VIVA IL VINO SPUMEGGIANTE

aprile 26, 2010 by Redazione  
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Il colonnello kazako torna da padrone nella ‘sua’ Liegi, bissando il successo dopo cinque anni. La corsa è stata controllata dai big fino alle ultime cotes, dove la corsa si è infiammata. Sulla Côte de la Roche-aux-faucons il primo ad aprire le danze è stato Andy Schleck, seguito come un’ombra da Gilbert. Tuttavia, è stato Vinokourov con una rasoiata delle sue a fare il vuoto sul falsopiano che segue la côte la quale, dopo il suo inserimento nel 2008, ha rivoluzionato la tattica di corsa divenendo il punto cruciale come lo è stata, negli anni precedenti, la celeberrima Redoute. Secondo, alle spalle del kazako, un forte e coraggioso Kolobnev.

Foto copertina: Vinokourov in azione nel finale della Liegi – Bastogne – Liegi 2010 (foto Elmar Krings)


ALEXANDRE VINOKOUROV.
La sua tattica di corsa appassiona gli amanti del ciclismo perché questo corridore onora sempre le gare cui partecipa, con tentativi coraggiosi e spettacolari che, anche se non vanno a buon fine, rimangono nel cuore degli spettatori. Già nel 2005, scattando a quasi 60 km dal traguardo, riuscì, grazie alle trenate di un Voigt scatenato, a far sua la “Doyenne”. Oggi a cinque anni di distanza ha trovato, al secondo scatto, un fondamentale appoggio in un motivatissimo Kolobnev. Accortosi che dal gruppetto inseguitore era evaso il corridore della Katusha, “Vino” lo ha saggiamente aspettato. I due hanno quindi tirato di comune accordo, accumulando su un terzetto d’inseguitori – composto da Evans, Valverde e Gilbert – un vantaggio che non è mai stato messo in discussione. A 800 m dal traguardo il capitano dell’Astana ha baciato il suo portafortuna perché già consapevole della sua superiorità sul compagno di fuga, involandosi verso un successo più che meritato. VOTO: 10.


ALEXANDER KOLOBNEV.
In questa settimana sulle Ardenne ha provato in tutti i modi a lasciare il segno ma è sempre stato ripreso a un soffio dal traguardo. Nella Liegi la sfortuna ha voluto che si trovasse di fronte ad un campione che, per di più, sta attraversando una forma strepitosa, come dimostra la recente vittoria al Giro del Trentino. La sua collaborazione con il kazako è stata sempre leale fin sul traguardo, anche se il suo colpo di pedale non appariva così efficace come quello del compagno di fuga. La rivincita è solo rimandata. VOTO: 9.


ALEJANDRO VALVERDE.
Fa la gatta morta, come del resto ci ha abituato, fino sulla Côte de la Roche-aux-faucons quando, come un fantasma, si è incollato alla ruota di Gilbert così come successe con Rebellin nel 2008. In quest’occasione, però, il belga non ha deciso di portare in carrozza lo spagnolo sin sullo strappo finale di Ans tirando, quindi, ma con riserva. Giunti sul Saint Nicolas il murciano è rimasto con le gambe molli dopo uno scatto imperioso di Gilbert. Ripreso il belga con l’aiuto di Evans, in volata coglie uno scialbo terzo posto. VOTO: 6,5.


PHILIPPE GILBERT.
Il favorito della vigilia sottovaluta la portata dell’azione di Vinokourov e, nonostante una gara condotta con intraprendenza, si deve accontentare del quarto posto. Sul Saint Nicolas prova un ultimo disperato scatto nella speranza di staccare Valverde e di riagganciare la coppia al comando. L’”Embatido” (oggi battuto più che mai) rimane effettivamente sui pedali ma, dopo qualche chilometro, anche il generoso belga deve alzare bandiera bianca. VOTO: 7,5.


CADEL EVANS.
Al Campione del Mondo non riesce l’accoppiata con la Freccia Vallone, conquistata con autorevolezza mercoledì scorso. Sulla Côte de la Roche-aux-faucons sale in progressione, senza rispondere allo scatto secco di Andy Schleck. Con Valverde e Gilbert come compagni d’inseguimento non poteva certo sobbarcarsi il peso del riaggancio. Tuttavia, da corridore leale qual è, non è stato un succhiaruote come altri lo sono stati in passato in simili situazioni. Coglie comunque un ottimo quinto posto che rappresenta un importante biglietto da visita per il Giro d’Italia. VOTO: 7.

ANDY SCHLECK. Il corridore più atteso dopo Gilbert si spegne subito dopo aver infiammato la corsa con una poderosa progressione, a cui rimane però agganciato un pimpante Gilbert. Rimasto fuori dai giochi dopo lo scatto di Vinokourov, conclude la gara nell’anonimato. Lo aspettiamo al Tour. VOTO: 5.


STEFANO GARZELLI.
Il capitano dell’Acqua e Sapone ci prova sulla Redoute lasciando intravedere il colpo di pedale che gli permise di arrivare secondo in questa classica nel 2002. Finisce la gara come migliore degli italiani (18esimo) e con almeno la soddisfazione di averci provato. VOTO: 6.


DAMIANO CUNEGO.
Lo abbiamo già segnalato a “Chi l’ha visto ?”. Non si capisce il calendario di questo campione che anche in questa corsa, su un terreno a lui congeniale, non riesce a esprimere le sue potenzialità di corridore da classiche. Chi ha già fatto il tris al Giro di Lombardia non può non avere la “Doyenne” nel mirino di una stagione! VOTO: 4.

Francesco Gandolfi

BUFERA DI TUONI, LAMPRE E FUMO. AFFIORAMENTI PERICOLOSI INTORNO A NIGRELLI

aprile 14, 2010 by Redazione  
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Di questi tempi vanno di moda i sequel, non solo al cinema. Calciopoli bis, e adesso “una nuova Operación Puerto” in un paesello del mantovano. La caratteristica di tali colpi di scena è sempre un retrogusto revisionista: quelli che si credevano in qualche maniera “buoni” sono fatti, stando agli scoop, della medesima pasta che gli altri. Ma come spesso accade ai revisionismi afflitti da ansia equiparativa, sotto ai titoloni dei giornali si scova poca sostanza, almeno per ora.

Foto copertina: un’ammiraglia Lampre (www.lampre-ngc.com)

Prime arrivarono le perquisizioni. Bernucci, Petacchi. I farmaci trovati a casa del primo (attribuiti dal ciclista a un fratello o alla moglie), il niente a casa del secondo. Ma avere le forze dell’ordine che ti ronzano attorno, quando godi di cattiva stampa, vale subito quanto una condanna in Cassazione: e non si può dire che la stampa di cui gode il ciclismo sia tra le più amene. L’aria friggeva già di elettricità, prima della tempesta: poi la tempesta – di carta – si è scatenata. La Gazzetta dello Sport spara subito numeri grossi, cinquantaquattro persone che avrebbero ricevuto dalla Procura l’avviso che si sta indagando su di loro: “corridori di primo piano, ma anche tecnici e dirigenti”. Si scoprirà che queste persone sarebbero in realtà trentacinque. Anche i nomi vengono sparati un po’ come capita, primo tra tutti Ballan, ma tutto ruota attorno al “Barba”, il farmacista Guido Nigrelli: secondo la Gazzetta “preparatore di fatto (ha lavorato spesso con le squadre di Saronni), negli ultimi anni in coppia con Stefano [sic] Gelati”. Ecco! Sarà questo il collegamento che porta alla Lampre? Da Nigrelli a Gelati, che peraltro si chiama Sergio, e che in effetti è il preparatore atletico della squadra guidata da Saronni; perché Gelati si rifornisce di medicinali – leciti (tant’è che non risulta nella fantomatica lista di indagati) – presso Nigrelli, che però non lavora per la Lampre.

Il problema di questo modo di “fare informazione”, però, sta essenzialmente nella mancanza di informazioni. Sì, perché leggendo sempre le rosee pagine della Gazzetta salta fuori che questi famosi nomi non si sa con certezza documentale quali siano: “trapela che tra i coinvolti ci sono dirigenti, tecnici, atleti e medici della società blu-fucsia”. “Trapela”?!? E poi: “Gelati non è nella lista di 35 nomi che è affiorata”. La lista è affiorata, come un cadavere da una palude, o come una bolla di schiuma verdastra. I nomi affioranti comprendono oltre a Ballan anche Cunego, Gavazzi, Santambrogio, i medici Andreazzoli e Guardascione, dirigenza manageriale e sportiva nelle vesti di Saronni, Piovani o Bontempi. Solo che questa lista dovrebbe comprendere persone a cui è giunto un “avviso” da parte della Procura (e della natura di questo avviso riparleremo a breve). A sentir loro, tuttavia, c’è chi l’avviso l’ha ricevuto, e chi no. Ballan sì, Cunego no. Andreazzoli no, Guardascione sì. Forse non sono attendibili, di certo rischiano di essere facilmente smentiti se si aprisse un processo a loro carico. O forse potrebbe non essere attendibile quella fonte cristallina da cui è scaturita la famosa lista: ma non abbiamo modo di discernere, visto che essa è comparsa in mano al giornalista quasi motu proprio.

Si apre un altro bel problema: se Nigrelli fosse davvero “preparatore di fatto” della Lampre, “in coppia con Gelati”, sarebbe ben strano che quest’ultimo non fosse indagato. L’origine dell’inchiesta deve essere un’altra. Anche qui però la lettura degli scoop che dovrebbero illuminarci non aiuta granché. Ecco le ipotesi avanzate – tipicamente in punti diversi del medesimo articolo – su come sia nata l’inchiesta: c’entrano forse le dichiarazioni della moglie di Nigrelli, separatasi dal farmacista nel 2007; ma leggiamo anche di una perquisizione del 1999 scattata su segnalazione di un dilettante; poi ci sono le indagini dei NAS di Brescia; o magari le dichiarazioni di Sella e Priamo. Quel che è chiaro è il periodo sotto esame, il 2008 e la prima metà del 2009.

Manca una pennellata a completare il quadro: oltre agli “affioramenti trapelati opportunamente”, che cosa in concreto avrebbe reso notizia questa notizia, ora? Essenzialmente l’emanazione degli avvisi agli indagati. Non si tratta però di avvisi di garanzia, che vengono inoltrati semmai quando ci sia già la necessità di un’assistenza legale da parte di un difensore (le indagini godono in genere della segretezza, anche nei confronti degli indagati stessi; l’avviso di garanzia di cui parlano spesso i giornali compare alla conclusione delle indagini!), bensì della notifica che gli inquirenti abbiano a questo punto richiesto una proroga ai tempi d’indagine, non avendo sufficiente chiarezza o consistenza il quadro in loro possesso. Insomma, il giudice per le indagini preliminari dovrebbe chiudere l’indagine senza le condizioni perché si vada in aula: il pubblico ministero richiede dunque di procedere oltre i termini naturali perché la faccenda si è complicata più del previsto. Tuttavia scatta contestualmente l’obbligo di informare gli indagati.

Ecco dunque il paradosso: ci sono state indagini, queste indagini – nei “tempi regolamentari” – non sono approdate però a nulla di bastevole per fare quantomeno un processo (che a sua volta non è “la colpevolezza”, ma il tentativo di appurarla o meno); gli inquirenti sono da parte loro convinti che il lavoro svolto non sia da buttare, e chiedono di “andare ai supplementari” (durata massima complessiva di due anni). Si potrebbe dire, per proseguire nella metafora calcistica, che se non è una sconfitta è un pareggio: fin qui gli elementi non sono sufficienti nemmeno per incominciare a dibattere se gli indagati – o una parte di essi – siano o non siano colpevoli. Un’ottimista, con un po’ di ipocrisia, potrebbe anche sostenere che si tratti di una buona notizia per la Lampre: in parecchi mesi di indagini non si è potuti approdare a nulla di conclusivo, quindi o si delinque poco o ci si nasconde bene.

Qualche rapida valutazione conclusiva.
Probabilissimo che la fonte dei dati giunti alla stampa sia giudiziaria: non si profila però un atteggiamento meritorio, specialmente se le inesattezze sul numero e sui nomi dei coinvolti non fossero a valle, da parte dei giornalisti, bensì a monte. Parrebbe quasi, e quanto ci auguriamo che non sia così, una sorta di ritorsione punitiva rancorosa che vada a danneggiare gli indagati che non si è riusciti a portare in tribunale nel “primo round”.
Disastroso l’atteggiamento dei mezzi di informazione, che si sono lanciati come una muta di cani idrofobi sul ciclismo senza avere in mano altro che confusione; e come potrebbe essere altrimenti, se perfino gli inquirenti ammettono proprio con questi atti di non avere a disposizione un costrutto perspicuo? La mancanza di rispetto verso le persone in primis, in seconda battuta il danno agli sponsor, sono “danni collaterali” gravissimi, a fronte di una notizia i cui contenuti sono troppo fumosi per potersi davvero ritenere “informazione”.
Allucinante che la Lampre, su probabile impulso di Saronni, continuasse a mantenere rapporti, anche se assolutamente legali, con un personaggio discutibilissimo come Nigrelli. L’amicizia si può coltivare pure con un bel bicchiere di vino in trattoria, senza far necessariamente spesa nella farmacia dei vecchi amici. E di farmacie cui rivolgersi ne esistono parecchie, qualcuna anche più limpida si spera. Difficile comunque immaginare un doping di squadra su questo asse, almeno nell’epoca Gelati. Il motivo è semplicissimo, e di nuovo l’indagine è notizia più confortante che non il viceversa: data l’evidenza del rapporto Nigrelli-Gelati, se su quella linea si fossero esercitati illeciti inevitabilmente anche il preparatore attuale della Lampre sarebbe stato, come minimo, indagato. Così non consta che sia. Più plausibile invece la “conoscenza di vecchia data”, con frequentazioni semmai individuali (ribadisco: almeno per ciò che concerne la gestione di Gelati).
Colpisce la sproporzione di collocazione e risorse tra questi Nigrelli o Santuccione e personaggi come Fuentes o l’ormai espatriato Ferrari. Un provincialismo rustico, quasi ruspante, che sembra tradire l’inesorabile marginalità di figuri che per quanto sempre attivissimi finiscono per costituire la “retroguardia” passé rispetto alla prima linea del doping.
Abominevole, infine, la decisione della BMC di fermare Ballan e Santambrogio. Da sciopero immediato e collettivo del movimento. Non solo non vale la presunzione di innocenza, ma qui addirittura si viene fermati perché, letteralmente, esiste un’indagine che non è riuscita ad approdare ancora a nulla entro i primi termini di legge. Una forma di tutela dell’indagato, che sottoposto a uno scrutinio più esteso del normale viene “compensato” col decadimento del vincolo di segretezza, si è rivoltata in una tagliola fatale che ha compromesso per Ballan uno dei sicuri obiettivi stagionali. Il tutto perché una dirigenza certo non immacolata di suo (le ascendenze Phonak, nonché quelle armstronghiane per Ochowicz) ha il terrore di finire per questi fatti vittima di una arbitraria-al-cubo esclusione da parte del Tour de France.

Possiamo solo chiosare che in questa triste vicenda, sintomatica dello sbando del ciclismo (uno sbando di regole e principi sostituiti a tutti i livelli da arbitrio e sceriffi: forse perfino più grave che il doping; il tutto condiviso peraltro con la società più estesa), non è il rogo che ha prodotto fumo, ma il fumo ad aver prodotto un rogo. Sarebbe da ingenui commentare “troppo rumore per nulla”, giacché qualcosa sotto e intorno a Nigrelli senz’altro ci sarà. Ma se non si è in cattiva fede l’unico commento possibile oggi come oggi è: “troppo rumore”. Punto.

Gabriele Bugada

CANCELLARA UBER ALLES

aprile 13, 2010 by Redazione  
Filed under 4) PARIGI - ROUBAIX, Approfondimenti

Cancellara, sette giorni dopo il Giro delle Fiandre, domina anche la Parigi-Roubaix, bissando il successo del 2006. Boonen, scattato più volte lungo il tracciato, cerca orgogliosamente di riscattare la delusione patita nella “classica dei muri” ma niente ha potuto contro lo strapotere dell’elvetico. A fare da cornice all’impresa del campione svizzero, i piazzamenti di Hushovd e Flecha, che nel finale si sono avvantaggiati sul gruppetto di Boonen, del quale faceva parte anche il campione italiano Pozzato. A emblema della superiorità del vincitore si pone il gesto sconsolato (ma lo capiamo!) di un Leukemans che, dopo aver resistito qualche chilometro in scia alla locomotiva di Berna, si è visto inesorabilmente allontanarsi l’asso elvetico.

Foto copertina: Cancellara taglia solitario il traguardo nel velodromo di Roubaix (foto Riccardo Scanferla)

FABIAN CANCELLARA. Questo fenomeno mette in crisi non solo gli avversari ma anche chi deve commentare una gara già decisa quando al traguardo mancano ancora 50 km. A Cancellara è bastato un attimo di disattenzione di Boonen per guadagnare sugli inseguitori un vantaggio tale che, ai meno venti dall’arrivo, si poteva già parlare di passerella trionfale. La condotta di gara è stata perfetta anche dal punto di vista tattico, in quanto l’elvetico si è dimostrato freddo e calcolatore nei momenti critici della corsa, controllando con lucidità le sfuriate di Boonen. VOTO: 10 E LODE.

JUAN ANTONIO FLECHA. Vedere un iberico sempre protagonista nell’Inferno del Nord fa sempre una certa impressione. Riesce a riscattare la brutta prestazione del Fiandre proponendosi nel finale, insieme a Hushovd, ancora sufficientemente in forma da provare un allungo valido per aggiudicarsi un posto sul podio. Forse è stato troppo generoso, negli ultimi 2 km, nel trainare un compagno di fuga nettamente più veloce di lui allo sprint. VOTO: 7,5.

THOR HUSHOVD. Il possente corridore della Cervèlo è l’unico nel finale a poter disporre di un gregario di lusso come Hammond anche se sarebbe stata necessaria una cronosquadre in stile US-Postal per riuscire a stare agganciati al treno di Berna. Migliora il piazzamento ottenuto lo scorso anno aggiudicandosi, nella volata a due con Flecha, il posto d’onore. VOTO: 7.

ROGER HAMMOND. Corre tutta la gara come spalla di capitan Hushovd. Nonostante questo è in grado, nel finale, di stoppare il tentativo disperato di Boonen di riprendere almeno il duo Flecha-Hushovd, che si era sganciato precedentemente. Giunto al velodromo riesce pure, prepotentemente, a cogliere il quarto posto nella volata a due con il campione belga. VOTO: 7.

FILIPPO POZZATO. Reduce da alcuni giorni di forzato riposo a causa di problemi intestinali, il campione italiano ha saputo correre una gara sempre tra le prime posizioni, giungendo infine settimo, anche se nel finale ha un po’ accusato la mancanza di fondo. A lui va il premio dedicato alla memoria del compianto Ballerini e riservato al primo italiano classificato. VOTO: 6,5.

TOM BOONEN. Strapazzato per bene sulla stampa belga, negli ultimi giorni, da uno che di Roubaix e di classiche in generale se ne intende, ovvero Roger De Vlaeminck, il campione della Quick Step ha completamente sbagliato la tattica in corsa. Pur correndo senza l’appoggio della squadra, decide di attaccare a ripetizione, quando manca ancora tanto al traguardo, ma si lascia sorprendere nel momento in cui Cancellara decide di allungare. Le diverse caratteristiche del percorso rispetto al Fiandre e la presenza di uomini come Hushovd, sulla carta più veloce di lui allo sprint, hanno forse indotto il belga a sollecitare il sostegno del campione svizzero in una fuga a due su di un tracciato dove sarebbe stato in seguito più difficile, anche per uno come Cancellara, staccarlo e giungere solitario fin sul traguardo. Lui e il suo direttore sportivo hanno fatto male i conti. VOTO: 4,5.

Francesco Gandolfi

OSS, UN ALTRO LIQUIGAS DA TENERE SOTTOCCHIO

aprile 6, 2010 by Redazione  
Filed under 3) GIRO DELLE FIANDRE, Approfondimenti

L’elvetico Cancellara fa sua la terza classica monumento dopo Parigi-Roubaix e Milano-Sanremo al termine di un duello con l’idolo di casa, Tom Boonen, iniziato quando al traguardo mancavano una quarantina di chilometri. Terzo al traguardo l’altro belga Philppe Gilbert. Deludente prova degli italiani, anche a causa dell’assenza del campione italiano Pozzato, in parte riscattata dalla brillante prestazione del giovane trentino della Liquigas Daniel Oss.


Ecco le pagelle sulle corsa fiamminga.

Foto copertina: Daniel Oss in azione nell’ultima edizione della Montepaschi Strade Bianche (www.danieloss.it)


FABIAN CANCELLARA.
Corre con autorevolezza tutta la gara sapendo che per vincere occorre isolare il suo principale avversario, Boonen, sulla carta più veloce del tre volte campione del mondo a cronometro in un eventuale arrivo allo sprint. Cancellara aspetta il Molenberg per fare il vuoto, risalendo di potenza un gruppetto del quale faceva parte anche il nostro Oss, trascinandosi a ruota un non del tutto convinto Boonen. Si forma così una coppia al comando nella quale, però, il più attivo è sicuramente il campione svizzero. Solo quando il margine di vantaggio sugli inseguitori diventa significativo Boonen decide di collaborare, anche se la sua pedalata appare da subito legnosa o quantomeno non così efficace come quella del compagno di fuga. Infatti, giunti sul muro di Grammont il belga ha dovuto inchinarsi di fronte alla potente e nel contempo elegante progressione di uno straripante e incontenibile Cancellara, che arriverà al traguardo con un vantaggio di oltre un minuto. VOTO: 10.

TOM BOONEN. Il più atteso alla vigilia. Con il suo secondo posto l’idolo di casa ha deluso i suoi connazionali, anche se interpreta una prova che, seppur corsa sempre nelle prime posizioni, risulta oscurata dalla prestazione fuori dal comune di Cancellara. Forse tatticamente criticabile la sua scelta di seguire quest’ultimo, accettando di collaborare con un atleta che oggi ha ricordato le gesta e la spavalderia di Merckx. VOTO: 8.

PHILIPPE GILBERT. Dopo lo strepitoso finale di stagione 2009, il portacolori della Lotto era intenzionato a far sua questa classica. Sempre presente in ogni fase della corsa, non si fa trovare nelle migliori posizioni nel momento decisivo per rispondere all’allungo di Cancellara. Suo il tentativo di riagganciare il duo di testa assieme a Millar (staccatosi nel finale) e di Leukemans. L’appuntamento è solo rimandato alla Doyenne. VOTO: 7,5.

DANIEL OSS. Il giovane trentino, 23 anni, dopo la splendida prestazione alla Classicissima – confermata, poi, dal quinto posto nella Gand-Wevelgem – si mette in evidenza anche nel Giro delle Fiandre. Dopo aver recuperato lo svantaggio accumulato nell’ascesa del Koppenberg, tenta un’azione nel tratto pianeggiante che precede lo strappo, che risulterà decisivo, del Molenberg. Infatti, non riesce a rispondere all’attacco di Cancellara il quale riuscirà a scollinare con un leggero vantaggio. Nel futuro saprà regalarci grandi soddisfazioni. Un altro nome da segnalare sul taccuino, dopo quello del suo compagno di squadra Sagan. VOTO: 7.


MATTI BRESCHEL.
La sfortuna è amica dell’atleta danese che, pur supportato da un evidente ottima condizione, è messo fuori gioco da una foratura e dall’inettitudine dei suoi meccanici i quali, sbagliando bicicletta, gli fanno perdere tempo prezioso, che non sarà più recuperato. Ciclista versatile, già vincitore della medaglia di bronzo ai Campionati del Mondo del 2008, potrà ben figurare anche nelle classiche valloni. Lo aspettiamo. VOTO: 7.

LANCE ARMSTRONG
. Doveva essere una gara di preparazione in vista della Grand Boucle e così è stata. Bisogna, però, ammettere che l’americano si è più volte fatto vedere nelle prime posizioni del plotone, provando addirittura un timido allungo. Una volta scattato Cancellara, il texano conclude la prova nel gruppetto dei primi inseguitori regolati da Farrar (che merita un 6,5). Lo rivedremo, come ai vecchi tempi, solo a luglio. VOTO: 6.

Francesco Gandolfi

UN CRITÉRIUM DAVVERO INTERNATIONAL

marzo 27, 2010 by Redazione  
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Ci saranno mille motivi per seguire la 79° edizione della corsa francese, che schiererà ai nastri di partenza corridori in grado di catalizzare sulla Corsica le attenzioni dei media e degli appassionati. Non ci saranno soltanto Armstrong e l’annunciato protagonista Contador, poiché potrebbere menar le gambe anche il campione olimpico in carica Samuel Sánchez e il campione del mondo in carica Cadel Evans. Una parata di stelle per una corsa che, dopo anni di colline ardennesi, ritroverà quelle salite vere che un tempo ne caratterizzavano i percorsi.

Foto copertina: Armstrong e Contador assieme all’ultimo Tour de France, quando era ancora compagni di squadra (brightcove.vo.llnwd.net)

Corsica, terra aspra, dura, orgogliosa, terra di vendette e di ripicche. Quale teatro migliore per il primo confronto di stagione tra gli ex separati in casa Astana Contador e Armstrong.
Si terrà proprio nell’isola francese l’edizione 2010 del Criterium Internazionale, la due giorni ciclistica nell’orbita di ASO, società che si occupa anche dell’organizzazione del Tour de France.
Sicuramente l’attenzione dei più sarà catalizzata dalla presenza in gruppo dei due citati grossi calibri. Contador sarà coadiuvato nel Team Astana da due pezzi da 90 come Fofonov e Vinoukurov. Dal canto suo, la RadioShack risponde, oltre che con l’americano, con Paolinho e Popovich su tutti.
Se il maggior interesse sarà sicuramente su cosa combinerà il recente vincitore della Paris-Nice e dalle eventuali scaramucce con il suo ingombrante ex compagno di squadra, non dimentichiamoci che anche altri corridori avranno ottimi motivi per fare bene nell’ultimo weekend di marzo.
Cadel Evans, per esempio; l’australiano d’iride fasciato ha messo come tappa d’avvicinamento al suo primo Giro d’Italia da protagonista annunciato (nel 2002 nessuno avrebbe scommesso un soldo sulla maglia rosa conseguita nel tappone di Corvara) la corsa francese e, conoscendo la sua caparbietà e sapendo quanto ha fatto vedere alla corsa dei due mari, sicuramente la sua presenza non sarà una comparsata.
Altro nome di spicco sarà Samuel Sánchez e anche lui vorrà sicuramente farsi vedere.
I colori italiani, purtroppo, non sono molto rappresentati e i nomi di maggior spicco saranno quelli di Pinotti, Santambrogio, Possoni e Carrara.
Il programma prevede tre tappe in due giorni, quindi un impegno importante ma non troppo impegnativo, una due giorni che dovrebbe essere disputata a viso aperto, senza troppi tatticismi e calcoli. Magari lungo le strade corse uscirà qualche piacevole sorpresa. La stagione è lunga ma le grandi imprese, si costruiscono a piccoli passi.

Mario Prato

IL PERCORSO

a cura di Mauro Facoltosi

Ci sono voluti 28 anni perché il grande ciclismo tornasse sulle strade della Corsica, che aveva accolto l’ultima gara professionistica il 9 marzo del 1982, giorno della tappa conclusiva della nona edizione del Tour de Corse, breve gara che era stata conquistata anche da campioni del calibro di Stephen Roche (1981) e di Bernard Hinault (1982) e che vanta comunque un “curriculum” ben più cospicuo, forte di 22 edizioni riservate ai dilettanti, disputate tra il 1920 e il 1958 (nel 1936 si imporrà Florindo Eufemi, unico successo italiano nella corsa francese) e poi dal 2001 ai giorni nostri, periodo nel quale si segnalano le due vittorie consecutive di Francis Mourey, professionista dal 2004 con La Française des Jeux e nella cui carriera spiccano ben sette titoli nazionali di ciclo-cross, due dei quali conseguiti da dilettante.
In previsione del “grand départ” del Tour 2013 – la centesima edizione della Grand Boucle dovrebbe scattare da Ajaccio – gli uomini di ASO hanno stabilito di effettuare le “prove generali” del futuro evento disegnando nell’intrico orografico della quarta isola del Mediterraneo il tracciato della 79a edizione del Critérium International, breve ma concentrata corsa che propone in un week-end tutte le possibili “variabili” del ciclismo, volata, montagna e cronometro. Abbandonate le poco montagnose Ardenne francesi, teatro delle più recenti edizioni, il Critérium International ritroverà salite degne di questo nome e che da sempre costituiscono il piatto forte di questa corsa conquistata, tra gli altri, da Bobet (due volte), da Poulidor (record di affermazioni, ben cinque), da Thévenet, dai citati Hinault e Roche (due successi a testa), da Fignon, da Jalabert e dagli italiani Furlan e Basso. Campione in carica è il tedesco Jens Voigt ma il vincitore delle ultime tre edizioni (oltre a quella del 2004) non potrà difendere il titolo essendo negli stessi giorni impegnato nelle ultime frazioni della Volta Ciclista a Catalunya, gara nella quale ha conseguito un successo proprio l’altro giorno, nella frazione di Ascò.
A causa della movimentata orografia della Corsica, ovunque ci si giri si trovano salite per tutti i gusti, gli organizzatori hanno invertito il classico programma del Criterium, che prevede il sabato lo svolgimento della frazione destinata a risolversi in volata e nella giornata conclusiva le due semitappe più attese, con le montagne al mattino e la sfida contro l’orologio nel pomeriggio.
Dunque, stavolta la frazione più lunga, quella con la quale si debutterà, sarà la più impegnativa, tracciata tra Porto Vecchio e i 963 metri del Colle dell’Ospedale, traguardo in salita al termine d’un tracciato che proporrà, in quasi 175 Km, altre 6 ascese, quasi tutte coronate da un traguardo GPM. La tappa debutterà con un tratto di una sessantina di chilometro privo di vere salite, ma assolutamente non pianeggiante, caratterizzato com’è da continui “mangia e bevi”. A circa 70 Km dalla conclusione si affronteranno, una dopo l’altra, due ascese che contengono anche dei tratti impegnati (strappi fino al 17% salendo ai 730 metri del Col de Mela, più pedalabile il successo Col de Bacinu) ma, a meno di sorprese (da tenere in conto, data la tortuosità del tracciato, che favorisce più gli attaccanti rispetto al gruppo inseguitore), la corsa dovrebbe decidersi sull’ascesa finale. Vista nel complesso delle difficoltà non pare insormontabile, sono in tutto 14,2 Km al 6,2% medio, ma dopo un approccio facile si farà più impegnativa nella seconda parte, riservando le principali inclinazioni a circa 2 Km dalla meta.
Porto Vecchio, il principale scalo turistico dell’isola dopo Ajaccio, accoglierà anche le ultime due frazioni, quelle domenicali. Il mattino si girerà in tondo attorno all’antica Portus Syracusanus, affrontando un doppio anello, tracciato dapprima a sud e poi a nord della cittadina corsa. Non dovrebbero esserci problemi per gli sprinter, ai quali Jean-Francois Pescheux, responsabile dei percorsi delle corse ASO, è riuscito a offrire un tracciato quasi totalmente privo di asperità. L’unico GPM, la facile ascesa di Pagliaggiolo, dovrà essere affrontato nel corso del primo giro, a una cinquantina di chilometri da una conclusione che, però, non sarà agevolissima: pure a Porto Vecchio, infatti, l’epilogo sarà in salita, anche se questa è limitata ai 600 metri conclusivi, tracciati in lieve pendenza.
Dopo pranzo toccherà ai cronoman cercare di ribaltare i verdetti scritti il giorno precedente salendo al Colle dell’Ospedale. Il tracciato prescelto permetterà di dare sfogo alle loro cilindrate, che troveranno pane per i loro denti una volta superato lo scoglio del primo chilometro di gara, nel corso del quale si attraverserà in lieve ascesa il centro storico. I restanti 6500 metri di gara, infatti, si svolgeranno sulla strada di circonvallazione e si presenteranno totalmente scevri da difficoltà, con le uniche insidie costituite da sei rotatorie, l’ultima delle quali collocata a poco più di un chilometro dal traguardo finale di Avenue Pompidou, all’ingresso del porto di “Portivechju”.

Uno scorcio di Porto Vecchio (panoramio)

Uno scorcio di Porto Vecchio (panoramio)

La salita verso il Col de lOspedale (www.freevax.it)

La salita verso il Col de l'Ospedale (www.freevax.it)

VOGLIAMO LA POMPEIANA IN CAMPO!

marzo 25, 2010 by Redazione  
Filed under 1) MILANO - SANREMO, Approfondimenti

La Milano – Sanremo lancia da diversi anni gridi d’allarme che gli organizzatori non hanno ancora colto. Il tracciato della “classicissima” non riesce più a reggere l’onda d’urto delle grandi velocità e, se non si interverrà, una delle corse più cariche di storia del calendario italiano diventerà una gara sempre meno amata dai grandi campioni, che preferiscono altri lidi più consoni ai loro mezzi. Bisogna ridonarle i fasti degli anni d’oro, quando sul traguardo di Via Roma furoreggiavano i grandi assi del pedale. Bisogna insaporire il finale e la Pompeiana potrebbe essere l’ingrediente giusto.

Foto copertina: l’altimetria ufficiale dell’ultima Milano – Sanremo (www.gazzetta.it)

Più tenaci di un picchio, più persistenti di Biscardi nel reclamare la moviola in campo, siamo ancora qui, come abbiamo già fatto in passato, a implorare il salvataggio della Milano – Sanremo.
Dopo l’infelice conclusione dell’ultima edizione della “corsa dei fiori”, che ancora una volta ha visto l’epilogo allo sprint, urge ancor più evidente la necessità salvare il prestigio della classicissima che, dati alla mano, si sta sclassicizzando sempre di più.
Che non sia più la Sanremo di una volta è evidente e basta semplicemente lasciar scorrere l’albo d’oro, sul quale s’evidenza una progressiva scomparsa dei nomi dei grandi campioni, scalzati da quelli dei velocisti (con tutto rispetto per le ruote veloci del gruppo).
Nei primi 50 anni di vita alla Sanremo le vittorie di sprinter erano eventi del tutto eccezionali, nonostante il tracciato non proposse nessuna difficoltà altimetrica dopo gli storici capi Mele, Cervo e Berta, in un’epoca, quella del ciclismo eroico, nel quale contribuivano alla selezione anche i pessimi stati dei fondi stradali. È proprio in quel periodo che si registrò un’impresa oggi impossibile e insuperabile, quella messa in atto sul Turchino da Fausto Coppi nella Sanremo del 1946, la prima disputata dopo due anni di stop forzato per il secondo conflitto mondiale. Il dopoguerra e la conseguente politica di ricostruzione arrecheranno benefici ovunque ma non alla Sanremo, dove la sistemazione dei principali assi viari italiani, e tra questi c’era e c’è ancora l’Aurelia, si portò via gli sterrati e le buche che costituivano uno dei principali ostacoli di gara.
Le conseguenze non tardarono a farsi avvertire poiché, una volta ultimati i lavori di asfaltatura, le volate diventarono sempre più frequenti sul traguardo di Via Roma. Non accadde subito ma a metà degli anni ’50 quando, nel volgere di breve tempo, si passò dagli altisonanti successi di Coppi e Bartali, dalla doppietta di Petrucci e dal successo di Bobet a tre arrivi allo sprint consecutivi: i due successi di Poblet, con la vittoria di Van Looy a far da spartiacque, fecero capire a Vincenzo Torriani che qualcosa andava cambiato. Continuando con quell’andazzo, la Sanremo sarebbe diventata una gara per velocisti, poco appetibile alle grandi firme del ciclismo, che avrebbero preferito concentrare i loro sforzi sulle classiche del nord anziché pedalare per 281 Km – questa la distanza della Sanremo “liscia” – e rischiare si sfasciarsi in volata, perché era una distanza che stava diventando meno abituale e in quelle condizioni – percorso facile, tanti all’arrivo – molti correvano il rischio di presentarsi in Via Roma con più stanchezza di corpo e minor lucidità di testa rispetto alla partenza meneghina.
Per scongiurare sia il pericolo delle cadute, sia una “perdita di tono” della classicissima, il mitico patron del Giro tirò fuori dal cilindro il Poggio, ascesa che ottenne l’effetto desiderato. Per una ventina d’anni l’onore della Sanremo fu salvato ed è grazie alla felice intuizione di Torriani che sulle strade liguri si vissero grandi pagine di sport, come i sette successi di Merckx (record tuttora imbattuto), le vittorie di scalatori del calibro di Gimondi e Poulidor, l’interruzione dell’egemonia straniera – che perdurava da 16 anni – per merito di Dancelli.
Le volate tornarono a mostrarsi più affollate verso la fine degli anni ’70 – il gruppo si era pian piano assuefatto al Poggio – ma riuscirono comunque a spuntarla atleti di spessore come Raas e De Vlaeminck. Torriani aveva imparato la lezione e così bastò la vittoria di Gavazzi (1980), uno dei velocisti più celebri dell’epoca, a suggerigli l’inserimento di una nuova asperità. Arrivò così la Cipressa, ascesa più dura del Poggio, non solo nel verso della salita (ne sa qualcosa Raas che, nel 1983, planando su Torre Aregai andò dritto in un tornante e finì nella scarpata) e anche stavolta lo spettro della volata fu esorcizzato. Tempo una quindicina d’anni e il gruppo ha imparato a domesticare anche questo nemico, tornando a consegnare la corsa nelle mani dei velocisti. Che tuttora la detengono saldamente perché i successori di Torriani, Castellano prima e Zomegnan poi, non hanno più avuto il coraggio d’osare.
È una corsa facile, si dice, è sarebbe un errore indurire il finale. E no! È vero il contrario, perché se era una corsa facile col cavolo che avrebbero potuto esprimere le loro potenzialità i vari Girardengo, Coppi, Bartali, Merckx e compagnia. Col cavolo che Torriani, ben conscio dell’eredità che gli era stata tramandata da Cougnet, sarebbe volutamente andato alla caccia di nuove occasioni per riquelibrare il percorso.
Gli attuali organizzatori, invece, hanno finito per far propria la diceria moderna e per comportarsi con i corridori come certi genitori troppo accondiscendenti. “Mamma voglio questo!” “Eccolo!”, “Papà voglio quest’altro!” “Tieni!”. Così si è educati i corridori e ci si educati a una corsa che “deve” essere facile, “deve” essere aperta ai velocisti. Ma perché non si prova a fare un piccolo esperimento mnemonico, provare a immaginarsi una Sanremo degli anni d’oro affrontata sul percorso d’oggi? Ci troveremo di fronte un palmares assai scarno di nomi illustri, con questi ultimi schierati ai nastri di partenza solo per far presenza e far parlare i giornali e scarse probabilità di vittoria, un po’ come accade con i grandi big che vengono a scaldare la sella sulle strade della Liguria.
MA QUESTA NON E’ LA MILANO – SANREMO!
È solo una delle corse più antiche del calendario che d’illustre ha solo il nome delle località che congiunge e che col tempo è destinata a sparire, com’è successo con classiche che erano ritenute prestigiose come la Milano – Torino e la Bordeaux-Parigi.
Bisogna saper osare perché inserendo una nuova difficoltà non si tradisce la corsa e la sua storia che, come abbiamo visto, in 103 anni, ha contemplato in diverse occasioni la scelta di una nuova rotta. Altrimenti si rischia di tradire la tradizione della classicissima e il ciclismo stesso, defraundandolo di una corsa che sta sempre più lentamente perdendo quel pathos che ne ha sempre permeato le battute finali. Se gli organizzatori non se la sentiranno, allora tanto vale attuare una drastica soluzione e trasferire la partenza lontano da Milano (a Pavia, Novi Ligure o addirittura ad Arenzano), gareggiando su una distanza che sicuramente farà contenti molti corridori e l’UCI stessa, che nelle ultime stagioni ha ridotto la lunghezza di diverse competizioni.
MA QUESTA NON E’ LA MILANO – SANREMO!
Allora salviamo questa classica, con la Pompeiana o con quale altro ingrediente! Basta con questo immobilismo!
Perché la Milano – Sanremo torni a essere la Milano – Sanremo.

Mauro Facoltosi

FOTOGALLERY
Abbiamo effettuato anche noi un piccolo esperimento , andando a ridisegnare il finale della Sanremo, che vi proponiamo nella versione classica e in quella “pompeiana”. I grafici sono stati realizzati con lo speciale programma online http://tracks4bikers.com, che opera mediante rilievi altimetrici satellitari e l’esame comparato con le carte stradali di Google Maps.

Il classico finale della Sanremo con i tre capi, Cipressa, Poggio e nuovo traguardo

Il classico finale della Sanremo con i tre capi, Cipressa, Poggio e nuovo traguardo

Con la Pompeiana sarebbe così

Con la Pompeiana sarebbe così

Il grafico relativo al nuovo tratto

Il grafico relativo al nuovo tratto

COPPI&BARTALI: IL TEATRO DELLA DECIMA SFIDA

marzo 23, 2010 by Redazione  
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È giunta alla decima edizione la Settimana Internazionale di Coppi e Bartali, la terza corsa a tappe per importanza del calendario italiano dopo la Tirreno – Adriatico e il Giro d’Italia. Nel giorno della partenza ufficiale vi presentiamo il percorso di gara che, come consueto, si svolgerà tra Riccione e Sassuolo e che quest’anno presenterà una novita, un breve sconfinamento in territorio veneto. Dopo la cronosquadre del primo giorno, tappe chiave saranno quella di Pavullo nel Frignano – con la scalata ai 1217 del Valico del Barigazzo – e soprattuto quella conclusiva, caratterizzata dalla triplice scalata al Montegibbio.

Fotocopertina: passaggio della Coppi&Bartali 2008 sulla salita del Barigazzo, “Cima Coppi” dell’edizione 2010.

Alla vigilia della Coppa&Bartali siamo pronti a presentare un percorso che come sempre si presenta divertente e selettivo, adatto agli scalatori col guizzo da scattisti. Lo scorso anno fu Cunego a portarsi a casa il trofeo, staccando in due occasioni nientemeno che il futuro campione del mondo Cadel Evans.
Consueta partenza da Riccione, l’ultimo traguardo sarà posto in quel di Sassuolo, in mezzo tanti chilometri che vedranno alcuni tra i migliori ciclisti del mondo darsi battaglia.

Due semitappe in quel di Riccione il primo giorno: finale identico per entrambe le gare in Viale Torino, con la cronosquadre (seconda semitappa) che vedrà una cornice d’eccezione come il circuito automobilistico di Santa Monica di Misano Adriatico.
Il primo giorno difficilmente ci dirà chi vincerà la Settimana Internazionale, ma con tutta probabilità dirà i nomi di chi non vincerà: importantissimo non perdere troppi secondi durante la prova collettiva.

La seconda tappa prenderà il via da San Lazzaro di Savena, come l’anno passato; un circuito iniziale farà da passerella per i corridori che poi prenderanno la strada per Faenza, andando ad affrontare le due scalate del Monte Carla e del Monte Casale prima del GPM di Monte Trebbio, posto 25 km prima del traguardo. Un’altra tappa spettacolare che difficilmente però vedrà l’arrivo solitario di un uomo di classifica.

Più facile che a dare qualche indicazione in più per la vitoria finale sia la terza tappa. Anche qui l’ultima salita sarà a 7-8km dall’arrivo, oggi però le tante difficoltà non lasceranno scampo a chi non è in giornata: i 185km del circuito di Pavullo saranno importantissimi.

La quarta tappa sarà dedicata ai velocisti. Nessuna difficoltà altimetrica e allora l’unico pericolo per gli sprinter rischia di essere una fuga da lontano, mentre gli uomini di classifica non si muoveranno poiché l’indomani li attende la tappa regina. La penultima frazione partirà in quel di Villadose, in provincia di Rovigo, città che lo scorso anno ha ospitato i campionati italiani delle categorie inferiori, mentre l’arrivo è posto a Finale Emilia.

La tappa regina prenderà il via da Fiorano Modenese e sarà ancora una cornice automobilistica, quella del circuito della Ferrari, ad aprire il sipario sull’ultima frazione. I corridori prenderanno quindi la strada di Sassuolo, tradizionale traguardo finale della Settimana Internazionale Coppi e Bartali, ma le difficolta saranno ben lungi dall’essere finite. Ad attendere i corridori ci sono ancora, tre passaggii per ciascuna, le asperità del Montebabbio e del Montegibbio. Nessun gioco di parole, l’unico gioco sarà quello offerto dai protagonisti. E noi ci auguriamo che sia un gioco duro dove i migliori al via si daranno battaglia: chi non vorrebbe vedere un Riccardo Riccò rinato dopo le vicessitudini che lo hanno costretto a stare fuori per due anni, o magari un Ginanni che coi suoi scatti riesce ad imporsi anche su salite impegnative?
Insomma siamo sicuri che non rimarrete delusi da una gara che in 23 edizioni non ha mai deluso (9 con l’appellativo di Coppi&Bartali) e vanta nel suo albo d’oro nomi come Cunego (2), detentore del titolo, Evans, Pellizzotti, Bettini, Bartoli, Argentin (2), Saronni e Fignon.

Andrea Mastrangelo

LE PAGELLE DELLA CLASSICISSIMA: MODOLO IL MIGLIORE DOPO FREIRE

marzo 22, 2010 by Redazione  
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A spuntarla, per la terza volta in carriera, è stato l’iberico Oscar Freire Gomez che, sul lungomare Italo Calvino, ha regolato in volata un gruppetto composto da una trentina di unità. Piazzati, nell’ordine, Boonen e Petacchi. Ma tra i due quotati litiganti per il piazzamento la figura migliore l’ha fatta un giovane, il neoprofessionista Sacha Modolo, autore di quarto piazzamento che ha del prodigioso: sentiremo ancora parlare di lui.

Foto copertina: Sacha Modolo in azione nella 101a edizione della Milano – Sanremo (foto Bettini)

OSCAR FREIRE GOMEZ. Campione di scaltrezza ma anche di umiltà. Conosce alla perfezione i propri mezzi e, grazie a questa consapevolezza di sé, lo spagnolo riesce a sfruttare a proprio vantaggio le varie situazioni che si sviluppano durante la corsa. Bravissimo “limatore”, non lo si nota mai nelle prime posizioni, a differenza dei suoi avversari più quotati, salvo poi palesarsi tra i primi negli ultimi mille metri di gara. Le numerose curve presenti sul lungomare Italo Calvino non favoriscono, inoltre, quelle volate lanciate tanto care ai velocisti più potenti. Freire non fa parte di quest’ultima categoria e ha, conseguentemente, potuto impostare uno sprint, quello a lui più congeniale, basato maggiormente su accelerazioni repentine che non su progressioni maestose. VOTO: 10

TOM BOONEN. Il dominatore delle classiche fiamminghe degli ultimi anni non sembra trovare il giusto feeling con la Classicissima. Eppure la pioggia che si è abbattuta sui corridori nelle prime fasi della gara avrebbe dovuto favorire gli uomini del Nord, quelli come Boonen. Sempre nelle prime posizioni sui Capi, già sulla Cipressa appare affaticato e, infatti, alleggerisce il rapporto per salvare la gamba in vista degli ultimi chilometri. Sul Poggio paga lo scatto, per quanto timido, di Gilbert e nel finale non riesce, quindi, a sprintare con la potenza necessaria per trionfare. VOTO: 8


ALESSANDRO PETACCHI.
Il velocista spezzino pedala vigorosamente su tutte le asperità del percorso (forse come mai nella sua carriera), sul Poggio resiste stoicamente a Gilbert e Pozzato scollinando nelle primissime posizioni. Nel finale non è supportato dalla squadra e coglie un terzo posto che gli lascia l’amaro in bocca. Deve, invece, essere soddisfatto della sua prestazione perchè non sono tanti i velocisti, e i ciclisti in generale, che possono vantare un terzo posto alla Sanremo a trentasei anni suonati. Bisogna, poi, ricordare che Petacchi non ha mai amato, a differenza di Freire, i finali troppo insidiosi. VOTO: 8

SACHA MODOLO. Il neoprofessionista della Colnago corre alla Freire, sempre nascosto. Imposta una volata da una posizione arretrata ma, grazie a una rimonta sublime, agguanta un quarto posto che ha dell’incredibile. Ne sentiremo ancora parlare. VOTO: 9

FILIPPO POZZATO. Il campione italiano mette alla frusta la squadra sin dalle Manie, corre con autorevolezza, ma al vento, tutta la corsa. Quando Gilbert scatta sul Poggio Pippo lo passa con facilità, tuttavia non intuisce che quello è il momento buono e non dà continuità all’azione. Ci prova anche dopo la discesa ma una corsa interpretata troppo dispendiosamente, non gli permette di resistere più di cinquecento metri al rientro del gruppetto inseguitore. Con una condizione del genere, non sarebbe stato meglio giocarsi le proprie carte in volata? VOTO: 7


DANIELE BENNATI.
Non ci siamo. L’aretino gestisce male se stesso e la squadra. Incomprensibili i tentativi di Nibali, Kreuziger e Pellizotti che non fanno altro che appesantire le gambe già affaticate del capitano. Sul Poggio, Daniele si salva col rapportino e, anche se pilotato da un ottimo Oss, in volata s’incurva, sbuffa e non riesce a mulinare come dovrebbe. Se vorrà trionfare, in futuro, dovrà cambiare più mentalità che preparazione. VOTO: 5,5


FRANCESCO GINANNI
. Molto attivo, il giovane toscano, specialmente in discesa. Corre con intelligenza e, al momento opportuno, sa prendersi dei rischi come ci aveva già abituato, in passato, Mirko Celestino. In effetti, come caratteristiche, ricorda molto il ligure che adesso si dedica alla mountain bike. In futuro farà sua la corsa: ci è già andato molto vicino. VOTO: 7,5

STEFANO GARZELLI. Il recente vincitore della Corsa dei Due Mari corre tutta la Classicissima in funzione del compagno di squadra Paolini. Encomiabile il lavoro del varesino che sul Poggio traina il gruppo con grinta e caparbietà. Purtroppo, le trenate di Stefano stancano sia i velocisti sia Paolini, che taglia il traguardo nell’anonimato. Peccato. VOTO: 7

FABIAN CANCELLARA. Abbiamo ancora negli occhi la sparata che ha permesso all’elvetico di vincere l’edizione 2008. Anche quest’anno appare tirato ma la condizione, evidentemente, non c’è. VOTO: 4


MARK CAVENDISH
. Quest’anno non ha finto, alla Tirreno, di staccarsi in salita. La gamba non gira davvero e già le Manie lo escludono dal lotto dei possibili vincitori. Si rifarà. VOTO: 4

Francesco Gandolfi

UOMINI E… FATTI: MICHELE DANCELLI

marzo 18, 2010 by Redazione  
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Nei giorni di vigilia della Milano – Sanremo è possibile visitare a Castenedolo una mostra dedicata a Michele Dancelli, colui che il 19 marzo del 1970 riuscì a spezzare l’egemonia straniera nella classicissima. È l’occasione per andare a rileggere pagine comunque mai dimenticate del ciclismo, che provocheranno un pizzico di nostaglia tra i tifosi più attempati e la voglia di salire sulla macchina del tempo alle nuove generazioni, per rivivere gli anni che videro il nascera della sfida Gimondi – Merckx.

Foto copertina: Michele Dancelli taglia per primo il traguardo di Via Roma. E’ la Sanremo del 1970.

E’ stata inaugurata domenica scorsa, preso la sala civica dei Disciplini di Castenedolo, la mostra dedicata a Michele Dancelli in occasione del quarantesimo anniversario della vittoria alla Milano- Sanremo.
La mostra, organizzata con grande passione dall’Associazione Culturale “Carmagnola”, in collaborazione con l’associazione Michele Dancelli e il Comune di Castenedolo, rappresenta un doveroso omaggio alla prestigiosa carriera dell’indimenticato campione bresciano.
Alla cerimonia inaugurale, svoltasi alla presenza di un numeroso pubblico, hanno partecipato molti campioni del passato quali – tra gli altri- Felice Gimondi, Gianni Motta, Italo Zilioli, Dino Zandegù, Francesco Moser e il fratello Aldo, Davide Boifava, Pierfranco Vianelli, Mario Anni, Renato Bongioni, Pierino Gavazzi, Renato Giusti e Giorgio Albani che, quel 19 marzo del ’70, era sull’ammiraglia della Molteni, direttore sportivo dello scatenato Michele.
Ognuno di loro ha ricordato con parole di stima e di affetto un atleta che ha lasciato il segno nella storia del ciclismo.
Era palpabile la nostalgia per un periodo d’oro dello sport del pedale, un’epoca nella quale l’avversario era anche un amico. Come Zandegù, ad esempio, che ha raccontato da par suo alcuni aneddoti divertenti. O Gianni Motta, l’amico di sempre, che ancora lo ringrazia per averlo aiutato a conquistare il Giro d’Italia del 1966.
Neppure Dancelli, forse, si aspettava una tale partecipazione, sincera e commossa.
Eppure, come ha ricordato Gimondi, se la meritava tutta e non solo perché aveva saputo infrangere il tabù della Sanremo.
La Classicissima ha rappresentato solo il sigillo a un palmares nel quale figurano, tra i successi più belli, la Freccia Vallone del ‘66 e tutte le più importanti classiche nostrane: tre Giri dell’Appennino e due del Lazio, due Giri del Veneto e altrettanti Trofei Laigueglia, due Giri della Provincia di Reggio Calabria e dell’Emilia, due G.P. Industria e Commercio, oltre alla Coppa Sabatini, alla Placci e al Giro di Campania. Senza contare, poi, i due titoli nazionali e le due medaglie di bronzo conquistate ai mondiali, le 11 tappe al Giro d’Italia, il successo al Tour e le maglie rosa.
Un campione che sapeva vincere sia in volata, sia in salita e che amava le fughe da lontano: se solo avesse saputo controllare la sua esuberanza, il palmares sarebbe ancora più ricco, ma probabilmente non sarebbe il Dancelli che abbiamo conosciuto e apprezzato e che ancora oggi affascina con i suoi ricordi, la sua umanità e la sua simpatia.
Ci sono così tanti trofei alla mostra che non basta una teca a contenerli tutti: spiccano la coppa della Sanremo – senza manici perché strappati via dai tifosi – il pavè della Freccia, il San Silvestro d’oro.
E, ancora, tantissime foto, giornali dell’epoca, tutte le maglie indossate durante la carriera, lo spazio dedicato alla famiglia e agli amori e persino le biglie con le figurine dei corridori.
Un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo, che incuriosisce i più giovani e regala più di un brivido a chi ha qualche capello bianco.
La mostra, che resterà aperta sino a domenica 21 marzo (sabato e domenica con orario 8-12 /15-20; dalle 20 alle 22 nei giorni feriali) prevede anche una serie d’iniziative collaterali: sabato prossimo la diretta della Milano Sanremo e la proiezione d’immagini storiche degli anni ‘60 e ‘70 e, il giorno successivo, uno speciale annullo filatelico commemorativo, la presentazione di cartoline autografate da Dancelli, e un’intervista curata dal giornalista Sergio Isonni.
I bibliofili potranno arricchire la loro collezione con la nuova, elegante edizione del libro “Ciclismo bresciano. Uomini e… fatti: Michele Dancelli”, scritto da Giuseppe Bresciani, il presidente del Team Brixia che organizza anche l’omonima corsa professionistica.
Un’occasione da non perdere, quindi, per scoprire (o riscoprire) uno straordinario campione.

Mario Silvano

TIRRENO-ADRIATICO, MA CHI HA VINTO?

marzo 16, 2010 by Redazione  
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Classifica finale Tirreno-Adriatico 2009: 1° Michele Scarponi, 2° Stefano Garzelli a 25”. Classifica finale edizione 2010: 1° Stefano Garzelli, 2° Michele Scarponi. Nessun distacco? No, nessun distacco. 1000 chilometri e due corridori hanno ancora lo stesso tempo, nemmeno un misero secondo di differenza. Ma, per la roulette dei piazzamenti, è il capitano dell’Acqua&Sapone ad indossare la maglia azzurra. E, allora, dopo sei giorni di corsa, vediamo chi sale e chi scende, chi ha fatto tanto e chi ha deluso in questa “Corsa dei due mari” versione 2010.

Foto copertina: Garzelli consola Scarponi sul podio di San Benedetto del Tronto (foto Bettini).

Sette tappe, di discorsi ne sono stati fatti tanti, inutile farne ancora. Partiamo subito con i voti sulla corsa che tira la volata alla Sanremo di sabato.


STEFANO GARZELLI
. Dopo una serie infinita di secondi posti che non si interrompeva, più o meno, dal paleozoico, il capitano dell’Acqua&Sapone si toglie la soddisfazione di vincere finalmente qualcosa. In realtà, lui avrebbe voluto anche una tappa per riassaporare il brivido di alzare le braccia al cielo in sella ad una bicicletta ma, per ora, si deve accontentare di alzarle dal podio. E dire che le premesse non erano delle migliori, visto che si è presentato all’ultima tappa al secondo posto (strano) con due secondi di ritardo (guarda un po’) dal leader Scarponi. Poi due volatine e, pam! Maglia azzurra. Bravo Stefano, adesso puoi prepararti per (ri)conquistare un’altra maglia: quella verde del Giro. E per questo giovincello che va per i 37, più il tempo passa e più la gamba migliora. Caparbio. Voto: 10+.

MICHELE SCARPONI. Ci ha provato in tutti i modi a tenere la maglia anche nel 2010 ma dopo aver dato spettacolo in salita, quello che è il suo terreno, ha pagato in volata, quello che non è il suo terreno. Probabilmente avrà già lasciato l’assegno alla porta di Michael Rogers come risarcimento per i due secondi persi a Macerata e l’Htc-Columbia non ha fatto nulla per dargli una mano negli ultimi 30km di San Benedetto del Tronto, nonostante le trattative tutt’altro che segrete di Savio e Piva. E se ne va via con le pive nel sacco, ma non certo deluso. Come per Garzelli, al Giro d’Italia ci sarà da fare i conti anche con lui. Deluso ma vincente. Voto: 10.

GIANNI SAVIO. Non finisce mai di stupirci e lo fa fin dal principio. Prima intervista di RaiSport da Rosignano sulla squalifica di Giunti: “Adesso deve pagarci anche la penale”. In gruppo è sempre l’animo nascosto, fa e disfà a suo piacimento. Rogers manda al tappeto Scarponi? E lui va a bussare in casa Columbia per cercare qualche sotterfugio per non far prendere i secondi di abbuono a Garzelli. Non ci riesce? Pazienza, perché da buon diplomatico pensa subito al dopo. “Le due squadre più attive della Tirreno sono state Androni e Acqua&Sapone, due professional. E’ l’ora, per il governo del ciclismo, di rivedere qualcosa”. Amen. Peccato che non abbiano fatto dei cloni di questi personaggi qua. Insostituibile. Voto: 10-.

MIKHAIL IGNATIEV. Oramai non ci stupiamo più del fatto di quanto sia brutto da guardare in bicicletta ma se l’efficacia continuerà almeno per un’ altra decina di anni, allora di soddisfazioni se ne potrà togliere a sufficienza. Sempre all’attacco, due fughe a Montecatini e Macerata, con la seconda davvero redditizia: se ne va in solitario quando nessuno scommetteva dieci centesimi e, dosandosi al massimo, riesce ad alzare anche il ditino sul traguardo. Non potrà mai ambire alla classifica generale di qualche gara a tappe importante, ma chi se ne frega. In Katusha sono contenti anche così. Genio. Voto: 9.

TOM BOONEN. Nel mentre Fabian Cancellara scherza in fondo al gruppo con il neo commentatore tv Paolo Savoldelli sul fatto che ha scoperto in diretta televisiva il suo piano per rivincere la Sanremo (ma non si sa di quale anno), Tornado Tom usa la strada più diretta e redditizia: vincere e farsi vedere in testa alla corsa. La volata di Montecatini Terme il secondo giorno è di quelle che fanno male, soprattutto a Bennati, perché tirata alla perfezione, con il rapporto giusto, la voglia giusta in un arrivo tutt’altro che semplice. Visto che, poi, le possibilità erano scarse di tornare al successo, eccolo in fuga verso Macerata. Sue chance di successo? Meno di zero. Risultato: ottimo vernissage in vista della Cipressa e del Poggio. Non ce ne vogliano gli altri, ma il favorito numero uno per sabato è proprio lui. Sarà così?. Voto: 8.


ALESSANDRO PETACCHI.
Strano trovare così in alto un corridore che non ha vinto nulla in questa corsa, ma vogliamo premiarlo per lo spirito. Due giorni prima del via di Livorno, in allenamento con Bernucci, finisce faccia a terra sul vaso di un parcheggio di Massa, si sfigura il mento e non è proprio dell’umore giusto per tornare in bicicletta. Ma, dopo aver vinto qua e là a Febbraio, c’è da preparare una Sanremo (l’ultima?) e il male può stare in un angolino. A Rosignano fa freddo e non si fa vedere, a Montecatini non ha il piglio giusto, a Monsummano tutti credono che sia Hondo quello che farà la volata per la Lampre-Farnese ed, invece, ai 200 metri prova addirittura ad anticipare Bennati che, però, chiude subito la porta. Nessun dramma, un weekend a macinare chilometri e rieccolo a San Benedetto del Tronto a caccia di gloria. Peccato per lui che, dal nulla, spunti Boasson Hagen (voto 5,5 per questa volata regale che fa da media a sei tappe anonime. Ci si aspettava di più.) e lo brucia nonostante Ale-Jet provi ad uscire di traiettoria ma nel momento di massimo sforzo, forse, tocca leggermente Eisel e si deconcentra. Comunque, dietro a Boonen per sabato c’è lui. Combattivo. Voto: 7.


DANIELE BENNATI
. E’ vero che una vittoria di tappa è sempre qualcosa di positivo e la tappa conquistata a Monsummano non può che esserlo, visto lo strapotere negli ultimi 180 metri e visto come la squadra, con Quinziato, Sabatini e Oss (bravissimo questo ragazzo, sempre più rivelazione), gli aveva preparato il terreno. Ma, da contraltare, ci sono i ko più o meno evidenti di Montecatini e dell’ultima tappa. Al secondo giorno, con la strada spianata di fronte a se nonostante si passi per ben quattro volte dal traguardo prima della volata, mette il rapporto sbagliato, si pianta e lascia passare Boonen. Nella Riviera delle Palme, invece, si perde un po’ troppo a guardare dov’è Petacchi e non vede che il treno se n’è già andato e deraglia da solo. La condizione c’è, la testa forse un po’ meno. E per una corsa di quasi 300 chilometri questo può essere un difetto. Non sarà facile per lui vincere la Sanremo. Mandatelo dallo psicologo. Voto: 6.

LINUS GERDEMANN. L’incredibile arrivo della tappa inaugurale a Rosignano sembrava restituirgli ciò che gli era stato tolto nel 2008 quando, molto probabilmente, questa corsa poteva anche vincerla. Ringrazia sentitamente Luca Paolini e alza le braccia al cielo. Per due giorni tiene la maglia, poi torna a fargli visita l’avvoltoio sulla spalliera del letto ed è costretto ad alzare nuovamente bandiera bianca. Se avesse meno sfortuna, questo sarebbe proprio forte. Se…appunto. Vedremo se il prosieguo della stagione confermerà i miglioramenti. Una gita a Lourdes? Voto: 5.

MAMMA RAI. Era l’esordio (quasi) di fuoco per Francesco Pancani e, come ogni esordiente che si rispetti, ha bisogno di un po’ di rodaggio. E’ andato in crescendo anche perché peggio dei primi due giorni era impossibile fare, visto che a Rosignano non si accorge, di fatto, che la volata è stata lanciata e che mancano 20 metri al traguardo, e a Montecatini sbaglia ancora le distanze visto che, poco dopo che i corridori passano sotto il triangolo rosso dell’ultimo chilometro, lui è ancora ai -1500 metri. A Monsummano, poi, si sa tutto in anticipo perché il ritorno in cuffia del coordinamento di Alessandro Fabretti è un po’ troppo alto e si sente tutto. Ma, poi, è cresciuto e il Giro sarà davvero l’occasione d’oro. Bene, invece, la De Stefano finalmente più coinvolta e non soltanto a fare a sportellate a fine tappa. Se, poi, lo facessero intervenire di più, probabilmente ci piacerebbe anche “Falco” Savoldelli, visto che in tutta la diretta dell’ultima tappa è stato chiamato solo una volta all’inizio per i saluti. E’ solo benzina sprecata in quel modo. Rimandati. Voto: 4.

IL PERCORSO. A questo giro Vegni e la RCS Sport hanno provato a cambiare e, onestamente, hanno fatto bene. Via la crono che in una corsa di sei giorni falsa davvero tutto (a meno che non fai un prologo come la Parigi-Nizza) però poi ci sono tutte tappe che lasciano i giochi troppo aperti. Va bene lo spettacolo e va bene che siamo a Marzo e non si può pretendere il Mortirolo, ma un bel tappone sugli appennini abruzzesi con arrivo tosto in salito (viene in mente il Monte San Giacomo di qualche anno fa) non farebbe senz’altro schifo. I muri, poi, sono esaltanti e belli da vedere ma, come sempre, poco redditizi in termini di classifica. Più entusiasmante, invece, il percorso in terra toscana dove, a parte qualche errore logistico, tutto è filato liscio. Però, se il finale della tappa di Monsummano veniva fatto nel senso inverso, magari c’era un po’ più di spettacolo. Mini-flop. Voto: 3.


THOR HUSHOVD
. Va bene nascondersi in vista della Sanremo, ma così è un po’ troppo. Visto che Haussler, secondo l’anno scorso sulla riviera ligure, ha dato forfait, toccherà al norvegese fare il capitano in casa Cervelo. Sempre assente nelle tappe che potevano vederlo protagonista, prova a far girare la squadra in testa al gruppo nel gran finale. Risultato: a 600 metri dal traguardo si ritrova lui in testa al gruppo e addio sogni di gloria. E’ vero che la Sanremo è un’ altra cosa ma ci sembra che oramai i norvegesi che vanno di moda nel mondo del ciclismo stiano da un’altra parte (Sky) e abbiano un altro nome (EBH). Ci sbagliamo? Tre giorni e lo scopriremo. Grossa delusione. Voto: 2.

JOSE SERPA. Va beh che i sudamericani e la discesa non vanno mai d’accordo, ma lui esagera. Non solo va in terra per conto suo un paio di volte, ma il suo errore fa baciare l’asfalto anche al suo compagno di squadra in Androni nonché leader della corsa Scarponi. Però, vederlo risalire in bicicletta e, solo qualche chilometro più avanti, scorgerlo in testa al gruppo a tirare in salita con il volto pieno di sangue, non ha prezzo. Per tutto il resto c’è Savoldelli che vorrebbe adottarlo per dargli qualche lezione privata su come si fa ad andare in discesa. Ma il “Falco” ha tenuto a precisare che tre settimane non basterebbero. Disadatto, ma solo in discesa. Voto: 1.


MARK CAVENDISH.
Non è in forma e non fa assolutamente niente per nasconderlo. Sembra il buon vecchio Ivan Quaranta che su ogni cavalcavia si staccava ed il capitano dell’Htc-Columbia non è da meno. Il mal di denti è alle spalle, i chili di sovrappeso no. E, quando ha voglia di sprintare, finisce faccia a terra. Sarà dura rivincerne 23 anche quest’anno di questo passo. E, soprattutto, sarà dura rivincere a Sanremo. La sua squadra ha deciso di dare fiducia a lui e non a Greipel: contenti loro. Irriconoscibile. Voto: 0.

Saverio Melegari

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