ARCTIC RACE, VOLATA VINCENTE DI DAINESE NELLA PRIMA TAPPA
Si apre con un successo italiano la 10a edizione dell’Arctic Race of Norway. A tagliare per primo il traguardo di Alta è stato Alberto Dainese (Team DSM-Firmenich) che si è imposto nettamente al termine di una volata in leggera salita. Il corridore padovano, che nelle prossime stagioni vestirà la maglia nera e rossa della Tudor, torna così al successo dopo un anno e tre mesi dalla vittoria nella tappa di Reggio Emilia del Giro 2022. Alle sue spalle il giovanissimo britannico Noah Hobbs (Equipe Continentale Groupama-FDJ) e Clement Champoussin (Team Arkea-Samsic). Dainese guida ovviamente anche la classifica generale con 4″ di vantaggio su Hobbs e un altro corridore del team di sviluppo della Groupama, il neozelandese Lewis Bower.
La frazione d’apertura della corsa norvegese, 171 km da Kautokeino ad Alta, presentava una parte iniziale completamente pianeggiante ed un finale in circuito (da ripetere 2 volte) caratterizzato dallo strappo del Bossekop Summit (1,7 km al 4,1%) e da un arrivo in leggera salita (1,3 km al 3,2%).
La tappa è stata animata dalla classica fuga del mattino composta da Benjamin Perry (Human Powered Health), Lewis Bower e Trym Brennsæter (Equipe Continental Groupama-FDJ), Johan Ravnøy (Team Coop Repsol), Fergus Browning (Trinity Racing) e Torbjørn Andre Røed (nazionale norvegese). La loro azione si è esaurita ai -16, ovvero poco prima dell’ultimo giro del circuito. Ciò ha consentito ad alcuni dei favoriti per la conquista della classifica finale di giocarsi gli abbuoni posti sul penultimo passaggio sul traguardo. Il più bravo è stato il corridore di casa Tobias Halland Johannessen (Uno-X Pro Cycling) che ha guadagnato 3″ battendo Stephen Williams (Israel-Premier Tech) e Cristian Scaroni (Astana Qazaqstan Team). Il gruppo si è così presentato praticamente compatto all’ultimo passaggio dul Bossekop Summit (-10). Proprio lungo l’ultimo strappo diversi corridori hanno provato ad evadere dal gruppo alla ricerca di una difficile azione che consentisse di evitare la volata. L’unico in grado di andarsene è stato il sudafricano Daryl Impey (Israel-PremierTech), abile a cogliere il momento giusto e a scappare in solitaria. Il corridore sudafricano ha raggiunto un vantaggio di oltre 20″ intorno ai -5, ma si è dovuto successivamente arrendere al ritorno del gruppo tirato dagli uomini del Team DSM-Firmeniche e del Team Jayco-Alula.
Si è così giunti all’inevitabile epilogo allo sprint. Hobbs ha provato ad anticipare, sfruttando il rettilineo in leggera salita, ma Dainese è riuscito facilmente a saltarlo imponendosi in modo piuttosto netto sul traguardo di Alta. Il giovane britannico (classe 2004) che milita per la formazione giovanile della Groupama ha chiuso al secondo posto precedendo un ottimo Clement Champoussin (Team Arkea-Samsic) che si candida così come uno dei favoriti per la vittoria finale. Seguono gli spagnoli Marc Brustenga (Trek-Segafredo) e Antonio Angulo (Burgos-BH). La classifica generale vede ovviamente in testa Dainese, con 4″ di vantaggio su Hobbs e sul neozelandese (anche lui classe 2004) Lewis Bower che aveva fatto il pieno di abbuoni nei primi due traguardi volanti di giornata. Quindi troviamo Champoussin a 6″ e Johannessen a 7″.
Oggi seconda tappa con partenza da Alta e arrivo a Hammerfest dopo 153,4 km. Il percorso non sarà particolarmente complicato, ma presenterà un finale insidioso con un ultimo km al 6%.
Pierpaolo Gnisci
ROGLIC METTE LE COSE IN CHIARO. TAPPA E MAGLIA A VILLARCAYO
Nella terza tappa della Volta a Burgos, Primoz Roglic (Team Jumbo Visma) vince la difficile tappa con arrivo a Virrarcayo e con la precedente scalata al Picon Blanco e si insedia al primo posto della classifica generale, che sembra ormai ipotecata avendo oltre 30 secondi di vantaggio su Aleksandr Vlason (Team BORA HAnsgrohe), secondo.
Dopo la prima tappa per velocisti con la vittoria di Juan Sebastian Molano (UAE Team Emirates) e la cronometro di ieri che ha visto prevalere la Jumbo Visma con conseguente cambio al vertice della classifica generale comandata ora da Attila Valter, la terza tappa della Volta a Burgos può già dire molto sui veri aspiranti alla vittoria finale. Infatti nei 183 km da Sargentes de la Lora a Villarcayo sono presenti ben sei gpm, con il temibile Picon Blanco – salita hors categorie di 8 km ad oltre il 9% di pendenza media – che svetta ad una quarantina di km dalla conclusione. Il gruppo restava compatto nei primi km di corsa e Xabier Berasategi (Team Euskaltel Euskadi) conquistava il primo gpm di giornata dell’Alto de la Mota posto dopo 19 km. Lo spagnolo allungava insieme ad altri otto ciclisti, ovvero Matteo Fabbro e Lennard Kamna (Team Bora Hansgrohe), Jaakko Hanninen e Larry Warbasse (Team AG2R Citroen), Jesus Ezquerra (Team Burgos BH), Raul Garcia Pierna (Team Kern Pharma), Matt Bais (Team EOLO Kometa) e Filippo Conca (Q36.5 Pro Cycling Team). Berasategi si aggiudicava anche il secondo gpm scollinando in prima posizione sull’Alto Escaleron posto al km 38.4. Dopo una settantina di km il vantaggio della fuga sul gruppo inseguitore, tirato dal Team Jumbo Visma, era di circa 2 minuti. Berasategi scollinava ancora in prima posizione sul successivo Alto de la Eme posto al km 58.1. A 100 km dalla conclusione il vantaggio della fuga era salito a 2 minuti e 45 secondi. Berasategi scollinava in prima posizione sull’Alto Retuerta, quarto dei sei gpm in programma oggi posto al km 119. Il gruppo prendeva a forte andatura il Picon Blanco e il vantaggio dei fuggitivi crollava rapidamente. Ripresa definitivamente la fuga, il gruppo dei migliori si riduceva a sua volta e i più in palla sembravano Primoz Roglic (Team Jumbo Visma) ed Adam Yates (UAE Team Emirates). Era lo sloveno a scollinare per primo davanti al britannico. Yates si rifaceva poco dopo aggiudicandosi il traguardo volante di Gayangos posto al km 174 e facendo suoi i tre secondi d’abbuono. A Roglic e Yates si univano Aleksandr Vlasov (Team Bora Hansgrohe) e Damien Howson (Q36.5 Pro Cycling Team). Erano questi quattro ciclisti a giocarsi la vittoria di tappa con Roglic che sprintava con i tempi giusti e vinceva davanti a Vlasov e Yates, mentre Howson era quarto. In quinta posizione Javier Romo (Team Astana Qazaqstan) regolava il gruppetto dei ritardatari a 1 minuto e 7 secondi di ritardo da Roglic. Lo sloveno balza così al comando in classifica generale con 34 secondi di vantaggio su Vlasov e 40 secondi di vantaggio su Yates. Domani è in programma la quarta tappa da Santa Gadea del Cid a Pradoluengo di 157 km. Sono in tutto tre i gpm da affrontare, nessuno dei quali proibitivo ma visto che l’arrivo è situato proprio su uno di questi tre, ovvero la salita conclusiva di Acebel-Vizcarra di 2.1 km al 4.9%, ci potrebbe essere qualche schermaglia tra gli uomini di classifica.
Antonio Scarfone

Il grande favorito Roglic vince la prima delle due tappe di montagna della Vuelta a Burgos (Getty Images)
LA JUMBO VISMA DOMINA LA CRONOSQUADRE DELLA VUELTA A BURGOS
La cronosquadre della Vuelta a Burgos 2023 è dominata dalla Jumbo Visma che ferma il tempo a 14’:38” per coprire i 13 chilometri previsti ed ad essere gli unici a sforare i 53 Km/h di media, alle loro spalle chiudono i Movistar secondi, terzi infine i Bora-hansgrohe.
E’ la Jumbo-Visma a vincere la cronosquadre della Vuelta a Burgos 2023, il team neederlandese trionfa a Poza de la Sal imponendo il proprio strapotere con ben 53,713 Km/h di media, secondi arrivano i Moviostar a 19”, mentre terzi chiudono i Bora-hansgrohe a 30”, seguono i Bahrain – Victorious a 31” e gli uomini della UAE Team Emirates a 34”, via via tutte le altre formazioni con distacchi ben più pesanti a partire dalla EF Education-EasyPost con 42”. In virtù della prova contro il tempo, e visto il miglior piazzamento rispetto al proprio capitano, balza in testa alla classifica generale Attila Valter, seguito dai compagni di squadra della Jumbo che hanno chiuso la prova, quindi secondo Jan Tratnik, terzo Koen Bouwman, quarto Primoz Roglic tutti allo stesso tempo. Tra gli uomini di classifica in classifica generale troviamo, con i tempi presi oggi, Einer Augusto Rubio (Movistar) a 19”, Aleksandr Vlasov (Bora-hansgrohe) a 30”, Santiago Buitrago (Bahrain – Victorious) a 31” ed Adam Yates (UAE Team Emirates) a 34”. Domani terza tappa con la frazione che vede l’arrivo di Villarcayo caratterizzato dalla salita HC ddel Picon Blanco a circa 30 Km dall’arrivo.
Antonio Scarfone

La Jumbo Visma Impegnata nella cronosquadre della Vuelta a Burgos 2023
MOLANO SFRECCIA NELLA VUELTA A BURGOS
Juan Sebastián Molano (UAE Team Emirates) fa sua in volata la tappa di apertura della Vuelta a Burgos 2023, il colombiano è il più forte in volata e devono così solo accontentarsi dele posizioni di rincalzo Ivan Garcia Cortina (Movistar) e Edoardo Affini (Jumbo-Visma) rispettivanete secondo e terzo.
La Vuelta a Burgos 2023 offre una prima tappa d’apertura dedicata alle ruote veloci l’unica per l’esattezza e quindi occasione ghiotta per i velocisti presenti, da Villalba de Duero a Burgos la frazione vede una fuga di giornata con dentro Angel Fuentes (Burgos-BH), Mattia Bais (Eolo-Kometa), Josu Extebarria (Caja Rural-Seguros RGA), Xavier Berasategi (Euskaltel-Euskadi) e José Maria Garcia (Electro Hiper Europa) mentre dietro è la UAE Team Emirates a mettersi in testa al gruppo. La tappa senza particolari difficoltà altimetriche si “accende” soltanto in vista del GPM di terza categoria posto a 24 chilometri dall’arrivo, qui a piazzare un allungo è Berasategi che prendi i punti per la speciale classifica, lo spagnolo viene raggiunto da Bais che scatta e resta da solo al comando della corsa mentre i compagni di fuga vengono ripresi dal gruppo che non ha mai concesso spazio, troppo ghiotto il finale di tappa per gli uomini veloci. Mattia Bais riesce a tenere la testa della corsa fino ai meno 15 chilometri da Burgos, ripreso dal gruppo le squadre dei velocisti iniziano a lottare in testa per tenere davanti il proprio uomo destinato a provare la volata.Un nuovo sussulto alla corsa viene dato da Lennard Kämna (Bora-hansgrohe) che, nonostante l’alta velocità del gruppo, prova ad andarsene tutto solo quando mancano 9 chilometri all’arrivo. Il gruppo riprende il tedesco ai meno 3 dalla conclusione, poco dopo nel rettilineo di arrivo tra i velocisti presenti è Juan Sebastián Molano (UAE Team Emirates) ad avere la progressione migliore andando così a vincere la frazione inaugurale della breve corsa a tappa spagnola; si piazzano secondo e terzo Ivan Garcia Cortina (Movistar) e Edoardo Affini (Jumbo-Visma). Molano in virtù del successo odierno si porta al comando della classifica generale. Domani seconda frazione con la cronometro di 16 Km che porta a Poza de la Sal.
Antonio Scarfone

LOTTE CONTRO TUTTE, LA KOPECKY INCORONATA CAMPIONESSA DEL MONDO
Successo belga nella prova su strada donne elite. Lotte Kopecky ha affrontato la prova odierna con il giusto cipiglio e, nonostante l’intero plotone le abbia provate tutte per metterla in difficoltà, la migliore è stata lei. Seconda piazza per Demi Vollering, terza Cecilie Uttrup Ludwig. Sfortunata prova per Annemiek van Vleuten, al suo addio al ciclismo, che ha chiuso ottava.
Lotte Kopecky, un nome una garanzia. Se qualcuno avesse avuto ancora dei dubbi sulle capacità di questa atleta, oggi sono stati decisamente fugati. In una prova in cui tutte hanno corso per metterla in difficoltà, la belga ha tenuto sempre testa a tutte, adattandosi velocemente ad ogni situazione di gara. Anche l’equipe azzurra ha tenuto bene in questa condotta di gara, ma nel momento clou l’Italia è uscita dai giochi e la Kopecky ha preso in mano la situazione, relegando tutte le avversarie a ruoli da comprimarie.
La corsa si è decisamente accesa con l’entrata nel circuito finale, quando il plotone ha annullato la fuga di Mischa Bredewold (Paesi Bassi), Sanne Cant (Belgio), Elise Chabbey (Svizzera), Elizabeth Deignan (Gran Bretagna), Juliette Labous (Francia), Ashleigh Moolman (Sudafrica) e Kata Blanka Vas (Ungheria). A complicare le cose ci si sono messe di mezzo anche alcune cadute che hanno spezzettato il plotone. La situazione è stata interpretata come “manna caduta dal cielo” dall’elvetica Chabbey, che ha lasciato la compagnia e ha raggiunto un vantaggio superiore al minuto e mezzo.
L’inseguimento alla fuggitiva è stato acceso soprattutto dalla campionessa del mondo uscente Annemiek van Vleuten, al suo addio alle corse e già vittima di una caduta. All’olandese si sono accodate Demi Vollering (Olanda), la Kopecky, la Deignan, Marlen Reusser (Svizzera), Cecilie Uttrup Ludwig (Danimarca) e Christina Schweinberger (Austria).
Il ricongiungimento è avvenuto in occasione del suono della campana che annunciava l’ultimo giro. La belga comincia a forzare i tempi per arrivare da sola, mentre la Van Vleuten è vittima di un inconveniente meccanico, triste dei passaggi del testimone. Così si va verso il successo finale per la Kopecky, che si sbarazza con tattica, tecnica e mestiere delle avversarie, mentre l’olandese dovee abbandonare la testa della corsa, riuscendo comunque a terminare la corsa in ottava posizione.
La seconda piazza è andata alla Vollering che ha preceduto sul traguardo l’ultima ad aver provatoovato nei chilometri finali a tener testa alla belga, ovvero la danese Ludwig. La migliore delle italiane è stata Silvia Persico, dodicesima con un ritardo di 4′34″.
Mario Prato

Lotte Kopecky è stata la più forte tra le donne in gara al mondiale su strada (Getty Images)
ALLEZ LE BLEUE… AXEL LAURANCE CAMPIONE DEL MONDO UNDER23
Successo francese nella prova mondiale degli Under23. Con un po’ di sana follia giovanile Axel Laurance è il nuovo Campione del Mondo di categoria. Seguono il portoghese António Morgado, secondo, davanti allo slovacco Martin Svrček. Quinto un orgoglioso Lorenzo Milesi, che ha sperato fino all’ultimo di fare doppietta. Sfortuna per gli altri componenti la pattuglia azzurra, vittime di cadute o incidenti meccanici.
Pioggia, cadute e inconvenienti meccanici. Ecco il “poco” leit motive della prova degli Under 23. L’acquazzone che ha investito il plotone nelle prime fasi di gara ha sicuramente condizionato la prova. Questo non deve però incidere sul più che meritato successo del francese Axel Laurance, già nell’orbita della Alpecin-Deceuninck.
La corsa odierna, pioggia e cadute a parte, è stata caratterizzata dalla fuga che comprendeva, oltre al francese neo campione del mondo e il nostro Lorenzo Milesi, il francese Antoine Huby, il britannico Jack Rootkin-Gray, il tedesco Moritz Kretschy, il norvegese Trym Brennsaeter, lo statunitense Brody Mcdonald e l’australiano Alastair Mackellar. Il plotone ha provato a inseguire, ma il tracciato molto tecnico e il fondo stradale bagnato non hanno certo facilitato la procedura. Prova ne è stata le numerose cadute, che tra l’altro hanno spento l’entusiasmo e le intenzioni anche degli italiani Dario Igor Belletta e Francesco Busatto, quest’ultimo partito con i gradi di capitano.
La difficoltà del tracciato non ha reso le cose difficili non solo agli inseguitori, ma anche ai battistrada (caduta di Huby), che con il passare del tempo si disunivano e si ricompattavano in continuo.
L’azione decisiva è stata quella portata da Laurance quando mancavano due giri al termine. Alle sue spalle il continuo disgregarsi e ricompattarsi è continuato. L’avvicinarsi del traguardo ha fatto si che anche l’inseguimento al francese prendesse la sua reale connotazione. Tra gli altri molto attivo è risultato Milesi, che spesso si è preso sulle spalle l’intero onere del lavoro d’inseguimento, che però non ha portato gli esiti sperati. Lo sforzo in solitaria di Laurance è stato così premiato, anche se per l’inezia di 2 secondi. Cosa che invece non è successa a Milesi, che nonostante lo sforzo profuso si è piazzato solo quinto alle spalle del portoghese António Morgado, dello slovacco Martin Svrček e di Rootkin-Gray, che lo hanno preceduto sul traguardo.
Mario Prato

Il francese Axel Laurence si impone nel mondiale U23 (Getty Images)
EVENEPOEL SEMPRE PIU’ FENOMENO. E’ SUO L’ORO NELLA CRONOMETRO DEI MONDIALI 2023
Dopo un inizio ‘tranquillo’, Remco apre il gas nelle seconda parte del tracciato di Stirling e vince con 12 secondi di vantaggio su un comunque valido Filippo Ganna che ritorna sul podio mondiale dopo un anno di assenza. Medaglia di bronzo per Joshua Tarling, diciannovenne britannico di cui sentiremo parlare molto
Ai Mondiali di ciclismo su strada oggi era il giorno della prova a cronometro uomini elite e dopo l’exploit di Tobias Foss dello scorso Settembre in Australia appassionati e addetti ai lavori si chiedevano se in Scozia avrebbe vinto un altro outsider oppure se sarebbero emersi i reali rapporti di forza anche in considerazione della distanza più ‘da cronometro’. Infatti i 47.8 km del percorso di Stirling rappresentavano una distanza sicuramente più consona agli specialisti del tic tac, anche se erano nascosti degli insidiosi trabocchetti, come dei rettilinei non completamente pianeggianti e soprattutto gli ultimi 800 metri in costante salita che portano al castello della località scozzese e che sono anche in pavè. La lotta per la medaglia d’oro si è consumata proprio alla fine, con Filippo Ganna che partiva circa 6 minuti prima di remco Evenepoel. L’italiano faceva segnare il miglior tempo al primo rilevamento cronometrico, facendo meglio di quasi 5 secondi sul belga, che però nei tratti più favorevoli a lui, ovvero tra il secondo intertempo e l’arrivo finale, ribaltava la situazione a suo favore chiudendo con il tempo di 55 minuti e 19 secondi, 12 secondi meglio di Ganna che doveva accontentarsi della medaglia d’argento. Sorprendentemente terzo ma non troppo era il britannico Joshua Tarling a 48 secondi di ritardo da Evenepoel, che dopo aver vinto i campionati nazionali inglesi della specialità promette di essere, a 20 anni non ancora compiuti, il volto nuovo e vincente della cronometro per i prossimi 10 anni, se non di più. In quarta posizione si classificava lo statunitense Brandon McNulty che pagava 1 minuto e 27 secondi da Evenepoel. Chiudeva la top five Wout van Aert, a 1 minuto e 37 secondi di ritardo dal suo connazionale. Mattia Cattaneo era ottavo a 1 minuto e 57 secondi da Evenepoel che dopo il Mondiale su strada del 2022 colleziona un altro oro e conferma di essere un ciclista fenomenale. Tra le delusioni più evidenti è da rimarcare la prova di Tadej Pogacar, giunto evidentemente appagato ai Mondiali dopo il secondo posto del Tour ed il bronzo nella prova su strada. Lo sloveno, in evidente affanno, chiudeva in ventunesima posizione, a 3 minuti e 6 secondi di ritardo da Evenepoel, che a questo punto mette nel mirino la Vuelta a Espana che inizierà il 26 Agosto con l’ambizione di bissare il successo del 2022.
Antonio Scarfone

Remco Evenepoel campione del mondo a cronometro 2023 (foto: Getty Images)
MILESI E DYGERT GIOIE MONDIALI
A Stirling, nelle prove a cronometro under 23 e donne elite, prima Lorenzo Milesi trionfa nella crono Under 23 riportando l’oro in Italia dopo 15 anni dall’exploit di Adriano Malori a Varese, mentre la statunitense Chloe Dygert è campionessa del mondo tra le donne
Nei 36.2 km da Stirling a Stirling (con l’arrivo in pavè sulla salitella verso il caratteristico castello che domina la cittadina inglese) l’Italia del cronometro – categoria under 23 – torna grande dopo 15 anni, quando a Varese si impose Adriano Malori. Lorenzo Milesi, dopo una prima metà con i primi due passaggi all’intertempo in cui resta alle spalle del belga Alec Segaert, apriva il gas e ribaltava il pronostico della vigilia che vedeva proprio il belga favorito. Al terzo intertempo infatti il ciclista bergamasco era davanti di tre secondi sul belga e chiudeva infine con il tempo di 43 minuti netti, mentre Segaert continuava a perdere tempo e giungeva al traguardo a 11 secondi di ritardo da Milesi. Medaglia di bronzo era l’australiano Hamish McKenzie che chiudeva con il tempo di 43 minuti e 51 secondi, a 51 secondi di ritardo da Milesi. La top five veniva completata dallo spagnolo Raul Garcia Pierna che concludeva in quarta posizione con il tempo di 43 minuti e 54 secondi e dall’irlandese Darren Rafferty, quinto con il tempo di 43 minuti e 56 secondi. L’altro ciclista italiano Bryan Olivo non faceva meglio del quarantaseiesimo posto, a 4 minuti e 16 secondi di ritardo da Milesi. Sulla stessa distanza di 36.2 km si svolgeva anche la gara delle donne elite con la statunitense Chloe Dygert che vinceva con il tempo di 46 minuti e 59 secondi. La Dygert specialmente nella prima metà del percorso poneva le basi per l’oro mondiale e nonostante una leggera flessione nella seconda metà riusciva a restare davanti all’australiana Grace Brown per 6 secondi. Bronzo era invece l’austriaca Christina Schweinberger che chiudeva a 1 minuto e 13 secondi di ritardo dalla Dygert. In quarta posizione si piazzava la britannica Anna Henderson ed in quinta posizione la francese Juloette Labous, rispettivamente a 1 minuto e 15 secondi di ritardo ed 1 minuto e 22 secondi di ritardo dalla Dygert. Male le italiane con Alessia Vigilia ventiquattresima a 3 minuti e 40 secondi di ritardo dalla Dygert e Vittoria Guazzini trentaduesima a 4 minuti e 16 secondi di ritardo dalla Dygert. Domani grande attesa per la prova a cronometro uomini elite in un percorso di 47.8 km con Tobias Foss che si rimette in discussione dopo l’inatteso oro australiano dello scorso settembre ma che dovrà fare i conti con ciclisti del calibro di Wout van Aert, Remco Evenepoel, Stefan Kung, Geraint Thomas, Remi Cavagna ed altri. Per quanto riguarda l’Italia, Filippo Ganna vuole cancellare la brutta prestazione di Wollongong – soltanto settimo nel 2022 – e tornare in zona medaglia. Oltre a Ganna l’Italia punta su Matteo Cattaneo, vincitore lo scorso 3 Agosto della cronometro individuale al Giro di Polonia e possibile outsider della prova iridata.
Antonio Scarfone

Lorenzo Milesi campione del mondo under 23 a cronometro (foto: Getty Images)
CRONOSTAFFETTA MISTA MONDIALE: ORO SVIZZERO SU FRANCIA E GERMANIA. ITALIA QUINTA
Il sestetto svizzero vince contro il tempo davanti a Francia e Germania. Italia solo quinta
Glasgow, Scozia, Regno Unito: Martedì 8 Agosto si respira ancora nell’aria l’emozione per il successo solitario di Mathieu Van Der Poel di 48 ore fa ma le corse non terminano, anzi se possibile raddoppiano in questa lunga settimana iridata: oggi è il turno della crono-staffetta mista uomini e donne.
L’Italia si presenta al via con una rosa di tutto rispetto composta da Bettiol, Cattaneo e Moro lato maschile e Paternoster, Persico e Vigilia lato femminile. Le fasi iniziali della prova azzurra sotto la guida e il ritmo del campione fiorentino promettono bene, tanto che al passaggio di consegne fra i due terzetti l’intertempo si stoppa addirittura al secondo posto parziale. Una prova opaca di Letizia Paternoster e soprattutto uno sfortunato problema meccanico di Silvia Persico però rigettano con forza le velleità di medaglia della compagine azzurra quest’oggi, relegandola al quinto posto conclusivo.
La vittoria è storia a due: Francia e Svizzera si combattono il metallo più pregiato sul filo dei secondi e alla fine saranno soltanto 7 al traguardo in favore dei rossocrociati elvetici, che possono così esultare di gioia nonostante lo spavento della caduta di Marlene Reusser: medaglia d’oro per Stefan Bisseger, Stefan Kung, Mauro Schmid, Elise Chabbey, Nicole Koller e la già citata Reusser. Chiude il podio odierno alle spalle dei delusi transalpini il sestetto tedesco con 10 secondi di vantaggio sulla squadra di “casa”, la Gran Bretagna. L’Italia pagherà uno scarto conclusivo di 1 primo e 17 secondi dall’oro e appena 26″ dal bronzo, con il piccolo rammarico per il problema meccanico che – forse – è risultato decisivo nella lotta per il podio.
Lorenzo Alessandri

La Svizzera conquista la Mixed Relay Mondiale. Photo Credit: Getty Images
RE MATHIEU PER UN MONDIALE MATTO
Mondiale memorabile, anche se forse un filo troppo folle, che esalta una generazione di campioni
Un’infinita facezia, un’infinita pazzia. Impossibile raccontare questo Mondiale, impossibile ridurlo a cronaca. Correte subito a cercarne una replica e guardatevelo assolutamente. Anche tutto. Certo, in una posizione comoda e avvisando amici e parenti affinché vi assistano in caso di deliri, infarti o svenimenti. Se proiettato in sala, richiederebbe un disclaimer: astenersi se soffrite di 3D sickness o mal di mare da riprese impazzite, astenersi se amate razionalizzare gli eventi in un filo narrativo prevedibile o anche solo minimamente afferrabile.
Roberto Bolaño riporta nel suo romanzo “Los detectives salvajes” il componimento visivo, assolutamente enigmatico, di un’immaginaria poeta messicana, Cesárea Tinajero: un quadratino, forse una barchetta, forse un cursore, si situa dapprima su una linea retta, quindi su una linea regolarmente ondulata, infine su una linea spezzata violentemente irregolare. Ecco, il Mondiale scozzese trova il proprio corrispettivo e apice in quest’ultimo “verso visuale”. La linea retta è quella che porta da Edinburgo alla fermata imposta da una manifestazione di protesta contro l’assoluta follia di continuare ad estrarre combustibili fossili. C’è da essere grati al lucido pazzesco azzardo di chi si è cementato o incatenato in mezzo alla strada (con conseguenze poliziesche e legali accluse) per ricordarci che continuano ad accadere cose più mondiali, grandi e pazze di questo pazzo, grande Mondiale di ciclismo. 50 minuti del nostro tempo valgono bene il promemoria sull’avidità di chi non si stanca di mettere il mondo a ferro e fuoco in nome del profitto.
E poi, chi lo sa, magari proprio questo stop è stato la scintilla o la brace sotto la cenere in cui si è covato l’inesausto incendio, questo sì solo metaforico, sportivo e godibile, della gara che ne è seguita. Il buon van der Poel ha chiesto educatamente accesso al bagno di una casa privata per espletare una necessità alchemica che sicuramente avrà alleggerito la parte terrosa e acquea del suo corpo per renderlo più volatile e infine fiammeggiante sui trampolini verso l’arcobaleno che sono stati gli strappi di Glasgow. Altre alchimie si saranno cucinate nella lunga attesa: strategie, accordi, pianificazioni di squadra, forgiate e plasmate, e di nuovo limate al dettaglio; altrimenti, più complicate da richiamare alla mente in una gara senza radioline. Fors’anche il semplice effetto di vedersi caricati come molle, fremendo con le gambe frizzanti di impazienza.
Cominciano così, all’avvicinarsi a Glasgow, e poi entrando nel circuito conclusivo, le ondulazioni del secondo “verso” della poesia di Tinajero, crescenti e via via più impetuose, come ondate di marea: sono i grandi sommovimenti di squadra. Ancora in modo ritmato e blando, prima di approdare a Glasgow, con turni alternati delle squadre dei favoriti, Belgio e Olanda soprattutto, ma con già le prime cadute a limitare la formazione orange. Arrivando in città, tuttavia, subentra la marea danese, con un’onda oceanica di altissima velocità che immediatamente allunga e frammenta il gruppo, dettando fin dai 140 (centoquaranta!) chilometri al traguardo quel che sarà lo spartito vorticoso di tutta quanta la gara. Non ci sono praticamente lunghi rettilinei, non c’è vera salita ma neppure discesa, e a ben vedere nemmeno pianura!
Un allungo di Alaphilippe, marcato ovviamente da un danese, Kragh Andersen, attiva la linea sincopata, spezzata, impazzita appunto, diremmo quasi “da sismografo” che dominerà per intero le ultime tre ore e mezza di competizione, e accende al contempo la centrifuga cognitiva in cui si ritrova precipitato lo spettatore. Il gruppo si stira, si ricompatta, si spacca, gli elicotteri della televisione non possono destreggiarsi con piena libertà fra gli edifici, le curve continue, a gomito o peggio, interrompono le prospettive. Chi c’è davanti? Chi è rimasto dietro?
Concettualmente a metà fra queste due fasi di gara si situa l’iniziativa collettiva della squadra italiana, che nonostante una formazione non proprio di punta a livello individuale, decide comunque di cavalcare il susseguirsi di ondate e scosse telluriche per dire la propria e farsi protagonista del proprio destino. Prima un allungo di Bettiol, poi un forcing tremendo e concertato di Velasco e Bagioli: il risultato è un onda che si fa tsunami, e il gruppo di colpo non c’è più quando alla meta mancano oltre cento km. Da duecento a venti, e fra quei venti Trentin e Bettiol.
Da qui in poi è letteralmente impossibile ricondurre la gara a un resoconto lineare. Si può al massimo provare a scomporla in temi ricorrenti. Ad esempio notando che quando alla fine mancano ancora due ore, una selezione di forza riduce la competizione a un quintetto: Bettiol, van der Poel, Van Aert, Pedersen e Pogacar. Saranno gli uomini più forti di oggi, anche se Bettiol chiuderà decimo per una scommessa da tutto o niente a 50 km dalla meta.
Si può osservare che van der Poel è molto isolato perché le cadute mutilano una parte della sua formazione, e poi van Baarle, unico sopravvissuto fra gli olandesi, non sembra godere della stessa forma stratosferica vista al Tour, o forse più o meno consapevolmente è roso dal tarlo dell’obbedienza alla fedeltà di squadra “commerciale” (la Jumbo di Van Aert) piuttosto che non di casacca nazionale. E allora Mathieu risparmia e rischia, facendosi trovare a volte dietro, ricucendo chirurgicamente in extremis quando tocca, operando allunghi e attacchi in funzione più strategica che non necessariamente selettiva. Una volta ancora, in questa stagione, una gara perfetta, sul crinale (inesistente) che congiunge e comprende tanto il moderarsi quanto lo strabordare, tanto il rischiare quanto il conservare.
A proposito di squadre e di quadrature del cerchio impossibili, il Belgio si disintegra nella tensione fra Van Aert ed Evenepoel. Remco è in difficoltà su un tracciato tecnico dal punto di vista della guida e poco amico delle più protratte ma in qualche modo regolari erogazioni di potenza per le quali brilla il campione uscente. Ma Van Aert ogni volta che si ritrova davanti in uno degli innumerevoli frazionamenti, inevitabilmente partecipa dei turni con solide trenate se viceversa Evenepoel è rimasto staccato dietro. Ed Evenepoel deve spesso e volentieri ricucire lui stesso in prima persona. Lo stesso Belgio a volte si spende per riportarlo sotto, ma altre volte lo lascia naufragare in terra di nessuno, a sfogare la sua furia e frustrazione in solitudine. Prima di cedere definitivamente, Remco stesso proporrà una serie di allunghi inutili e rabbiosi con i quali senz’altro onora il titolo e il proprio ruolo, ma che forse avrebbero potuti essere incanalati in altro tipo di lavoro in funzione dei compagni. Certo che però a quel punto, vistosi eliminato in casa propria, la motivazione al sacrificio per Van Aert non sarà stata delle più forti!
La cosa paradossale è che il team belga sarà sostanzialmente l’unico, quando si ricoagula, a provare a dare ordine e razionalità a una corsa assurda. Dilaniato dalla proprie contraddizioni, diventa un esempio da manuale di come l’iperrazionalità sconfini senza accorgersi nella pazzia.
Al contrario la Danimarca brilla per sforzo collettivo e abnegazione, con corridori di peso come il già citato Kragh Andersen a spendersi come mere pedine tattiche. L’incudine e il martello della formazione danese saranno tuttavia un colossale Mads Pedersen e un inesauribile Skjelmose. I due alternano forcing insistiti e veri e propri attacchi con una furia da berserk. Saranno senz’altro coloro che susciteranno l’impressione fisico-atletica globalmente più travolgente, anche se il risultato finale sarà dei più beffardi, con Pedersen (il giustiziere del nostro Trentin nel pure durissimo e zuppo mondiale inglese), lui quasi velocista puro, oltreché uomo da classiche che non smette di raccogliere piazzamenti di lusso e prestazioni brillanti, ecco, lui forte, astuto e veloce, bellamente freddato nello sprint a due per l’ultima medaglia rimasta, quella di bronzo, da quel vero e proprio fenomeno che risponde al nome di Pogacar.
Pogacar come van der Poel corre da isolato, nel suo caso fin dal via. Si espone molto di più di van der Poel, e al contempo rischia ancor meno: è sempre nelle primissime posizioni, attentissimo, lestissimo. In comune con van der Poel ha gli attacchi ben dosati, contati, mirati, pensati. Attacchi che scremano, ritagliano, selezionano degli avversari e un tipo di gara a propria misura, anche se un terreno che è tutt’altro che adatto al buon Tadej, visibilmente il più leggerino anche come corporatura fra i contendenti.
Infine l’Italia, l’Italia a metà strada, a metà strada fra la volontà di razionalizzare la gara e l’istinto da schegge impazzite. L’Italia che in una corsa in cui (tolto il Belgio) le squadre hanno due uomini in testa, oppure uno solo, apparteneva deliberatamente al primo gruppo, ma per via di una delle sorprendentemente poche cadute perde Trentin e salta al secondo, con Bettiol isolato. E Bettiol che prova il tutto o niente: a oltre 50 km dalla fine se ne va da solo, e arriva a guadagnare fino a quaranta secondi, mentre un’altra di quelle pochissime cadute, pochissime ma significative sempre, riporta all’eterno numero di quattro fantastici i suoi inseguitori. Van der Poel. Van Aert. Pogacar. Pedersen.
Finalmente sembra che l’equazione sia stata semplificata ai suoi minimi termini. Quattro campioni da Fiandre, per l’esattezza i primi quattro del Fiandre 2023 (più uno davanti, ex vincitore del Fiandre pure lui, a ben vedere). Muri e muretti, curve strette, sprazzi di sole e acqua. Visto dalla fine tutto sembra così chiaro. Visto da qui, visto così, nonostante le magie di Pogi, il re delle Fiandre è sostanzialmente uno. L’uomo dallo scatto secco e breve più fulminante del mondo, il vivo ritratto dei versi di Silvio Rodríguez: “qualcosa che ti cancella di colpo, una luce accecante, uno scoppio di neve”. Mathieu van der Poel. Mathieu van der Poel spara il suo sparo di neve su uno strappo, uno a caso, sicuramente non quello che tutti si aspettano, non all’ultimo giro, non quando tutto torna, ma quando la meta è lontana, più di 20 km, con dietro tre lepri, e che lepri, ma non importa, è il tipo di scatto che cancella tutto e tutti. Van Aert prova a tenerlo e scoppia. Pedersen e Pogacar cercano di regolarsi, e scoppiano comunque. Bettiol viene obliterato e lasciato quinto a inseguire pazzamente in solitudine, finché proprio alla fine lo travolgeranno i resti di comuni mortali che, stretti in solidarietà tacita e tiepida da sconfitti, lo passano e relegano a un comunque bel decimo posto.
Gara finita?
A meno che van der Poel cada. E cade.
Cade e si rialza. Abrasioni. Bici? (la prima domanda del ciclista caduto, qualunque ciclista). Bici a posto. Scarpa rotta. Scarpa rotta eppur bisogna andare. Dove sono gli altri? Non si sa. In questo circuito non si capisce niente. Non ci sono radio. Nessuno sa niente. Ma van der Poel è già da solo da un pezzo. La luce accecante ha cancellato tutto e tutti. Riparte. Strappa a mani nude il pezzo di BOA della scarpetta che penzola e rischia di finire nelle corone (è un cavo d’acciaio).
Van der Poel è il campione del mondo di ciclismo maschile su strada a Glasgow 2023 (nel cross già lo era, e sabato corre per l’iride in MTB, in realtà per cercare la qualificazione olimpica diciamo pure).
Per l’olandese: Sanremo 2023. Roubaix 2023. Mondiale 2023. Le tre pazzie del ciclismo. I tre veri Monumenti, perché la Liegi e il Fiandre, con tutto il rispetto, furono a lungo gare domestiche del pur indiscutibile movimento belga. Ma Sanremo, Roubaix e – per definizione – Mondiale sono le gare di un giorno che fin da subito richiamarono contendenti da tutte le nazioni ciclistiche. E oggi sono le tre gare più assurde. Quelle in cui pare che possa capitare qualsiasi cosa. Quelle dove non è affatto detto che vinca il più forte. Quelle che non somigliano allo spirito dei tempi (qualsiasi cosa ciò significhi) di ciò che volta in volta si chiama “il ciclismo moderno”. La Sanremo e il suo nulla infinito per cinque minuti di pazzia. La Roubaix e la sua pazzia fatta strada e pietre rotte. Il Mondiale per nazionali, col corridore della Città del Vaticano, quello di Monaco (principato di), quello di Malta…
Gare che a volte “così non vale”, “ma guarda come ha vinto”. Ciclismo allo stato puro. E oggi ciclismo, oltre che pazzo, anche incontestabile. Van der Poel, Van Aert, Pogacar. Per trovare un podio di qualità simile bisogna andare a un’altra gara pazza, quella del deserto, con Sagan-Cavendish-Boonen. O la follia colombiana di Olano-Indurain-Pantani a Duitama. Nel ciclismo, grandezza e pazzia vanno mano nella mano: la vena di pazzia scozzese ci ha regalato un mondiale per la Storia.
Gabriele Bugada

Van der Poel si laurea campione del mondo a Glasgow (Getty Images)

