BERGAMO, NOTA AL MARGINE: “BASTA MORTI IN BICI”
Ancora una fuga, ancora una bella schermaglia a tre, ancora il peloton pateticamente al pascolo. Il Giro non alza la testa, e il ciclismo nemmeno: da bordo strada si protesta per le morti in bicicletta, il movimento tace.
Un’altra tappa che ci scorderemo facilmente. Si scordano tante cose, dopotutto. Soprattutto i morti. A Bergamo spunta il sole, i bordi delle strade sono stracolmi di gente allegra per il Giro. Gran parte del gruppo si scorda di correre. Sarà l’abitudine. “Lo sa che io ho perduto un Giro?”, dirà un giorno qualcuno. “Signore, lei è un corridore professionista piuttosto distratto”, potrebbero rispondergli. Un’altra tappa è andata, la sua musica finita, col gruppo spanciato anche in salita. Va detto che i ciclisti in genere non sono distratti, altrimenti ci lasciano la pelle. Le cicliste nemmeno, naturalmente: anche loro ci lasciano la pelle. Per fortuna la Regione Lombardia qualche anno fa si è premurata di raccogliere tutti i dati sugli incidenti stradali con vittime in bicicletta: così alla faccia delle reti sociali e della fauna che vi imperversa sappiamo che in bici sostanzialmente si muore senza colpe proprie. Travolti dal solito destino, cioè dal solito guidatore immancabilmente sconvolto. Ex post. Lo stesso che magari fino a un attimo prima dell’incidente si stava dedicando a uluare col clacson contro le biciclette, a superare facendo il filo per ripicca o terrorismo, oppure, perché no, a girare un video e redigere invettive contro i ciclisti sulle stesse reti sociali di cui sopra. Fino a un attimo prima – o magari direttamente durante l’incidente. L’uso del cellulare alla guida scalza droghe, alcol o velocità in vetta alle cause di sinistro. L’automobilista, in effetti, è in genere distratto. D’altronde meglio così, duole meno pensare alla distrazione che non all’accanimento, quando ci scappa un morto. Non che i casi di accanimento conclamato latitino, fra pestaggi e inseguimenti per travolgere apposta il reo ciclista. Magari quello sbagliato, come accaduto a Milano: aggressione e distrazione, perché scegliere una sola delle due se si può scadere in entrambe?
Numeri alla mano, dunque, ciclisti e cicliste non muoiono per distrazione propria, e piuttosto sorprendentemente non muoiono nemmeno per indisciplina. “Sorprendentemente” perché, è vero, in bicicletta può esistere un’intrinseca resistenza a farsi disciplinare. E per fortuna, perché chi pedala ne ha ben donde: in Italia lo si fa tra le maglie di una normativa antidiluviana e programmaticamente ostile, quando non già discriminatoria. È l’eredità squallida e cancrenosa di un passato industriale, anch’esso ormai in condizioni terminali, ma ai cui diktat continuano a improntarsi tanti nostri modi di vivere e di pensare. La coazione a ripetere e l’impotenza della politica hanno fatto il resto: le norme di circolazione italiane così come le infrastrutture specifiche per la bici sono orribilmente obsolete nel migliore dei casi, dannose nel peggiore. È davvero meritorio che si riesca ad andare in bicicletta ovviando alle regole più inaccettabili senza che tali infrazioni della “disciplina” si traducano in incidenti. D’altronde i ciclisti e le cicliste, già si è detto, sono tutt’altro che distratti, e sono pure alquanto interessati alla propria integrità fisica, della quale per il resto nessun altro sembra preoccuparsi granché. Di qui il miracolo di riuscire a farsi ammazzare da innocenti, in un mondo dove di innocenza ne resta ben poca.
Tutto questo lo sappiamo bene, perché scriverne oggi? Lo sappiamo benissimo, anzi, visto che fra l’aprile del 2017 e il novembre del 2022, nel breve volgere di una manciata di anni, sono stati uccisi in sella alle loro biciclette due fra gli atleti professionisti più di spicco del movimento ciclistico italiano, Scarponi e Rebellin. Probabilmente fra i dieci corridori principali che l’Italia abbia avuto in questo squarcio di secolo. Rebellin è stato ucciso meno di sei mesi fa. Ma, come premesso, si scordano tante cose, soprattutto i morti.
A Bergamo è stato investito e ucciso un uomo in bicicletta martedì scorso. Non è passata nemmeno una settimana. È successo a meno di due chilometri da dove il Giro ha posto il proprio festoso traguardo. Bergamo non se n’è scordata. O qualcuno non se n’è scordato a Bergamo. Sulla Boccola, dove i ciclisti sono transitati due volte, in mezzo a due fittissime ali di folla, era esposto un gigantesco striscione: “Basta morti in bici”. Le riprese televisive non ci si sono soffermate più di tanto, anzi sono parse evitarlo. O forse è stata solo distrazione. La distrazione imperante a questo Giro, che coincide pericolosamente col fare il proprio più miope interesse.
Abbiamo scritto giusto un paio di giorni orsono delle pressanti preoccupazioni del sindacato ciclisti professionisti per la salute e sicurezza dei propri membri, in quel caso per via della pioggia. Mi domando se questa morte così recente, così prossima, non potesse o dovesse essere spunto per una nuova levata di scudi. Una parte consistente dell’attività del ciclista professionista si svolge in allenamento, su strade aperte: infatti non si contano gli incidenti, gli infortuni, le aggressioni, le risse. Nel bilancio dei rischi a cui va incontro chi fa il corridore per lavoro, la sicurezza stradale generale e una normativa che tuteli chi pedala dovrebbero essere una priorià assoluta.
Una parte del rischio sarà sempre ineliminabile, ma l’Italia ha un enorme problema specifico in quest’ambito. Un problema colossale. Infatti anche se a Bergamo forse non si nota, in Italia si pedala sempre di meno, e in proporzione si muore sempre di più, con cifre che da decenni si assestano fra i duecento e i trecento morti annui. A Milano nei tre mesi che separano i primi di febbraio dai primi di maggio sono state uccise tre persone in bicicletta. Ogni settimana vengono uccise sulle strade italiane fra quattro e sei persone mentre stanno pedalando. In Spagna, per confrontarci con un Paese per molti versi affine, l’uso della bicicletta – sportivo o meno – è invece in crescita vertiginosa. Il numero dei morti viceversa è crollato, in due successivi scossoni: ai primi Duemila e a metà dei ’10, a seguito di innovazioni nel codice di circolazione. Confrontando i dati dal 2018 ai più recenti disponibili, la Spagna si assesta sulla sessantina di vittime annue con valori anche inferiori a 50. L’Italia viaggia attorno alle 220 vittime. Ogni anno. Le vittime sono la punta di un iceberg che comprende in proporzioni via via crescenti e rapidamente mostruose anche: le lesioni incapacitanti, i feriti gravi, i danni economici, il senso di minaccia continuo per chi pedala, la discriminazione, il caos normativo, l’insicurezza fisica e legale, e quindi, dilagante, l’abbandono della bicicletta proprio in un momento in cui se ne impone l’imprescindibilità per una mobilità minimamente sostenibile.
Contador, nella cronaca televisiva per Eurosport, sbozza un ritratto da brividi di che cosa significhi allenarsi sulle strade italiane perché la gente in macchina guida terribilmente; è qualcosa, uno sprazzo di consapevolezza, ma parla in spagnolo e non lo ascolteranno gli italiani. Il tutto scade poi troppo facilmente nel folklore nazionale, “pensa un po’ l’Italia, i soliti caciaroni, girate al largo se potete”. Sarebbe stato interessante un paragone sui numeri e sulle normative, ma questo va forse chiesto ai giornalisti, più che a Contador.
La tappa di Bergamo è stata una nota al margine in questo Giro. Il gruppo che ha fatto scempio del primo tappone alpino minacciando scioperi in nome della sicurezza, ha poi insistito giorno dopo giorno in uno smaccato sciopero bianco. A poco è valso il sole di Bergamo, le strade asfaltate per tempo. Si è de facto bloccata la sede stradale subito dopo aver dato via libera senza colpo ferire a una fuga bislacca nella quale spiccavano fin da subito i nomi di maggior caratura per un tracciato altimetrico: McNulty, Healy, Mollema, Rubio rientrato dopo un lungo inseguimento solitario. Il resto era mero condimento, con le eccezioni di cui si dirà, più quella di Rojas, stoico in appoggio a Rubio. Nonostante un’evasione di Bonifazio arenatasi sui muri della Roncola, l’ordine di arrivo conferma pedissequamente le previsioni con l’unica aggiunta dell’indomabile giovanissimo Marco Frigo, che riuscirà a piazzarsi terzo. Divertente il duello fra Healy e Rubio per i punti di miglior scalatore, entrambi propensi a insidiare Bais e Pinot. Divertente la sfida in Roncola fra McNulty e Healy, col primo che allunga, il secondo che lo ripiglia e lo schianta nel tratto più ripido con uno scatto violento, poi lo statunitense rientra con una caccia quasi esasperante per equilibrio. Healy ci riprova sulla Boccola, ma non sgancia McNulty che lo liquida in volata, complice la presenza del terzo incomodo Frigo che dimostra un carattere d’acciaio nel fare l’elastico lungo tutti gli ultimi trenta e passa km. Fin. Il gruppo marcia in file orizzontali per monti e per valli. Stucchevoli accenni di allunghi su un paio di strappi, senza esiti di peso. Nessuna novità in classifica generale. Nessuna novità in generale, anzi.
Lo spettacolo l’hanno dato i margini. I margini della strada, stracolmi di gente riversatasi sulle strade per salutare questi pedalatori distratti. Gente che ha esposto tanti striscioni chiedendo di mettere fine alle morti in bicicletta. Ma il ciclismo era stanco, forse troppo lontano, e non ha ascoltato il loro dolore. E, quel che è peggio, non si è reso conto che quel dolore fosse anche il proprio.
Gabriele Bugada

La vittoria di Brandon McNulty a Bergamo (Getty Images)
CORRIDORI FATE CASINO, IN MEMORIA FELIX
Sulle strade care all’indimenticato Felice Gimondi si corre una tappa apparentemente mal disegnata, con salite che sembrano gettate alla rinfusa nel tracciato. La più dura si affronterà per prima, un altro paio d’ascese s’incontreranno a metà tappa mentre l’ultima, piazzata a poco meno di 30 Km dall’arrivo, proporrà all’inizio un muro niente male che potrà far scricchiolare qualche big della classifica. Per far sì che lasci il segno, però, bisogna darci dentro e rendere la tappa molto più dura di quello che le cartine lasciano suggerire. E lo spazio per far casino, oggi, c’è…
Da quando, il caldo pomeriggio del 16 agosto del 2019, chiudeva per sempre gli occhi Felice Gimondi il Giro d’Italia non aveva ancora avuto occasione per rendere un vero e proprio omaggio al campione lombardo, anche perché nelle ultime tre edizioni la Corsa Rosa si era sempre tenuta alla larga dalla provincia di Bergamo. Ma nel 2023 questa piccola lacuna sarà colmata con una tappa di quasi 200 Km il cui disegno sarebbe piaciuta parecchio a “Nuvola Rossa”, come ebbe a ribattezzarlo l’altrettanto indimenticato Gianni Brera. Tra Seregno e Bergamo non si dovrà soltanto pedalare sulle strade della sua Sedrina, il paesello della Val Brembana dove il tre volte vincitore della Corsa Rosa era nato il 29 settembre del 1942, ma si andranno ad affrontare una serie di salite che sono nella storia del ciclismo e poco importa il fatto che il disegno della frazione le colloca in una maniera apparentemente un po’ scriteriata, con la più difficile piazzata lontano dal traguardo e parecchi intervalli tra un colle e l’altro. Gimondi si sarebbe divertito tantissimo su questo percorso che, se ben sfruttato, può fare più “casino” del previsto, per utilizzare la stessa parolaccia che tanti anni fa fruttò a Felice una vera e propria cacciata dal palco del “Processo alla tappa”, allontanato e qualche giorno più tardi riabilitato dallo storico conduttore della rubrica, il giornalista romagnolo Sergio Zavoli. Si comincerà a circa 35 Km dalla partenza con il Valico di Valcava, impegnativa ascesa che negli anni ‘80 fu sedotta e abbandonata dal Giro di Lombardia, per poi essere riscoperta dalla medesima corsa in tempi più recenti, non più considerata troppo dura per una gara come la “classica delle foglie morte”. 41 Km più avanti sarà la volta di una delle ascese più iconiche delle valli bergamasche, anche se quella che conduce a Selvino è più conosciuta per la spettacolarità dei suoi tornati che per le inclinazioni. Immediatamente dopo si andrà sul Miragolo, salita che – a differenze della altre che si affronteranno oggi – è una scoperta recente, inserita per la prima volta in una competizione professionistica nel 2016. Isolato rispetto a tutti gli altri l’ultimo dei grandi colli di giornata sarà il Valpiana, pure preso a piene mani dal percorso del “Lombardia”, scavalcato il quale si dovranno percorrere 28 Km per andare al traguardo, prima del quale bisognerà fare i conti con la Boccola, l’acciottolata salitella verso Bergamo Alta che i corridori avranno affrontato anche 54 Km prima: sarà l’ultima tessera di un puzzle di 4000 pezzi, il numero di metri di dislivello complessivo che si dovranno superare, un vero e proprio “incastro” nel quale qualche nome grosso della classifica potrebbe rimanerci stritolato.
Prima che entrino in scena le montagne saranno le colline protagoniste del percorso perché il tratto iniziale si svolgerà attraverso la Brianza, affrontando subito dopo il via la dolce salita – poco meno di 3 Km al 3.7% – che conduce a Monticello Brianza, dosso molto conosciuto in gruppo perché è stato inserito in parecchie edizioni della Coppa Agostoni, subito dopo esser usciti dal tradizionale circuito del Lissolo. Il tratto successivo vedrà attraversare le aree pianeggianti del Parco regionale di Montevecchia e della Valle del Curone, nel quale sono possibile ammirare curiose piramidi che ricordano quelle egiziane. Raggiunta Merate, presso la quale si trova dal 1923 l’osservatorio astronomico della milanese Accademia di Brera, si cambierà direzione per fare ingresso in provincia di Bergamo attraverso il ponte sul fiume Adda di Brivio, centro il cui nome deriva dal termine celtico Briva (che significa per l’appunto ponte) e sul quale dominano i resti del locale castello. Attraversato Cisano Bergamasco si dovrà, però, uscire dai confini della provincia per tornare nel Lecchese e affrontare la Valcava dal lato più duro, anticipata dall’ascesa di San Gregorio (3.1 Km al 6.3%). È da Torre de’ Busi che ha inizio la prima delle quattro grandi salite di giornata, 10 Km all’8,7% e un tratto di quasi 4 Km al 10.2% che terminerà a mezzo chilometro dallo scollinamento, dopo aver toccato un picco massimo del 17%. Giunti in cima a questa salita, che al Lombardia del 1986 riuscì a mettere in croce uno scalatore del calibro del francese Laurent Fignon, si svalicherà accanto ai tralicci di una delle più importanti postazioni radio-tv dell’Italia settentrionale, operativa dal 1975 e realizzata non molto distante dal luogo dove si trovata la stazione d’arrivo della più antica funivia d’Italia, inaugurata nel 1928 e smantellata alla fine degli anni ’70. La successiva discesa verso la Valle Imagna sarà un “mix” tra due differenti versanti, con il primo che verrà abbandonato all’altezza di Costa Valle Imagna per intraprendere un tratto in quota di circa 3 Km che terminerà in corrispondenza del futuro scollinamento del GPM di Valpiana, dove si riprenderà a scendere in direzione di Capizzone. Raggiunta Almenno San Salvatore, presso la quale si può ammirare la romanica chiesa di San Giorgio in Lemine, si andrà a superare il corso del Brembo alle porte di Villa d’Almè, dalla quale si punterà verso Bergamo. Il primo dei tre passaggi dalla “Città dei Mille”, così chiamata per i quasi 200 volontari bergamaschi che presero parte alla storica spedizione, si svolgerà sulle pianeggianti strade della periferia nordorientale, seguendo le quali il gruppo s’infilerà successivamente nel tratto iniziale della Val Seriana. Si pedalerà in uno degli angoli della nostra nazione che maggiormente fu colpito, nella primavera del 2020, dalla prima ondata della pandemia di Covid, andando a sfiorarne uno degli “epicentri”, l’ospedale di Alzano Lombardo. È dalla vicina Nembro che si tornerà, per la terza volta in questa giornata, a parlare il linguaggio della salita, stavolta per affrontare i 12 Km al 5.3% che con 19 tornanti condurranno fino ai 946 metri di Selvino, la stazione di sport invernali più vicina alla Pianura Padana, della quale sono originarie le ex sciatrici Paoletta e Lara Magoni e dove è in progetto la realizzazione dello Skidome, innovativo impianto sciistico sotterraneo. Stavolta la discesa sarà affrontata in maniera parziale perché, percorsone il tratto iniziale si svolterà a sinistra per intraprendere la più difficile salita – 5 Km al 7.2% – che condurrà al borgo di Miragolo San Salvatore, da non confondere con il quasi omonimo e vicino paesello di Miragolo San Marco, che ebbe fama nel Seicento grazie alle pendole “opus Miragoli” che vi venivano prodotte dalla famiglia Gritti. Testimonianza di questo artigianato è visibile nel Museo della Valle che si trova in fondo alla successiva discesa, nel centro di Zogno, il paese natale di Antonio Pesenti, il primo corridore bergamasco a vincere il Giro d’Italia (1932). Siamo tornati in Val Brembana e da lì a pochi chilometri ci sarà il passaggio da Sedrina, il paesello di Gimondi, conosciuto anche per i suoi ponti sul Brembo, il più antico dei quali secondo la tradizione risale all’anno 110. Pochi chilometri più avanti si ritroveranno strade già percorse in precedenza, riattraversando Villa d’Almè e facendo quindi ritorno a Bergamo, dove si andrà per la prima volta ad affrontare la Boccola, la lastricata stradina che sale verso la città alta, 1200 metri nei quali la pendenza media passa da “quota zero” al 7,9%, con un picco del 12% e un brevissimo tratto in acciottolato che inizia in corrispondenza del passaggio da Porta San Lorenzo, il più piccolo tra i quattro varchi che bucano la cortina delle mura veneziane, innalzata nel XIV secolo quando la città era una delle principali della Serenissima. Seguendo in discesa il panoramico viale che costeggia i baluardi fortificati, si andrà per la prima volta a tagliare la linea d’arrivo, nella parte bassa della cittadina orobica, per poi tornare a pedalare in direzione delle Prealpi Orobie, alle cui pendici si tornerà – dopo una quindicina scarsa di chilometri privi di difficoltà altimetriche – all’altezza di Almenno San Bartolomeo, centro dove gli appassionati d’arte romanica potranno deliziarsi con la visita alla Rotonda di San Tomè, chiesa circolare costruita nella prima metà del XII secolo. Qui si tornerà a prendere l’ascensore, stavolta per affrontare la salita di Valpiana, più famosa tra gli appassionati come “Roncola” dal nome del centro che si attraversa 5 Km prima dello scollinamento. Sono 10 Km al 6.1%, molto più impegnativi di quel che dicono i suoi numeri sia perché gli ultimi 2 Km sono praticamente pianeggianti, sia perché non si percorrerà la strada classica nel tratto iniziale, avendo scelto l’organizzazione d’inserire il cosiddetto “Muro di Barlino”, 1300 metri al 10.3% con i primi 500 metri al 12% che prevedono un picco massimo del 14%. Raggiunto lo scollinamento di Valpiana si dovrà affrontare la discesa già percorsa in precedenza scendendo dalla Valcava, puntando quindi per la terza e ultima volta su Bergamo, dove gli acuminati “dentini” della Boccola nuovamente torneranno ad azzannare i polpacci dei corridori, oggi messi a prova da una frazione che potrebbe far più male del previsto. Basta far casino, in memoria di Gimondi.
Mauro Facoltosi
I VALICHI DELLA TAPPA
Sella di Monte Marenzo (436 metri). Concide con l’omonimo abitato, toccato lungo la salita di San Gottardo, l’ascesa che anticipa quella della Valcava.
Sella di San Gottardo (403 metri). Si trova alle porte dell’omonima località, all’altezza del bivio dove inizia il versante lecchese del Valico di Valcava.
Forcella di Valcava (1336m). Raggiunta dalla Strada Provinciale 179 “della Valcava” sul versante lecchese e dalla SP 22 “Valsecca-Costa Valle Imagna” sul versante bergamasco, mette in comunicazione Torre de’ Busi con Costa Valle Imagna. È nota anche come “Valico di Ca’ Perucchini” e “Valico di Valcava”, toponimo con il quale è segnalato sulle cartine del Giro 2023. Scoperta dal grande ciclismo in occasione del Giro di Lombardia del 1986, è rimasta nel tracciato della classica di fine stagione fino al 1990 per poi essere riscoperta dalla stessa corsa nel 2011, venendo proposta anche nel 2012, nel 2013 e nel 2016. Per il Giro d’Italia si tratta della seconda volta sulla Valcava, già affrontata nel 2012 durante la tappa Busto Arsizio – Pian dei Resinelli (Lecco), vinta dall’abruzzese Matteo Rabottini, primo anche in vetta alla difficile ascesa lombarda.
Sella di Selvino (941 metri). Vi sorge l’omonima località di sport invernali e mette in comunicazione la Val Seriana con la Val Brembana e la Val Serina. Quotata 946 sulle cartine del Giro 2023, è stata affrontata 5 volte alla corsa rosa, tre come GPM di passaggio e due come arrivo di tappa. La prima volta fu scalata nel 1969 nel finale della semitappa Zingonia – San Pellegrino Terme, vinta dal vicentino Marino Basso dopo che al GPM era transitato in testa il bresciano Michele Dancelli. Ci si tornerà nel 1976 nei chilometri conclusivi della Terme di Comano – Bergamo, vinta in casa da Gimondi con il varesino Wladimiro Panizza primo a Selvino. L’ultimo GPM “di passaggio” è stato proposto nel 2017 durante la Valdengo – Bergamo ed è stato conquistato dal francese Pierre Rolland, mentre al traguardo si era imposto il lussemburghese Bob Jungels. I due arrivi di tappa sono stati conquistati dall’americano Andrew Hampsten nel 1988 (Novara – Selvino) e dall’elvetico Tony Rominger nel 1995 (cronoscalata da Cenate): in entrambi i casi i vincitori di tappa qualche giorno più tardi si imporranno nella classifica finale della corsa rosa.
Passo di San Bernardo (858 metri). Concide con l’omonima frazione del comune di Roncola, attraversata dalla Strada Provinciale 172 “della Roncola” lungo la salita a Valpiana. Il Giro l’ha inserita due volte nel tracciato, la prima durante la Milano – Bergamo del 1983, vinta dal lombardo-piemontese Giuseppe Saronni dopo che al GPM, fissato in località Roncola e non al punto di scollinamento, era transitato primo Lucien Van Impe, lo scalatore belga che nel 1976 si era imposto al Tour de France. Durante la pocanzi citata tappa Novara – Selvino del Giro del 1988 a conquistare il GPM, stavolta correttamente collocato al termine dell’ascesa, passò per primo Renato Piccolo, il corridore veneto che quell’anno conquisterà la classifica riservata agli scalatori.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

Felice Gimondi e l’altimetria della quindicesima tappa del Giro 2023 (strada.bicilive.it)
CIAK SI GIRO
Se vi piacciono i film comici surreali allora conoscerete – e se non li conoscete dovreste colmare questa lacuna – le strampalate commedie firmate dal regista milanese Maurizio Nichetti, la cui figura è stata accostata da diversi critici a quella di Woody Allen. È autore di film come “Volere volare”, che ricorda molto “Chi ha incastrato Roger Rabbit” per la commistione tra realtà e fantasia cartoonistica, “Ratataplan” (il film che l’ha fatto conoscere) e “Ladri di saponette”, ispirato al celebre “Ladri di biciclette”, il capolavoro del neorealismo firmato nel 1948 dal grande Vittorio De Sica. In “Ladri di saponette”. In questo film Nichetti è due volte regista, perché interpreta sia sé stesso, sia Antonio, il protagonista di un film neorealista da lui diretto e che viene invitato a presentare a un talk show televisivo, condotto quest’ultimo non da un attore ma da uno dei più noti critici cinematografici italiani, Claudio G. Fava. Un imprevisto tecnico provoca, però, un black out dalle conseguenze inattese, con i protagonisti del film in bianco e nero che vengono catapultati nella vita reale a colori e lo stesso regista che, viceversa, si vede costretto a varcare il confine con la finzione per cercare di riportare sui binari originari la trama originaria, riuscendo nell’intento ma poi rimanendo intrappolato nel film. Se la pellicola è surreale, reali – ovviamente – sono i luoghi delle riprese, svoltesi nel breve volgere di 38 giorni a Milano e in alcune dei luoghi che saranno oggi sfiorati dal percorso di gara. Il ponte di Brivio sull’Adda fa così da sfondo alla scena nella quale Antonio si allontana in bici dall’azienda dove lavorava (in realtà un’ex cristalleria situata nel quartiere Bovisasca a Milano) e dalla quale aveva appena rubato un lampadario. Bergamo Alta, invece, è stato il set del famoso spot televisivo del detersivo per pavimenti Ajax, che in quegli anni fu mandato in onda di frequente durante i famosi “consigli per gli acquisti”. Molti ancora ricordano la scena delle massaie che, cantando “igiene sì, fatica no” lanciano per aria i secchi e che si vede anche in questo film, anche se in realtà solo in parte si tratta d’immagini del vero spot, che era stato girato in una suggestiva piazzetta del centro storico di Viterbo. Quando, nell’opera di Nichetti, Maria (la moglie di Antonio, interpretata dall’attrice materana Caterina Sylos Labini) viene catapultata dal film neorealista allo spot trasmesso in quel momento alla tv e può finalmente coronare il suo sogno di divenire attrice, l’azione si svolge in un set diverso, non più a Viterbo ma nella centralissima Piazza Vecchia di Bergamo.
In collaborazione con www.davinotti.com

La scena del spot del detersivo Ajax rigirata da Maurizio Nichetti in Piazza Vecchia a Bergamo per il film “Ladri di saponette” (www.davinotti.com)
Le altre location del film
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/ladri-di-saponette/50002812
FOTOGALLERY
Una delle Piramidi di Montevecchia (villago.it)
Merate, Osservatorio Astronomico di Brera (www.brera.mi.astro.it)
Brivio vista dal ponte sul fiume Adda
Il centro trasmittente di Valcava, al culmine dell’omonima salita
Almenno San Salvatore, chiesa di di San Giorgio in Lemine
L’ospedale di Alzano Lombardo
Uno dei tornanti della salita di Selvino
Ponti di Sedrina
Almenno San Bartolomeo, Rotonda di San Tomè
Bergamo, Ponte San Lorenzo
FUGA BIDONE IN CASA BASSO. DOPPIETTA PER DENZ, ARMIRAIL IN ROSA
La maxifuga della quattordicesima tappa, dopo essersi frazionata negli ultimi 50 km, vede giocarsi la vittoria una decina di ciclisti. A Cassano Magnago è Nico Denz (Team BORA Hansgrohe) ad imporsi in una volata ristretta davanti a Derk Gee (Team Israel Premier Tech) ed Alberto Bettiol (Team EF Education EasyPost). Dopo oltre 20 anni, un ciclista francese, Bruno Armirail (Team Groupama FDJ), si veste di rosa
Dopo la mezza farsa di ieri, con il taglio del Gran San Bernardo e la salita finale verso Crans Montana in cui i big hanno inscenato una specie di no contest, il Giro riparte oggi – almeno si spera – da Sierre e torna in Italia salutando la Svizzera. L’arrivo è situato a Cassano Magnago dopo 194 km, lungo i quali i ciclisti troveranno ancora maltempo e soprattutto il gpm di prima categoria del Passo del Sempione. La fuga avrà la forza e la qualità per riuscire a reggere l’inseguimento del gruppo, che presumibilmente dovrà raccogliere a poco a poco i pezzi – leggasi velocisti – tra la lunga discesa verso Domodossola e gli ultimi 90 km di tappa complessivamente pianeggianti? Vedremo. Intanto da Sierre Geraint Thomas (Team INEOS Grenadiers) riparte con una maglia rosa un po’ sbiadita dalle polemiche piovute – è proprio il caso di dirlo – dopo l’accorciamento del percorso della tappa di ieri, che ha molti, tra appassionati e tifosi, non è proprio piaciuto. Da Sierre non partivano Samuele Battistella (Team Astana Qazaqstan) e Stefan De Bod (Team EF Education EasyPost), entrambi fermati da problemi fisici. Un primo tentativo di fuga di una trentina di ciclisti, nel quale era presente Michael Matthews (Team Jayco AlUla) non andava bene alla Bahrain Victorious, proprio a causa della presenza dell’australiano, che poteva dare dei grattacapi alla maglia ciclamino Milan. Un nuovo attacco veniva portato qualche km più tardi da una ventina di ciclista, tra i quali erano presenti cinque italiani: Alessandro De Marchi (Team Jayco AlUla), Davide Bais (Team EOLO Kometa), Andrea Pasqualon (Team Bahrain Victorious), Alberto Bettiol (Team EF Education EasyPost), Davide Ballerini (Team Soudal Quick Step). All’inizio del Passo del Sempione, il primo gruppo di testa, formato da 18 ciclisti, veniva raggiunto da un drappello di nove ciclisti tra cui era presente Stefano Oldani (Team Alpecin Deceuninck). Il gruppo maglia rosa inseguiva a quasi 6 minuti di ritardo. Dopo circa 6 km di salita anche Mattia Bais e Mirco Maestri (Team EOLO Kometa) riuscivano a raggiungere la testa della corsa. Davide Bais scollinava in prima posizione sul Passo del Sempione, unico gpm di tappa posto al km 56. Il gruppo maglia rosa inseguiva ad oltre 9 minuti di ritardo. Al primo traguardo volante di Villadossola, posto al km 101.7, era Marius Mayrhofer (Team DSM) a transitare in prima posizione. Laurenz Rex (Team Intermarchè Circus Wanty) si aggiudicava il secondo traguardo volante di Stresa posto al km 138.3. Il ciclista belga allungava, trainando con sé Oldani, Toms Skujins (Team Trek Segafredo) e Davide Ballerini. Il buon accordo del quartetto in testa dava i suoi frutti, visto che il suo vantaggio sul primo gruppo inseguitore aumentava lentamente ma costantemente. A 15 km dall’arrivo i quattro battistrada avevano 30 secondi di vantaggio, mentre il gruppo maglia rosa era cronometrato ad oltre 18 minuti di ritardo. Eppure il primo gruppo inseguitore, anche se frazionato a sua volta, riusciva a raggiungere la testa della corsa a poco meno di 1 km dalla conclusione. Si giocavano così la vittoria, oltre a Rex, Oldani, Ballerini e Skujins, anche Nico Denz (Team BORA Hansgrohe), Derek Gee (Team Israel Premier Tech), Alberto Bettiol (Team EF Education EasyPost) e Mayrhofer. Era proprio il tedesco della BORA a battere al photofinish Gee, mentre Bettiol era terzo. Rex si piazzava in quarta posizione a 1 secondo di ritardo da Denz, mentre chiudeva la top five Ballerini in quinta posizione. Il gruppo maglia rosa tagliava il traguardo con 21 minuti e 11 secondi di ritardo da Denz, il quale ottiene la seconda vittoria di tappa al Giro 2023, due giorni dopo essersi imposto in un’altra fuga nella dodicesima tappa con arrivo a Rivoli. Bruno Armirail (Team Groupama FDJ) è la nuova maglia rosa ed è il primo francese a vestire il simbolo del primato dopo Laurent Jalabert nel 1999. Armirail ha un vantaggio di 1 minuto e 41 secondi su Geraint Thomas (Team INEOS Grenadiers) e di 1 minuto e 43 secondi su primoz Roglic (Team Jumbo Visma). Domani è in programma la quattordicesima tappa da Seregno a Bergamo di 194 km. Un percorso che presenta complessivamente quattro gpm e che ricorda vagamente quello del Giro di Lombardia. Ci auguriamo che si possa scatenare la prima vera bagarre tra i big di classifica, al termine della seconda settimana di Giro dove lo spettacolo ancora langue.
Antonio Scarfone

Nico Denz vince a Cassano Magnago (foto: Getty Images)
DALL’ALTO IN BASSO
Il Giro fa rientro in Italia scavalcando nuovamente la catena alpina. Stavolta, però, dopo aver raggiunto i 2004 metri del Passo del Sempione non s’incontreranno più difficoltà da lì al traguardo e i velocisti già pregustano la possibilità di giocarsi la vittoria a casa di Ivan Basso. Il finale non sarà comunque alla portata di tutti gli sprinter perché una serie di modeste collinette scremerà il gruppo e per primi a saltare saranno quei velocisti che non avranno ancora smaltito il Sempione.
Dalle alte quote si fa velocemente ritorno in pianura con una tappa per davvero guarderà i “girini” dall’alto in basso. Si dovrà, infatti, salire in partenza ai 2004 metri sul livello del mare del Passo del Sempione per poi pedalare verso il basso, sia quello della pianura, sia quello con la B maiuscola perché la località d’arrivo, Cassano Magnago, è la città natale del due volte vincitore del Giro Ivan Basso. Non aspettiamoci, però, una tappa nella quale il campione varesino avrebbe potuto dare sfoggio delle sue doti perché la conclusione più probabile per questa frazione sarà l’arrivo allo sprint, con grande rammarico per tutti quegli appassionati che di sabato avrebbero preferito una tappa infarcita di salite. Impegnativa, comunque, lo sarà per molti dei corridori che oggi potrebbero ben figurare in volata e non soltanto per la presenza del Sempione, che a qualche sprinter potrebbe rimanere nelle gambe nonostante i quasi 140 Km che si dovranno successivamente percorrere per andare al traguardo. Negli ultimi 20 Km sono state, infatti, inserite alcune modeste collinette che in condizioni normali sfoltirebbero di poco il gruppo, mentre stavolta contribuiranno a sfalciare dal plotone quei velocisti che si trovano nel gruppo di testa ma anche ancora le gambe intossicate dal Sempione. E se qualcuno di loro riuscisse a tenere le ruote del gruppo anche dopo questi saliscendi, potrebbe poi finire per essere respinto dalla lieve pendenza che caratterizzerà il chilometro conclusivo.
Dopo il primo tappone alpino si ripartirà ancora dalla Svizzera, avendo come filo conduttore dei primi 35 Km il corso del Rodano, che ha le sue origini sull’omonimo ghiacciaio del Canton Vallese e la foce nel Mediterraneo. In questo tratto iniziale si pedalerà quasi costantemente in pianura, salvo la breve deviazione inserita per raggiungere il piccolo centro di Baltschieder, che comporterà una salita di circa un chilometro e mezzo al 7.6% di pendenza media. Costituirà il biglietto da visita dell’imminente ascesa al Sempione, che inizierà all’uscita da Briga, cittadina di origine celtica nel cui centro svetta l’imponente castello fatto erigere in epoca barocca dal barone Kaspar Jodok von Stockalper, all’epoca noto con il soprannome di “re del Sempione” per le miniere d’oro che possedeva oltre il valico. Per raggiungerle era stata tracciata un’impervia mulattiera, oggi sentiero escursionistico, caduta in disuso in epoca napoleonica quando il celebre imperatore incaricherà l’ingegnere francese Nicolas Céard di realizzare una strada sufficientemente larga per permettere il passaggio dei cannoni. Nonostante fosse l’emblema scelto dal Bonaparte, non è un simbolo napoleonico l’enorme aquila di roccia, alta più di nove metri, che svetta in cima al passo e che fu innalzata durante la seconda guerra mondiale, quando lassù l’esercito elvetico realizzò alcune delle fortificazioni inserite nel complesso del Ridotto Nazionale Svizzero, dismesso nel 2011. Per arrivarci i “girini” percorreranno fedelmente il tracciato della strada napoleonica, che oggi nella prima parte è sostituta da una più moderna superstrada, affrontando così quella che assieme al Monte Bondone (che, però, lo batte per quasi mezzo chilometro) è la seconda salita più lunga del Giro 2023 dopo il Gran San Bernardo, 20 Km al 6.6% con i tratti più impegnativi all’inizio poiché uscendo da Briga per poco più di 6 Km la pendenza media si attesterà all’8.61%, per poi proporre successivamente un altro tratto quasi simile, circa 4 Km all’8.8%. La discesa che riporterà il Giro in patria si snoderà prevalentemente in territorio elvetico e subito prima di superare la frontiera si attraverseranno le suggestiva gola di Gondo, frequentata d’inverno dai “cascatisti” (gli arrampicatori delle cascate di ghiaccio) e che un tempo costituiva un vero e proprio Eldorado perché è proprio qui che si trovano le miniere del barone Stockalper, che le gestiva dagli uffici ospitati all’interno dell’omonima torre, oggi riconvertita in albergo.
A dare il bentornato al gruppo sulle strade italiane sarà la stazione ferroviaria di Iselle, situata presso il portale sud del traforo del Sempione, inaugurato il 24 febbraio del 1905 in un’epoca nella quale costituiva la più lunga galleria ferroviaria del mondo (19 Km e 800 metri), primato che nel corso del XX secolo è stato scalzato da successivi 7 trafori.
L’interminabile planata dal Sempione avrà termine poco prima del passaggio dal centro di Domodossola, il principale della valle del Toce, presso il quale è possibile ammirare il Sacro Monte Calvario, uno dei meno noti tra i nove “Sacri Monti” del Nord Italia iscritti nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO, realizzato a partire dal 1656 su iniziativa di due frati cappuccini che sul Colle Mattarella ebbero l’idea di costruire quindici cappelle che illustrassero la Via Crucis.
Lasciatisi alle spalle la parte più difficile della tappa, nei successivi 70 Km si pedalerà sulla perfezione della pianura, solcando la Val d’Ossola in direzione del Lago Maggiore, sulle cui sponde si giungerà dopo aver lambito un altro piccolo bacino, quello di Mergozzo, non distante dal quale si trovano le famose Cave di Candoglia, dalla quale viene ancora oggi scavato il marmo utilizzato per l’abbellimento del Duomo di Milano. Sulle sponde del Verbano si rimarrà per quasi 30 Km, toccando all’inizio di questo tratto il centro di Baveno, terzo della zona per presenze turistiche, qui attratte dalla romanica chiesa dei Santi Gervaso e Protaso e dall’ancora più antico battistero adiacente. Mentre si pedalerà in direzione di Stresa cattureranno l’attenzione le isole del Golfo Borromeo, ancor oggi proprietà della nobile famiglia che in tempi recenti ha rilevato a Stresa Villa Pallavicino, nel cui parco è possibile visitare un piccolo giardino zoologico nel quale vivono daini, lama, alpaca, pecore “saltasasso” e capre tibetane. Prima di lasciare le rive del Verbano si toccherà un’altra delle “celebrità” del lago, la cittadina di Arona sulla quale dominano il “Sancarlone” e i resti della Rocca Borromeo, distrutta dall’esercito napoleonico nel 1800 e nella quale 260 anni prima era nato San Carlo Borromeo, l’arcivescovo di Milano al quale era sarà dedicata la colossale statua, realizzata in bronzo dall’architetto Giovan Battista Crespi (detto “Il Cerano” dal nome del comune piemontese nel quale la sua famiglia si era trasferita negli anni della giovinezza). Lasciato il Piemonte il Giro sbarcherà in Lombardia superando il corso del Ticino alle porte di Sesto Calende, dove il locale museo archeologico espone interessanti reperti rinvenuti nella vicina necropoli di Monsorino, i cui cromlech costituiscono l’unica testimonianza monumentale della “cultura di Golasecca”, risalente alla prima età del ferro.
Giunti nella vicina Vergiate ci sarà un cambio di fronte perché, per evitare il passaggio attraverso i trafficati centri di Gallarate e Busto Arsizio, s’è deciso di far deviare la corsa verso le prime propaggini collinari del basso varesotto. È, infatti, arrivato il momento di affrontare le brevi salitelle che punteggeranno i chilometri conclusivi e per primo si dovrà superare l’ostacolo più difficile, lo strappo di 1 Km al 6% che conduce a Quinzano San Pietro, una delle frazioni del comune sparso di Sumirago, nel quale ha sede il quartier generale di Missoni, la celebre casa di moda fondata nel 1953 dall’ex ostacolista Ottavio Missoni, che prima di diventare affermato stilista era stato sette volte campione nazionale di atletica leggera. Uno zampellotto di 600 metri al 3.7% precede la discesa verso Albizzate, dove l’antico Oratorio Visconteo dal XIV secolo rappresenta un’interessante testimonianza artistica del celebre casato milanese. Scesi nella valle dell’Arno, torrente omonimo del celebre fiume toscano, un altro tratto in dolce salita condurrà verso Carnago, centro conosciuto soprattutto agli appassionati di calcio perché nel 1963 vi fu inaugurato il centro sportivo di Milanello, voluto dall’allora presidente del Milan, il produttore cinematografico Andrea Rizzoli che soli sette anni prima aveva fondato la “Cineriz”, la casa di produzione che porterà sul grande schermo film di successo come quelli delle saghe di “Don Camillo”, “Fantozzi” e “Amici miei”. A questo punto il gruppo s’innesterà sul tracciato del “circuito del Seprio” – l’anello che, ripetuto più volte, rappresenta il “cuore” del percorso della Coppa Bernocchi – imboccandolo in direzione di Castelseprio, centro il cui nome campeggia nell’elenco dei siti italiani protetti dall’UNESCO per i suoi monumenti d’origine longobarda, tra i quali si segnala l’antico monastero di Torba. I “girini” rimarranno per meno di un chilometro sulle strade della Bernocchi, poi lasceranno le rotte della corsa legnanese per dirigersi su Cassano Magnago, dove l’ultima rampetta di giornata rimescolerà ancora le carte al gruppo lanciato verso una delle ultime volate del Giro 2023.
Mauro Facoltosi
I VALICHI DELLA TAPPA
Passo del Sempione (2005 metri). Quotato 2004 metri sulle cartine del Giro 2023, vi transita convenzionalmente il confine geografico tra le Alpi Pennine e le Lepontine. Mette in comunicazione il centro elvetico di Briga con il comune italiano di Varzo e su entrambi i versanti è percorso dalla “strada nazionale 9”. Noto tra le genti locali con il toponimo tedesco di Simplonpass, è stato inserito 6 volte nel percorso del Giro d’Italia, la prima durante la tappa Saint Vincent – Verbania del 1952, vinta dall’elvetico Friedrich “Fritz” Schär dopo che l’inedito Sempione era stato conquistato dal corridore francese d’origine romagnole Raphaël Géminiani. Cinque anni più tardi vi transiterà la Sion – Campo dei Fiori, terminata sulla montagna varesina con il successo del veneto Alfredo Sabbadin e la conquista della maglia rosa da parte dell’atteso Charly Gaul, dopo che a scollinare in testa sul Sempione era stato Emilio Bottecchia, figlio di un cugino di quell’Ottavio Bottecchia che nel 1924 era stato il primo italiano a vincere il Tour de France. Il 1963 fu il grande anno di Vito Taccone che non vinse il Giro – alla fine fu soltanto sesto a quasi 12 minuti da Franco Balmanion – ma fece sue ben 5 tappe, 4 delle quali consecutive: una di queste fu la Biella – Leukerbad, che vide il “Camoscio d’Abruzzo” fare suo anche il traguardo GPM posto in vetta al Sempione. Due anni più tardi gli succederà nell’albo d’oro Italo Zilioli e anche in questo caso ci sarà l’en plein, con il successo dell’eterno secondo piemontese sul traguardo della Biandronno – Saas Fee. La scalata proposta nel 1985 passò invece alla storia come “la Cima Coppi più bassa di sempre” (primato che nel 1988 gli sarà scippato dai 1600 metri del Passo Duran), conquistata dal colombiano Reynel Montoya subito dopo la partenza della Domodossola – Saint-Vincent, terminata con il successo di Francesco Moser. In ordine di tempo risale alla Aosta – Domodossola del 2006 l’ultimo passaggio dal Sempione, che porta la firma del corridore umbro Fortunato Baliani, mentre a imporsi in quella frazione sarà il colombiano Luis Felipe Laverde.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

Panoramica aerea di Cassano Magnago e l’altimetria della quattordicesima tappa del Giro 2023 (wikipedia)
CIAK SI GIRO
Tra i luoghi più spettacolari della nostra nazione c’è sicuramente l’Isola Bella, una delle tre “perle” del piccolo arcipelago Borromeo, un’isola che un tempo era tutt’altro che bella perché fino al 1632 era semplicemente uno scoglio roccioso sul quale era letteralmente aggrappato un piccolo borgo abitato da pescatori. Tutto cambiò con il conte Vitaliano I Borromeo che ebbe l’idea di costruirvi una lussuosa residenza, progetto che poi sarà portato a compimento dal suo successore Carlo III, il quale farà chiamare l’isola Isabella in omaggio alla moglie, nome che poi per comodità sarà accorciato nell’odierno Isola Bella. I suoi saloni e i suoi spettacolari giardini terrazzati, tra i quali si aggirano candidi pavoni, sono stati visitati nel corso dei secoli da numerosi visitatori, illustri e meno illustri, e in particolare qui vennero Napoleone e lo scrittore francese Stendhal, che alloggiò in quello che – recentemente riaperto dopo un lungo restauro – è l’albergo più antico della zona del Verbano. Il cinema, forse a causa dei limitati spazi sull’isola, si è limitato a inquadrarla da lontano in comunque sempre affascinanti riprese di film girati nell’antistante Stresa. Solo in un paio di occasioni s’è scelto di portare sull’isola macchine da presa e tutto il necessario per girare un film e in una di queste sbarcò uno dei “campionissimi” del cinema italiano, nientemeno che il “mattatore” per eccellenza Vittorio Gassman. L’attore romano d’adozione (era nato a Genova da padre tedesco e madre pisana) qui venne per le scene finali di “Toglio il disturbo”, pellicola che racconta delle vicende di un anziano direttore di banca che torna ad abitare in famiglia dopo aver trascorso in manicomio gli ultimi 18 anni della sua vita. Qui stringe un legame particolare con la nipote Rosa, con la quale andrà a rifugiarsi in un casale abbandonato dopo che la nuora aveva minacciato di rimandarlo nuovamente in clinica. Dopo questo episodio la figlia sarà inviata in un collegio a Stresa, dove diversi mesi dopo la raggiungerà il nonno per un ultimo struggente incontro sulla darsena dell’Isola Bella.
In collaborazione con www.davinotti.com

Vittorio Gassman si allontana dopo l’ultimo incontro con la nipote nella scena finale di “Tolgo il disturbo”, girata sull’Isola Bella (www.davinotti.com)
Le altre location del film
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/tolgo-il-disturbo/50012253
FOTOGALLERY
Briga, Castello Stockalper
Passo del Sempione
L’aquila di rocca eretta presso il Passo del Sempione
Gondo, torre Stockalper
Iselle, portale italiano del traforo del Sempione
Domodossola, Sacro Monte Calvario
Cave di Candoglia
Baveno, rampa d’accesso alla chiesa dei Santi Gervaso e Protaso
Stresa, il piccolo giardino zoologico di Villa Pallavicino
Arona, Rocca Borromea

Golasecca, necropoli di Monsorino (www.varesenews.it)
Albizzate, Oratorio Visconteo
Carnago, il centro sportivo di Milanello
Castelseprio, monastero di Torba
A CRANS MONTANA MA SANS MONTAGNA: TANTA FARSA IN UN GIRO MUTILATO
Che pochezza in questo Giro sminuito. Ci mancava solo l’ennesimo braccio di ferro con il fantomatico sindacato corridori che salta su e si preoccupa di problemi (inesistenti) soprattutto quando conviene ad alcuni. Il primo bellissimo tappone, bellissimo sulla carta, si sfascia in battibecchi, come quello che decide la vittoria di giornata.
Ma quanto dovrà svoltare questo Giro smozzicato per salvarsi nella terza settimana? C’è tanta sfortuna, è vero, perché le premesse erano di spicco, fra grandi interpreti e un percorso ben disegnato. E comunque, ammettiamolo fin da subito, stona un po’ intristirsi per il Giro quando il maltempo ha travolto la vita vera, quotidiana, di tante persone. Il maltempo, certo, e il malfatto di tanti anni su piccola e grande scala, non ce ne scordiamo. Perché alla fin fine non è sempre e solo il cielo, l’autore delle disgrazie umane, ma anche un’umanissima cattiva volontà, locale e globale. Meglio fermarsi prima di trascendere nella filosofia, tanto più senza Guillaume Martin al via, però queste considerazioni ben si sposano anche con certi fatti che fra ieri e oggi hanno sostanzialmente deturpato una delle tappe chiave del Giro 2022.
Che cosa è successo? Prima di tutto che da parte Svizzera si è deciso di non aprire il Passo del Gran San Bernardo. Capita? Capita. Dispiace che, come suggerito da parecchi locali molti mesi orsono, quando trasparivano le prima indiscrezioni sul percorso, le motivazioni siano state più probabilmente economiche e prevedibilissime piuttosto che non meteorologiche e incontrollabili. Far cassa col tunnel in date di grandi flussi per via di un fine settimana prolungato da concomitanti festività. Un fenomeno ricorrente e sistematico, a differenza del meteo, di cui non si è tenuto troppo conto, mentre gli svizzeri a quanto sembra ai loro, di conti, ci tenevano parecchio. Senz’altro più che al Giro.
Succede poi che un municipio, quello interessato al transito nella parte più alta delle Croix de Coeur, si attendesse più supporto economico per le asfaltature. Ecco dunque circolare minacciosi documenti video per denunciare che, tolta la neve, l’asfalto sembra pericolosamente malandato. Salta poi fuori che i chilometri in questione sono pochi, che le immagini inquietanti corrispondono in realtà a un aspetto relativamente normale per una stesura di un fondo siffatto in queste condizioni, senza che ciò implichi alcun pericolo di spicco per la corsa.
L’instabilità che si genera è tutta sociale, non meteorologica. È la percezione di un tentennamento, in cui si lancia a tutta forza, come un cuneo, il sindacato corridori. Non si sa se su propria iniziativa oppure se stimolato da alcuni elementi del gruppo, il sindacato lancia una votazione, e percentuali bulgare del gruppo, a quanto sembra, accettano la proposta (stilata in questi termini… da chi?) di eliminare del tutto la salita della Croix de Coeur appigliandosi al famigerato Extreme Weather Protocol, protocollo per le condizioni meteorologiche estreme. Orbene, le condizioni di attivazione del protocollo invocate, secondo il presidente del sindacato – l’ex corridore Adam Hansen già protagonista della vergognosa sceneggiata di Morbegno 2020 – sarebbero state “pioggia gelida (freezing)” e “temperature estreme”. Il problema è che nessuna delle due condizioni si verificava, ma nemmeno da lontano, né nelle previsioni, né poi nella realtà fattuale, per l’intero percorso di oggi. Citare il cumulo di precipitazioni, malanni, stanchezze che pesa dagli scorsi giorni non rende in alcun modo più logico che si chieda di attivare un protocollo il quale, proprio in quanto tale, delinea seppur vagamente alcune determinate condizioni, molto lontane da quelle odierne. A meno che, ovviamente, non si definisca “estremo” un rango di temperature fra gli 8 e i 14 gradi centigradi, o “pioggia gelida” qualche sporadica precipitazione nell’ordine dei pochi millimetri e senza continuità alcuna. Sono facilmente reperibili le immagini del peloton con molti atleti in maniche corte.
Non sappiamo come si sia votato, solo che il voto era anonimo. Non sappiamo se sia votato per atleti o per squadre. Non sappiamo se le percentuali citate da Hansen si riferiscano a una frazione dei votanti oppure a una frazione degli aventi diritto. Ma diciamo pure che non sorprenderebbe che in condizioni di voto anonimo gli atleti optino per togliersi di mezzo un’ascesa estremamente impegnativa nel bel mezzo della tappa. Almeno due team, Bahrain e Astana, erano fortemente favorevoli a correre la tappa con il solo aggiustamento, inevitabile, del transito in tunnel invece che sul passo. Molte altre voci hanno espresso perplessità. Ma tant’è. Percentuali bulgare, sempre un segnale di sana democrazia.
Certo che però, voto o non voto, l’assenza materiale dei criteri necessari ad attivare l’EWP non è qualcosa che si possa votare o meno! Non è che se la strada è secca e ci sono 12 gradi possiamo accordarci e sostenere che, sì, non sembra, ma stiamo sotto una pioggia battente gelata soffrendo “temperature estreme”.
Quel che è peggio dal punto di vista formale è però venuto dopo. Una volta presentata a RCS la proposta degli atleti, pare condita da una minaccia di sciopero più o meno bianco (già se ne è visto uno indigeribile verso il Gran Sasso), la reazione degli organizzatori è stata fare una controproposta: via il Gran San Bernardo, via i primi 120 km di tappa, avanti con una tappina da 80 km, due ore e spicci di sgambata, ma salviamo la salitona della Croix de Coeur. Il sindacato ha raggiunto un accordo su questa proposta. Ma chi ha deciso di accettare la controproposta? Si è tornato a votare? Si è votata una cosa, e ci si è incamminati a tutt’altra.
Diciamo a questo punto che quel che sarebbe potuta apparire l’unica ragione di perplessità autentica, le condizioni della discesa della Croix de Coeur, non erano evidentemente di alcun rilievo per chi “curava” presuntamente gli interessi degli atleti.
Ex post, a tappa corsa, dati meteo reali alla mano, non è restata che l’arrampicata sugli specchi. Il rappresentante dell’associazione italiana corridori, Salvato, pure lui con un curriculum di spicco come Hansen (ricordiamo l’appiattimento del tappone dolomitico nel Giro di Bernal, due anni fa), si è premurato di dare la colpa a fantomatiche “app meteo”. Più sofisticate. Solo in mano ai team. Ovviamente tanto sofisticate che sarebbero uscite dal range di tutte le altre previsioni, in direzione del pessimismo ovviamente, per essere poi brutalmente smentite dalla realtà.
Grottesco. Nelle interviste del dopogara, il più compiaciuto e deciso appare Geraint Thomas, la maglia rosa. Un tappone in meno da digerire. Un tappone in meno da controllare sprecando energie di squadra. Nel tardo pomeriggio emerge l’indiscrezione da Radio Rai: una fonte interna, anonima, avrebbe confermato che la spinta a sforbiciare sarebbe giunta da Oltremanica. Ah, che bella cosa le votazioni, ah che bella cosa la democrazia dal basso. I più “memoriosos”, come il Funes borgesiano, rivivranno in queste ore le emozioni di una Tirreno-Adriatico in cui il San Vicino venne eliminato dal percorso per una nevicata anche lì mai prevista da nessuno, se non dai “siti meteo” di qualche ben informato, e, va da sé, mai e poi mai verificatasi. Quella Tirreno fu anche divertente, un ritorno al vintage, quando era una sfida fra classicomani, e se la portò a casa Van Avermaet, in cima a una classifica che con un arrivo in salita vero avrebbe avuto tutt’altra fisionomia. Alla faccia del falsare i risultati.
Allora, questo è quanto. Il sindacato, tramite un processo decisionale ignoto, mette su una votazione su una proposta preconfezionata, in nome di un protocollo non pertinente. Si vota minacciando scioperi. Si accetta una controproposta che, coerentemente con le incoerentissime premesse, non affronta nessuna delle questioni di sicurezza (discutibili) o meterologiche (inesistenti). L’unico effetto della controproposta è stravolgere l’andamento tecnico-atletico della competizione. Qualcuno decide che la contraproposta va bene, la si accetta, non la si torna a votare. Il gioco è fatto.
Citando Nanni Moretti: “è andata così, è andata male”. Prendiamolo come un esperimento, quantomeno a beneficio della conoscenza in ambito ciclistico. La fantastica tappina dimezzata (men che dimezzata) sarà senz’altro un trionfo dello spettacolo, a quanto profetizzano i teorici delle tappe brevi. La ripida salita iniziale scompaginerà le carte. Vedrete che sparpaglìo!
Ecco, no. Perché, guarda caso, salta fuori che facendo una salita pur durissima quando tutti son freschi, la selezione non si riesce a fare. La squadra che tiene cucito il tutto (Ineos per la maglia rosa di G. Thomas) ha sempre e comunque abbastanza uomini per imporre un ritmo all’inseguimento che stronca ogni velleità. E dire che ci prova un in formissima Ben Healy col capitano Carthy e un bel drappello di nomi fra cui un pezzo grosso come Vine, che letteralmente scoppia nel tentativo di dar fiato all’azione, e poi altre figure che rivederemo in azione più avanti, Pinot col gregario Armirail a spingere a fondo, Cepeda, Rubio, e ancora Dombrowski, perfino il forte Buitrago. Ma non c’è verso. Finché l’azione implica una qualche minacciosità per un addomesticamento del prosieguo, i gregari dietro la tengono al guinzaglio. L’apparente animazione dell’inizio in breve svanisce.
E dunque rieccoci con un copione fin troppo visto e stravisto. Un copione da Tour de France, che in questo Giro si è ripetuto molte volte. Un Giro che imita i Tour che furono senza però averne la muscolatura politica.
Godiamoci allora una nuova evasione, più ridotta, più innocua, che alla fine della fiera si riduce dopo tanti chilometri di corsa insostanziale all’ultima ascesa, con il bisticcio fra Pinot, che scatta tanto e volentieri, e Cepeda, che sta a ruota pure lui tanto e volentieri. Quali che siano ragioni dell’uno e dell’altro, generosità contro calcolo, ma anche poco da perdere contro l’occasione della vita, fine carriera contro un futuro tutto da costruirsi… non c’interessa più di tanto. Pinot si inalbera, strepita contro il collega di quasi diec’anni più giovane, e poi si incaponisce, come peraltro ammetterà a fine tappa: “tutto pur di non far vincere Cepeda”. Il terzo incomodo, lo scalatore colombiano peso mosca della Movistar Einer Rubio, è chi alla fine gode. Nessun furto, ha sofferto le pene dell’inferno solo per mantenere a tito gli altri due, e alla fine è quello che riesce ad allungare con più nettezza mentre i due rivali si sono consumati in una battaglia di nervi. Pinot fa scadere la generosità in una vaga grettezza, ben comprensibile, ma davvero un po’ fuori luogo, specie per lui.
E dietro? Sostanzialmente il nulla. Sì, va bene, Caruso prova un allungo ai meno 1.500 metri. Pure Carthy fa un paio di comparsate. Lorenzo Fortunato aveva messo fuori il naso a metà salita, bravo pure lui, merita la menzione. Dunbar scomoda Geraint Thomas con un’accelerazione nel finale. Insomma, trenino Sky, ahem, INEOS, in versione Alpi svizzere. Un bel plastico con le miniature. Per capirci, il “gruppo dei migliori” è quasi un plotoncino, sui venti atleti, dei quali perfino sul forcing finale una decina arrivano sostanzialmente assieme. Selezione inesistente. Gesti tecnici inesistenti.
A chi giova tutto questo? A chi vincerà il Giro, forse. Anzi, a chi crede che così vincerà il Giro – e noi speriamo che si sbagli di grosso. Ma non giova al Giro. E non giova al ciclismo. Senza Giro e senza ciclismo, non saprei dire che cosa resterà della tutta eventuale vittoria di chi la persegue con questi mezzi. Senza Giro e senza ciclismo, non so che cosa resterà delle altre corse, che magari sulle disgrazie del Giro e del ciclismo italiano gongolano vedendovi dei concorrenti. Un corpo con arti o organi molto malati non suole aver vita facile. La debolezza del sistema italiano del ciclismo rischia di essere fatale per il ciclismo tutto, dacché pur con tanta globalizzazione parliamo pur sempre di uno sport che conta molto, moltissimo, sulle sue nazioni storiche per garantire una minima massa critica di tenuta e solidità nel tempo. Il Giro va tutelato per tutelare il ciclismo in Italia, e il ciclismo in Italia va tutelato per tutelare il ciclismo tutto. Invece, purtroppo, sembra che un’architettura traballante sia lo spazio ideale per sperimentare il reciproco forzarsi la mano da parte di altre istanze, nuovi equilibri di potere, nuovi modelli e dinamiche. Il che sarebbe anche naturale, se non fosse che, dietro tutto ciò, ci sono spesso frenesie speculative e bolle di incerta durata, pronte a mettere in crisi, per i propri interessi, quel capitale culturale che rende il ciclismo uno sport vitale da oltre un secolo. E se pensiate che sia un’esagerazione, percorrete quelle strade, quei paesini, quelle scuole, a cui il Giro oggi ha negato il proprio tanto atteso passaggio in nome di un protocollo fantasma e di un sindacato i cui toni rischiano di avvicinarsi a un qui poco lusinghiero colore giallo.
Gabriele Bugada

La vittoria di Rubio nel "tappino" di Crans Montana (AFP / Getty Images)
IL TAPPONE DEI MISTERI
Presenta salite poco tradizionali il primo tappone del Giro 2023: in cima al Gran San Bernardo la Corsa Rosa non transita dal 1963, la Croix-de-Coeur è una novità assoluta e la salita finale verso Crans la conoscono solo gli habitué dei giri di Romandia e Svizzera. Affrontate una dietro l’anno andranno a comporre un colosso forte di quasi 5270 metri di dislivello, distribuiti su poco meno di 70 Km di salita.
Debuttano le Alpi e lo faranno con il più misterioso tra i tre tapponi – gli altri due saranno quelli del Bondone e delle Tre Cime di Lavaredo – inseriti nel percorso del Giro 2023. Misterioso perché le tre salite che si dovranno affrontare sono poco conosciute tra i professionisti e anche lo stesso Gran San Bernardo non sfugge a questo giudizio. Sarà anche uno dei passi più celebri della catena alpina ma le grandi corse ciclistiche lo hanno quasi sempre snobbato, se si pensa che la Corsa Rosa fino in vetta ci è salita solo quattro volte (una di meno rispetto al Tour de France) e l’ultima porta la data del 31 maggio 1963, mentre in occasione dei successivi passaggi si è scelto d’infilarsi nel sottostante traforo. Il successo colle della Croix-de-Coeur – la più difficile tra la ascese di giornata – costituisce, invece, una novità assoluta perché la strada che vi conduce è asfaltata da non molti anni e i professionisti ne conoscono bene solo la prima metà, che conduce alla stazione di sport invernali di Verbier, spesso sede di tappa ai giri di Svizzera e Romandia, corse che spesso hanno inserito nel tracciato anche la conclusiva salita diretta a Crans-Montana, totalmente sconosciuta a quei corridori che mai hanno affrontato queste due gare. Queste salite “misteriose”, affrontate consecutivamente, andranno a comporre un mosaico di quasi 5270 metri di dislivello, distribuiti su 67.7 Km da percorrere in ascesa, numeri che coniugati si traducono in una pendenza media globale del 7.8%. E pensare che questa sarà il meno difficile tra i tre tapponi inseriti nel percorso del Giro 2023, che oggi si radunerà per la partenza presso il ricetto medioevale di Borgofranco d’Ivrea, centro situato lungo la direttrice che dal Piemonte conduce verso la Valle d’Aosta. Nella più piccola tra le venti regioni italiane si entrerà poco meno di 10 Km dopo il “via”, all’altezza di Pont-Saint-Martin, centro situata nel luogo dove, secondo la leggenda, il ponte che assegna il nome al primo comune valdostano fu costruito in una notte dal diavolo dopo un patto con San Martino, che gli concedette la prima anima che l’avrebbe attraversato (con uno stratagemma il santo vi farà transitare un cane). Dopo il centro di Donnas, presso il quale è ancora oggi possibile percorrere un tratto dell’antichissima strada consolare romana delle Gallie, il gruppo giungerà ai piedi di uno dei più celebri castelli della valle, autentico biglietto da visita della più piccola regione italiana: è il forte fatto innalzare nel XIX secolo dalla famiglia Savoia sopra la cittadina di Bard, nel 2006 aperto al pubblico dopo un lungo periodo d’abbandono e oggi sede di un museo dedicato alle Alpi. Un altro celebre maniero della valle è quello cubico di Verrès, innalzato nel XIV secolo a dominio dell’imbocco della Val d’Ayas e che oggi “sorveglierà” l’inizio della prima delle quattro salite che caratterizzato il tracciato, l’unica a non essere coronata in vetta dallo striscione del Gran Premio della Montagna. Nota come “salita di Montjovet”, i suoi 5 Km al 3.9% si concludono alle porte di Saint-Vincent, una delle più rinomate località turistiche della Valle d’Aosta, oggi celebre prevalentemente per il Casino de la Vallée che dal 1921 costituisce la principale attrattiva di un centro ì fino a quel momento frequentato soprattutto per le sue terme, scoperte il 20 luglio 1770 dal parroco Jean-Baptiste Perret e le cui acque furono inizialmente utilizzate anche per azionare la funicolare che portava i pazienti allo stabilimento termale, mediante due cassoni che venivano alternativamente riempiti e svuotati d’acqua per permettere la salita e la discesa delle vetture sfruttando la forza di gravità. Ritrovata la pianura, il gruppo pedalerà alla volta di Nus, centro dominato da un castello costruito nel XIII secolo a guardia dell’imbocco del vallone di Saint-Barthélemy, per giungere quindi ad Aosta, dove i “girini” transiteranno a due passi di una delle vestigia più celebri dell’antica città fortificata romana di Augusta Prætoria Salassorum, l’arco intitolato all’imperatore Augusto che fu eretto nel 25 a.C. per celebrare la vittoria dei romani sui Salassi. Per rimanere in tema è arrivato il momento del primo salasso quotidiano perché è da Aosta he ha inizio l’interminabile salita che porterà il gruppo fino ai quasi 2500 metri del Passo del Gran San Bernardo, uno dei valichi più elevati della catena alpina, che si raggiungerà toccando i centri di Gignod ed Étroubles (vi si trovano rispettivamente le antiche torri di “Calvino” e di Vachéry) e il borgo di Saint-Rhémy-en-Bosses, noto tra gli appassionati di gastronomia per il suo prosciutto DOP mentre chi ama il folclore lo conosce per il carnevale della Combe Froide, in occasione del quale sfilano per le vie del borgo cortei vestiti con maschere ispirate alle divise delle truppe napoleoniche che attraversano questa valle nel maggio del 1800 seminando terrore nella popolazione. Saint-Rhémy sarà anche l’ultimo centro abitato che il gruppo incontrerà prima di giungere alla “Cima Coppi” del Giro 2023 (2469 metri di quota), percorsa una salita lunga poco più di 34 Km e caratterizzata da una pendenza media del 5.5%. Superate le inclinazioni più impegnative – comunque non insormontabili – negli ultimi 18.3 Km media del 6.3% – si scollinerà quello che al tempo degli antichi romani era già un frequentato punto di transito (il Mons Iovis, sul quale fu eretto un tempio dedicato a Giove Pennino) al cospetto dell’ospizio aperto nel 1035 da San Bernardo di Mentone, luogo dove ancora oggi i monaci allevano gli omonimi cani, razza che fu creata proprio lassù incrociando quelli che furono donati all’epoca ai religiosi e che inizialmente furono utilizzati come “guardie” del monastero. Entrati in Svizzera, nel corso della successiva discesa (quasi 27 Km al 6.1%) si percorrerà la Val d’Entremont sfiorando il lago artificiale di Toules, sulle cui acque nel 2019 è stato installato un impianto solare galleggiante che fornisce fino a 800 milliwatt ora l’anno e che è stato trasportato fin qui con un elicottero. Terminata la discesa si abbandonerà la Val d’Entremont per risalire la Valle di Bagnes, interamente “occupata” dall’omonimo comune, un tempo il più esteso della Svizzera, primato “crollato” nel 2015 quando il centro grigionese di Scuol si è ampliato inglobando cinque municipi soppressi. La risalita della valle sarà limitata al tratto iniziale perché dopo pochi chilometri si svolterà in direzione della nota stazione di sport invernali di Verbier, dal 1994 frequentata anche dagli amanti della musica classica grazie ad un festival che ha richiamato lassù musicisti di fama mondiale. Per arrivarvi bisognerà percorrere 8.5 Km al 7.9%, affrontati in corsa anche al Tour de France del 2009, quando sul quel traguardo Alberto Contador s’impose togliendo la maglia gialla dalle spalle dell’italiano Rinaldo Nocentini. Come anticipato più sopra, l’ascesa verso Verbier stavolta costituirà solo la prima parte, la meno difficile, della salita diretta alla “Croce del Cuore”, che presenterà le sue pendenze più ostiche nei rimanenti 6.9 Km, che riporteranno i “girini” oltre quota 2000 affrontando una pendenza media del 9.8%. Scollinati a 2147 metri sul livello del mare, si tornerà velocemente a quote sensibilmente più basse percorrendo una discesa non meno pendente della salita che l’ha preceduta, 21.5 Km al 7.8% che si concluderanno a Riddes, località alle cui porte si trova il Seminario Internazionale Pio X, fondato nel 1971 da Marcel Lefebvre, il famoso arcivescovo scismatico che sarà successivamente scomunicato dal Vaticano per non aver accettato i dettami del concilio e aver ordinato sacerdoti senza il benestare della Santa Sede. Qui inizierà una fase di “transito” di 25 Km esatti che si snoderà in perfetta pianura sul fondovalle della valle del Rodano, pedalando in direzione di Sion, il capoluogo del Canton Vallese dominato dall’altura sulla quale si trova la romanica basilica di Valère, nella quale è possibile ascoltare la musica suonata dal più antico organo a canne in attività, realizzato nel 1435 da un artigiano rimasto ignoto.
Un perfetto rettilineo pianeggiante costituirà l’ultimo tratto tranquillo della tappa prima che si torni a prendere l’ascensore per raggiungere i 1456 metri di Crans-Montana, nota non soltanto come rinomata stazione sciistica ma anche come località curativa per vie dei numerosi sanatori che vi furono realizzati a partire dal XIX secolo e che ebbero tra i pazienti la celeberrima poetessa statunitense Emily Dickinson. Ci sarà ben poco da “curare” stavolta, perché la salita finale di questa non è meno difficile delle precedenti, 13 Km al 7.2% privi di particolari picchi ma costanti nelle pendenze, lungo i quali potrebbero dilatarsi i danni causati dalle salite precedenti. E che questa sia una signora salita ce lo ricorda – tra i tanti che si sono imposti lassù – Vittorio Adorni, che a Crans-Montana vinse una tappa del Giro di Romandia nel 1965 e un’altra al Giro di Svizzera nel 1969, terminata la quale fu costretto a sostituire la maglia iridata conquistata l’anno primo a Imola con quella di leader della classifica generale. Quest’anno il Giro non toccherà la sua Parma, ma qui la Corsa Rosa avrà la possibilità di rendere omaggio postumo all’indimenticato campione emiliano, scomparso alla vigilia di Natale.
Mauro Facoltosi
I VALICHI DELLA TAPPA
Colle del Gran San Bernardo (2473 metri). Quotato 2469 metri sulle cartine del Giro 2023, separa il gruppo del Grand Combin dal massiccio del Monte Bianco ed è raggiunto sul versante italiano dalla Strada Statale 27 “del Gran San Bernardo” mentre su quello elvetico dalla “Route Principale 21”, mettendo in comunicazione Aosta con Martigny. In realtà il valico geografico non si trova sul confine di stato, che viene attraversato circa mezzo chilometro prima di raggiungerne lo scollinamento, sul versante di Aosta. Le volte nelle quali il Giro è salito lassù si possono per davvero contare sulle dita di una mano perché i passaggi dal Gran San Bernardo finora sono stati appena quattro, il primo dei quali vide conquistare questa cima l’intramontabile Gino Bartali durante la Saint Vincent – Verbania del 1952, vinta dall’elvetico Friedrich “Fritz” Schär. A rischio sino all’ultimo – il tunnel all’epoca non esisteva ancora – fu il transito previsto nell’edizione del 1957 e solo poche ore prima della corsa l’ANAS diede il benestare al passaggio della carovana durante la Saint Vincent – Sion, che si concluse con la vittoria del francese Luison Bobet nella cittadina elvetica, mentre stavolta sarà lo scalatore lussemburghese Charly Gaul a conquistare la cima della grande salita. Il 1959 fu l’anno del duro tappone Aosta – Courmayeur, che si snodava in prevalenza fuori dai confini nazionali e prevedeva entrambi i “San Bernardi”, tutti e due andati a “ingrassare” il palmares di Gaul, che in quell’occasione si portò a casa anche la vittoria di tappa ai piedi del Bianco. Come ricordato nell’articolo non si sale più al celebre ospizio dal 31 maggio 1963, giorno nel quale Vito Taccone ottenne l’ultima di quattro vittorie di tappa consecutive imponendosi nella Leukerbad – Saint Vincent, che vide l’abruzzese intascarsi anche i punti riservati al primo corridore a transitare in vetta al Gran San Bernardo. In realtà altre quattro volte il nome di questo valico è campeggiato sull’altimetria di una tappa del Giro, ma si è trattato di ascese parziali terminate all’imbocco del sottostante traforo, inaugurato nel 1964 e percorso per la prima volta dai “girini” durante la Domodossola – Saint Vincent del 1985, vinta da Francesco Moser dopo che il GPM posto al portale elvetico del tunnel era stato conquistato dal portoghese Rafael Acevedo. Nel 1996 ci fu addirittura un bis nel corso della medesima edizione perché l’ascesa al traforo fu proposta in due giornate consecutive, la prima durante la tappa Aosta – Losanna (vinta dall’ucraino Alexander Gontchenkov) e la seconda durante la successiva Losanna – Biella (vinta dal danese Nicolaj Bo Larsen): a conquistare i due GPM furono rispettivamente il trentino Mariano Piccoli e il francese Laurent Roux. L’ultimo passaggio dal traforo risale al 2006, quando il colombiano Luis Felipe Laverde s’impose nella Aosta – Domodossola e il francese Sandy Casar vinse il GPM alle porte del tunnel.
Croix-de-Coeur (2174 metri). È valicato da una strada, realizzata nel 1936 ma asfaltata solo in tempi recenti, che mette in comunicazione le stazioni di sport invernali di Verbier e La Tzoumaz (nota anche con il nome di Mayens de Riddes). La tappa del Giro sarà la prima corsa ciclistica a superarne la cima, anche se il tratto iniziale di entrambi i versanti, fino alle due località sciistiche citate, è stato spesso inserito nei percorsi dei giri di Svizzera e Romandia.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

Il Lac de Grenon a Crans-Montana e l’altimetria della tredicesima tappa del Giro 2023 (www.latitudeslife.com)
CIAK SI GIRO
Quando nel 1962 il regista Terence Young girò con l’indimenticato Sean Connery il primo dei 25 film (ma altri ne arriveranno di sicuro) ispirati alla figura di James Bond, non immaginava che nei decenni successivi sui grandi schermi dei cinema sarebbero sbarcate autentiche “valanghe” di spie ispirate all’agente segreto 007, il cui nome in codice cambiava a seconda delle fantasie degli sceneggiatori. E così nel 1965, tre anni dopo l’uscita dell’originale, il regista finto spagnolo Amerigo Anton (pseudonimo sotto il quale si nascondeva il lucano Tanio Boccia) chiederà all’attore canadese Lang Jeffries di interpretare un’agente segreto nella pellicola intitolata “Agente X 1-7 operazione Oceano”, nella quale la spia dovrà liberare il professor Calvert (impersonato dall’attore spagnolo Rafael Bardem), scienziato rapito da una banda di terroristi per impadronirsi della formula che avrebbe permesso di incrementare l’approvvigionamento alimentare mondiale. Per proporre una prigione che sembrasse impossibile da “violare” Boccia scelse una fortezza che in quasi 700 anni di storia non aveva mai subito nessun assalto, il cubico castello di Verrès, anche se poi le “maestranze” si limitarono a riprenderlo dal basso, con angolazioni che facessero risaltare ancora di più la sua imponenza. Per comodità e per non dover trasportare lassù tutto l’armamentario necessario, riflettori e pesanti macchine da presa, quando si dovettero realizzare i “ciac” all’interno della prigione si ripiegò, invece, su due castelli valdostani più facilmente raggiungibili e non meno celebri, quelli di Fénis e Issogne, dei quali vengono mostrati i saloni affrescati del primo e il cortile con la famosa “fontana del melograno” del secondo.
In collaborazione con www.davinotti.com

Il castello di Verrès inquadrato nel film “Agente X 1-7 operazione Oceano” (www.davinotti.com)
Le altre location del film
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/agente-x-1-7-operazione-oceano/50041244
FOTOGALLERY
Il ponte medioevale di Pont-Saint-Martin
Donnas, antica strada romana per le Gallie
Forte di Bard
Castello di Verrès
Aosta, arco d’Augusto
Gignod, torre di Calvino
Étroubles, Torre di Vachéry
L’ospizio del Colle del Gran San Bernardo
Lac des Toules (Tripadvisor)
Col de la Croix-de-Coeur
Ecône (Riddes), Seminario Internazionale San Pio X
Sion, basilica di Valère
A RIVOLI LA FUGA PREMIA DENZ. THOMAS RESTA IN MAGLIA ROSA
Una maxifuga partita dopo una ventina di km e successivamente ridottasi a soli tre ciclisti vede la vittoria di Nico Denz (Team BORA Hansgrohe) che batte in una volata ristretta Toms Skujins (Team Trek Segafreddo) e Sebastian Berwick (Team Israel Premier Tech). Domani si sconfina in Svizzera per una tappa
La dodicesima tappa del Giro 2023 si corre interamente in Piemonte tra le province di Cuneo e di Torino. Si parte da Bra e si arriva a Rivoli dopo 185 km. Due i gpm in programma: Pedaggera, terza categoria dopo 36 km e Colle Braida, seconda categoria, posto al km 151. E’ quest’ultima la salita più impegnativa della tappa odierna ed anche un interessante antipasto delle Alpi prossime venture. Il Colle Braida sfiora i 10 km di lunghezza e la parte più impegnativa è quella centrale, in cui sono presenti tre km dove le pendenze non scendono mai sotto l’8% con punte al 12%. Vedremo se la fuga di giornata riuscirà a tenere la testa della corsa ed i ciclisti presenti si giocheranno le loro chances di vittoria, ma non possiamo neanche escludere completamente che le squadre dei big di classifica possano animare il finale. Da Bra non partiva Alessandro Covi (UAE Team Emirates), coinvolto anche lui nella caduta che ieri ha costretto al ritiro Tao Geoghegan Hart (Team INEOS Grenadiers). Per il ciclista italiano frattura dell’osso sacro. Attacchi e contrattacchi si moltiplicavano dopo la partenza da Bra ed una maxifuga di 26 ciclisti riusciva ad evadere dopo una ventina di km. Tra gli attaccanti, il più pericoloso in classifica generale per la maglia rosa Thomas era Patrick Konrad (Team BORA Hansgrohe). Sette gli italiani presenti nella fuga: Samuele Battistella e Christian Scaroni (Team Astana Qazaqstan), Andrea Pasqualon (Team Bahrain Victorious), Alberto Bettiol (Team EF Education EasyPost), Alessandro Tonelli (Team Green Project-Bardiani CSF-Faizanè), Marco Frigo (Team Israel Premier Tech) e Davide Formolo (UAE Team Emirates). Altri quattro ciclisti, tutti italiani, riuscivano a raggiungere gli attaccanti durante l’ascesa verso Pedaggera. I quattro erano Stefano Oldani (Team Alpecin Deceuninck), Lorenzo Fortunato (Team EOLO Kometa), Luca Covili e Davide Gabburo (Team Green Project-Bardiani CSF-Faizanè). L’elevato numero dei ciclisti in fuga era un fattore di discordie all’interno drappello in testa alla corsa e così dopo il passaggio dal primo traguardo volate di Ceresole d’Alba vinto da Mads pedersen (Team Trek Segafredo), evadeva dal gruppo dei fuggitivi un quartetto formato da Toms Skujins (Team Trek Segafredo), Nico Denz (Team BORA Hansgrohe), Sebastian Berwick (Team Israel Premier Tech) ed Alessandro Tonelli. Skujins si aggiudicava il secondo traguardo volante di Buttigliera Alta posto al km 140.3. I quattro uomini in testa iniziavano il tratto più duro del Colle Braida con un vantaggio di 2 minuti e 20 secondi su un altro gruppetto di quattro ciclisti che a sua volta si era staccato precedentemente dal primo gruppo inseguitore. Gli uomini che ne facevano parte erano Alex Baudin (Team AG2R Citroen), Scaroni e Bettiol. Skujins scollinava in prima posizione. Il gruppo maglia rosa scollinava a sua volta con oltre 8 minuti di ritardo. Era chiaro ormai che tra successiva discesa e pianura per un totale di 30 km i tre di testa si sarebbero giocati la vittoria di tappa. Nella volata ristretta Dens partiva piuttosto lungo mantenendo la testa e riuscendo a tagliare per primo il traguardo davanti a Skujins mentre Berwick era terzo a 3 secondi di ritardo. Tonelli si piazzava in quarta posizione a 58 secondi di ritardo da Denz mentre quinto era Frigo a 2 minuti e 7 secondi di ritardo. Il gruppo maglia rosa giungeva a 8 minuti e 19 secondi di ritardo, regolato dal trenino INEOS con Pavel Sivakov. Denz ottiene la prima vittoria stagionale nonché la prima in un GT. In classifica generale Geraint Thomas (Team INEOS Grenadiers) resta in maglia rosa con 2 secondi di vantaggio su Primoz Roglic (Team Jumbo Visma) e 22 secondi di vantaggio su Joao Almeida (UAE team Emirates). Domani è in programma la tredicesima tappa da Borgofranco d’Ivrea a Crans-Montana, il cui tracciato è ancora in dubbio visto che dopo la cancellazione certa del tratto finale della salita del Gran Bernardo, sostituita dal passaggio attraverso l’omonimo tunnel, ci sono dubbi sulla viabilità della Croix de Coeur, secondo gpm in programma, che verranno dissolti nella serata di oggi, almeno si spera. Certamente si percorreranno gli ultimi 13 km ad oltre il 7% di pendenza media della salita finale verso Crans-Montana, sulla quale inizieranno le prime vere scaramucce del Giro 2023. Dopo i ritiri di Tao Geoghegan Hart e di Remco Evenepoel, ci aspettiamo il duetto tra Thomas e Roglic, con altri ciclisti pronti a inserirsi nella battaglia per la maglia rosa.
Antonio Scarfone

Nico Denz vince a Rivoli (foto: Stuart Franklin/Getty Images)
LIBERA USCITA ALLA VIGILIA DELLE ALPI
Tappa di trasferimento alla vigilia delle Alpi, la Bra – Rivoli costituirà un’occasione che non dovranno lasciarsi sfuggire i cacciatori di traguardi parziali. Con i velocisti messi fuori gioco dall’ascesa al Colle Braida e quest’ultima troppo distante dal traguardo per invogliare gli uomini di classifica, oggi ci saranno ottime possibilità perché la fuga riesca ad andare in porto. Le pendenze degli ultimi 5 Km del Braida potrebbero, però, costituire un’ottima palestra per qualche big per testare lo stato di forma degli avversari a poche ore dal tappone di Crans Montana.
È giorno di vigilia al Giro d’Italia. Domani si disputerà la prima frazione alpina, un duro tappone disegnato a cavallo del confine di stato in direzione della Svizzera, e oggi i big della classifica avranno tutta l’intenzione di correre senza sprecare inutilmente energie. Al massimo qualche corridore desideroso di testare il polso agli avversari potrebbe azzardare se non un vero e proprio attacco almeno un’accelerazione sul Colle Braida, la principale ascesa di giornata, che presenta pendenze interessanti negli ultimi 5 Km, anche se ha poi il “neo” di essere collocata a quasi 30 Km dal traguardo e, a parte un breve e facilissimo zampellotto, il percorso non ha in serbo difficoltà altimetriche nel tratto conclusivo. Quasi impossibile, dunque, che l’azione di un uomo di classifica lasci il segno anche se, come accennavamo, una “sgasata” sugli ultimi tratti della salita potrebbe essere utile per mettere a nudo lo stato di forma dei rivali. Tagliati fuori i velocisti, quella odierna sarà una classifica tappa interlocutoria nella quale il gruppo lascerà andare in libera uscita un manipolo di corridori che avrà tantissime chances di andare a giocarsi il successo di tappa. Trampolini di lancio per dare al via alla fuga di giornata se ne incontreranno parecchi nel tratto iniziale, a partire dallo strappo di 1 Km al 6.2% che si affronterà subito dopo la partenza da Bra e che condurrà a Cherasco, centro dalla pianta quadrilatera che racchiude, tra i tanti monumenti, la chiesa romanica di San Pietro. Immediatamente dopo un’altra salita – 6 Km al 5% – porterà i “girini” alla Morra, panoramico borgo che costituisce anche una delle porte d’accesso alle Langhe. Nei chilometri successivi saranno, infatti, i vigneti la scenografia del percorso di gara, con il gruppo che si dirigerà verso la celebre Barolo, dove è ancora fresco il ricordo della “wine stage” terminata nel 2014 all’ombra del castello che ospitò tra gli altri Silvio Pellico e che oggi accoglie nelle cantine l’Enoteca Regionale del Barolo. Il terzo trampolino per tentare di lanciarsi in avanscoperta sarà la successiva ascesa della Pedaggera, costituita da tre rampe intervallate da tratti in quota, la prima delle quali (2.1 Km al 4.8%) termina in corrispondenza di Monforte d’Alba, un altro comune consacrato all’enologia nel cui centro nel 1986 è stato realizzato un auditorium all’aperto sfruttando la pendenza del terreno, oggi intitolato al pianista polacco Mieczysław Horszowski, che vi suonò in occasione dell’inaugurazione. I successivi 3.5 Km al 3.% verso Roddino anticiperanno quindi la balza finale – 4.1 Km al 4.3% e un tratto intermedio di 1300 metri al 7% – che conducono a Pedaggera, frazione di Cerreto Langhe il cui nome ci ricorda che un tempo era necessario pagare una piccola tassa per transitare da questo luogo se si trasportavano delle merci. Spezzata dallo strappo di Diano d’Alba (1.2 Km al 4.4%), la lunga discesa dalla Pedaggera ha termine alle porte di Alba, città dai molteplici sapori, famosa non solo per il vino ma anche per i suoi tartufi e per le nocciole, ingrediente fondamentale per dolci che si possono assaporare tra una visita e l’altra ai principali monumenti cittadini, sui quali spicca il romano gotico duomo di San Lorenzo. Abbandonate le Langhe il gruppo s’inoltrerà nella piccola regione geografica del Roero, pure conosciuta per i suoi vini, dove si andrà a superare l’ultima salita inserita nei primi settanta di chilometri di gara, 1500 metri al 7.1% e un muro in pavé di 400 metri all’11% nel cuore di Baldissero d’Alba. A una prima fase collinare seguirà un settore centrale, lungo altrettanti chilometri, nel quale la salite diventeranno un ricordo e la pianura sarà compagna di viaggio del gruppo, che ora pedalerà alla volta di Carmagnola, centro nelle cui campagne si trova l’antica Abbazia di Santa Maria di Casanova, nel XVIII secolo sfruttata come residenza dai sovrani sabaudi. Superato il corso del Po e lambito il comune di Carignano, uno dei più ricchi di testimonianze storiche della regione (tra gli altri il duomo barocco dalla facciata convessa e il santuario del Vallinotto), si giungerà quindi sulle strade di Piobesi Torinese, non distante dal centro di Vinovo, che per gli appassionati di ciclismo è il paese natale del due volte vincitore del Giro d’Italia Giovanni Valetti (1938 – 1939), ma è più conosciuto dagli appassionati di calcio e dai tifosi della “Vecchia Signora” in particolare per la presenza dello Juventus Training Center, inaugurato nel 2006. Il tratto successivo vedrà il gruppo lambire i confini meridionali del Parco Naturale di Stupinigi, istituito nel 1992 per preservare quella che all’epoca del Regno d’Italia era una tenuta di caccia della famiglia Savoia, nella quale – oltre alla celebre palazzina progettata dall’architetto messinese Filippo Juvarra – si trova anche il medioevale Castello di Parpaglia, oggi in rovina. Aggirando a ovest la città di Torino si punterà su Orbassano e da lì su Rivoli, dove a 53 Km dalla conclusione ci sarà un primo passaggio sul rettilineo d’arrivo, uno dei più scenografici di questa edizione del Giro perché sullo sfondo troneggia, incorniciata dalla catena alpina nelle giornate più limpide, la mole del castello cittadino, altra dimora sabauda che dopo l’istituzione della repubblica ospitò per breve tempo un casinò che ebbe tra i suoi frequentatori più illustri l’attore romano Vittorio De Sica, vero e proprio “maniaco” del gioco d’azzardo, mentre oggi accoglie due musei, uno d’arte contemporanea e uno dedicato alla pubblicità. Non ci sarà il tempo per i “consigli per gli acquisti” perché la salita al Colle Braida si fa sempre più vicina, anche se prima di affrontarla bisognerà percorrere ancora una quindicina di chilometri pianeggianti, pedalando ai margini della collina morenica di Rivoli, venutasi a formare all’epoca delle glaciazioni e vasta ben 50 Km quadrati. Poco prima del termine di questo tratto si giungerà sulle strade di Avigliana, il cui borgo medioevale fu preso a modello per la realizzazione, tra il 1883 e il 1884, di quello fasullo realizzato presso il Parco del Valentino a Torino in occasione dell’Esposizione Generale Italiana.
Percorso lo stretto istmo che separa i due laghi di Avigliana, si svolterà a destra per intraprendere la scalata al Colle Braida, 10.8 Km al 5.8% dei quali gli ultimi cinque all’8.3%. Questo è indubbiamente il tratto più spettacolare della salita e non soltanto per le inclinazioni che saranno offerte dalla strada, poiché a circa 2 Km dallo scollinamento si andrà a sfiorare uno dei monumenti più celebri del Piemonte, la Sacra di San Michele, abbazia costruita a partire dal X secolo sulla cima del Monte Pirchiriano e un tempo fondamentale tappa della “Linea Sacra di San Michele”, via di pellegrinaggi che la leggenda vuole tracciata da un colpo di spada del celebre arcangelo e che collega sette santuari a lui dedicati, come quelli di Mont Saint-Michel in Francia e Monte Sant’Angelo in Puglia. Scollinati a poco più di mille metri di quota s’inizierà la discesa verso Giaveno, il centro principale della Val Sangone, nel cui territorio si trova il Santuario del Selvaggio, così chiamato dal nome della località nel quale fu innalzato in stile neoromanico nel 1926 sul luogo di una preesistente cappella oramai fatiscente. Raggiunta Trana – centro dominato dalla Torre degli Orsini, unico resto di uno scomparso castello – si attaccherà l’ultima ascesa di giornata risalendo le pendici del Moncuni, bassa elevazione frequentata dagli appassionati di arrampicata sportiva, diretti alle strapiombanti pareti della “Pietra di Salomone”, che la tradizione vuole abbandonata in questo luogo dai diavoli ai quali il biblico re aveva chiesto aiuto per trasportare fino a Gerusalemme le pietre destinate alla costruzione del tempio. Non saranno, invece, previsti “sesti gradi” per i corridori, essendo facilissimo il tratto di salita che dovranno percorrere, 600 metri al 5.7% per mettersi alle spalle il tratto più ostico e poi 800 metri sotto al 3% di pendenza media per raggiungere lo scollinamento alle porte del centro di Reano, dove si ritroverà la pianura, che tornerà a scorrere sotto le ruote dei corridori nei conclusivi negli ultimi 11 Km che riporteranno la corsa a Rivoli.
Poi tutti a nanna per prepararsi al duro tappone dell’indomani
Mauro Facoltosi
I VALICHI DELLA TAPPA
Colle della Croce Nera (872 metri). Valicato dalla Strada Provinciale 188 “del Colle Braida” lungo la salita al Colle Braida dai Laghi di Avigliana. Si trova in corrispondenza del bivio con la strada pedonale diretta alla Sacra di San Michele.
Colle Braida (1007 metri). Valicato dalla Strada Provinciale 188 “del Colle Braida” tra Giaveno e la Sacra di San Michele, viene affrontato per la seconda volta nella storia al Giro d’Italia. La precedente scalata avvenne nel 1991, dal versante che quest’anno si percorrerà in discesa, nel corso della tappa Savigliano – Sestriere, vinta dallo spagnolo Eduardo Chozas. Era stato il suo connazionale Iñaki Gastón a conquistare la cima del Colle Braida, che nel 1966 era stato inserita anche nel percorso del Tour de France: sempre salendo da Giaveno, in quell’occasione a scollinare in testa era stato il toscano Franco Bitossi, che 38 Km più avanti s’imporrà sul traguardo della Briançon – Torino regolando allo sprint lo spagnolo Antonio Gómez del Moral e il varesino Giuseppe Fezzardi.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

Il rettilineo d’arrivo di Rivoli con il castello sullo sfondo e l’altimetria della dodicesima tappa del Giro 2023 (Google Street View)
CIAK SI GIRO
La Sacra di San Michele come nessuno l’hai mai ammirata, dalla stessa prospettiva di un uccello…. Se volete provare quest’ebbrezza dovete assolutamente vedere “The Broken Key”, film italiano del 2017 dal cast stellare, che vede nomi altisonanti alternarsi nelle varie scene, da Franco Nero a Kabir Bedi, da Christopher Lambert a William Baldwin (fratello del più celebre Alec ed ex cognato di Kim Basinger) per finire con Geraldine Chaplin, la figlia del grande “Charlot”. Non sono, però, loro i protagonisti principali (e faranno tutti una brutta fine, tra l’altro) di questa pellicola ambientata in futuro nel quale stampare libri è un reato a causa di rigide leggi sull’ecosostenibilità che hanno fatto diventare la carta un bene raro e costosissimo. Il protagonista è Arthur J. Adams, uno studioso che vive a York e che è interpretato da Andrea Cocco, più conosciuto come vincitore di un’edizione del Grande Fratello (2011) che come attore. Arthur è costretto a venire in Italia per recuperare il frammento perduto di un antico papiro egizio e per lui inizierà una vera e proprio caccia al tesoro sanguinosa, che si lascerà dietro parecchio morti e lo vedrà in azione in una Torino ripresa prevalentemente in notturna con parecchi “ritocchini” (come i due giganteschi obelischi che svettano accanto a Palazzo Reale), nelle spettacolari grotte di Bossea nel cuneese e nel misterioso borgo di Rosazza, in provincia di Biella. Ma a catturare l’attenzione saranno soprattutto le spettacolari immagini aeree della Sacra di San Michele, riprese grazie ad un drone che ha sorvolato il monumento: è proprio lassù che lo studioso riuscirà a ritrovare la chiave spezzata che dà il nome al film e che gli consentirà di risolvere il mistero e arrivare al frammento di papiro mancante.
In collaborazione con www.davinotti.com

La Sacra di San Michele ripresa da un drone nel film “The Broken Key” (www.davinotti.com)
La Sacra di San Michele ripresa da un drone nel film “The Broken Key” (www.davinotti.com)
Le altre location del film
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/the-broken-key/50043300
FOTOGALLERY
Bra, Santuario della Madonna dei Fiori
Cherasco, chiesa di San Pietro
Vista sulle Langhe dalla Morra
Castello di Barolo
Monforte d’Alba, Auditorium Horszowski
Alba, duomo di San Lorenzo
Carmagnola, Abbazia di Santa Maria di Casanova
Carignano, duomo dei Santi Battista e Remigio
Parco Naturale di Stupinigi
Uno scorcio del centro storico di Avigliana
Il più grande tra i due laghi di Avigliana
Sacra di San Michele
Giaveno, Santuario del Selvaggio
Trana, Torre degli Orsini
ACKERMANN FA FESTA A TORTONA. THOMAS RESTA IN MAGLIA ROSA
Nella volata di Tortona, al termine di una tappa segnata ancora dal maltempo e soprattutto da diverse cadute che hanno messo fuori causa Tao Geoghegan Hart (Team INEOS Grenadiers), il tedesco dell’UAE Team Emirates ritrova la verve di un tempo battendo, seppur al photofinish, Jonathan Milan (Team Bahrain Victorious). Geraint Thomas (Team INEOS Grenadiers) mantiene la maglia rosa
L’undicesima tappa del Giro 2023 parte da Camaiore e risalendo la penisola si arriva a Tortona dopo 219 km. Gli Appennini saranno ancora protagonisti dopo la tappa di ieri, visto che si dovranno scalare i tre gpm, in realtà non eccessivamente ripidi, del Passo del Bracco, di Colla di Boasi e del Passo della Castagnola. Dallo scollinamento dell’ultima salita mancheranno oltre 40 km all’arrivo, per cui i velocisti hanno concrete possibilità di giocarsi la vittoria in volata. Anche stamattina, alla partenza da Camaiore, il Giro ha dovuto pagare un prezzo salato al covid, che ha estromesso altri sei ciclisti, ovvero Jan Hirt, Josef Cerny, Mattia Cattaneo e Louis Vervaeke (Team Soudal Quick Step), Stefano Gandin (Team Corratec Selle Italia) ed Andrea Vendrame (Team AG2R Citroen). A questi ciclisti si sono aggiunti anche Natnael Tesfatsion (Team Trek Segafredo) e Jonathan Caicedo (Team EF Education EasyPost). Dopo una decina di km dalla partenza si formava la fuga di giornata grazie all’azione di Thomas Champion (Team Cofidis), Diego Pablo Sevilla (Team EOLO Kometa), Filippo Magli (Team Green Project-Bardiani CSF-Faizanè), Laurenz Rex (Team Intermarchè Circus Wanty), Alexander Konychev e Veljko Stojnic (Team Corratec Selle Italia). Dopo 20 km il vantaggio della fuga era intorno ai 4 minuti. Stojnic si aggiudicava il primo traguardo volante di Borghetto di Vara posto al km 62.1. Sevilla scollinava in prima posizione sul primo gpm del Passo del Bracco posto al km 80. Il ritardo della fuga era sceso a 2 minuti e 30 secondi sotto l’azione delle squadre dei velocisti, prima fra tutte la Trek Segafredo. Stojnic scollinava in prima posizione sul successivo gpm di Colla di Boasi posto al km 143. Nella discesa successiva, una caduta coinvolgeva tra gli altri Primoz Roglic (Team Jumbo Visma), Geraint Thomas e Tao Geoghegan Hart (Team INEOS Grenadiers). Purtroppo ad avere la peggio era Hart, che restava sdraiato per terra dolorante. L’intervento dell’ambulanza nei suoi confronti era immediato e lo sfortunato ciclista britannico, vincitore del Giro 2020 e quest’anno punta di diamante dell’INEOS insieme a Thomas, era costretto al ritiro. Per lui si parla di sospetta frattura del bacino e del femore e la stagione 2023 può già dirsi conclusa al 99%. Nella stessa discesa anche Oscar Rodriguez (Team Movistar) era vittima di una caduta poco più avanti; lo spagnolo sbatteva prima contro il palo di un segnale e poi sfiorava il muro di una casa. Anche per lui il Giro d’Italia finiva qui. Stojnic intanto vinceva il secondo traguardo volante di Busalla posto al km 169.7, mentre nell’ultima salita verso il Passo della Castagnola il Team Jayco AlUla aumentava il ritmo per tastare il polso ai velocisti presenti nel gruppo maglia rosa. La maggior parte di loro riusciva comunque a restare indenne. Era ancora Stojnic a scollinare in prima posizione, mentre il vantaggio della fuga si era ormai ridotto ad un minuto circa. Rex era l’ultimo dei fuggitivi ad essere ripreso, a circa 6 km dal termine. Alla volata finale prendevano parte praticamente tutti i velocisti ancora in gruppo, ad eccezione di Kaden Groves (Team Alpecin Deceuninck), disperso sui gpm precedenti, e Fernando Gaviria (Team Movistar), vittima di una caduta a poco meno di 2 km dalla conclusione. Era Pascal Ackermann (UAE Team Emirates) ad imporsi davanti a Jonathan Milan (Team Bahrain Victorious), bravo a risalire dalle retrovie ed a sfiorare la vittoria per una questione di centimetri, mentre Mark Cavendish (Team Astana Qazaqstan) era terzo. Chiudevano la top five Mads Pedersen (Team Trek Segafredo) in quarta posizione e Stefano Oldani (Team Alpecin Deceuninck) in quinta posizione. Nella top ten si segnalavano anche il sesto posto di Vincenzo Albanese (Team EOLO Kometa), l’ottavo posto di Davide Ballerini (Team Soudal Quick Step) ed il nono posto di Simone Consonni (Team Cofidis). Ackermann ritrova la forma di un tempo ed ottiene la prima vittoria stagionale, lui che aveva già vinto due tappe al Giro 2019. In classifica generale Thomas resta in maglia rosa con 2 secondi di vantaggio su Roglic e 22 secondi di vantaggio su Joao Almeida (UAE Team Emirates). Domani primo assaggio delle Alpi nella dodicesima tappa da Bra a Rivoli di 179 km. Il primo gpm di Pedaggera, posto dopo un a trentina di km, farà da trampolino alla fuga di giornata. Il successivo di Colle Braida, ben più impegnativo e situato a circa 30 km dall’arrivo, farà capire se la fuga riuscirà ad arrivare fino all’arrivo oppure se il forcing delle squadre dei big di classifica avranno voglia di animare il finale di tappa.
Antonio Scarfone

Pascal Ackermann vince a Tortona (foto: Getty Images)
MARC HIRSCHI RE D’UNGHERIA
Dopo la neutralizzazione a causa del maltempo della quinta tappa in quel della capitale magiara, il Giro d’Ungheria e è andato allo svizzero della UAE Team Emirates Marc Hirsch.
Le prima due volate sono andate rispettivamente a Dylan Groenewegen (Team Jayco AlUla) e Fabio Jakobsen (Soudal – Quick Step) nei primi due giorni di gara. Nella terza tappa con arrivo a Pécs lo svizzero Marc Hirschi (UAE Team Emirates) si è imposto in solitaria con un vantaggio di 8” su Ben Tulett (INEOS Grenadiers), 10″ su Max Poole (Team DSM) e 12″ Sylvain Moniquet (Lotto Dstny), che ha regolato un gruppettino di 4 elementi comprendente anche l’italiano Matteo Fabbro (BORA – hansgrohe), sesto. Il successo dello svizero ha fatto si che lo stesso corridore salisse in vetta alla classifica generale. La quarta tappa, ancora utile per la vittoria finale, ha visto il successo ancora in solitaria di un altro rappresentante del movimento ciclistico elvetico, Yannis Voisard (Tudor Pro Cycling Team). Dopo dieci secondi Thibau Nys (Trek – Segafredo) ha preceduto Moniquet, Hirshi, Tulett, Poole, Fabbro e altri 9 elementi. In chiave classifica il successo ha permesso a Voisard di andare ad occupare il terzo gradino del podio dietro a Hirschi e Tulett. L’annullamento della quinta e ultima tappa per maltempo ha congelato la classifica della 44a edizione della corsa magiara, vinta così da Hirschi, mentre si è scelto di far gareggiare comunque i corridori in quel di Budapest, dove si è imposto lo slovacco Matúš Štoček (ATT Investments) sullo stesso Hirschi. Le classifiche accessorie sono state, invece, conquistate dallo stesso Štoček (a punti), dall’austriaco Sebastian Schönberger (Human Powered Healthl, gran premi della montagna) e dall’INEOS Grenadiers per quel che riguarda la challenge riservata alle squadre.
Mario Prato

Marc Hirschi (Getty Images)