di Cavendish e Pinotti (tutta gente che corre per una formazione immacolata, vero?!), ma otterrà solo uno schiaffo ancora più duro da McEwen.
E non è tanto questione di comportamenti, badiamo bene: pochi in gruppo si sono comportati peggio di un Lance Armstrong, per dirne uno eclatante, che ne ha fatte di tutti i colori l’altroieri come oggi; ma Armstrong non è “antipatico”, non al gruppo, non all’UCI, non agli organizzatori, non a milioni di fans almeno (forse a qualche bastian contrario, ai francesi e a Contador). La simpatia, e quindi quella meravigliosa moralità che ti rende pulito e complimentato nonostante un hattrick di “infortuni” col doping, si misura con l’applausometro del potere e con l’organicità rispetto a una macchina ben oliata. Riccò non ha fatto in tempo a “comportarsi” davvero male, cioè a fare cose brutte come minacce, o insulti personali, o sottrarre vittorie beffando chi ha lavorato di più: ha fatto però in tempo ad ATTEGGIARSI male, molto molto male. Proprio come Morgan.
E nel nostro grande teatro, che ogni giorno è più abituato a ospitare una farsesca messinscena piuttosto che l’attenzione al sostanziale, il crimine peggiore, l’immoralità più grave, è esattamente questo: il CATTIVO ATTEGGIAMENTO. Si configura un delitto di immagine, e la pena a ciò relativa pare proprio che Riccò la debba ancora scontare.
(Morgan per conto suo sembra già più bravo a galleggiare: non ha bisogno, lui, di quei – peraltro pessimi – consulenti di immagine; i diavoli più poveri, tra i diavoli, son sempre ciclisti).
POST SCRIPTUM
Con tutto ciò, chissà mai che il mancato invito alla Sanremo non fosse stato concordato in qualche modo con la Flaminia, ad esempio nell’impossibilità di avere un Riccò competitivo con i soli allenamenti fuori gara. Ipotesi peregrina, ma buona come altre in un ciclismo di accordi sottobanco più che mai. Mal si accorderebbe con le altre tensioni da “reality show”, ma forse tutto fa brodo per lo spettacolo; nel dubbio noi “facciamo finta” che le cose siano… più o meno come sembrano!
Gabriele Bugada
ADDIO 2009…. TERZA PARTE
gennaio 26, 2010 by Redazione
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Concludiamo la rassegna sulla scorsa annata ciclistica con l’esame del resto della stagione. Si parla di mondiali, di Lombardia, di classiche secondarie e delle principali corse a tappe del calendario, ovviamente tralasciando Giro, Tour e Vuelta, alle quali avevamo dedicato il primo capitolo di questo amarcord. Il migliore è il Gilbert, re dell’autunno 2009, mentre i nostri piangono miseria: si salva solo Scarponi, a segno alla Tirreno-Adriatico e al Giro. All’estremo opposto troviamo l’insufficienza di Cunego, autore di una stagione da dimenticare, nonostante i due successi alla Vuelta e la vittoria alla Coppi & Bartali.
Foto di copertina: Michele Scarponi vittoriosa a Camerino, nella frazione decisiva della Tirreno-Adriatico (foto Bettini)
PHILIPPE GILBERT: VOTO 9
Partiamo con il re dell’autunno ciclistico, capace di mettere assieme nel finale di stagione un filotto di quattro successi consecutivi (Coppa Sabatini, Parigi – Tours, Giro del Piemonte e Giro di Lombardia), preceduti da una corsa da protagonista al Mondiale, chiuso al 6° posto. Il 2009, impreziosito peraltro, oltre dalle belle prove in primavera al Giro delle Fiandre, all’Amstel Gold Race e alla Liegi – Bastogne – Liegi, dalla vittoria alla Star Elektrotoer, è stato probabilmente l’anno della definitiva consacrazione per il vallone, dopo anni da eterna promessa, con pochi lampi di classe e aspettative spesso disattese.
Da sottolineare inoltre come Gilbert sia tra i pochissimi corridori che sono stati in grado di essere protagonisti dall’inizio alla fine della stagione: già brillante nelle classiche di primavera, vittorioso in giugno (Star Elektrotoer) e soprattutto, come detto, in ottobre, con le quattro vittorie consecutive che hanno fatto schizzare alle stelle il giudizio sulla sua stagione, e che gli sono valse addirittura il premio di Sportivo Belga dell’Anno, unico ciclista a riuscirci dal 1990 (vittoria di Dhaenens), Tom Boonen a parte.
MICHELE SCARPONI: VOTO 7,5
Per Michele Scarponi, uno dei pochissimi atleti che hanno pagato per il loro coinvolgimento nell’Operacion Puerto, il 2009 è stato l’anno della rinascita. Non solo e non tanto per le due pur bellissime vittorie di tappa al Giro d’Italia, a Myrhofen e Benevento, ottenute in fin dei conti grazie a fughe da lontano, ma soprattutto per la splendida affermazione alla Tirreno – Adriatico, arrivata grazie al successo nella tappa regina della corsa, a Camerino, staccando atleti del calibro di Rodriguez, Di Luca e Rebellin, e regolando in un arrivo ristretto Stefano Garzelli e Ivan Basso. Il vero capolavoro, forse, Scarponi lo aveva però compiuto il giorno precedente, nei 30 km a cronometro da Loreto a Macerata, in cui era stato in grado di limitare ad appena 21’’ il distacco da Andreas Kloden, restando a contatto in vista della frazione di Camerino.
A 30 anni, Scarponi è andato oltre quanto era riuscito a fare prima della squalifica, cogliendo le vittorie più prestigiose della sua carriera, anche se non è stato in grado di fare classifica in un GT (al Giro d’Italia, l’unico cui ha preso parte la Diquigiovanni). A questo proposito, viene da chiedersi se forse, visti gli esiti dell’ennesimo assalto al podio di Gilberto Simoni, non fosse opportuno dare una chance anche allo scalatore marchigiano, che potrebbe ad ogni modo avere la sua possibilità di un Giro da capitano nel 2010.
LUIS LEON SANCHEZ: VOTO 8
Chiediamo scusa se continuiamo a dispensare giudizi alti come piovessero, ma anche nel caso di Luis Leon Sanchez era difficile assegnare un voto inferiore. L’unico neo della stagione del ragazzo di Mula è stata una conclusione non all’altezza dell’avvio, che lo aveva visto recitare la parte del protagonista in corse quali Giro del Mediterraneo (vinto), Giro dei Paesi Baschi (5°, con annessa vittoria nella 1a tappa) e Parigi – Nizza (vinta, con successo parziale nella 7a frazione).
Dopo la prima affermazione al Mediterraneo in febbraio, frutto anche di una vittoria nella cronosquadre del secondo giorno, e una tappa al Tour du Haut-Var pochi giorni dopo, Sanchez ha costruito la vera perla della sua stagione, alla Parigi – Nizza. Dopo un ottimo 3° posto nel prologo di Amilly, Sanchez ha bissato il piazzamento nella frazione più impegnativa, con l’arrivo in quota, alla Montagne de la Lure, chiudendo a 58’’ dallo scatenato Contador. Per lui sembrava a quel punto certo il podio, ma era pressoché impensabile che il madrileno potesse farsi sfuggire il successo finale. E invece, i ripetuti scatti sul Col de la Bourgaille, con Sanchez tra i più attivi assieme a Colom, hanno fiaccato la resistenza di Contador, incappato in una clamorosa crisi (di fame?) nel tratto pianeggiante che precedeva l’ultimo strappo, perdendo in un amen oltre 2’ e la corsa, che non è poi riuscito a recuperare il giorno successivo con una coraggiosissima fuga verso Nizza. I due mesi d’oro di Sanchez si sono conclusi con il già citato 5° posto ai Paesi Baschi, che ha definitivamente consacrato Luis Leon come un dei principali protagonisti della prima metà di stagione.
ALBERTO CONTADOR: VOTO 7,5
Il voto leggermente più basso di quello di Sanchez tiene ovviamente conto della differente caratura dei due atleti in questione, del divario che sussiste tra un grande corridore e un fuoriclasse. Anche se ora si parla uno che appartiene a questa seconda categoria, comunque, il percorso di avvicinamento al Tour de France di Alberto Contador è stato comunque eccellente. Il leader della Astana ha iniziato a vincere già in febbraio, alla Vuelta ao Algarve, conquistando la classifica finale e la cronometro del quarto giorno, prima di una Parigi – Nizza in chiaroscuro, ma di cui è stato grande protagonista, e che ha comunque onorato come i corridori del suo livello raramente fanno nella prima parte di stagione: dopo le vittorie nel prologo e alla Montagne de la Lure, Contador sembrava avere in pugno una corsa che ha invece gettato alle ortiche con la già citata crisi della tappa di Fayence, e che ha vanamente provato a riconquistare con un’azione di 80 km che ha reso spettacolare l’ultima giornata di gara.
Alberto ha quindi proseguito la sua marcia di avvicinamento alla Grande Boucle trionfando da dominatore al Giro dei Paesi Baschi, malgrado gli appena 30’’ di vantaggio su Colom alla fine (vittorie nella tappa più dura, a Eibar, e nella crono finale), e con un 3° posto – ad onor del vero un po’ deludente – al Giro del Delfinato, corso quasi a gregario di Valverde. Il madrileno ha concluso la preparazione all’appuntamento più importante dell’anno con la partecipazione ai Campionati Nazionali Spagnoli, dove ha conquistato il titolo della prova a cronometro. Poi è arrivato il Tour, ma di questo abbiamo già parlato diffusamente altrove.
CADEL EVANS: VOTO 8
Da eterno piazzato a campione del mondo, paradossalmente proprio al termine di quella che, Mondiale a parte, naturalmente, è stata per Evans la peggiore stagione dal 2005 a questa parte, e non solo per la débacle del Tour de France. Anche nel resto dell’anno, infatti, l’australiano non è riuscito a cogliere quelle vittorie di prestigio che avevano invece caratterizzato, per esempio, il suo 2008 (la Settimana Ciclistica Internazionale Coppi & Bartali), e si era lasciato sfuggire, in giugno, un Giro del Delfinato in cui aveva dato l’impressione di essere il più forte e in forma, a causa di una giornata no proprio sul Mont Ventoux.
Poi, però, a risollevare la stagione di Evans, quando non la sua intera carriera, che ora non potrà più essere semplicemente bollata come quella di un corridore di talento ma condannato ai piazzamenti, ci ha pensato il Mondiale di Mendrisio, vinto con un’azione in solitaria, con un’autorevolezza che forse Cadel mai aveva messo in mostra in passato. Una vittoria fatta di intuito (quello di inserirsi nell’azione buona all’ultimo giro, quando gli scatti, specie da parte degli spagnoli e di Cancellara, si susseguivano), di coraggio (quella di andarsene da solo all’imbocco dell’ultima ascesa) e soprattutto di gambe, quelle che gli hanno consentito di involarsi verso l’iride. Iride che lo cingerà per tutto il 2010, e che potrebbe essere forse la scintilla necessaria a far acquisire ad Evans la convinzione che potrebbe finalmente permettergli di portarsi a casa il Grande Giro che ancora manca al suo palmarès.
DAMIANO CUNEGO: VOTO 5,5
La vittoria alla Settimana Internazionale Coppi & Bartali, conquistando anche 2a e 3a tappa, risparmia a Cunego un voto ben più negativo. Dal momento che in questa sede non si tiene conto di classiche di primavera (dove i risultati erano stati discreti) e Grandi Giri (con questi invece il giudizio sarebbe restato immutato, o si sarebbe addirittura abbassato, considerando la tragica partecipazione al Giro d’Italia), il resto del 2009 di Cunego è stato veramente poca cosa: un 6° posto al Giro dei Paesi Baschi, un 2° al Campionato Italiano, un 8° al Mondiale. Piazzamenti distribuiti più o meno equamente nell’arco della stagione, altra ragione per cui la sufficienza è molto vicina, ma è mancato l’acuto che avrebbe potuto risollevare una stagione che nel complesso non crediamo si possa considerare positiva.
Era soprattutto nel finale di stagione che Cunego riponeva le sue speranze, con un Mondiale da disputare da capitano e la concreta possibilità di entrare nella storia del Giro di Lombardia con il terzo successo consecutivo, quarto assoluto. La prova iridata di Damiano, complice una Nazionale meno forte delle ultime edizioni (anche a causa delle squalifiche eccellenti di Rebellin e Di Luca), non è stata invece all’altezza dei favori del pronostico di cui godeva alla vigilia, con un 8° posto finale, ottenuto peraltro correndo quasi sempre sulla ruota altrui. Al Lombardia, invece, Cunego si è trovato di fronte una concorrenza molto superiore a quella delle ultime edizioni, e le trenate degli scatenati Gilbert e Samuel Sanchez sul San Fermo della Battaglia gli sono state fatali. È dunque mancato il grande successo finale che aveva risollevato nettamente le ultime stagioni di Cunego, assenza che giustifica a nostro giudizio questa pur lieve insufficienza.
ROMAN KREUZIGER: VOTO 7,5
Ancora non è riuscito ad essere grande protagonista in un Grande Giro, nonostante sia arrivato quest’anno al Tour con grandi aspettative (i più scommettevano su di lui come capitano Liquigas, al posto di Nibali); ciò nonostante, il 2009 di Kreuziger può essere considerato pienamente positivo, grazie alla vittoria del Giro di Romandia (con annesso successo parziale nella 4a frazione), al 2° posto a San Sebastian, al 3° al Giro di Svizzera e al 10° del Giro dei Paesi Baschi.
Erano stati proprio i due risultati in terra elvetica che avevano fatto immaginare per Kreuziger un ruolo da assoluto protagonista in occasione della Grande Boucle, in virtù della varietà dei terreni su cui era riuscito ad eccellere: vittoria nella tappa più dura del Romandia (Sainte-Croix), 2° al Tour de Suisse e 5° al Romandia nei due prologhi, 7° nella cronometro finale del Tour de Suisse, a Berna. Questi risultati, uniti al Giro di Svizzera conquistato nel 2008, avevano forse creato aspettative troppo pesanti per l’ancora giovane ceco, che è poi crollato sin dal primo arrivo in quota pirenaico del Tour. Poco male: Kreuziger è un classe 1986, ha 4 anni meno di Contador, 2 meno di Nibali, 1 meno di Andy Schleck. Il tempo è decisamente dalla sua parte.
ALEJANDRO VALVERDE: VOTO 8,5
3 corse a tappe di livello tra il buono e l’eccellente (Vuelta a Burgos, Giro della Catalogna – con una vittoria di tappa – e Giro del Delfinato), una discreta classica spagnola (Klasika Primavera) e due tappe alla Vuelta a Castilla y Leon, vincendo tutte le classifiche meno quella generale, andata a Leipheimer. Se Valverde avesse centrato il grande obiettivo della sua stagione, il Mondiale, il suo 2009, per quel che non concerne classiche e GT), sarebbe stato quasi da 10.
In particolare, la vittoria al Delfinato avrà lasciato – immaginiamo – enorme rammarico al murciano, che aveva sconfitto un Evans in palla come non mai (che comunque un mese dopo avrebbe fallito completamente la Grande Boucle) e Alberto Contador, prima di essere definitivamente escluso dal Tour de France, a causa dei famigerati chilometri italiani della tappa di Bourg-Saint-Maurice. Questioni doping a parte, si può senz’altro dire che Valverde, considerati questi successi e quello della Vuelta, ha vissuto nel 2009 un’ennesima grande stagione, il cui vero (grande) neo è stato quello di non vedere coronato l’interminabile inseguimento dell’Embatido al titolo mondiale. Il percorso di Melbourne non lo favorisce, ma l’età avanzata di Freire, che avrà 34 anni, potrebbe suggerire agli spagnoli di puntare ancora una volta su di lui.
FABIAN CANCELLARA: VOTO 8
Poche ma buone. Così si potrebbero un po’ barbaramente fotografare le vittorie di Fabian Cancellara in questo 2009, stagione meno brillante dello strabiliante 2008 (oro a cronometro e argento in linea a Pechino, titolo nazionale a cronometro, Sanremo, Eroica, Tirreno – Adriatico e una tappa al Tour, solo per citare le affermazioni più significative), ma comunque positiva, specie se non si considera – come in questa sede – il flop delle classiche di primavera, peraltro giustificato da un infortunio ad inizio stagione. Proprio questi guai fisici hanno determinato un avvio di stagione in tono minore, riscattato da un giugno strepitoso: due tappe e classifica finale di un Giro di Svizzera ad onor del vero pensato e disegnato su misura per lui, e titolo nazionale in linea, primo in carriera, dopo una serie di sette titoli consecutivi a cronometro.
Cancellara ha quindi tentato una storica doppietta cronometro – gara in linea ai Mondiali di casa a Mendrisio, andando vicinissimo all’obiettivo. Dopo l’annunciato trionfo contro il tempo, l’elvetico è stato protagonista assoluto dell’ultima tornata della prova in linea, attaccando in salita, in pianura e in discesa, e ritrovandosi alla fine nel gruppo buono nel finale. Un attimo d’attesa di troppo gli è poi costata la gara, al pari di altri favoriti, Valverde e Cunego in primis. Siamo comunque certi che Fabian ci riproverà già l’anno prossimo: il rettilineo in leggera salita che chiude il circuito di Melbourne è forse troppo facile per un finisseur, ma potrebbe essere il terreno ideale per esaltare le doti di Spartacus.
EDVALD BOASSON HAGEN: VOTO 7,5
Titolo nazionale norvegese a cronometro, due tappe e classifica finale dell’Eneco Tour, due tappe e 3° posto finale al Giro della Polonia, quattro tappe e classifica finale del Giro della Gran Bretagna: non crediamo serva altro per giustificare questo giudizio, che non è più alto per il peso obiettivamente non enorme delle gare in questione.
Il 22enne prodigio norvegese, capace anche di vincere una tappa al Giro d’Italia e la Gand – Wevelgem, ha colpito per la capacità di sprigionare i suoi cavalli non solo sul passo, ma anche su salite di media difficoltà, a dispetto di un fisico decisamente massiccio (181 cm per 76 kg). E l’impressione è che il suo futuro sia nelle grandi classiche del Nord, come induce a pensare, oltre alla già citata affermazione alla Gand – Wevelgem, anche l’ottimo 4° posto alla Montepaschi Eroica, le cui strade verranno peraltro in parte proposte da una tappa del Giro 2010, che potrebbe accendere la fantasia del norvegese. Nel Team Sky 2010, al Nord dovrà probabilmente fare i conti con un compagno di squadra scomodo quale Juan Antonio Flecha, che crediamo sarà il leader designato quanto meno per la Roubaix.
Matteo Novarini
ADDIO 2009…. SECONDA PARTE
gennaio 22, 2010 by Redazione
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Dopo aver preso in esame il rendimento dei grandi protagonisti della stagione passata nelle grandi corse a tappe, tocca ora alle grandi classiche. Non potevamo non iniziare da Mark Cavendish, primattore nella madre di tutte le classiche, la Milano – Sanremo, premiando con una votazione più elevata, però, il tedesco che era stato da lui “giustiziato” sul traguardo di Lungomare Calvino. Il migliore dei migliori è stato Andy Schleck, che ha pennellato una primavera da incorniciare. Giudizi opposti per Valverde, Sánchez e Rebellin.
MARK CAVENDISH: VOTO 7,5
Nel giudizio paga il fatto che in sostanza puntava a due sole corse, Milano – Sanremo e Gand – Wevelgem. Tra queste, ha fallito la seconda, ma in maniera del tutto comprensibile, visto che la maxi-fuga che ha alla fine premiato Boasson Hagen ha indotto tutte le squadre dei favoriti a prendersi una giornata di riposo in vista della Roubaix, e che in ogni caso alla fine il successo è andato ad un Columbia.
Alla Sanremo, invece, Cannonball si è esibito in quella che, ad oggi, è probabilmente la sua azione più bella, rimontando un divario apparentemente incolmabile da Haussler con una volata infinita, beffandolo praticamente sulla linea. Per il resto, Cavendish non se l’è sentita di puntare anche alle classiche del pavé, o quanto meno di provare a misurarsi con quella che magari un giorno potrebbe diventare un ulteriore terreno di conquista (anche se il fisico non è propriamente da mago delle pietre).
Va da sé che nel giudizio non si tiene conto della miriade di successi in grandi e piccole corse a tappe ottenute nel resto della stagione, che farebbe schizzare ancor più in alto il suo voto, consacrandolo forse come il ciclista dell’anno 2009.
HEINRICH HAUSSLER: VOTO 8
Difficile assegnare un voto più basso ad un corridore che sfiora il successo alla Milano – Sanremo con uno sprint splendido e coraggiosissimo, si piazza 2° al Fiandre dopo aver resistito sul Koppenberg, sul Grammont e su tutti gli altri muri, e per finire chiude ampiamente nei 10 (7°) la Parigi – Roubaix. Non si può però parlare di eterno piazzato o di perdente di successo, visto che, a 25 anni, il tedesco avrà tutto il tempo per far entrare almeno una di queste corse nel suo palmarès. Certo, immaginiamo che il rimpianto per la Sanremo, quando Haussler, ancora a poche decine di metri dall’arrivo, sembrava aver piazzato il colpaccio, sia stato grande, ma crediamo sia stato compensato dagli altri due ottimi risultati primaverili e dalla bella vittoria di Colmar al Tour de France, di cui non abbiamo tenuto conto.
È difficile ipotizzare che Haussler abbia già completato il suo percorso di crescita, e ancor più improbabile è che questi tre piazzamenti siano stati frutto del caso. Riteniamo invece che si sia di fronte ad uno dei maggiori talenti in circolazione per le corse di un giorno, essendo Haussler in grado di vincere una volata di gruppo e di resistere su muri e pavé. Una sorta di Pozzato un po’ meno passista e molto più veloce insomma. E magari – speriamo per lui – anche dotato di un po’ di acume tattico in più.
STIJN DEVOLDER: VOTO 7
Ad essere onesti è abbastanza difficile dare delle valutazioni su Devolder, corridore che al Giro delle Fiandre è parso una locomotiva, e che nel resto della stagione è stato incapace di cogliere altri successi, ed è addirittura giunto nei 10 solamente in tre occasioni, oltre al già citato Fiandre. Optiamo quindi per un 7, visto il peso dell’unica vittoria, anche se la costanza di rendimento non è stata certamente il leitmotiv del 2009 dell’atleta Quick Step.
La cosa risulta ancor più sorprendente se si considera la duttilità del fiammingo, capace di chiudere una Vuelta a ridosso dei 10, e di vincere piccole corse a tappe quali Tre Giorni di La Panne, Giro dell’Austria, Vuelta ao Algarve e Giro del Belgio. Un anno dunque complessivamente negativo per Devolder, non fosse stato per la meravigliosa affermazione sulle strade di casa, secondo trionfo consecutivo nella classica più amata dai fiamminghi, che ha completamente risollevato il suo 2009. Sperando ovviamente, però, che il 2010 torni a vedere un Devolder capace di lottare su tutti i terreni come in passato, e non leone solo per una domenica d’aprile e comparsa nel resto della stagione.
TOM BOONEN: VOTO 7,5
Delle buone prove nelle classiche di preparazione alla campagna del Nord (vittoria alla Kuurne – Bruxelles – Kuurne, 2° al GP Harelbeke), un Fiandre da protagonista, sia pure non coronato da un risultato finale all’altezza delle aspettative, delusione affievolita però dalla vittoria del compagno di squadra Devolder. Questa è stata in sostanza la primavera di Tom Boonen fino a quella che è ormai la sua corsa, la Parigi – Roubaix, che ha vinto come ancora non era riuscito a fare, in solitaria, grazie ad un’azione micidiale sul Carrefour de l’Arbre. Anche la fortuna è stata dalla parte del fiammingo, che grazie ad una caduta è riuscito a guadagnare un pugno di metri di Pippo Pozzato, che forse non si avrebbe altrimenti mai mollato la sua ruota.
La superiorità di Boonen è stata comunque netta, e nell’aprile prossimo, a nemmeno 30 anni, proverà per la prima volta a compiere l’unica impresa che non è riuscita a Johan Museeuw, ossia eguagliare le quattro vittorie di Roger de Vlaeminck. Con la differenza che il fuoriclasse di Varsenare aveva potuto tentare per la prima volta nel 2003, a 37 anni, quando la gamba non era già più quella dei giorni migliori. Boonen è invece nel pieno della sua maturità, e la superiorità schiacciante di cui ha dato mediamente prova negli ultimi anni sul pavé lascia intravedere la possibilità di impadronirsi del titolo di Monsieur Roubaix, superando addirittura le quattro affermazioni di De Vlaeminck.
FILIPPO POZZATO: VOTO 7,5
Finalmente, un briciolo di coraggio. Che Pozzato avesse le possibilità di recitare un ruolo da assoluto protagonista al Nord lo si sapeva da tempo (e non abbiamo la benché minima ombra di dubbio che anche lo stesso Pippo lo pensasse), che per riuscirci servisse però una decisa svolta a livello di condotta di gara, iniziando a correre da protagonista e non cercando di aggrapparsi al treno buono, sperando di azzeccarlo, anche (in questo caso non siamo del tutto sicuri che il diretto interessato la pensasse allo stesso modo). Ciò nonostante, fino al 2009, questa svolta non è di fatto mai arrivata, e Pozzato ha continuato a mostrare qualche bel lampo di classe qua e là, ha anche vinto una Milano – Sanremo (2006), ma non è mai riuscito a dare quella continuità che da lui ci si sarebbe aspettati, e che aveva sicuramente le qualità per offrire già da tempo.
Il 2009 è stato però (finalmente) l’anno della tanto attesa inversione di rotta: Pozzato ha iniziato ad essere più intraprendente, ha attaccato in prima persona, cosa che in passato ha fatto raramente e spesso con tempismo a dir poco rivedibile, non ha più perso treni per eccesso di prudenza, ma semmai per sfortuna (vedesi Parigi – Roubaix). I risultati si sono fatti attendere: vittoria al GP Harelbeke e in una tappa della Tre Giorni di La Panne in preparazione al Nord, dove Pozzato ha chiuso 5° al Fiandre e 2° alla Roubaix. E anche se pure questa volta un leggero rammarico c’è stato, la ragione è stata ben diversa dal solito: al Fiandre, Pippo è stato piegato più dal gioco di squadra Quick Step che dalla superiorità di Devolder; alla Roubaix avrebbe probabilmente tenuto la ruota di Boonen fino al Velodromo, se non avesse perso una manciata di secondi a seguito di una caduta (altrui), che non è più riuscito a ricucire. Pazienza: se il 2010 dovesse confermare questa mutata sicurezza del veneto, le chance di rifarsi non tarderanno a presentarsi.
PHILIPPE GILBERT: VOTO 7,5
Sottolineiamo ancora una volta come questo voto sia relativo solo ed esclusivamente alle classiche di primavera; viceversa, il voto di Gilbert sarebbe stato più alto di un punto/un punto e mezzo, alla luce dello spaventoso finale di stagione del belga, su cui torneremo altrove. Anche in primavera, in ogni caso, pur senza raggiungere le vette d’eccellenza di ottobre, Gilbert ha mostrato ottime cose: 3° al Giro delle Fiandre e 4° alla Liegi – Bastogne – Liegi, con nel mezzo un altro 4° posto, all’Amstel Gold Race, che nobilita ulteriormente un 2009 già straordinario per il belga.
Uno solo, sempre restando ad aprile, il rammarico: se non si fosse sfiancato con una bellissima ma fin troppo temeraria azione sullo Sprimont, Gilbert sarebbe forse stato l’unico atleta capace di tener testa ad Andy Schleck sulle strade della Liegi, per quanto la continuità che il lussemburghese ha dato alla sua azione sia stata tale da far pensare che prima o poi anche il vallone avrebbe dovuto cedere. Per il 2010, Gilbert è stato ovviamente confermato dalla Silence – Lotto, la squadra nella quale è esploso dopo anni e anni da eterna promessa alla Française-de-Jeux. La speranza di Gilbert per il nuovo anno è indubbiamente quella di riprendere là dove aveva lasciato, con una superlativa striscia di vittorie post-Mondiale, che lo candida come uno dei possibili corridori da copertina per il 2010.
THOR HUSHOVD: VOTO 7
L’uomo che passerà alla storia per aver vinto la maglia verde del Tour con un successo di tappa, contro un avversario che di frazioni ne ha portate a casa sei, è stato in primavera messo un po’ in ombra dall’esplosione di Heinrich Haussler, ma è comunque stato uno dei maggiori protagonisti.
Dopo aver tentato, assieme al giovane compagno di squadra, di sorprendere Cavendish alla Milano – Sanremo con una volata folle (andandoci vicinissimo), e dopo essersi presentato sul pavé forte della vittoria all’Omloop Het Volk, la grande occasione Hushovd è arrivata alla Parigi – Roubaix, quando il vichingo si è avvantaggiato con Boonen, approfittando anche della caduta di Flecha, Hoste e Vansummeren. La sfortuna non ha però tardato ad infrangere anche i sogni di gloria del norvegese, caduto a sua volta mentre tentava di restare aggrappato allo scatenato compagno d’avventura, facendolo scavalcare anche da Pozzato, e relegandolo ad un 3° posto finale che ha lasciato molto amaro in bocca. Confermato per il 2010 dalla Cervélo, Hushovd andrà ancora una volta in caccia di quella classica monumento che renderebbe straordinaria una già eccellente carriera.
DAMIANO CUNEGO: VOTO 6,5
Fosse un altro, prenderebbe sicuramente un voto decisamente più alto. Damiano Cunego però non è “un altro”, e da lui, ad oggi, con l’addio di Bettini e le squalifiche di Rebellin e Di Luca, più che mai uomo faro del ciclismo italiano, perlomeno a livello di classiche, ci aspetterebbe qualcosa di più.
Sia chiaro, la primavera di Cunego è stata tutt’altro che negativa: dopo la vittoria di due tappe e della classifica finale alla Settimana Ciclistica Internazionale Coppi & Bartali (che non rientra nel nostro giudizio), il veronese ha chiuso 5° all’Amstel Gold Race, 3° alla Freccia – Vallone e 7° alla Liegi – Bastogne – Liegi, risultando uno degli atleti più continui della settimana delle Ardenne, e confermando, se mai ce ne fosse bisogno, di essere tra i primissimi corridori al mondo in questo genere di corse. Quello che è mancato a Cunego, e che gli impedisce di raggiungere un giudizio più elevato, è stato però, oltre al grande acuto, un po’ di coraggio. Il veronese non ha di fatto mai attaccato in nessuna delle tre gare, limitandosi sempre a seguire tentativi altrui, con un atteggiamento passivo un po’ alla Pippo Pozzato dei tempi brutti. Quello che preoccupa è che questo atteggiamento sta diventando una costante: Cunego è sempre meno il corridore esplosivo e scattante del 2004, e sempre più un atleta dalla pedalata pesante e dalle gambe poco esplosive, con un cambio di ritmo – un tempo la sua arma migliore – ormai quasi carente.
SERGEI IVANOV: VOTO 7,5
Tenendo conto che siamo in presenza di un buon corridore, ma non di un fuoriclasse, la primavera di Ivanov è stata eccellente. Non gli assegniamo un voto più alto per non dover rifilare 9 e 8,5 a destra e a manca, quando in realtà di veri dominatori nel 2009, in primavera, non ce ne sono stati.
Nella settimana clou, quella delle Ardenne, Ivanov ha confezionato un panino eccezionale, con la vittoria all’Amstel Gold Race, sconfiggendo in volata Karsten Kroon, e il 5° posto alla Liegi, precedendo atleti ben più quotati quali Cunego, Valverde e Sanchez. L’8 sfuma perché il russo non ha saputo imbottire questo panino con un ripieno all’altezza, non andando oltre un 13° posto alla Freccia – Vallone (chiediamo formalmente scusa per la terrificante metafora, speriamo quanto meno di aver reso l’idea). Per il 2010, stagione in cui sfoggerà la sesta maglia di campione nazionale russo, Ivanov è stato confermato dalla Katusha, con la quale tenterà la non facile impresa di restare a questi livelli malgrado un’età ciclisticamente non proprio verdissima (classe 1975).
DAVIDE REBELLIN: VOTO 3
Non crediamo ci sia bisogno di motivare il voto, né di spiegare quanto sia stato sconcertante e triste vedere travolto dallo scandalo anche un corridore che è stato per anni additato come esempio di professionalità e correttezza; un corridore che addirittura, dopo la medaglia d’argento di Pechino 2008, ci aveva tenuto ad invitare i giovani a non prendere la scorciatoia del doping. Raccomandazione che naturalmente resta valida, ma che, a posteriori, fa un po’ ridere (o fa decisamente piangere, scegliete voi).
Senza la positività, ovviamente, Rebellin avrebbe ricevuto un giudizio eccellente, in virtù del 3° posto della Liegi, e soprattutto della perentoria affermazione della Freccia Vallone, battendo nettamente quell’Andy Schleck che appena quattro giorni dopo sarebbe stato il padrone della Doyenne. Poi, però, è arrivato il doping, è arrivata la notizia che cancella quanto meno il buono di un’ennesima grande stagione, forse quanto costruito in una carriera quindicennale. Una positività che ha distrutto l’immagine di Rebellin, e purtroppo anche la nostra convinzione che, anche in un mondo devastato dal doping come quello del ciclismo, esistano ancora persone delle quali non si può dubitare.
ANDY SCHLECK: VOTO 8,5
Primavera straordinaria quella di Andy Schleck, capace di vincere la Liegi – Bastogne – Liegi con l’azione più bella del 2009, e di chiudere al 2° posto la Freccia – Vallone (piazzamento che probabilmente migliorerà a seguito della squalifica di Rebellin, anche se ad oggi non gli è ancora riconosciuta la vittoria). A coronare il tutto c’è il 10° posto all’Amstel Gold Race, che, pur essendo nulla rispetto agli altri due risultati, contribuisce fare di Andy il principe delle Ardenne della passata stagione.
Se c’è poco da dire relativamente ad Amstel e Freccia, si potrebbero versare fiumi di inchiostro sulla meravigliosa iniziativa personale con cui Schleck ha spazzato via la concorrenza alla Doyenne, salutando tutti sulla Roche-aux-Faucons come da anni nessuno riusciva a fare (la fuga di Vinokourov e Voigt fu anche più lunga, ma erano per l’appunto in coppia). Noi ci limitiamo a sottolineare come su una salita di 1 km e mezzo Andy abbia distanziato tutti di mezzo minuto, e abbia raggiunto e staccato un Philippe Gilbert che appena pochi mesi dopo avrebbe vinto da dominatore il Giro di Lombardia. I 20 km rimasti non hanno poi rappresentato un problema per il lussemburghese, che ha anzi continuato ad incrementare il suo margine, consacrandosi definitivamente come ciò che suo fratello sosteneva da tempo: un corridore molto più forte del già grande Frank.
SAMUEL SANCHEZ: VOTO 5,5
Può un corridore che arriva 4° alla Freccia – Vallone e 10° alla Liegi prendere un voto insufficiente? Sì, se questo corridore è Samuel Sanchez, se è un campione olimpico, e soprattutto se è l’uomo faro di una squadra che lascia orfana del suo capitano al Tour de France per puntare tutto sulle classiche di primavera e sulla Vuelta.
Anche perché Sanchez, di fatto, non è mai stato in lotta per vincere, né ha mai provato a fare molto per riuscirvi: in ombra all’Amstel Gold Race al pari di tutti i favoriti della vigilia, piazzato ma nettamente battuto nello sprint sul Muro di Huy, a malapena nei 10 alla Liegi, dopo essere stato staccato perentoriamente da Schleck, e dopo essersi fatto sfuggire anche Joaquim Rodriguez nel finale. Insomma, una campagna del Nord già di per sé deludente, che diventa addirittura insufficiente se pensiamo a quanto l’asturiano abbia puntato su questa fase della stagione, sacrificando addirittura l’appuntamento più importante del calendario. Scelta di per sé anche condivisibile, visto che Sanchez è certamente più corridore da classiche che da GT, e che l’unica corsa di tre settimane in cui puà probabilmente dire la sua (anzi lo ha già fatto) per la vittoria finale è la Vuelta; cosa che però alza le aspettative per le corse sulle Ardenne, aspettative che nel 2009 il trionfatore di Pechino ha pressoché totalmente disatteso.
JOAQUIM RODRIGUEZ: VOTO 7
Si era presentato sulle Ardenne come luogotenente di lusso di Valverde, ha finito per cogliere lui il piazzamento più prestigioso per il suo team, vincendo la Liegi – Bastogne – Liegi dei mortali, a 1’16’’ dall’alieno (perlomeno per quel 26 aprile 2009) Andy Schleck. Difficile dire quanto del successo della sua sparata nel finale, che gli ha consentito di cogliere la piazza d’onore, sia dovuto effettivamente alla sua azione, e quanto al fatto che i big, sfumata da tempo la vittoria, hanno probabilmente rinunciato a lottare. Sta di fatto che Rodriguez, come detto, ha in ogni caso fatto nettamente meglio del suo capitano, e che il 2° posto alla Doyenne rappresenta nettamente il miglior risultato di JRo in una grande classica.
Forse proprio in virtù di questo piazzamento Rodriguez ha deciso, forse in ritardo (quest’anno farà 31 anni), di dividere la sua strada da quella di Valverde, del quale è stato angelo custode per quattro stagioni, rendendosi conto di avere le potenzialità per fare qualcosa di più di un grande lavoro di gregariato. Il rischio che anche al Team Katusha, vista la presenza di Kirchen, Pozzato, Ivanov e Kolobnev, venga messo in secondo piano, oggettivamente esiste, ma quanto meno le gerarchie verranno stabilite sulla strada, e non (sia pure il più delle volte a ragione) sulla carta, prima ancora di partire.
SIMON GERRANS: VOTO 8
Il voto molto alto tiene ovviamente conto del fatto che non siamo certamente in presenza di un fuoriclasse. Simon Gerrans è stato però la personificazione della continuità sulle Ardenne: 7° all’Amstel Gold Race, 8° alla Freccia – Vallone, 6° alla Liegi – Bastogne – Liegi. Dal momento che Gerrans difficilmente diventerà mai un atleta di vertice (nel 2010 compirà 30 anni), una simile serie di eccellenti piazzamenti rappresenta forse il culmine della carriera dell’australiano (ha vinto anche il GP Plouay Ouest-France), fatta eccezione per successi di tappa ottenuti grazie a lunghe fughe.
Proprio a questo proposito, Gerrans, che per la prossima stagione ha già firmato per il neonato Team Sky, ha impreziosito la stagione con una vittoria di tappa al Giro, sul San Luca, e una alla Vuelta, sul traguardo di Murcia. A coronare il tutto, Simon ha colto un eccellente 10° posto mondiale, oltre ad un paio di successi minori, che hanno reso il 2009 la miglior stagione della sua carriera. Dato che Gerrans è parso all’apice della maturità nella passata stagione, le potenzialità per un 2010 di pari livello ci sono, anche se all’interno del Team Sky vedrà forse ridursi il suo spazio, a vantaggio di ingombranti compagni di squadra.
EDVALD BOASSON HAGEN: VOTO 7
È doveroso precisare che si sta parlando solamente delle classiche di primavera, e non sono perciò da considerarsi lo strepitoso Giro d’Italia (specialmente nella prima parte), la vittoria ai campionati nazionali norvegesi a cronometro e quella al Giro del Benelux e l’imbarazzante dominio al Giro della Gran Bretagna (4 vittorie di tappe e classifica finale). Ecco perché, dunque, una delle stelle esplose in maniera più clamorosa nel 2009 prende “solo” un 7, frutto della vittoria alla Gand – Wevelgem, grazie ad una lunga fuga e ad una secca azione su Kemmelberg. L’affermazione in terra belga è arrivata peraltro a dispetto di una volata condotta in modo a dir poco osceno, iniziata a 400 metri dall’arrivo, probabilmente per eccesso di sicurezza; talmente tremenda da aver quasi permesso di vincere a Kuschynski, eccellente passista, ma velocista buono al massimo per rivaleggiare con Ivan Basso.
Se il 2009 è stato da 7 nelle classiche, esiste invece la concreta possibilità che nel 2010 il passistone di montagna (viene da Lillehammer, sede della più grande edizioni di sempre dei Giochi Olimpici Invernali, nel 1994) riesca ad estendere anche alle grandi corse di primavera il predominio che ha più volte mostrato in corse minori: Boasson Hagen è veloce, è fortissimo sul passo, tiene bene sulle salite brevi e decentemente su quelle più lunghe e ripide. Teoricamente, solo Lombardia e Liegi appaiono fuori dalla sua portata, ma anche per queste ultime non mettiamo la mano sul fuoco, visto che questo già fuoriclasse ha 22 anni, e quindi tutto il tempo del mondo per migliorare anche nei suoi (pochi) punti deboli.
ALEJANDRO VALVERDE: VOTO 4
Inesistente. Il voto può sembrare forse eccessivamente penalizzante, ma non ci sentiamo di dare di più ad un corridore che ha bucato completamente la settimana che, assieme alla Vuelta e al Mondiale, rappresentava il culmine della sua stagione, in mancanza del Tour de France, a causa dei famigerati chilometri su suolo italiano della tappa di Le Grand-Bornand.
In tre gare corse da favorito o quasi, Valverde non è andato oltre un 7° posto alla Freccia – Vallone, un 19° alla Liegi e un 21° all’Amstel Gold Race. Poco, troppo poco per chi ad ogni corsa o quasi si presenta con i galloni di favorito, specie sulle Ardenne, specie in un anno particolare come è stato per lui il 2009, specie in corse che ha già vinto (Freccia e Liegi) o in cui è già salito sul podio (Amstel). Il bilancio della stagione, malgrado un altro fallimento in occasione della corsa iridata, è stato salvato dal successo alla Vuelta, ma limitandosi alle classiche di primavera il giudizio sul murciano non può che essere pesantemente insufficiente.
Matteo Novarini
ADDIO 2009….
gennaio 14, 2010 by Redazione
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All’inizio di una nuova stagione di corse, ilciclismo.it vi offre una vista retrospettiva sul 2009 ciclistico.I pagelloni complessivi degli scorsi dodici mesi vi permetteranno di rivivere, attraverso giudizi più o meno positivi, quanto accaduto lungo le strade di mezzo mondo.In questo primo capitolo prendiamo in esame le tre grandi corse a tappe del calendario internazionale, dai protagonisti ai percorsi.
ALBERTO CONTADOR: VOTO 8
Parlando di Grandi Giri, non si può non partire da Alberto Contador, l’uomo che al Tour de France ha dimostrato di essere indiscutibilmente, ora come ora, il numero uno al mondo sulle tre settimane. Alla Grande Boucle, unico GT cui il madrileno ha preso parte, Contador è stato semplicemente inarrestabile: ha staccato tutti in salita, ha battuto perfino Cancellara nell’unica lunga cronometro individuale, ha conquistato perfino la cronosquadre. Insomma, fatta eccezione per la dormita nella tappa di La Grande-Motte, con cui ha regalato una quarantina di secondi ad Armstrong (meno male: altrimenti non sarebbe stato neppure costretto ad attaccare nella tappa di Verbier, facendo così scivolare via la corsa in maniera ancor più anonima di quanto già non sia stata), il suo Tour è stato pressoché perfetto. Anzi, la sensazione netta è stata che, malgrado i 4’ e oltre rifilati al secondo, Andy Schleck, Alberto si sia tenuto spesso (leggasi: a Le Grand Bornand e sul Mont Ventoux) un discreto margine, rinunciando ad altri successi parziali e a scavare un abisso in classifica.
Perché allora solo 8? Perché accanto a questo Tour perfetto c’è stato il vuoto. Proprio perché è in grado di vincere una Grande Boucle da dominatore, Contador avrebbe probabilmente la possibilità di riuscire nell’accoppiata Giro – Tour che manca dal 1998, o quanto meno avrebbe potuto tentare il bis nel GT di casa alla Vuelta. Invece, con un preoccupante principio di “armstrongizzazione”, Alberto ha scelto di puntare solo su corse minori, per quanto prestigiose, quali Parigi – Nizza e Delfinato, di cui il secondo corso quasi da gregario di Valverde. Peccato, perché la concorrenza che ha demolito al Tour è parsa molto più agguerrita di quella che avrebbe fronteggiato al Giro o alla Vuelta.
ANDY SCHLECK: VOTO 7,5
A differenza di Contador, lui ha preso parte anche ad un secondo GT, la Vuelta Espana. Tuttavia, ci rifiutiamo di considerare la sua partecipazione all’ultimo grande giro della stagione, ritenuto che quello visto in terra spagnola non poteva essere lo stesso tizio con la stessa maglia e lo stesso nome dell’Andy Schleck che ha attaccato in tutti i modi Contador sulle strade del Tour. Anche per lui, dunque, ci dobbiamo basare unicamente sulla Grande Boucle; una Grande Boucle corsa bene, con coraggio, anche se forse con un occhio di riguardo al fratello Frank, certamente lodevole moralmente, ma deleterio in chiave agonistica. Proprio questo fattore gli ha negato una probabile vittoria di tappa sul Mont Ventoux (dubitiamo che Contador, che probabilmente non si sarebbe staccato, avrebbe alla fine sprintato), che avrebbe aggiunto qualcosa ad un Tour comunque decisamente positivo.
Non consideriamo, naturalmente, aspettando di farlo in seguito, la meravigliosa vittoria alla Liegi – Bastogne – Liegi, che farebbe schizzare alle stelle, anche e soprattutto per le sue modalità, la valutazione della stagione di Andy.
LANCE ARMSTRONG: VOTO 8,5
Non ce ne vogliano i suoi numerosissimi detrattori, ma il voto più alto tra gli specialisti dei GT lo prende Lance Armstrong, che ha saputo disputare, alla veneranda età di 38 anni, un GT di buon livello (il Giro), malgrado un grave infortunio a poche settimane dall’appuntamento, e uno straordinario (il Tour), che lo ha visto tornare sul podio, contro i pronostici di chi vedeva la sua rentrée come una mera manovra pubblicitaria. Ovviamente, è stato subito chiaro, sin dai primi giorni di Tour (non consideriamo il Giro per via del precedente infortunio cui abbiamo accennato), che l’Armstrong degli anni d’oro era tutt’altra cosa: ha pagato nella crono d’apertura, e, dopo la maglia gialla sfiorata e sfumata per pochi centesimi nella cronosquadre, si è staccato da Contador sulle non proibitive rampe di Arcalis, nonostante una frazione affrontata a passo cicloturistico. Con il passare dei giorni e delle salite, le difficoltà dell’americano, sono parse ancor più evidenti: attardato a Verbier, in difficoltà sul Piccolo San Bernardo, strabattuto ad Annecy a cronometro, nella specialità che un tempo dominava, staccato di oltre 2’ nel tappone di Le Grand Bornand. Eppure, grazie alla regolarità, alla tenacia, e anche ad un ritmo non proprio forsennato degli avversari sul Mont Ventoux, il texano è riuscito a tornare sul podio della corsa che più ama, quattro anni dopo l’ultimo trionfo giallo, e soprattutto dopo tre stagioni di inattività. Un risultato che vale sportivamente non meno di ciascuna delle sue sette vittorie, e forse, umanamente, anche qualcosa di più.
DENIS MENCHOV: VOTO 7,5
Dr. Jekyll e Mr. Hyde di questo 2009, perlomeno a livello di Grandi Giri. Il suo 7,5 è una media tra il 10 del Giro e il 4 del Tour, con l’aggiunta di un mezzo punto di bonus per la vittoria alla Corsa Rosa. In maggio, Menchov è stato pressoché perfetto: dominatore a cronometro, granitico in salita. Danilo Di Luca, l’uomo che, prima che il ciclone doping lo investisse, a detta di molti luminari del pedale, era il “vincitore morale” della corsa, non è mai riuscito a staccarlo in montagna, e ha preso sonore sberle a cronometro. E’ stato alla fine più forte anche della sfortuna, quella che lo ha fatto scivolare all’ultimo chilometro dell’ultima tappa, e della sua stessa disattenzione, che gli ha fatto perdere una manciata di secondi a Valdobbiadene.
Al Tour, lo zar d’Italia è stato irriconoscibile: lentissimo a cronometro, perennemente staccato e in affanno in salita. Tanto più che, a differenza del pur disastroso (in Francia, s’intende) Cadel Evans, non ha neppure mai tentato di dare un senso al suo Tour con un’azione da lontano, come quella che l’australiano ha intrapreso sull’Envalira nella frazione di Saint-Girons. E non possiamo giustificare la sua orribile Grande Boucle semplicemente con il Giro corso a tutta, perché anche nel 2008 il corridore del Rabobank aveva puntato forte sulla Corsa Rosa, chiudendo poi però anche il Tour nei primi cinque. La speranza è dunque che Menchov non dia eccessivo peso alla débacle di luglio, e decida di tornare al Giro a difendere la maglia rosa conquistata alla grande in questo 2009. Certo, in questo senso, un tracciato un po’ meno sbilanciato non avrebbe guastato. Ma questo è un altro discorso…
CADEL EVANS: VOTO 6,5
A livello di GT, la stagione di Evans è stata molto simile a quella di Menchov: malissimo (ma non così tanto) al Tour, benissimo (ma non così tanto) nel GT “di riserva”, nel suo caso la Vuelta. La differenza sta nel fatto che i picchi di Evans, nel bene e nel male, sono stati inferiori: non ha fatto ridere al Tour, perlomeno fino alle Alpi, non ha entusiasmato alla Vuelta, anche se, senza lo sciagurato e inaccettabile incidente di Sierra Nevada, forse la maglia oro di Valverde sarebbe stata in bilico fino alla fine.
Non rientra nella nostra valutazione la sua splendida vittoria al Mondiale di Mendrisio, che ci suggerisce però una considerazione in chiave 2010. È vero che Evans, nella prossima stagione, avrà 33 anni; altrettanto vero è però che, finora, l’australiano ha dovuto fare i conti con una sorte mai troppo favorevole, e con una fiducia nei suoi mezzi forse inferiore al giusto. Con la maglia iridata addosso, chissà che Cadel non possa trovare la sicurezza necessaria per sfatare anche il tabù GT, cosa che non gli è riuscita nemmeno alla Vuelta, malgrado l’assenza di tutti coloro che nelle passate stagioni gli avevano negato il successo finale.
IVAN BASSO: VOTO 7
Per uno che non correva da due anni, non c’è male. Per uno che sia al Giro sia alla Vuelta è partito con l’idea di vincere, il discorso è un po’ diverso. Facendo una media tra l’8 che dovremmo assegnargli nella prima ottica e il 6 della seconda, viene fuori un 7 che rispecchia abbastanza bene la stagione di Ivan Basso. Partito da Venezia con grosse aspettative, giustificate dal precedente successo al Giro del Trentino, l’Alpe di Siusi sembrava confermare il suo status di corridore più forte e solido in salita. Status che ha però iniziato a vacillare già a Pinerolo, per poi crollare sugli Appennini, dove Ivan ha messo in mostra una buona fantasia e un discreto coraggio (soprattutto nella tappa di Faenza; nella tappa del Petrano c’era il terreno per fare di più).
La storia si è ripetuta pressoché analogamente alla Vuelta, dove il varesino è stato il corridore più intraprendente (non che fosse cosa particolarmente complicata, vista la concorrenza quanto mai passiva e attendista), non riuscendo però mai a fare la differenza in montagna.
Certo, Basso, fatta eccezione per la versione sospetta del 2006, non è mai stato un corridore esplosivo, capace di fare il vuoto in salita. Il problema è che Ivan ha però fatto non uno ma dieci passi indietro a cronometro, dove ha di fatto perso il podio in entrambi i GT disputati. Non è facile dire se la cosa dipenda da una preparazione difettosa o da un fisiologico calo dovuto all’età e all’assenza di competizioni. Quello che è invece facilissimo capire è che, a meno di non ritrovare lo smalto del 2005 nelle prove contro il tempo (ci sentiamo di escludere clamorosi miglioramenti in montagna per un 32enne), Basso per vincere ancora un Grande Giro, potrà solo sperare in un lotto partenti modesto o in un’ecatombe di favoriti.
ALEJANDRO VALVERDE: VOTO 7
Non è facile dare un voto alla stagione di Valverde relativamente ai GT: è vero che ha vinto l’unico che ha disputato, ma è altrettanto vero che quell’”unico” era anche il meno prestigioso e competitivo, e che non si può ignorare la ragione per cui non ha preso parte anche al Tour de France. Alla fine optiamo per un 7. In sostanza, rispetto a Contador, anch’egli vincitore dell’unico GT disputato, mezzo punto di differenza è dovuto al diverso peso delle due vittorie (non solo per prestigio delle due corse, ma anche per come sono state conquistate), l’altro mezzo al motivo per il quale Valverde non ha potuto prendere parte al Tour.
D’altro canto, è pur vero che Valverde, pur mai dominante in salita e molto fortunato nel suicidio di Evans e della Silence-Lotto, ha gestito ottimamente le proprie energie nell’arco delle tre settimane, non andando mai realmente in difficoltà, e dando l’impressione di poter perdere la corsa solo nella tappa di Sierra de la Pandera, quando alla fine ha invece di fatto chiuso il discorso. Da notare soprattutto le ottime difese contro il tempo del murciano, che conoscevamo come specialista dei prologhi, ma certamente non come atleta in grado di chiudere al 7° posto una cronometro di 28 km (quella di Toledo del penultimo giorno). Proprio questi progressi fanno pensare che nel 2010 per Valverde possano schiudersi finalmente le porte di un Tour de France da vero protagonista per la classifica generale, fino alla fine. Fermo restando che, a meno di un clamoroso forfait di Contador, è altamente probabile che anche l’anno prossimo, in Francia, si lotti per il 2° posto.
FRANCO PELLIZOTTI: VOTO 8
Un podio al Giro e un Tour da protagonista, anche se mai in lotta per la classifica generale. A 31 anni, Franco Pellizotti ha vissuto nel 2009 la migliore stagione della sua carriera, prendendosi la rivincita per quel podio sfumato per 2’’ al Giro 2008, e sfiorando a più riprese il successo di tappa al Tour, conquistando maglia a pois e numero rosso di “super-combatif” della Grande Boucle.
Forse l’8, se rapportato agli altri voti che abbiamo assegnato fin qui, farà storcere il naso a qualcuno, ma crediamo che ogni risultato vada rapportato alle aspettative e ai mezzi del corridore. Quando Pellizotti, ad inizio Giro, dichiarava di partire con gli stessi gradi di Ivan Basso, in pochi gli davano credito, ritenendo potesse rappresentare al più una valida alternativa o una spalla di lusso al varesino. E invece no, Pellizotti ha fatto meglio di Basso in classifica generale, e ha colto quel successo di tappa che a Ivan è sfuggito, conquistando il traguardo del Blockhaus con un coraggioso attaccato ai -15 dall’arrivo.
Allo stesso modo, Franco era per tutti destinato ad un Tour in seconda linea, tentando qualche sortita di tanto in tanto per andare in caccia di qualche traguardo parziale. Il friulano ha invece praticamente passato tre settimane al vento, sempre in fuga, fallendo di un nulla la vittoria nell’orrore – pardon, tappa – di Tarbes, e restando con i big nell’unica occasione in cui ci ha veramente provato, sul Mont Ventoux (anche se, per quella circostanza, è difficile dire se sia più merito di Pellizotti o del ritmo cicloturistico tenuto dai big nella seconda metà di salita, che avrebbe offerto qualche chance di rientro anche al peggior Olaf Pollack). Insomma, una stagione da protagonista, che, alla luce dei percorsi di Giro e Tour del prossimo anno, che strizzano entrambi l’occhio agli scalatori, per Franco non è utopia pensare di replicare.
DANILO DI LUCA: VOTO 7,5/VOTO 4
Il motivo del doppio voto crediamo sia abbastanza evidente. Se fingessimo di non sapere ciò che è successo dopo, non potremmo non assegnare a Di Luca un voto più che positivo per il suo grande Giro d’Italia. Come abbiamo avuto modo di dire a suo tempo (ossia subito dopo la conclusione della Corsa Rosa), non siamo certamente tra quanti pensavano che Danilo fosse il vincitore morale del Giro per il solo fatto che Menchov non ha mai attaccato (e perché mai avrebbe dovuto, potendosi permettere di non farlo?). Tuttavia, i successi parziali di San Martino di Castrozza e Pinerolo, i 7 giorni in rosa e il 2° posto finale erano più che sufficienti per parlare in termini entusiastici del Giro di Di Luca.
Poi, però, è arrivata la CERA, è arrivata la sua positività, anzi doppia positività (dopo le tappe di Arenzano e Benevento), confermata dalle controanalisi, è arrivato il licenziamento dalla LPR, arriverà una squalifica che per un 33enne significa con ogni probabilità la fine della carriera. Fine triste per chi ha passato tre settimane a proclamarsi come il campione della gente e dello spettacolo, non senza una abbondante dose di presunzione. Se questi erano i mezzi per offrire quei presunti fuochi d’artificio, avremmo preferito qualche scatto in meno e qualche sbadiglio in più.
CARLOS SASTRE: VOTO 5,5
Fosse un altro, un 4° posto (moralmente 3°) al Giro e due successi parziali, uno dei quali nella tappa regina, basterebbero tranquillamente per garantirsi un’ampia sufficienza. Però non stiamo parlando di “un altro”, ma di Carlos Sastre, il vincitore del Tour de France 2008, l’eroe dell’Alpe d’Huez, dell’uomo dei 5 piazzamenti nei 10 al Tour, di cui tre nei primi 5 consecutivamente. Sastre era arrivato al Giro per vincere, e se non ci è riuscito è sì, in parte, a causa di un percorso molto morbido, ma anche di défaillance inspiegabili come quelle dell’Alpe di Siusi o del Blockhaus. Soprattutto, si era presentato al via della Grande Boucle, a Monaco, con analoghi intenti rispetto alla Corsa Rosa, ottenendo però risultati non solo inferiori, ma quasi catastrofici: sempre attardato in salita, mai all’attacco prima del tappone di Le Grand-Bornand, dove è rimbalzato indietro sul Col de Romme come l’ultimo dei Soler (con tutto il rispetto per il colombiano).
È vero che gli anni passano per tutti, ma nel caso di Sastre non si può liquidare la cosa semplicemente come il calo dovuto agli anni che passano: un corridore a fine carriera non stacca tutti sul Petrano come ha fatto lui, né fa il vuoto sul Vesuvio staccando di forza Ivan Basso. Il problema, specialmente al Giro, è stato più che altro la continuità, cosa che stupisce se pensiamo alla carriera del leader del Team Cervélo. Per sua fortuna, per il 2010 Zomegnan e Prudhomme gli sono involontariamente venuti incontro, proponendo percorsi a lui adattissimi; l’occasione giusta per stabilire quanto Sastre può ancora effettivamente dare.
MARK CAVENDISH: VOTO 9
In una sfilza di corridori da grandi giri, ecco l’intruso, che finisce per soffiare loro il voto più alto, in virtù soprattutto di un Tour de France clamoroso. Dopo un Giro d’Italia ottimo, anche se “macchiato” (per chiunque altro sarebbe la cosa più normale del mondo, per Cavendish è un fatto straordinario) dalla sconfitta patita da Petacchi in occasione del primo confronto tra i due, sul traguardo di Trieste, terminato con tre successi parziali, Cannonball ha costruito in terra francese quello che è finora il capolavoro della sua carriera, inanellando sei perle su altrettante possibilità (non consideriamo il traguardo, per lui decisamente troppo duro, del Montjuic). Nulla ha potuto una schiera di avversari che, Petacchi a parte, racchiudeva tutto il gota dello sprint mondiale: da Hushovd a Freire, da Bennati a Farrar. Ecco perché, anche nell’anno del rientro in grande stile di Armstrong e della definitiva consacrazione di Contador come il più grande corridore da GT del pianeta, il voto più alto di questa prima tranche di giudizi, dedicata solamente ai Grandi Giri, se lo prende un velocista.
PERCORSO TOUR DE FRANCE: VOTO 5
Avevamo la tentazione di assegnare un voto anche più basso; poi abbiamo pensato che forse, senza la Astana superlativa del 2009, avremmo assistito ad una corsa completamente diversa, e tappe come quelle di Colmar e Arcalis sarebbero risultate decisamente più battagliate. Perciò ci limitiamo ad un 5, che vuole comunque sottolineare la scarsità di spunti fornita dal tracciato francese, con Pirenei al limite del ridicolo, una tappa sui Vosgi come sempre con le salite troppo lontane dall’arrivo (anche se l’orrore di Mulhouse 2005 resta ineguagliato) e Alpi selettive, ma probabilmente insufficienti a compensare la carenza di montagne delle prime due settimane.
È giusto rimarcare il tentativo, da parte di Prudhomme e soci, di provare ad aggiungere un po’ di pepe al tracciato lavorando di fantasia. Fantasia che è però stata a nostro avviso mal riposta: il Col d’Agnès è una salita che merita di essere riproposta, ma che a 44 km dal traguardo non può dire più di tanto; l’inedito arrivo di Verbier, se non fosse stato per un Contador trascendentale, avrebbe generato distacchi di poche decine di secondi, a differenza di quanto sarebbe accaduto inasprendo i chilometri precedenti (e non era necessario chissà quale sforzo di ingegno); la tappa di Bourg-Saint-Maurice sarebbe stata ben altra cosa se fosse stato inserito, prima del Piccolo San Bernardo, il Colle di San Carlo, o se l’arrivo fosse stato posto, come da anticipazioni precedenti, a Les Arcs (che, tra l’altro, è una frazione della stessa di Bourg-Saint-Maurice). Il tutto senza considerare l’indegna frazione di Tarbes, salvata solo in minima parte dalla bella fuga di Fédrigo e Pellizotti, e non completamente compensata dalla piacevole novità del Ventoux al penultimo giorno.
La notizia positiva è che Prudhomme & co. sembrano aver imparato dai loro errori, e per il 2010 hanno proposto un percorso completamente diverso, su cui abbiamo già avuto modo di esprimerci in maniera più che positiva.
PERCORSO GIRO D’ITALIA: VOTO 5,5
Pur leggermente migliore di quello del Tour (non che fosse un’impresa), il percorso del Giro 2009 merita a nostro avviso un giudizio comunque insufficiente. Non è necessariamente un male non essere arrivati a Milano, così come la scelta di scalare prima le Alpi e poi gli Appennini non era di per sé sbagliata in partenza. Purtroppo, però, le tanto decantate Dolomiti anticipate, quelle che teoricamente avrebbero dovuto costringere tutti ad arrivare al Giro già al top della forma, hanno di fatto creato distacchi nulli o quasi, non completamente giustificabili con la scarsa belligeranza dei corridori. Passi per la Cuneo – Pinerolo che, così modificata, non aveva forse nemmeno ragione di esistere (anche se siamo del parere che con il percorso classico avremmo assistito ad un nulla di fatto o quasi), non per la scelta di proporre una tappa con una sola salita, per di più non certo letale, come teatro della sfida finale in montagna (e vista lo stato di classifica, un duello Di Luca – Menchov in un tappone vero sarebbe stato ancor più entusiasmante). È stato chiaro che Zomegnan e soci hanno tentato di compensare l’assenza di veri tapponi alpini con la cavalcata del Petrano: tracciato splendido (anche se sfruttato solo in parte dai corridori), ma di per sé non sufficiente a compensare l’assenza delle grandi montagne alpine.
Insomma, pur apprezzando l’idea di base di proporre un tracciato diverso dal solito, il percorso non arriva alla sufficienza. Viene da chiedersi peraltro se il Giro del Centenario fosse proprio l’occasione più giusta per sperimentare, e per mettere da parte Stelvio, Pordoi, Gavia e via discorrendo. Forse sarebbe stato più opportuno ricercare questa ventata di novità nel 2010, quando invece si tornerà ad un Giro molto più classico, che ricorda molto da vicino quelli del 2006 e del 2008. Semmai, la novità starà nel fatto che mai come nel 2010 la cronometro giocherà un ruolo pressoché nullo nell’assegnazione della maglia rosa. Novità di cui, francamente, avremmo fatto volentieri a meno.
PERCORSO VUELTA ESPANA: VOTO 7
Chiudiamo con l’ultimo GT della stagione, che si aggiudica, soprattutto in virtù di una concorrenza non certo feroce, la palma di miglior percorso del 2009. Ad onor del vero, anche la corsa spagnola non è stata esente da pecche, frutto però principalmente della necessità di non far fuggire verso altri lidi coloro che puntano al Mondiale. Si spiegano infatti in quest’ottica sia l’assenza di veri tapponi di montagna, con tanti colli e dislivello elevato, sia la solita terza settimana in tono minore, dovuta principalmente all’avvicinamento della prova iridata alla conclusione della Vuelta. Quella di sacrificare il livello tecnico del percorso, per avere qualche grande nome in più, anche tra coloro che non possono lottare per la maglia oro, è una scelta che forse si può non condividere, ma certamente comprensibile. Per il resto, l’unica nota negativa è stata rappresentata dalle cinque tappe per velocisti consecutive, senza grosse possibilità di variazione sul tema, prima di una frazione davvero significativa in ottica classifica generale.
Accanto a tali difetti, non possono però non essere sottolineati i cinque arrivi in salita, la buona ripartizione dei chilometri a cronometro, le tappe intermedie della seconda parte di corsa, di cui a dire il vero i corridori hanno approfittato solamente in minima parte. Se la combattività è stata abbastanza scarsa, dunque, la colpa non può essere attribuita agli organizzatori: il terreno per provarci c’era tutto.
Matteo Novarini
IL TOUR 2010 PASSA L’ESAME
ottobre 15, 2009 by Redazione
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Promozione, anche se non piena, per il Tour de France 2010. Abbiamo preso in esame le singole tappe montane, le tre settimane di gara e le cronometro e, in nessun caso, abbiamo assegnato voti inferiori al 6. Si va dal 9 attribuito sia complessivamente al Tour, sia alle frazioni pirenaiche, alla sufficienza “politica” delle tappe risultate meno apprezzate dagli “irriducibili” dei tapponi monstre a tutti i costi. Prudhomme ha compreso d’aver disegnato un’edizione 2009 troppo blanda ed è corso ai ripari e non lo dimostrano solo gli scarni dati numerici del 97° Tour de France.
PRIMA SETTIMANA: VOTO 7
Andiamo con ordine, e iniziamo con un voto generico alla prima settimana di Tour. Prima settimana che, naturalmente, non è da intendersi rigidamente come i primi sette giorni, e che facciamo pertanto terminare con l’arrivo a Les Rousses, nella 7a tappa. Nel complesso, possiamo dire che il programma è molto più appetitoso delle tradizionali prime settimane del Tour. Dopo un avvio molto classico, con un prologo di 8 km, la prima e gradita variazione sul tema delle full immersion di pianura in avvio arriva già alla 2a tappa, con la Bruxelles > Spa, frazione vallonata che ricalca in parte le strade della Liegi, con l’ultimo GPM a 12 km dal traguardo.
Già qui saremmo in netto vantaggio rispetto ad altre edizioni, ma gli organizzatori hanno deciso di rincarare la dose, proponendo il giorno dopo 13,2 km di pavé lungo i 207 km da Wanze ad Arenberg Porte du Hainaut. Il pavé mancava dal 2004, ma soprattutto, a differenza di allora, i settori saranno molto più vicini al traguardo, con il tratto di Haveluy ad appena 10 km dal termine. Certo, affrontare dei tratti in pavé, che il gruppo prenderà a tutta, e con un numero di corridori con interesse a stare davanti ben maggiore di quello della Roubaix, può rappresentare un grosso rischio, specie in caso di mal tempo. Tuttavia, se tante volte in passato si è rinfacciato ad ASO di non saper osare, questa volta dobbiamo lodare la volontà di innovare, di proporre un canovaccio un po’ diverso da quello tradizionale.
Infine, dopo tre tappe pianeggianti, la fase interlocutoria – che in realtà in questa occasione lo sarà molto meno del solito – terminerà con l’arrivo a Les Rousses (in realtà nella vicina Lamoura), stazione sciistica del Giura, al termine di una tappa molto mossa. Insomma, una prima settimana cui forse manca la grande innovazione (anche il pavé, in fin dei conti, era già stato sperimentato cinque volte), come potrebbe essere un arrivo in salita duro (Lamoura è molto morbido) dopo pochi giorni, ma che si presta certamente ad una corsa vivace.
STATION DES ROUSSES > MORZINE-AVORIAZ: VOTO 7
Il primo contatto con l’alta montagna arriverà domenica 11 luglio, con le scalate al Col de la Ramaz, alla Cote des Gets e alla stazione sciistica di Avoriaz, sopra Morzine. Tappa non durissima, ma nel complesso ben congeniata, anche se chiaramente con il Joux-Plane, per di più senza fasi interlocutorie tra la fine della discesa e la salita finale, sarebbe stata un’altra cosa. Va detto che, con una classifica che sarà a quel punto probabilmente corta (a meno di sorprese, che potrebbero venire soprattutto dalla tappa del pavé), difficilmente qualcuno azzarderà un’azione coraggiosa già dalla prima salita, per quanto la vetta sia ad appena 35 km dal termine. La frazione resta però un approccio alle montagne più duro di Arcalis 2008, probabilmente la più dura dal 2002 (quando si scalò l’Aubisque prima dell’arrivo in quota a La Mongie). Considerato poi che la prima tappa di montagna – a meno che non sia affrontata ad andature ridicole come l’anno passato – genera storicamente distacchi pesanti, possiamo promuovere ampiamente questa prima frazione alpina del Tour 2010.
MORZINE > SAINT-JEAN-DE-MAURIENNE: VOTO 6
Sufficienza stiracchiata per la seconda e penultima tappa alpina (di fatto è però l’ultima, visto che la Chambéry > Gap è a tutti gli effetti una frazione di media montagna). Due le ragioni per cui il percorso non ci convince appieno. In primo luogo, le indiscrezioni, fino a ieri, parlavano di La Toussuire come sede d’arrivo. In tal caso, saremmo stati in presenza del classico tappone privo di salite proibitive, ma dal dislivello imponente, che avrebbe fatto naturalmente selezione. Di fatto, ci troviamo invece di fronte la stessa tappa, ma priva dell’ascesa finale. In seconda battuta, dalla fine della discesa della Madeleine al traguardo mancheranno ancora 13, pericolosissimi km, che potrebbero scoraggiare tentativi da parte dei big. Tanto più che il colle verrà approcciato dal versante meno nobile, da La Léchère, con un paio di tratti di respiro piuttosto lunghi.
La sufficienza viene comunque garantita dall’elevatissimo dislivello (4500 metri circa), anche se purtroppo concentrato in gran parte nella prima metà di gara (i primi tre GPM sono concentrati nei primi 97 km, su 204 complessivi).
ALPI: VOTO 6,5
Sufficienza più che piena per le Alpi, ma nulla più. D’altro canto, nel Tour che doveva celebrare i 100 anni dei Pirenei, era naturale che la catena alpina venisse un po’ sacrificata, a meno di non voler trasformare la Grande Boucle in un “tour des stations de ski françaises” (per parafrasare quanto disse Mario Cipollini relativamente al tremendo Giro 1999). Certo, l’arrivo a La Toussuire avrebbe fatto scattare almeno un punto in più, ma con nemmeno 60 km a cronometro sarebbe forse stato troppo. Non aggiunge molto – nel complesso – la tappa di Gap, nulla più di una tappa da fughe (il facile Noyer nel finale non dovrebbe stuzzicare i big), ma tutto sommato meglio una frazione del genere che l’obbrobrio di Galibier e Izoard a 100 km dall’arrivo di cui si parlava nei giorni scorsi. Di certo, il Tour si deciderà altrove.

Christian Prudhomme presenta il tracciato della 97a edizione del Tour de France (www.ispaphoto.com)
REVEL > AX-3-DOMAINES: VOTO 8
Saltiamo a piè pari le tre frazioni (Bourg-les-Valence, Mende e Revel) che separano le Alpi dai Pirenei, malgrado la seconda offra diversi spunti interessanti, su cui torneremo alla fine, per andare direttamente al cuore del Tour 2010, alle quattro frazioni pirenaiche. Si comincia con una tappa che ricorda per certi versi quella di Avoriaz (lungo tratto pianeggiante iniziale, una salita dura ad una trentina di chilometri dal traguardo, arrivo in salita), ma probabilmente più adatta a fare selezione e distacchi. Il Port de Pailhères è più duro del Col de la Ramaz, e più vicino all’arrivo (28 km e mezzo contro 35), e la salita finale verso Ax-3-Domaines è più corta ma molto più ripida di quella di Avoriaz (7,8 km all’8,6% contro 13,6 km al 6,1%). In più, tra le due salite, in questo caso, non ci sarà neppure un metro di pianura, cosa che potrebbe incentivare enormemente gli attacchi sin dal penultimo colle.
Certamente non siamo in presenza di una tappa tremenda per numero di salite, pendenze estreme e dislivello, ma il disegno della frazione è ideale per scatenare la battaglia.
PAMIERS > BAGNERES-DE-LUCHON: VOTO 7
A dirla tutta, per collegare Pamiers e Bagnères-de-Luchon si poteva trovare qualcosa di meglio, come antipasto, di Portet d’Aspet e Col des Ares. Questa entrée un po’ fiacca viene però ampiamente compensata dalla azzeccatissima scelta di proporre nel finale, al posto del facile Portillon, il semi-inedito Port de Balès, scoperta di Prudhomme risalente 2007, che il patron della Grande Boucle ha avuto l’eccellente idea di riporre tre anni dopo. La salita, molto pedalabile nella prima metà, durissima nella seconda, terminerà ad appena 21 km dall’arrivo, praticamente tutti in discesa. Se nel primo Tour di Contador la salita era stata teatro di una poco entusiasmante processione dietro gli uomini di Rasmussen, giustificata solo in parte dalla presenza – subito dopo – del Peyresourde, è presumibile, oltre che auspicabile, che nel luglio prossimo il Balès vedrà invece attacchi decisi da parte dei pretendenti alla maglia gialla di Parigi.
BAGNERES-DE-LUCHON > PAU: VOTO 6
Probabilmente molti qui avrebbero sparato basso, bassissimo, di certo molto sotto la sufficienza. Nel complesso, noi invece non ce la sentiamo di bocciare in pieno questa tappa, anche se più di 6, ad una tappa che nel ciclismo moderno è condannata a non dire nulla (felicissimi eventualmente di essere smentiti), non si può dare. In primo luogo, la successione Peyresourde-Aspin-Tourmalet-Aubisque era d’obbligo, per rendere omaggio alla prima grande tappa pirenaica della storia, la Luchon > Bayonne del 1910, quella degli assassins. Non era pensabile riproporre integralmente quella tappa per via del kilometraggio (326 km), né porre l’arrivo in cima all’Aubisque, cosa che avrebbe fatto pendere troppo dalla parte degli scalatori l’ago della bilancia, in un Tour che sorride comunque ai grimpeur, e che avrebbe snaturato la tappa. L’arrivo a Pau rappresenta dunque un compromesso.
Inoltre, sempre nell’ottica di rendere omaggio ai Pirenei, la Luchon > Pau è forse in assoluto la tappa pirenaica per eccellenza, in coabitazione con quella dal tracciato identico, ma percorso nel verso opposto. Infine, troviamo che, se proposta una sola volta (e non 2, per di più consecutive, come nella passata edizione), una tappa “mal disegnata” possa avere una sua ragione, tanto più che questo poker potrebbe sempre punire corridori usciti male dalle prime due giornate pirenaiche, e resterà certamente nelle gambe in vista del gran finale. Insomma, non ci aspettiamo certamente rivoluzioni da questa tappa, ma è innegabile che contribuisca al senso di completezza che il tracciato 2010, dopo tanti anni (diremmo dal 2002) è tornato a dare.
PAU > COL DU TOURMALET: VOTO 9
Non è frutto di chissà quale innovazione o colpo di genio, non presenta salite estreme, di rampe inedite nemmeno l’ombra, ma la tappa del Tourmalet è giustamente la frazione regina del 97° Tour de France. Dimostrando una volta di più come per trovare lo spazio per arrivare in cima ad un colle basti molto spesso la volontà, Prudhomme riporta il Tour sulla sua salita simbolo (o perlomeno la più scalata) 36 anni dopo l’unico precedente, coronando in grande stile i festeggiamenti per i 100 anni dei Pirenei.
A dire il vero, la tappa, che prima dell’ascesa finale prevede il Marie-Blanque e il Soulor, entrambi dal versante più nobile, non sembra prestarsi più di tanto a ribaltare la corsa, visto il chilometraggio non esagerato, il dislivello tutto sommato non disumano, e soprattutto 40 km che separano la cima del penultimo colle dall’attacco dell’ultimo. Tuttavia, il solo Tourmalet, per di più dal versante più nobile di Luz-Saint-Sauveur, dovrebbe essere garanzia di spettacolo, o quanto meno è quanto di meglio si possa offrire per farlo. Se poi il totem verrà affrontato come il Ventoux lo scorso anno, certamente non sarà colpa di Prudhomme e compagni, che avranno proposto per l’ultima battaglia in alta montagna quello che è forse il miglior palcoscenico disponibile.
PIRENEI: 9
Si poteva anche fare di meglio, ma era molto più facile fare peggio: quattro tappe come nel 2003, ma complessivamente ancor più impegnative (e la tappa di Pau, per quanto rivedibile, batte 10-0 il vero scempio del Bagargui a 90 km dal traguardo di Bayonne), due arrivi in quota, nessuna salita inedita ma tante poco scalate nella storia del Tour (Pailhères, Ax-3-Domaines, Balès, Soulor da Nord anziché dai due versanti tradizionali). Insomma, visto che il centenario dei Pirenei non poteva prevalere sulla necessità di dare un certo equilibrio al tracciato, ci sentiamo di premiare l’operato degli organizzatori con un 9. Per arrivare al 10, ci sarebbe voluto qualcosa di più prima del Balès nella tappa di Luchon e un vero tappone da 200 km e più, che è probabilmente in assoluto la maggiore lacuna di un percorso comunque molto ben congeniato.
CRONOMETRO: VOTO 7
Siamo onestamente un po’ in difficoltà a giudicare le tappe a cronometro, visto che si tratta in pratica di valutare unicamente la frazione da Bordeaux a Pauillac. Tappa che avrà luogo nello splendido scenario della regione vinicola del Bordelais, e che, alla vigilia di Parigi, sarà l’ultimo ed inappellabile giudice del prossimo Tour de France. Nel complesso, è netta l’impressione che si sia voluto ridurre l’impatto delle cronometro sulla Grande Boucle, proseguendo un processo già avviato l’anno passato. Addirittura, questa volta non ci sarà neppure la cronosquadre a fare da contraltare alla diminuzione dei chilometri a cronometro individuali.
Generalmente, avremmo un po’ penalizzato una frazione di questo genere, dal momento che il profilo sarà quasi o del tutto piatto, ma questa volta sarebbe stato veramente troppo negare agli specialisti, nell’unica giornata a loro dedicata, il piacere di pedalare su un biliardo in asfalto.
TRACCIATO: VOTO 9
Ovviamente il voto è anche in parte simbolico, ma neppure troppo. Perché, a nostro giudizio, Prudhomme e compagni, per il 2010, hanno fatto davvero un lavoro eccellente. Certo, qualcosa da affinare ci sarebbe sempre. Innanzitutto, la cronometro appare fin troppo poca, e forse sarebbe stato meglio proporre due prove contro il tempo, più brevi e nervose, che una sola, molto lunga e non meno piatta, magari aggiungendo anche un arrivo in salita in più. La lacuna a nostro giudizio più importante è però quella relativa all’assenza di un vero e proprio tappone di montagna, alpino o pirenaico, con chilometraggio superiore ai 200 km e dislivello intorno ai 5000 metri. Identikit che sarebbe stato pienamente soddisfatto dalla frazione della Madeleine, se solo il traguardo fosse stato a La Toussuire.
Tuttavia, si tratta di difetti non eccessivamente gravi, che sono soprattutto compensati da alcuni elementi innovativi o comunque inusuali, quali il pavé, il Giura, il Massiccio Centrale, l’arrivo sul Tourmalet, il ritorno ad Avoriaz, il Balès per la prima volta proposto come salita decisiva. Insomma, mettendo su un braccio gli aspetti positivi e sull’altro quelli negativi, la nostra ideale bilancia pende decisamente dalla parte dei primi. Disegnare un percorso perfetto è probabilmente impossibile, e Prudhomme e compagni non ci sono riusciti, né si può dire che ci siano arrivati vicini. Proporne uno ottimo invece è possibile, e gli organizzatori, questa volta, ci sono pienamente riusciti.
Matteo Novarini
PAGELLE MONDIALI 2: EVANS ALLE STELLE, SPAGNA ALLE STALLE
ottobre 1, 2009 by Redazione
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Promozione piena per il vincitore del mondiale, una valutazione che va oltre al risultato, conseguito contro tutte le circostanze. Fa da contraltare l’esordio negativo di Josè Luis De Santos al timone della Spagna, nazionale che non imbrocca un mondiale dal 2004 e la cui prestazione non è risollevata nemmeno dalla medaglia di bronzo conseguita da Joaquim Rodríguez, comunque uno dei migliori interpreti della prova iridata. Da applausi anche le prestazioni di corridori del calibro di Boonen e Greipel, che la logica – considerate le caratteristiche del circuito di Mendrisio – non li avrebbe fatti prendere in considerazione dai rispettivi commissari tecnici. Decisamente sotto tono le prestazioni di due uomini particolarmente attesi al varco, lo spagnolo Valverde e il lussemburghese Andy Schleck.
CADEL EVANS: VOTO 10
In un colpo solo cancella una carriera di grandi vittorie sfiorate, si rifà del tutto o quasi delle tante sconfitte sul filo di lana e smentisce quelli che credono alle maledizioni sportive. Il tutto proprio nella corsa che per molti (noi compresi) non avrebbe mai potuto vincere, perché era troppo lento allo sprint e non sarebbe mai riuscito a staccare tutti in salita, e dopo un 2009 in cui, per la prima volta, aveva toppato clamorosamente il Tour de France. La cattiva stella di Cadel sembrava più viva che mai, peraltro, visto come ha dovuto dire addio ai sogni di gloria alla Vuelta appena conclusasi.
Invece, a 4 km dal traguardo di quello che era probabilmente l’ultimo Mondiale in cui Evans avrebbe potuto dire la sua, l’australiano si è lasciato alle spalle fantasmi e avversari con una progressione irresistibile, sin sul traguardo, dove, un po’ per incredulità un po’ per stanchezza, non ha neppure alzato le braccia. Una stoccata straordinaria, per potenza e scelta di tempo. Il nostro ruolo ci imporrebbe l’assoluta imparzialità; sfidiamo però a trovare un qualsiasi appassionato che, avendo visto sfumare la possibilità del quarto mondiale azzurro consecutivo, non abbia accolto con un sorriso il successo della personificazione del concetto di classe operaia nel ciclismo.
ALEKSANDR KOLOBNEV: VOTO 9
Due podi negli ultimi tre Mondiali, cui si va aggiunta, vista la squalifica di Rebellin, la medaglia di bronzo di Pechino. Resta da capire come un corridore che ottiene risultati del genere possa poi faticare ad essere protagonista nelle classiche, ma ormai è evidente che ci troviamo di fronte ad un grande atleta.
Coperto fino all’ultima tornata, nel finale è stato iperattivo: è andato a riacciuffare Vinokourov sull’Acqua Fresca, ha rilanciato, vivendo per qualche secondo l’ebbrezza di guidare da solo un campionato del mondo; ha quindi azzeccato l’azione buona, che gli è valsa un 2° posto, senza rimpianti, due anni dopo quello di Stoccarda. Contro un Evans così, era davvero il massimo.
JOAQUIN RODIRGUEZ: VOTO 9
Se al Mondiale ci fosse il premio per la combattività come al Tour de France, lo vincerebbe a mani basse. È stato lesto ad inserirsi nel tentativo promosso da Scarponi a 100 km circa dal traguardo, e, quando dietro hanno iniziato ad inseguire per davvero (con l’inspiegabile apporto dei suoi compagni di squadra), è stato l’ultimo ad arrendersi. Non pago, è riuscito a rimanere davanti sullo scatto di Cancellara sull’Acqua Fresca, ed è stato prontissimo ad inserirsi nel terzetto che si sarebbe poi giocato il titolo.
Dopo una giornata tutta all’attacco, contro Evans e Kolobnev non poteva fare di più. Semmai, viene il dubbio che se gli fosse stata data fiducia, e la Spagna avesse appoggiato l’azione che ha rischiato di sconvolgere la corsa, oggi il 30enne di Parets del Vallès starebbe festeggiando qualcosa di più di una medaglia di bronzo.
PHILIPPE GILBERT: VOTO 6,5
Temutissimo per via delle sue sparate, avrebbe anche trovato quella buona, all’ultimo passaggio sulla Torrazza. Peccato però che il treno giusto fosse già andato da un pezzo, e che, come troppo spesso gli capita, il belga non sia stato in grado di dare un seguito alla bella fiammata. La cosa sta ormai diventando una preoccupante costante, già vista quest’anno alla Liegi e nella tappa di Avila all’ultima Vuelta.
Certo, il 6° posto finale non è comunque da disprezzare, ma da lui era lecito attendersi qualcosa di più, specie una volta che era riuscito a trovarsi nel gruppo buono all’ultimo giro.
FABIAN CANCELLARA: VOTO 8
Dopo Rodriguez, il grande protagonista del Mondiale, risultato a parte. Dopo la prevedibile vittoria a cronometro, il beniamino di casa ha tentato la storica accoppiata con la prova in linea; impresa che gli sarebbe anche potuta riuscire, se solo non avesse dissipato energie preziose in inutili trenate in tratti pianeggianti al penultimo e all’ultimo giro. L’impressione è stata infatti che Fabian ne avesse più di tutti, come ha dimostrato lo scatto sull’Acqua Fresca all’ultimo passaggio, ma che la sua gestione sia stata a dir poco rivedibile.
Perde per mano di Samuel Sanchez l’inutile sprint per il 4° posto, ma la gara la perde quando, dopo aver sprecato forze gratuitamente con una trenata tra le due ascese, decide di non fare un ulteriore e ben più sensato sforzo per chiudere su Evans, Kolobnev e Rodriguez. Prende 8 perché ha animato la corsa come quasi nessun altro, ma la sensazione che si sia mangiato una chance enorme è forte.
ALEJANDRO VALVERDE: VOTO 5
Per l’ennesima volta parte da favorito, per l’ennesima volta non solo non vince, ma deve anche cedere il palcoscenico nazionale ad un compagno di squadra. E non si può nemmeno giustificare la cosa semplicemente dicendo che aveva Rodirguez davanti, perché sulla salita di Novazzano ha pure perso contatto da Sanchez e Cancellara.
Lungi da noi voler dire che Valverde sia un perdente (anzi, tutt’altro), ma ormai le occasioni per conquistare il titolo iridato iniziano a non essere più molte: Valverde ha 29 anni, e i prossimi due Mondiali sono troppo facili per lui. Stando così le cose, la prossima chance sarà per lui a Valkenburg, nel 2012, quando però le primavere saranno 32. Certo, senza voler tornare indietro ai 39 anni di Zoetemelk al Montello, Bettini ha vinto il primo titolo a 32 anni e il secondo a 33, Evans quest’anno ne aveva 32. Altrettanto vero è però che l’ex Embatido non avrà più molte possibilità di qui alla fine della sua carriera; e sarebbe clamoroso se un corridore forte in salita e veloce allo sprint come Valverde chiudesse la carriera senza un titolo iridato.

La Spagna s'è persa.... dove sono finiti tutti gli altri?... sembrano chiedersi Valverde e Moreno (foto Bettini)
SAMUEL SANCHEZ: VOTO 6,5
Il 4° posto basta a dargli una ampia sufficienza, ma, se di Valverde si può dire che all’ultimo giro non aveva più le gambe, di Sanchez è necessario affermare che si è mangiato una chance enorme lasciandosi scappare Evans, Kolobnev e Rodriguez di soppiatto.
La sensazione era che fosse uscito dalla Vuelta meglio di tutti, Evans incluso. Il circuito di Mendrisio ha dato la conferma, ma il campione olimpico si è fatto scappare l’occasione della vita (per diventare campione del mondo; quella di Pechino l’ha colta in pieno) in un tratto pianeggiante, come l’ultimo dei pivelli (anche se era in buona compagnia). Comunque sia, con questo piazzamento, unito al secondo gradino del podio alla Vuelta, ha salvato in pochi giorni una stagione fino a settembre insignificante.
TOM BOONEN & ANDRE GREIPEL: VOTO 7
Diamo un giudizio unico perché sarebbe bastato copiare e incollare quello dell’uno per ottenere quello dell’altro. Avrebbero potuto trascorrere una giornata relativamente tranquilla, vivacchiando a centro gruppo finché la corsa non fosse esplosa, per poi chiudere a 10’ dal vincitore. Invece, l’orgoglio di un fuoriclasse (Boonen) e di un campione (Greipel) ha spinto il primo a tentare il colpo impensabile, infilandosi nell’azione di Rodriguez, Ballan & co., e il secondo ad avventurarsi in una fuga infinita, nata al 2° giro. Non avevano nessuna possibilità di vincere, ma proprio per questo il loro coraggio e la loro determinazione meritano un applauso.
MATTI BRESCHEL: VOTO 7,5
Dopo il podio di Varese, un’altra grande gara, chiusa con un 7° posto, per di più su un circuito sulla carta troppo duro per le sue caratteristiche. Ecco, proprio su questo punto ci sarebbe parecchio da discutere: quali sono davvero le sue caratteristiche? Che cos’è Breschel? È il corridore che vince in volata a Madrid alla Vuelta, o quello che arriva a giocarsi il Mondiale sul circuito più duro degli ultimi 15 anni? In queste condizioni, il rischio per lui è quello di diventare una via di mezzo, troppo velocista per vincere delle classiche, troppo forte in salita per vincere delle volate di gruppo. Il rischio per gli altri è invece quello di trovarsi di fronte ad un Boasson Hagen 2 (o sarebbe più giusto parlare del norvegese come di un Breschel 2?), cioè un cannibale in fieri.
Di certo, il Mondiale del 25enne di Ballerup è stato da campione: malgrado le tante salite, è riuscito a resistere in salita e di chiudere nello stesso gruppo di Valverde e Cunego, i grandi favoriti della vigilia, prendendosi anche la soddisfazione di precederli sul traguardo. Teoricamente, il Mondiale di Melbourne del prossimo anno potrebbe essere anche più adatto alle sue caratteristiche. Purtroppo per lui, tra 12 mesi dovrà fare i conti con un britannico dell’Isola di Man dotato di un discreto spunto veloce.
ALEXANDRE VINOKOUROV: VOTO 8
Signori, doping o non doping, questo è un campione. Del resto, lo si sapeva già: Vinokourov non sarà stato la fotografia del ciclismo pulito, ma azioni come quelle di Gap al Tour del 2003, o di Parigi due anni più tardi, o ancora di Granada alla Vuelta 2006, sono numeri di alta scuola. La tenacia, la fantasia e il coraggio del kazako sono doti innegabili, e a 35 anni Vino, che solo poche settimane fa si è ritirato dalla Vuelta, si è inventato un Mondiale da protagonista, arrivando in testa all’ultimo giro, e, siccome l’anonimato non fa per lui, prendendosi anche la soddisfazione di attaccare. Pazienza se poi la freschezza di Kolobnev ha annullato il suo tentativo, e Vino è scivolato indietro fino al 26° posto. Meglio questo Vinokourov, che si fa in quattro e crolla nel finale, poco dopo essersi ritirato dalla Vuelta, dove in salita si staccava da 50 corridori, che quello che con le ossa rotte vinceva con distacchi siderali le crono al Tour.
ANDY SCHLECK: S.V.
Dov’era? Al ritrovo di partenza sembrava quasi fiducioso, e invece la stagione del lussemburghese, Giro di Lombardia permettendo, si è chiusa con un mesto ritiro. Peccato, perché un 2009 super come il suo, con dominio alla Liegi e 2° posto finale al Tour, meritava una conclusione migliore.
JOSE LUIS DE SANTOS: VOTO 4,5
Chiudiamo con il C.T. spagnolo, arrivato quest’anno a sostituire “Paco” Antequera. Francamente, esordio peggiore non ci poteva essere, anche se il bronzo di Rodriguez ha in qualche modo mascherato le nefandezze in successione commesse dal Commissario Tecnico. Dapprima, il nostro, anche una volta che la fuga promossa da Scarponi aveva raggiunto i 2’ di vantaggio, ha pensato bene di affossare l’azione, non fornendo cambi, malgrado potesse contare su Cobo, Barredo e un Rodriguez uscito in forma superlativa dalla Vuelta (cosa che si sapeva già prima di Mendrisio). Non solo, ma, oltre a non tirare davanti, gli spagnoli hanno attivamente collaborato dietro, riuscendo così a ricucire sul loro uomo più in palla.
Nonostante ciò, gli iberici si sono trovati, all’ultimo giro, con tre uomini nel gruppetto buono, composto in totale da nove unità. Una situazione ideale, se solo in ammiraglia ci fosse stato qualcuno in grado di gestirla. E invece no, perché il buon José Luis, in qualche maniera, è riuscito a far sì che nel terzetto sganciatosi a 5 km dal traguardo ci fosse solamente lo stesso Rodriguez (in forma finché si vuole, ma stremato dalla lunghissima fuga) e si è ben guardato dal tentare di inseguire (ma se aveva così tanta fiducia in Rodriguez, non poteva appoggiare la fuga?). Insomma, non solo tanti errori, ma anche cambiamenti in corsa del tutto illogici. È vero che nemmeno Alfredo Martini ottenne risultati particolarmente lusinghieri al debutto (Yvoir, 1975), ma se chi ben comincia è a metà dell’opera, lui è ancora fermo al palo.
Matteo Novarini