VINGEGAARD, LE MANI SUL TOUR DE FRANCE

luglio 18, 2023 by Redazione  
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La maglia gialla conquista l’unica prova contro il tempo di questo Tour de France con distacchi abissali su tutti gli altri, rischiando anche di andare a riprendere il grande rivale Tadej Pogacar, che a sua volta era quasi andato a riprendere Carlos Rodriguez, terzo in classifica generale. Ormai solo una crisi può togliere la vittoria al danese.

Alla vigilia si parlava di lotta serrata, di questione di pochi secondi, si analizzava ogni metro della prova contro il tempo andata in scena oggi per capire quali fossero i tratti più favorevoli all’uno o all’altro.
Alla fine, invece, non c’è stata storia e questo è vero su un doppio piano perché i due contendenti di questo Tour de France hanno dato enormi distacchi agli avversari. Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) ha dato oltre un minuto ad uno specialista come Wout Van Aert (Jumbo-Visma), che era anche accreditato per una possibile vittoria, ed è andato a riprendere Carlos Rodriguez (INEOS Grenadiers) che non è uno specialista, ma è pur sempre terzo in classifica generale. Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma) ha però offerto una prova straordinaria dando quasi 4 secondi al chilometro a Pogacar, un distacco che era quello che gli scalatori leggeri come Pantani prendevano negli anni 90 da specialisti come Indurain o Ullrich.
Alcuni segnali c’erano indubbiamente stati, perché lo sloveno – dopo aver comunque distanziato il danese anche se per pochi secondi sia a Cauterets, sia sul Puy de Dome – non era sembrato brillante sul Grand Colombier e soprattutto due giorni fa Saint Gervais Mont Blanc, quando si era avuta addirittura l’impressione che la maglia gialla avrebbe potuto partire e staccarlo.
Indubbiamente la preparazione del campione nazionale sloveno non è stata delle migliori, visto che si è dovuto fermare diversi mesi a causa dell’incidente alla Liegi, ma i più pensavano che questo avrebbe potuto portare grattacapi nella prima settimana, difficoltà che ci sono state avendo lo sloveno perso un minuto nella prima tappa pirenaica, ma che sono sembrate più legate ad una giornata storta piuttosto che ad una condizione scarsa.
Ora rimane da capire se lo sloveno abbia accusato il giorno di riposo oppure se i valori contro il tempo siano questi perché, come già si è detto, Pogacar ha dato comunque oltre un minuto a tutti gli altri avversari, specialisti compresi, quindi forse sono più i meriti di Vingegaard che i demeriti di Pogacar, anche se il capitano della UAE non aveva una pedalata brillantissima, soprattutto sulla salita di Domancy, tratto di percorso nel quale ha continuato a perdere da Vingegaard, che non aveva cambiato la bicicletta e quindi percorreva il tratto con un mezzo decisamente più pesante e meno adatto al tracciato.
Nel tratto finale, invece il distacco si è dilatato, in quanto la bicicletta da cronometro offre un certo vantaggio su pendenze dolci.
Dopo i primi tre si è piazzato Pello Bilbao (Bahrain – Victorious) seguito dai fratelli Yates separati da Remi Cavagna (Soudal – Quick Step): il ritardo di questi atleti è stato intorno ai 3 minuti. Il distacco di Rodriguez, giunto dodicesimo a 3′36″ ha permesso a Adam Yates (UAE Team Emirates) di risalire sul podio virtuale. Buona la prova di Giulio Ciccone (Lidl-Trek), che ha preso 6 minuti ma per le sue caratteristiche non è un cattivo risultato.
Va detto che, in effetti, è statp un Tour senza storia con i primi due semplicemente su un altro livello rispetto a tutti gli altri, con il terzo a oltre 8 minuti quando mancano ancora due tappe di montagna da affrontare. Vingegaard ha dato oltre 8 secondi al chilometro ai corridori in lotta per il podio.
La considerazione più immediata è che, se uno di questi corridori dovesse fare il Giro d’Italia oppure se uno dovesse essere costretto a saltare il Tour per qualche motivo, si avrebbe una corsa a tappe senza storia, un monologo degno del periodo Armstrong.
Ora solo una crisi potrà rimettere tutto in discussione, però siamo alla terza settimana e le crisi possono sempre venire. Purtroppo le tappe di montagna ancora da affrontare, seppur dure, non presentano un chilometraggio degno e quindi anche provocare crisi diventa difficile. Analogamente la preparazione scientifica che vige in casa Jumbo rende difficile pensare che possano capitare crisi di fame o dovute a cattiva gestione dello sforzo.
Conosciamo il carattere di Pogacar, corridore che non si arrende, e lo sloveno cercherà probabilmente un attacco da lontano, però il problema sarà staccare un Vingegaard che sembra in condizione di rispondere colpo su colpo.
La punta di velocità dimostrata da Pogacar a Cauterets è superiore a quella del danese, ma ora si tratta di recuperare un distacco importante e dopo aver speso parecchie energie sulle strade di questo Tour.

Benedetto Ciccarone

Vingegaard domina la cronometro di Combloux (Getty Images Sport)

Vingegaard domina la cronometro di Combloux (Getty Images Sport)

POELS SUL MONTE BIANCO. TADEJ E JONAS ARRIVANO INSIEME. DANESE SEMPRE IN GIALLO

luglio 16, 2023 by Redazione  
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Wout Poels è uno di quegli scalatori che quando becca la giornata giusta può essere micidiale e lo ha dimostrato oggi vincendo la 15 tappa del Tour de France. L’olandese in forza alla Bahrain-Victorius ha avuto la meglio sui numerosi compagni di fuga, battendo nettamente lungo la salita finale Wout Van Aert (Jumbo-Visma) condannto all’ennesimo piazzamento di una Grand Boucle in cui proprio non riesce ad alzare le braccia al cielo. Poels ha staccato il fenomeno belga poco dopo i -10 lungo le rampe più dure del Col des Amerands ed è giunto al traguardo con oltre 2 minuti sul corridore della Jumbo. Terza piazza per il transalpino Mathieu Burgaudeau (TotalEnergies) bravo nel finale ad emergere dal gruppetto degli inseguitori.
La lotta per la maglia gialla ha invece sortito un nulla di fatto. Dopo lo spettacolo delle ultime due tappe, oggi Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) e Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma) si sono controllati a lungo. Lo sloveno ha attaccato solo nell’ultimo km, ma il fuoriclasse danese non ha dato nessun segno di cedimento e non ha perso neanche un metro dal rivale, che ha affiancato poco prima della linea d’arrivo lasciando intendere ancora una volta che non ha nessuna intenzione d’abdicare.

La 15a tappa, da Les Gets Les Ports du Soleil a Saint-Gervais Mont-Blanc per un totale di 179 km, era posta al termine di un fine settimana di alta montagna e proponeva l’ultimo vero arrivo in salita della Gran Boucle 2023. Dopo la partenza all’insù, i corridori erano attesi da un primo tratto di circa 30 km pianeggiante che anticipava la prima ascesa di giornta, il Col de Fleuries (8,9 km al 4,6%; non classificato come gpm) posto al km 40. Quindi, un tratto di saliscendi e lo sprint intermedio di Bluffy (km 72) facevano da prologo al primo gpm di 1a categoria di giornata, il Col de la Forclaz de Montmin (7,2 km al 7,4%) la cui cima si trovava ai -96. Al termine della successiva discesa vi erano un’altra salita non segnalata come gpm, il Col du Marais (10,2 km al 3,2%), e un altro gpm di 1a categoria, il Col de la Croix Fry (11,4 km al 7,1%) ai -57. Dopo una breve discesa, la strada tornava a salire con il Col de Aravis (4,4 km al 6,2%), gpm di 3a categoria posto ai -45. A questo punto i corridori dovevano affrontare una prima discesa, un tratto di falsopiano e un’ultima discesa prima delle ultime due salite: la Cote des Amerands (2,7 km al 10,1%) ai -8,4 e dopo un brevissimo tratto all’ingiù l’ascesa che portava a Saint-Gervais (7 km al 7,7%).

Come d’abitudine, la frazione è stata supemeggiante sin dalla partenza vista la lotta furibonda che si consumata nei primi 30 km per entrare nella fuga di giornata. Dopo una lunga serie di tentativi, l’azione buona è partita sul Col de Fleuries quando un gruppo piuttosto folto (circa un quarantina di corridori) si è man mano formato al termine di una serie di attacchi e contrattacchi. Il gruppo inizialmente non ha lasciato molto margine ai fuggitivi. Poi, intorno al km 50, un improvvido spettatore poco attento alla corsa ha letteralmente tirato giù Sepp Kuss (Jumbo-Visma) e quindi il compagno di squadra Nathan Van Hooydonck. I due colossi in lotta per la corsa, Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma) e Tadej Pogacar (UAE Team Emirates), hanno schivato il pericolo ma praticamente mezzo gruppo maglia gialla è finito a terra e di conseguenza il plotone ha immediatamente rallentato per consentire il rientro dei tanti atleti caduti. La fuga ha così avuto il definitivo via libera aumentando rapidamente il vantaggio che di lì a poco ha superato gli 8 minuti.

Davanti nel frattempo i fuggitivi avevano già iniziato a frazionarsi, grazie all’azione di Julian Alaphilippe (Soudal-Quick Step) e Alexey Lutsenko (Astana Qazaqstan Team) partiti intorno al km 40. Alle loro spalle a poco più di mezzo minuto si trovavano 37 corridori: Nans Peters (AG2R Citroën Team), Mathieu van der Poel e Søren Kragh Andersen (Alpecin-Deceuninck), Mikel Landa e Wout Poels (Bahrain-Victorious), Marco Haller, Patrick Konrad e Nils Politt (BORA-hansgrohe), Guillame Martin e Ion Izagirre (Cofidis), Andrey Amador, Magnus Cort Nielsen, Neilson Powless e Rigoberto Urán (EF Education-EasyPost), Olivier Le Gac e Thibaut Pinot (Groupama-FDJ), Omar Fraile (INEOS Grenadiers), Rui Costa (Intermarché-Circus-Wanty), Michael Woods, Hugo Houle, Krists Neilands e Dylan Teuns (Israel-Premier Tech), Wout van Aert (Jumbo-Visma), Giulio Ciccone, Mattias Skjelmose Jensen e Juan Pedro López (Lidl-Trek), Alex Aranburu (Movistar), Warren Barguil e Simon Guglielmi (Team Arkéa-Samsic), Chris Hamilton (Team DSM-firmenich), Lawson Craddock, Christopher Juul-Jensen e Luka Mezgec (Team Jayco-Alula), Mathieu Burgadeau (TotalEnergies), Marc Soler (UAE Emirates), Jonas Abrahamsen e Torstein Træen (Uno-X Pro Cycling Team).

I due battistrada sono rimasti in testa a lungo col kazako che è passato in testa sul primo gpm di giornata, il Col de la Forclaz de Montmin, davanti ad ad Alaphilippe. A circa 40″ è transitato un gruppetto regolato da Ciccone che ha preceduto Powless recuperdando così 2 punti nella classifica per la maglia a pois. Il gruppo maglia gialla, tirato da Christophe Laporte (Jumbo-Visma) navigava ad 8′25″ (massimo vantaggio). La situazione in testa alla corsa era però fluida: Alaphilippe e Lutsenko sono stati ripresi nel tratto successivo alla discesa, mentre poco dopo dal gruppetto degli attaccanti è partito tutto solo Marco Haller. Il passista austriaco è rimasto in testa diversi chilometri, imboccando il Col de la Croix Fry con 45″ sugli insguitori e circa 7 minuti sul gruppo maglia gialla che nel frattempo aveva leggermente aumentato l’andatura. Lungo le prime rampe della salita, dal plotone di testa è partito Rui Costa. Il portoghese ha rapidamente ripreso Haller e lo ha poi agevolmente saltato restando tutto solo ai -60. L’azione del lusitano ha però risvegliato anche gli ex compagni di fuga, in particolar modo i corridori della Lidl-Trek che hanno iniziato a tirare per Ciccone, deciso a fare incetta di punti nei gpm e a rubare la maglia a pois a Neilson Powless. L’aumento di andatura messo in opera da Lopez e Skjelmose è riuscito a scremare il drappello degli attaccanti, facendo staccare tra gli altri proprio lo statuniteste. Una volta ripreso Rui Costa, Ciccone ha avuto vita facile nel transitare per primo sul gpm guadagnando i 10 punti necessari ad affiancare Powless in testa alla graduatoria dei gpm. Il gruppo, ancora in leggero recupero, è transitato con un gap di poco superiore ai 6 minuti.

Dopo una breve discesa, la strada è tornata a salire lungo le rampe del Col de Aravis. Ciccone ha provato a tenere compatto il drappello di testa anche lungo il terzultimo gpm di giornata, ma a metà salita è partito secco Marc Soler. Il Catalano ha guadangato una decina di secondi avviandosi allo scollinamento solitario. Ai -500, avvertito il pericolo, Wout Van Aert ha messo in atto una delle sue micidiali progressioni per lanciarsi all’inseguimento di Soler. Alla sua ruota si è immediatamente posto un lucidissimo Wout Poels, imitato di lì a poco da Krists Neilands. Il terzetto così formato è transitato sul gpm a pochi secondi da Soler che è stato poi ripreso lungo la discesa. Il nuovo quartetto di testa ha spinto a fondo lungo la discesa guadagnando subito un margine di poco meno di mezzo minuto sugli immediati inseguitori. Ai -36 Neilands è malamente caduto nel tentativo di recuperare una borraccia d’acqua da una moto dell’organizzazione. Il lettone si è poi rialzato e ha ripreso la corsa nononostante avesse colpito un muretto in cemento. Van Aert, Soler e Poels hanno invece proseguito la loro calvalcata continuando a guadagnare anche nel tratto in falspiano, al temine del quale avevano un vantaggio di ben 1′15″ sul drappello degli inseguitori composto da: Landa, Ciccone, Uran, Pinot, Skjelmose, Konrad, Aramburu, Martin, Houle, Teuns, Guglielmi, Barguil, Craddock e Burgaudeau. Il gap è ulteriormente aumentato nel tratto di discesa successivo e così il drappello inseguitore ha imboccato la Cote des Amerands con 1′30″ di ritardo dai battistrada.

Poels e Van Aert hanno approcciato la dura salita (2,7 km al 10,9%) con qualche metro di vantaggio su Soler che aveva perso le ruote dei due compagni d’avverntura lungo le ultime centinaia di metri della discesa. Lo spagnolo ha provato a rientrare ad inizio salita ma, proprio mentre stava per riaccodarsi a Poels e Van Aert, l’olandese ha piazzato il suo scatto secco. Van Aert non ha reagito e anzi ha perso contatto anche da Soler. Il belga e lo spagnolo hanno poi scollinato insieme con 30″ di ritardo dallo scatenato Poels. Gli immediati inseguitori nel frattempo avevano alzato bandiera bianca e ora solo Guillaume Martin continuava ad imporre un’andatura interessante al fine di recuperare tempo e posizioni in classifica generale. Nel gruppo maglia gialla invece, gli uomini della UAE avevano decisamente preso la testa, scalzando i rivali della Jumbo. In particolare rilievo Rafal Majka che ha imposto un ritmo talmente alto da far staccare uno alla volta i vari Pello Bilbao (Bahrain-Victorius), Simon Yates (Team Jayco-AlUla) e Jai Hindley (Bora-Hansgrohe). E così il drappello dei big si è rapidamente ridotto ad appena 7 unità: Vingegaard e Kuss della Jumbo-Visma, Pogacar, Majka e Adam Yates per la UAE, David Gaudu (Groupama-FDJ) e Carlos Rodriguez (Ineos Grenadiers).

Lungo la salita finale Van Aert ha staccato Soler, ma non è riuscito minimamente ad avvicinarsi a Poels. Anzi, l’olandese ha continuato a guadagnare su tutti gli inseguitori più immediati coronando l’attacco con una vittoria in grande stile. Alle sue spalle, staccato di oltre 2 minuti un ottimo Wout Van Aert che si è dovuto accontentare però dell’ennesimo piazzamento. Terza piazza per Burgaudeau, bravo a staccare gli altri inseguitori e a ripredere e staccare Soler nel finale.
Nel frattempo il drappello maglia gialla il ritmo è continuato a restare molto alto. Ai -4,5 Majka ha esaurito il suo lavoro, lasciando le redini della corsa ad Adam Yates. Il ritmo del britannico, ancora più asfissiante, ha fatto si che nel giro di pochi metri gli restassero a ruota solo Pogacar e Vingegaard. E’ così iniziata una fase di controllo con lo sloveno più volte impegnato a controllare il danese. Proprio a margine di uno di questi momenti di studio, Pogacar ha lasciato andare via il compagno Yates e così i due fuoriclasse che lottano per la maglia gialla si sono ritrovati impegnati nell’ennesimo duello. Vingegaard, evidentemente capito il gioco tattico, si è messo a ruota dello Sloveno consentendo il rientro del solito Rodriguez che si è immediatamente messo davanti a tirare col fine di limitare il gap da Yates. Proprio sotto lo striscione dell’ultimo km, Pogacar ha provato la sua irresistibile accelerazione, ma a differenza delle ultime volte, Vingegaard gli è stato facilmente a ruota. In men che non si dica i due hanno ripreso Yates e Soler. Pogacar ha provato nuovamente a staccare il rivale negli ultimi 300 metri ma anche stavolta lo scatto è stato vano, tanto che il danese ha voluto rimarcare la sua leadership affiancando lo sloveno sul traguardo. Il duo è giunto al traguardo con 6′04″ da Poels, precedendo Adam Yates (6′24″), Carlos Rodrigue (6′42″), Sepp Kuss e Marc Soler (7′05″), un tenace Gaudu (7′15″), Pello Bilbao (7′24″), Rafal Majka (7′52″) e un Jai Hindley in difficoltà (7′58″).

In classifica generale la maglia gialla Vingegaard mantiente 10″ su Pogacar, mentre Rodriguez è ora a 5′21″ dal Danese. Lo spagnolo della Ineos deve difendere il podio dallo scatenato Adam Yates, 4° a 5′40″. Perde terreno invece Jay Hindley, ora 5° a 6′38 e un pò lontano dal 3° posto. Segue Sepp Kuss, 6° a 9′16″ dal compagno di squadra, quindi troviamo Pello Bilbao a 10′11″ che oggi ha scavalcato Simon Yates, 8° a 10′48″. Completano la top ten provvisoria David Gaudu, 9° a 14′07″, e Guillaume Martin, 10° a 14′18″ dopo aver scavalcato Felix Gall (Ag2r Citroen Team) grazie alla fuga odierna.

Dopo il trittico alpino, domani i corridori potranno recuperare qualche energia grazie al secondo giorno di riposo della Grand Boucle in attesa della crono di martedì che potrebbe risultare decisiva ai fini della classifica generale. Vingegaard e Pogacar si sfideranno in una prova contro il tempo breve (appena 22,4 km) ma resa complicata dalla presenza di due strappi: la Cote de la Cascade de Coeur (1,3 km al 8,5) posta poco dopo la partenza e quindi la famigerata Cote de Domancy (2,8 km al 8,5%) ai -4. Gli ultimi 4000 metri saranno praticamente tutti in salita. Una prova che potrà rompere l’equilibrio visto nelle ultime giornate.

Pierpaolo Gnisci

Poels si impone sul Monte Bianco (fonte:Getty Images)

Poels si impone sul Monte Bianco (fonte:Getty Images)

FANTASMI DA MORZINE: POGACAR EYES WIDE SHUT

luglio 16, 2023 by Redazione  
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Una sola salita lottata, un solo secondo fra i duellanti. Tappa ridotta all’essenziale, ma ciclismo spaziale.

Kasparov ebbe a dire che gli scacchi sono lo sport più violento che esista. Il ciclismo in giornate come quella di Morzine può esibire solide credenziali quale pretendente al titolo. La tappa, micragnosamente breve ma infarcita di dislivello, si riduce al suo totem finale, il Joux Plane. Prima il tutto si riassume in una sebaldiana storia naturale della distruzione: i bombardieri Jumbo radono al suolo qualunque cosa si ritorca sulla vacua superficie della terra, in una pioggia di fuoco che rende ancor più rovente una giornata corsa tutta fin troppo sopra i trenta gradi (e fin troppo al di sotto dei duemila metri). Il sudore frigge come olio bollente, le borracce si sprecano, e i gialloneri pregustano un match point decisivo. Pogacar, pare assodato dai guru, tende a soffrire il caldo; il cumulo di dislivelli a passo ossessivo ne ottunde lo spunto; le salite vere favoriscono Vingegaard. L’accidentale Ventoux 2021 trasformato in protocollo, la scienza coglie il caso prototipico e si predispone a farne sistema.
Note al margine: Ciccone all’arrembaggio, si inserisce di forza nella lotta per la maglia a pois, anche se, come gli anni scorsi, con le tappe di gran montagna vi irrompono pure i fenomeni della generale, che potrebbero finire per portarsela via quasi per caso. Di Ciccone ci piace ricordare la sorta di muta protesta, la fronda, la resistenza, con cui, pur essendo ormai segnato il destino della fuga, allunga in solitaria un pugno di secondi davanti al gruppo trenato prima da Van Hooydonck poi da Benoot sulle rampe della Ramaz. Un gesto senza senso proprio, senza speranza, solo un granello di sabbia negli ingranaggi Jumbo che lo stritoleranno senza pietà. E proprio quando il gruppo lo deglutisce e tritura, passando di fianco a Pogacar, uno scambio di battute, un sorriso dello sloveno (un sorriso a 6 watt per kg). L’esibizione Jumbo scoccia. I terzi in causa per obiettivi minori cominciano a tifare contro. Travolte con Ciccone tutte le storie che si erano intrecciate nel conformarsi della fuga, le sportellate con Dani Martínez e Powless ai GPM, il coraggio di Pinot, l’ambizione e la voglia di bis di Woods o Kwiatko, le malinconie di Landa o Alaphilippe, e tanto altro per tanti altri ancora.
Ma la Jumbo ha deciso che oggi Morzine sarà Megiddo, il luogo della battaglia atomica finale, e non c’è spazio per altri fili narrativi.
Emergono allora prepotenti dalla memoria le altre storie recenti che hanno reso iconico questo arrivo. Pantani in fuga, inevitabilmente in fuga, il 18 luglio 2000, compleanno di Gino Bartali. Di nuovo all’assalto dopo il Ventoux in cattiva compagnia, dopo la prova di forza solitaria di Courchevel. Nonostante un fisico già minato, nonostante un mondo sportivo e non solo violentemente ostile. Lungo la strada per Morzine, i problemi di alimentazione (altri tempi, altra scienza). La scarsa collaborazione e quasi il boicottaggio dei compagni di fuga, poco predisposti al magnicidio contro il Re Americano, pur di ricevere qualche briciola e una vernice di redenzione. Virenque, emblema di questo atteggiamento, a vincere la tappa. Pantani ritirato. Ma anche. Ma anche Armstrong nel panico, che telefona, sì, telefona in diretta in piena corsa al suo spirito guida, il Dottor Ferrari. Armstrong telefona alla scienza, e la scienza rassicura: Pantani non può arrivare. L’economia delle entrate e uscite energetiche non può tornare, lo sperpero, l’azzardo, la diarrea, la solitudine consumeranno il Pirata. Il dubbio però rode, Courchevel rode. E Armstrong fa crac. L’arcirivale Ullrich gli rifila quasi due minuti. Lo lasciano indietro anche Heras o Escartín, i compagni di merende che lo avevano salvato dal naufragio verso Courchevel, facendogli da gregari pur appartenendo ad altro team, quel Kelme che fu di Fuentes. Il Tour de France era già deciso, ampiamente deciso, da molte tappe, o da molti mesi. Non cambierà nulla. Scienza e fantasmi. Il fantasma di Pantani contro la scienza dello sport, o Pantani contro il fantasma della scienza sportiva (Ferrari la chiamava arte: l’arte è lunga, la vita breve, diceva Ippocrate).
Sei anni e due giorni dopo siamo nel 2006, 20 luglio 2006, e Floyd Landis ha appena perso la maglia gialla. Altro yankee inventato in casa Bruyneel come gregario eccezzionale (con due “z”, minimo), ma messosi in proprio già nel 2005 con la sulfureissima Phonak (perché giallo-verdastra, non peraltro…). L’anno precedente non gli era andata così bene, top ten risicata a una dozzina di minuti. Ma nell’anno 2006 l’era Armstrong è finita. Tocca ai liberi imprenditori, così Floyd assurge alla gloria gialla sulla cima della mitica Alpe d’Huez. Verso la Toussuire tuttavia il giallo si è subito scolorito in dieci minuti di ritardo dal danese Rasmussen (e altri venti atleti). Però Landis non si arrende. A quasi 130 km dall’arrivo parte da solo a doppia velocità lasciando basiti gli inseguitori che pure provano a prendergli la ruota, ma senza alcuna chance. Proveranno poi collettivamente. Tutto inutile. I più vicini inseguitori arrivano a quasi 6 minuti. Il regno di Lance è finito, e tornerà a finire, in modo ancor più radicale, pochi anni dopo; ma la scienza frattanto ha imparato a farsi arte con Ferrari, e ora da arte si fa pura magia. Operation Witchcraft. Floyd però non aveva capito che la vera magia non è quella della scienza, né quella dell’arte: la vera magia è quella della politica. Non quella dei partiti, anche se può corrispondervi, né quella degli Stati, anche se vi si intreccia: bensì la politica generale e microscopica del potere, che impregna i corpi e se ne nutre, la biopolitica degli sponsor multinazionali, dei comitati olimpici, dei nuovi grandi racconti a cui vendersi quando li si compra. Floyd Landis non ha intercettato questa magia, e il gruppo storce il naso, sciopera platealmente, proliferano i sussurri dietro le quinte, e Landis sale in giallo sul podio parigino solo per esserne rimosso via antidoping. Troppo testosterone, Floyd, ma senza essere un maschio alfa, e soprattutto senza appartenere al branco giusto.
Finisce l’excursus e siamo ai piedi del Joux Plane. Il gruppo non c’è più. Ci sono solo i Jumbo contro gli UAE, il resto sono dettagli, Hindley penzolante, Carlos Rodríguez 22enne umile ed enorme per l’INEOS mentre Pidcock è scoppiato tempo prima. Simon Yates staccato da Van Aert nella discesa della Ramaz, rientrato sputando sangue con il sempre più sorprendente austriaco Felix Gall e con il filosofo che non ti aspetti, il buon Guillaume Martin. Una dozzina di uomini ma quel che conta è la partita a scacchi. La partita letale fra UAE e Jumbo.
Dettagli, fra i quali si annida il diavolo. Come negli scacchi. Mosse e contromosse. Pensiero anticipatorio. Congetture e interpretazioni. Trappole. Carlos Rodríguez, lo vedremo, è uno di questi dettagli.
Dettagli: Pogacar chiede a Majka di dare una trenata inattesa per scombussolare il treno Jumbo. Rompere il rullare dei tamburi di watt predefinit. Calcolo e intuizione contro scienza e misurazione. Funziona, il treno deraglia. Contromosse, sorprese: ad esempio, Van Aert. Van Aert che aveva tirato alla morte, scoppiato, piantatosi come spesso vediamo oggidì piantarsi i corridori-lavoratori spremuti dai superteam fino all’ultima goccia. Van Aert resuscita dai morti: scienza, arte, magia, pura forza di volontà, genio ciclistico, aberrazione atletica? Van Aert non solo riprende il gruppetto dopo essersi letteralmente fermato, ma passa tutti a doppia velocità e tira e tira fino a stroncare Majka. Il treno torna in corsa.
Dettagli: a Pogacar cade una borraccia. Sguardo di smarrimento. Gesti di panico, che appaiono invero sproporzionati. Ma oggi le calorie sono calcolate al minuto. Entrate e uscite. Economia del sudore. Economia contro entropia. Si avvicina sereno il compagno Adam Yates, ecco una borraccia. Sollievo. Yates non sta facendo quasi nulla, fin qui, per Pogi, basta paragonarlo con il lavoro di Kuss per Vinge. Ma oggi bastava la sua faccia. E la borraccia, certo.
Tira e salta Kuss, Pogacar potrebbe far leva sull’attendismo. Due contro uno, lui e Adam Yates appunto contro Vingegaard che ha esaurito l’intero team e non sembra pronto. Non è arrivato al metro esatto, al minuto esatto, dove avrebbe dovuto scatenare i watt. Qualcosa non quadra. Quei turni sfasati, forse. Quel Ciccone inutile come un granello di sabbia a spostare watt fuori luogo e fuori tempo tanti e tanti km fa. Chi lo sa. Vinge non agisce.
Ma Pogacar non è tipo da attendere. Fa tirare Yates, e poi.
Attacca. Allo scollinamento mancano quasi 4 km.
E subito se ne va. Stavolta Vingegaard non prova nemmeno la reazione immediata. Ha capito l’antifona. Sale del proprio passo, e fra i due la regia disegna un filo d’argento virtuale. Il filo d’argento infrangibile. 5 secondi di differenza che restano tali.
L’icona di questa tappa è il viso di Pogi, senza occhiali, con gli occhi enormi, ingenui, infantili, spalancati, persi nelle vastità senza limiti dello sforzo. Vede fantasmi, Pogacar? Certamente ne vede quando comincia a voltarsi, anche un po’ troppo spesso. Un fantasma danese.
Sono stati minuti ad altissima intensità, e di colpo si passa al surplace. I processori ricominciano a calcolare impazziti, ci vorrebbe un computer quantistico per gestire la deriva delle interpretazioni. Pogacar ha fallito, sta male, non è riuscito a fare il vuoto. E Vingegaard perché non scatta quando riprende Pogacar? È cotto pure lui? È al limite? Avrebbe dovuto insistere, Pogacar? Avrebbe – potuto – insistere? La scienza non ha più risposte. In cima alla salita c’è un abbuono in tempo, una delle novità strampalate che il Tour introduce di tanto in tanto. Ai 500 metri Pogacar lancia una prevedibilissima volata lunga, ma i muri di gente strozzano l’allungo e due moto, di fotografi e riprese, bloccano del tutto la strada. Stop and go. Non cambierà niente, ma la sensazione è che sia cambiato tutto. Si torna alla surplace, letteralmente, velocità da amatori, mentre da dietro si avvicinano Adam Yates e Carlos Rodríguez, che in un paio di km avevano incassato più di un minuto.
Da qui Pogacar sembra andare in confusione. Scacchi e ciclismo. Ciclismo e boxe. Il ciclismo è lo sport più violento che ci sia, con la differenza che il danno inflitto all’avversario, o meglio, come intendevano Kasparov, e Fisher, all’ego dell’avversario, passa per infliggere danni fisici a sé stessi. Una strategia scacchistica di sacrificio, ma perenne, costante, sistematica. Sempre sul limite. O appena oltre.
Al GPM Vingegaard pizzica Pogacar distratto, e gli strappa il passaggio sulla linea con una volata cortissima, quasi inesistente, tutta giocata sull’effetto sorpresa. Pogi incassa.
Il diavolo in rosso Carlos Rodríguez rientra e subito allunga, Yates non riesce a tallonarlo, Vinge neppure, men che meno Pogi. Ha scelto bene la curva e volerà via per tutta la discesa fino a vincere la tappa laggiù a Morzine. Come dirà Matxin, il DS spagnolo di Pogacar, oggi ha vinto l’alunno più studioso, il più intelligente, il più lucido. Calcola perfettamente il talento 22enne, e poi calcola perfettamente pure i rischi in discesa, perché “il leone di Almuñécar” ama anche l’azzardo, che è dopotutto l’altra faccia del calcolo, dove calcolo e arte s’incontrano. Vittoria in solitaria, a braccia alzate, e, molto provvisoriamente, terzo posto nella classifica generale. Per un secondo.
Pogacar si mette davanti e scende malissimo, Vingegaard gli si incolla alla ruota, altra scelta azzardata, da guerra psicologica, o forse solamente da confusione. Interpretazioni alla deriva. Pogi potrebbe aspettare Yates che fatica tantissimo a scendere, a sua volta, in modo accettabile, ma lo sloveno sembra ossessionato dal non perdere sulla testa della corsa. Ossessionato dagli abbuoni, ossessionato dal far tornare i conti, ma non abbastanza da pensare che se si fermasse, se facesse passare Yates, magari facendo lui stesso un po’ da tappo, poi Vingegaard dovrebbe inseguire e diventerebbe una facile ruota a cui agganciarsi. Se poi Yates arrivasse, fare terzo contro il danese quarto premierebbe comunque di più che fare secondo con il danese terzo. Non ci pensa Pogacar, né ci pensa l’ammiraglia. Qui non è questione di conti, è questione di sensazioni, di voglia di vincere, di trovarsi quasi a sorpresa ad emergere nello scenario che tutto avrebbe voluto più favorevole al rivale. Ma, allo stesso tempo, non riuscire a chiudere il break, schiantarsi quasi su quelle moto, non poter più far correre libero il proprio sguardo dagli occhi spalancati a un orizzonte ignoto, ma impegolarsi nei conti della serva, nel secondo più o secondo meno. E, sul terreno della lucidità, inaspettatamente stentare. Alla fine Pogi sarà secondo, Vinge terzo. Bilancio in secondi, uno guadagnato dal danese. Che cosa significherà tutto questo, alla fine del Tour? Alla fine delle carriere? O dopo altri vent’anni di ciclismo? Chi sarà divenuto un fantasma, chi sarà inseguito dai fantasmi? Non abbiamo una risposta oggi, anche se alla prima domanda ne avremo una fra una settimana. O fra qualche mese, o fra qualche anno. L’arte è lunga, la vita è breve.

Gabriele Bugada

Pogacar e Vingegaard sulla salita del Joux-Plaine (foto AFP)

Pogacar e Vingegaard sulla salita del Joux-Plaine (foto AFP)

KWIATKOWSKI DOMA IL GRAND COLOMBIER, POGACAR SGRANOCCHIA ANCORA QUALCHE SECONDO A VINGEGAARD

luglio 14, 2023 by Redazione  
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Il 14 luglio è una data speciale per i francesi, non poteva perciò mancare una tappa degna di tale ricorrenza. Tredicesima frazione che da Châtillon-Sur-Chalaronne terminava sulla mitica salita del Grand Colombier.

Giornata calda e afosa che non preoccupa i ciclisti, dopo quasi trenta chilometri la fuga di giornata prende il largo con diciannove corridori, tra i quali gli italiani Alberto Bettiol (EF Education-EasyPost) e Luca Mozzato (Team Arkéa Samsic). Gli altri fuggitivi sono Michał Kwiatkowski (INEOS Grenadiers), Adrien Petit, Mike Teunissen, Georg Zimmermann (Intermarché – Circus – Wanty), Cees Bol, Harold Tejada (Astana Qazaqstan Team ), Quentin Pacher (Groupama – FDJ), James Shaw (EF Education-EasyPost), Kasper Asgreen (Soudal – Quick Step), Matej Mohorič, Fred Wright (Bahrain – Victorious), Jasper Stuyven (Lidl – Trek ), Nelson Oliveira (Movistar Team), Hugo Houle (Israel – Premier Tech), Maxim Van Gils (Lotto Dstny), Anthon Charmig (Uno-X Pro Cycling Team) e Pierre-Roger Latour (TotalEnergies).

Il gruppo inseguitore condotto dalla UAE Team Emirates (e in particolare da Matteo Trentin), si pone subito al lavoro per tenere sotto controllo i fuggitivi, che a poco meno di sessanta chilometri dal traguardo perdono Petit e Bol mentre Teunissen, Mohorič e Charmig (Uno-X Pro Cycling Team) transitano nell’ordine al traguardo bolante di Hauteville-Lompnès.

Con l’avvicinarsi del Grand Colombier la velocità cresce per tutti tranne per Caleb Ewan (Lotto Dstny), che anzi si ritirerà poco prima dell’inizio della salita finale. Sulle prime rampe tra i battistrada attacca Pacher, mentre Bettiol si mette a al servizio del compagno di squadra Shaw. Il britannico, Van Gils e Tejada raggiungono e staccano il francese. Tutto sembra andar liscio per i battistrada fino a quando hanno dovuto assistere al sorpasso da parte di Kwiatkowski. Il polacco, con la classe che lo contraddistingueva, aveva gestito le energie nel miglior dei modi ed è così riuscito a raggiungere il traguardo prima di tutti.

Alle spalle dei fuggitivi va in scena la lotta per la maglia gialla. La UAE Emirates di Tadej Pogacar utilizza tutti gli uomini a sua disposizione per mettere in difficolta Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma). Adam Yates (UAE Emirates) scatta a meno di due chilometri dal traguardo per rompere gli indugi, poi lo stesso Pogacar si muove in prima persona nelle ultime centinaia di metri e con uno scatto lunghissimo costringe Vingegaard a perdere ancora qualche metro. Lo sloveno rosicchia così 8 secondi all’avversario, quattro sulla strada e altrettanti per l’abbuono del terzo posto. Secondo posto per Maxim Van Gils, 23enne belga della Lotto Dstny.

Ora è arrivato il momento delle tappa alpine che cominceranno domani con una delle frazioni più impegnative dell’edizione 2023, disegnata per 152 Km tra Annemasse e il tradizionale traguardo di Morzine

Luigi Giglio

Lattacco di Pogacar a Vingegaard sulle ultime rampe del Grand Colombier (Getty Images Sport)

L'attacco di Pogacar a Vingegaard sulle ultime rampe del Grand Colombier (Getty Images Sport)

ION IZAGIRRE, FUGA VINCENTE A BELLEVILLE-EN-BEAUJOLAIS. VINGEGAARD CONSERVA LA MAGLIA GIALLA

luglio 13, 2023 by Redazione  
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Nella classica tappa da fuga di metà Tour, su un percorso molto vallonato con cinque GPM, ad avere la meglio è Ion Izagirre (Team Cofidis), che coglie l’attimo fuggente sull’ultima salita del Col de la Croix Rosier e distanzia i suoi ex compagni di fuga. Vingegaard resta in maglia gialla alla viglia di un trittico di tre tappe alpine che potrebbero indirizzare l’esito del Tour 2023

Il Massiccio Centrale è ancora protagonista nella dodicesima tappa da Roanne a Belleville-en-Beaujolais di quasi 169 km. Cinque gpm – tre di terza categoria e due di seconda categoria – attendono i ciclisti e soprattutto gi uomini da fuga, visto che quest’ultima è molto pronosticata anche in vista di un week end dove le Alpi saranno protagoniste incontrastate e sulle quali la battaglia tra Jonas Vingegaard (Team Jumbo Visma) e Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) andrà avanti senza sosta. Oggi vedremo che tattiche adotteranno le squadre dei due contendenti alla maglia gialla ma come accennato la fuga sembra la soluzione più ovvia. Il clou della tappa, fuga o non fuga, si concentrerà quasi certamente tra il km 100 ed il km 140, quando si affronteranno in rapida successione i tre gpm del Col de la Casse Froide, del Col de la Croix Montmain e del Col de la Croix Rosier. Su quest’ultimo si assegneranno anche degli abbuoni temporali. Alla partenza da Roanne si segnalava il forfait di Fabio Jakobsen (Team Soudal Quick Step), ancora dolorante per i postimi della caduta occorsa nella quarta tappa. Com’era prevedibile, erano molteplici gli attacchi per portare via la fuga ed il primo di questi era portato da Matteo Jorgenson (Team Movistar), Mathieu van der Poel (Team Alpecin Deceuninck) e Krists Neilands (Team Israel Premier Tech). La tappa vedeva un continuo rimescolamento nelle prime posizioni del gruppo finchè la fuga buona riusciva ad evadere nella discesa e nel falsopiano che seguiva il Col des Ecorbans. Ad avvantaggiarsi sulla prima parte del gruppo maglia gialla erano in quindici: Tiesj Benoot (Team Jumbo Visma), Thibaut Pinot (Team Groupama FDJ), Andrey Amador (Team EF Education EasyPost), Julian Alaphilippe (Team Soudal Quick Step), Mads Pedersen e Jasper Stuyven (Team Lidl Segafredo), Mathieu van der Poel (Team Alpecin Deceuninck), Guillaume Martin e Ion Izagirre (Team Cofidis), Ruben Guerreiro e Matteo Jorgenson (Team Movistar), Dylan Teuns (Team Israel Premier Tech), Victor Campenaerts (Team Lotto Dstny), Tobias Halland Johannessen (Uno X Pro Cycling Team) e Mathieu Burgaudeau (Team TotalEnergies). All’inizio del gpm del Col de la Casse Froide i quindici uomini di testa avevano quasi 4 minuti di vantaggio sul gruppo maglia gialla. Dopo che il gruppo di testa scollinava unito sul suddetto gpm, era sul successivo Col de la Croix Montmain che le cose cambiavano e Mathieu van der Poel attaccava insieme ad Amador. Quest’ultimo riusciva a tenere le ruote dell’olandese per un paio di km dopodichè Van der Poel aumentava l’andatura e si involava da solo, scollinando in prima posizione con una trentina di secondi di vantaggio sul primo gruppo inseguitore. Il gruppo maglia gialla era invece segnalato a circa 3 minuti di ritardo. Sul successivo Col de la Croix Rosier l’azione di Van der Poel si esauriva ed il drappello di testa si ricompattava. Era Ion Izagirre a portare un nuovo attacco. Lo spagnolo della Cofidis scollinava con una ventina di secondi di vantaggio sul primo gruppo inseguitore, di cui facevano parte Benoot, Pinot, Martin, Jorgenson, Johannessen e Burgaudeau. Grazie anche al lavoro del compagno di squadra Martin, abile a chiudere scatti e controscatti alle spalle di Izagirre, lo spagnolo aumentava pian piano il vantaggio e andava a vincere in solitaria sul traguardo di Belleville-en-Beaujolais con 58 secondi di vantaggi su Burgaudeau e Jorgenson, mentre chiudevano la top five Benoot in quarta posizione e Johannessen in quinta posizione, rispettivamente con un ritardo di 1 minuto e 6 secondi e di 1 minuti e 11 secondi. Il gruppo maglia gialla, regolato da Maxim van Gils (Team Lotto Dstny) giungeva al traguardo con 4 minuti e 14 secondi di ritardo da Izagirre. Per Izagirre è la seconda vittoria stagionale, dopo la bella vittoria del GP Indurain lo scorso primo Aprile. In classifica generale resta tutto invariato nelle primissime posizioni con Vingegaard in maglia gialla davanti a Pogacar e jai Hindley (Team BORA Hansgrohe). Domani è in programma la tredicesima tappa da Châtillon-Sur-Chalaronne al Grand Colombier di 137.8 km. E’ un primo assaggio di Alpi con l’unico gpm posto all’arrivo, un hors categorie di quasi 18 km al 7%. Riprenderà la battaglia tra Pogacar e Vingegaard, con quest’ultimo che è ancora in maglia gialla ma che sembra meno brillante dello sloveno, che al contrario ha dato chiari segnali di crescita.

Antonio Scarfone

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Ion Izagirre vince a Belleville-en-Beaujolais (foto: Getty Images)

Ion Izagirre vince a Belleville-en-Beaujolais (foto: Getty Images)

PHILIPSEN PORTA ANCORA L’ACQUA AL SUO MOULINS, QUARTA AFFERMAZIONE PER IL VELOCISTA BELGA AL TOUR 2023.

luglio 12, 2023 by Redazione  
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In Alvernia, nell’undicesima tappa è arrivato il poker servito per la maglia verde di questa Grand Boucle e portacolori della Alpecin – Deceuninck. Secondo posto per Dylan Groenewegen (Jayco – AlUla) davanti a Phil Bauhaus (Bahrain – Victorious) a completare il podio di tappa, con Jonas Vingegaard sempre leader della Classifica Generale.

In questa seconda settimana di Tour de France non ci sono tantissime chance per i velocisti, ma Jasper Philipsen (Alpecin – Deceuninck) ha saputo sfruttare alla grande quella capitatagli oggi per vincere la sua quarta tappa in volata nella edizione 2023. Il fiammingo l’ha finalizzata nel modo migliore e senza l’aiuto di Mathieu van der Poel, preziosissimo ultimo uomo nei precedenti sprint andati a segno: infatti, l’olandese non era in buone condizioni a causa di una probabile bronchite e ha alzato bandiera bianca nei chilometri finali. caratterizzati dalla pioggia e da alcune rotonde piuttosto pericolose.

Un po’ di Italia è stata protagonista nella fuga di oggi grazie a Daniel Oss. Il trentino della TotalEnergies ha vinto due dei GPM odierni ed era in compagnia di Andrey Amador (EF Education – EasyPost) e Matis Louvel (Arkea – Samsic). Con il costaricense ed il transalpino c’era anche Tony Gallopin, ma il francese della Lidl-Trek ha alzato presto bandiera bianca. Il terzetto è andato avanti con passo regolare e proprio Oss è stato l’ultimo a desistere, quando mancavano 13.5 chilometri all’arrivo, dove verrà premiato come il più combattivo di giornata.

Con il gruppo compatto le corazzate degli sprinter si sono messe in testa: la Soudal – Quickstep per Fabio Jakobsen, la Lotto – Dstny per Caleb Ewan, la Jumbo – Visma per Wout Van Aert (aiutato anche dalla maglia Gialla Jonas Vingegaard nel treno per la volata) e la Alpecin – Deceuninck per Philipsen. Sono state tante le sbandate e le spallate per prendere le posizioni migliori e il rischio cadute è rimasto alto fino alla fine. Nella volata Groenewegen pare avere la meglio, ma Philipsen – nonostante sia restato senza Van der Poel nel suo treno – riesce a fulminare l’olandese e fa poker.

Vingegaard è ancora il leader di questo Tour ma tutti dovranno fare attenzione alla tappa di domani: i 168 chilometri tra Roanne e Belleville-en-Beaujolais sono ostici e ci sono diverse salite che daranno fastidio. Si prospetta un arrivo per attaccanti o fughe, ma chi lotta per la classifica non deve sottovalutare questa tappa, che arriva alla vigilia delle Alpi.

Andrea Giorgini

Il quarto squillo di Philipsen al Tour 2023 risuona al traguardo di Moulins (foto Tim de Waele / Getty Images)

Il quarto squillo di Philipsen al Tour 2023 risuona al traguardo di Moulins (foto Tim de Waele / Getty Images)

TAPPA PAZZA AL TOUR; VINGEGAARD E POGACAR ATTACCANO IN PARTENZA, BILBAO VINCE A ISSOIRE E AVANZA IN CLASSIFICA

luglio 11, 2023 by Redazione  
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Decima tappa scoppiettante al Tour de France, una frazione di 167 chilometri piena di attacchi e contrattacchi, dove Pello Bilbao (Bahrain – Victorious) sul traguardo di Issoire batteva allo sprint Georg Zimmermann (Intermarché – Circus – Wanty) e Ben O’Connor (AG2R Citroën Team).

Subito dopo la partenza iniziavano gli attacchi nel gruppo con corridori pancia a terra pronti a scattare, compresi Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma), Tadej Pogacar e Adam Yates (UAE Team Emirates) che hanno costretto la Ineos e la Bora ad inseguire con la lingua di fuori. E ancora attacchi, nuovi attacchi, ci prova almeno mezzo gruppo. E alla fine se ne vanno in 14: Michał Kwiatkowski (INEOS Grenadiers), Warren Barguil (Team Arkéa Samsic ), Esteban Chaves (EF Education-EasyPost), Julian Alaphilippe e Kasper Asgreen (Soudal – Quick Step), Pello Bilbao (Bahrain – Victorious), Mattias Skjelmose (Lidl – Trek), Ben O’Connor (AG2R Citroën Team), Georg Zimmermann (Intermarché – Circus – Wanty), Anthony Perez (Cofidi ), Antonio Pedrero (Movistar Team), Krists Neilands e Nick Schultz (Israel – Premier Tech) e Harold Tejada (Astana Qazaqstan Team).
Neilands a 30 km dal traguardo se ne va tutto solo attaccando sulla Côte de la Chapelle-Marcousse e facendo scoppiare il gruppo dei fuggitivi. Gli inseguitori si frazionano in vari gruppetti, il primo composto da Chaves, Bilbao, O’Connor, Zimmermann e Pedrero (Movistar Team). Più staccato è il gruppetto di Alaphilippe mentre il gruppo maglia gialla viaggia con circa tre minuti di distacco. Mentre quest’ultimo è tirato a tutta dalla Ineos per limitare il distacco da Bilbao in classifica generale, Neilands viene ripreso. Nel gruppetto di testa attacca prima O’Connor, poi Zimmermann e infine, Bilbao ma nessuno riesce a prendere il largo e si arriva così allo sprint, dove proprio lo spagnolo si impone con scioltezza. Il primo gruppetto inseguitore taglia il traguardo con trentadue secondi di ritardo, regolato da Skjelmose, mentre la maglia gialla concludeva i 167 chilometri di gara con un ritardo di 2′53″ da Bilbao, che termina la giornata facendo un balzo in avanti in classifica generale, portandosi a 4 minuti e 34 da Vingegaard.

Chi ha dovuto fare i conti con una giornata no è stato Fabio Jakobsen (Soudal Quick-Step), giunto al traguardo con quasi trenta minuti di ritardo. Domani il Tour de France vivrà la sua undicesima tappa pedalando da Clermont-Ferrand a Moulins; sarà una giornata di festa per Rémi Cavagna (Soudal Quick-Step) che pedalerà sulle strade di casa, ma soprattutto sarà una giornata di festa per i velocisti in gara.

Luigi Giglio

Pello Bilbao batte i compagni di fuga a Issoire (foto David Ramos/Getty Images)

Pello Bilbao batte i compagni di fuga a Issoire (foto David Ramos/Getty Images)

GIRO DONNE: A CHIARA CONSONNI L’ULTIMO ATTO

luglio 11, 2023 by Redazione  
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Vittoria per Chiara Consonni ad Olbia, nel giorno della consacrazione del successo finale di Annemiek Van Vleuten e dell’addio al ciclismo di Marta Bastianelli. Podio finale e maglia bianca per Giaia Realini.

L’arrivo di Olbia sancisce il termine del Giro Donne 2023. La Maglia Rosa finale è di Annemiek van Vleuten (Movistar Team), che oltre al quarto giro d’Italia si porta a casa anche la classifica a punti e quella dei Gpm. Il podio finale della corsa a tappe di casa nostra vede fare corona alla fuoriclasse olandese la francese Juliette Labous (Team Dsm-Firmenich) e l’italiana Gaia Realini (Lidl – Trek), maglia bianca di miglior giovane.
La tappa conclusiva invece è andata a Chiara Consonni (UAE Team ADQ), che in volata ha preceduto Marianne Vos (Team Jumbo-Visma), stranamente a secco in questa edizione del Giro, e Ally Wollaston (AG Insurance – Soudal Quick-Step).
Rimanendo in “casa” della vincitrice odierna, da citare la coéquipier Marta Bastianelli che oggi è scesa definitivamente dalla bicicletta. La trentaseienne laziale – che vanta un palmares di tutto rispetto con la perla del Campionato del mondo 2007 – ha deciso di dire basta con il ciclismo agonistico, pur avendo dimostrato in questa stagione di essere ancora competitiva. Per lei 2 successi in questo 2023, alla corsa belga Le Samyn des Dames e alla prima tappa della Ceratizit Festival Elsy Jacobs (con relativo secondo posto finale nella classifica generale).

Mario Prato

La vittoria di Chiara Consonni nella tappa conclusiva del Giro Donne (Getty Images)

La vittoria di Chiara Consonni nella tappa conclusiva del Giro Donne (Getty Images)

PUY DE DÔME: SOPRA IL VULCANO ROTOLIAMO SULLA PELLE DELLA TERRA

luglio 10, 2023 by Redazione  
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“Dammi un senso, dammi una direzione, un cavallo di luce… Sono un vulcano e non mi ferma nessuno”, con un cuore che “pompa sangue dall’ombelico della vita e della morte”. I Litfiba preconizzavano così nel 1993 la tappa che si sarebbe svolta giusto trent’anni dopo, questa domenica.

Un grumo di sensazioni contraddittorie e rockettare s’impastano nella canzone qui citata in apertura, così come nella tremenda tappa che chiude la prima vulcanica settimana del Tour. La musica dei primi anni Novanta sembra di un’altra era geologica, ma il disperato “SOS Terra SOS uomo, vento spazza via, terremoto cancellaci” che risuonava in questo testo è inquietante per attualità. E quasi coeva era stata l’ultima apparizione del Puy de Dôme, solo cinque anni prima del pezzo in questione. Indiscutibilmente un altro ciclismo, anche se il decennio ciclistico allora alle porte non sembra, ad oggi, così lontano da quello odierno, nel bene e nel male. I nipoti somigliano più ai nonni o ai propri padri? Il gomito a gomito su questa rampe fra Anquetil e Poulidor immortalato in una storica istantanea rivive nel duello secondo contro secondo fra Pogacar e Vingegaard. Coppi che proprio all’ultimo chilometro sorpassa nel 1952 l’ultimo sopravvissuto della fuga per andare a vincere in maglia gialla, dopo aver saltato come birilli gli altri fuggitivi fra cui il 38enne Bartali (comunque clamorosamente quarto nella generale finale) ricorda frammenti di ieri, o forse un frullato di universi paralleli. Il ciclismo è sempre ieri e oggi combinati o sovrimpressi come in un palinsesto medievale, un documentario d’avanguardia o un sogno. Sembra un sogno anche il salto dalle strade strabordanti di folla attorno a Clermont-Ferrand per passare invece a quelle svuotate da ragioni di sicurezza e punteggiate solo di poliziotti e silenzio nell’ascesa finale vera e propria. Le prime ricordano il ciclismo di tutti i tempi, sport popolare e di massa, le seconde ricordano invece il ciclismo modernissimo dei paesi mediorientali, denaro e deserto, introspezione e astrazione tecnica.
Ripercorriamo allora questa giornata di ciclismo al contempo antico, perturbante e moderno o postmoderno. Un classico del ciclismo di tutti i tempi sono le due tappe in una: alla fuga viene lasciato un quarto d’ora, i distacchi in classifica generale sono già abissali anche se la compongono uomini di qualità, spesso proposti dai team in solide coppie di appoggio mutuo. Di conseguenza, la battaglia per la vittoria di giornata e quella per la maglia gialla correranno su due binari paralleli, pur avvitandosi l’uno sull’altro, come quelli del tram a cremagliera che si arrampica in spirale attorno al cono del Puy de Dôme, a di fianco ai quali competono i ciclisti.
La fuga, come detto, è potente: vi va segnalato il kazako Lutsenko, già capace di vittorie di tappa su terreni variegati oltreché di difendere belle top ten nella generale finale; Mohoric, naturalmente, sebbene il finale non gli si addica sulla carta; Latour che abbiamo già visto all’arrembaggio col suo stile sciabolante, proprio l’altro giorno, in un finale mosso; Berthet, scalatore francese di cui abbiamo già segnalato la progressiva crescita qualitativa; e poi i due uomini più indicati per un arrivo in salita, il canadese Woods, ben stagionato perché viene dall’atletica leggera, e la maglia a pois di Powless. Impossibile non avere un occhio di riguardo per Matteo Jorgenson, il giovanissimo statunitense emerso con prepotenza quest’anno come talento a tutto tondo ma già brillante in fuga la stagione passata; per adesso ancora in casa Movistar prima di traslocare armi e bagagli in direzione Jumbo-Visma, purtroppo per il tasso di competitività diffusa del ciclismo.
La fuga si struttura nell’ultima ora di gara secondo una struttura interessantissima: davanti a tutti c’è proprio Matteo Jorgenson, partito da solo a quasi 50 km dall’arrivo. Per lui tantissimo vento in faccia, ma anche la possibilità di gestire in piena autonomia il proprio ritmo, nonché di scommettere sulla regolarità dell’andatura. Manterrà a lungo un minuto circa sui più immediati inseguitori. Dietro c’è un secondo blocco all’apparenza parecchio solido, una più tipica fuga della fuga, con Powless, Mohoric, De la Cruz (che consente a Lutsenko di non lavorare dietro) e Burgaudeau (idem per il compagno Latour). La situazione tattica inchioda il favoritissimo Woods in un imbarazzante terzo blocco, ove gli atleti più forti hanno un compagno davanti (aggiungiamo Gorka Izagirre ai già nominati, in quanto compagno della testa della corsa Jorgenson), mentre altri da isolati non avrebbero gran motivo di esporsi in prima persona, come Berthet. Tuttavia questo terzo gruppo, precisamente in virtù della sua posizione, non ha alcun interesse ad avanzare a strappi, ma, piano o forte che macini i km a seconda delle circostanze, tenderà comunque a muoversi con un passo più regolare e dunque meno spaccagambe: tutto il contrario di quanto accade nel secondo gruppo, dove regnano l’aggressività e le fasi di attendismo, magari anche strumentali, pensando alla fin fine più a fiocinarsi vicendovelmente che non a riprendere anzitutto Jorgenson.
La grande sfida finale vedrà dunque scontrarsi non solo corridori dalle caratteristiche diverse, ma anche avvicinamenti alla salita di assai varia impostazione, portando così a rimescolamenti delle carte fra i più inattesi. Woods avrà dalla sua diversi fattori chiave, in parte meritori, come il sacrificio del connazionale e gregario Boivin, gran passistone, e in altra parte invece totalmente fortuiti, come il problema meccanico di De la Cruz, che, sganciando lo spagnolo dal secondo gruppo e spostandolo al terzo, non solo sottrae spinta propulsiva agli uomini intercalati, ma ne aggiunge oltretutto al terzo gruppo, perché l’Astana diventa di colpo parte in causa sia con lo stesso David sia con Lutsenko. Da ricordare anche le trenate kamikaze di atleti con ben poche chance di emergere a fronte degli avversari odierni come i nordici dell’Uno-X (anche se il danese Gregaard, in formissima, salverà comunque una top ten di giornata), o l’isolato e sempre più cane sciolto Campenaerts, che sembra correre per il puro piacere di devolvere watts a qualunque causa, come con Van Aert l’altro giorno.
La resistenza e la regolarità di Jorgenson sono davvero epiche, mentre alle sue spalle il terzetto già privato di De la Cruz si sgretola a base di scatti e controscatti, con il prevalere inatteso di Mohoric. Ma da ancor più dietro sta rimontando con l’implacabile meccanica di un treno il 36enne Woods, il suo naso una reincarnazione bartaliana, fuggitivo come Bartali nel ’52 ma non uomo di classifica, eppure come Coppi implacabilmente lanciato a saltare avversari che non hanno il suo passo, uno via l’altro, fino a mettere spietatamente nel mirino l’ultimo dei mohicani quando il traguardo non dista più km bensì centinaia di metri, eppure, anche così, senza speranza alcuna di reazione per Matteo, che china il capo, cede, crolla, e abbattuto finisce quarto liquidato anche da Latour e Mohoric, poi Berthet, Powless, Lutsenko…
Quando transita l’ultimo residuo dei drappelli che avevano preso la salita in testa, i favoriti sono a metà dell’interminabile spirale che porta in cima. L’altra gara nella gara si è già accesa nelle periferie di Clermont-Ferrand.
La Jumbo ha lavorato, ma hanno lavorato anche INEOS e, un po’ a sorpresa, la DSM di Bardet. Sintomo di un passo non così furibondo da parte dell’alveare meccanico. Ad ogni modo, anche suonando in tono minore, la musica della Jumbo è ballabile per pochi, e così dopo un paio di trenate da parte di Van Aert e Kelderman tocca a Kuss dare una bella scremata in vista dei 4 durissimi km finali, tutti al 12%, quelli veramente iconici avvolti come un serpente mitologico attorno le pendici del vulcano.
Quattro chilometri per un quarto d’ora circa di sforzo. E, un po’ a sorpresa, otto uomini rimasti in testa: meno a sorpresa la loro identità, due INEOS, con Pidcock e il giovanissimo spagnolo Carlos Rodríguez, entrambi ancora in età da maglia bianca, i due gemelli Yates, di cui uno a supporto di Pogacar, e naturalmente Pogacar stesso, i due Jumbo Kuss e Vingegaard, quindi l’australiano Hindley già campione del Giro.
L’attesa per l’esplosione atomica è palpabile, e si attende soprattutto Vingegaard dato che è la sua squadra ad aver lavorato, mentre Adam Yates cederà ancora una volta senza poter aver offerto alcun aiuto diretto a Pogacar. La strada scorre a ritmo regolare, ma nessuno si decide a imporre accelerazioni violente, chi soffre riesce a rientrare, Kuss stesso, unica figura chiaramente devota al sacrificio, è l’unico a proporre un certo ritmo, appena spezzato da qualche allungo di colui che appare il più coraggioso del giorno, Simon Yates. Si inizia a sentire odore di no contest, di polveri bagnate, di gambe piegate dal caldo e imballate da una giornata corsa forse, per paradosso, “troppo piano”. Poi, a due terzi del lungo muro finale, ecco quella che nei corsi di sceneggiatura professionistica viene chiamata appunto “la svolta dei due terzi”: Pogacar prende coraggio e, da davanti, senza sotterfugi, senza mimica ingannevole, intraprende una atroce progressione che in un attimo squaglia il fragile equilibrio dell’ottetto.
Mancano 1.300 metri alla fine, circa quattro minuti di sforzo inumano, estremo, stravolgente, impossibile per chiunque altro. Tutte le lancette virtuali schizzano fuori parametro mentre Pogacar e il suo cavallo di luce pompano sangue dall’ombelico della vita e della morte: quasi 20 km/h su pendenze in abbondante doppia cifra, 2.400 m/h di VAM, valori inconcepibili per il resto dei mortali che continuano a salire a 15 o 16 km/h e incassano così un minuto di distacco in poco più di un chilometro. Una voragine. Il resto dei mortali tranne Vingegaard. Il danese non riesce a tenere la ruota. Gli manca poco, meno di mezzo chilometro all’ora. La distanza si misura in metri, poche decine di metri, non si arriva mai a cinquanta metri di distacco. I secondi sono quattro, otto, dodici al massimo, poi di nuovo otto, sette sul traguardo. Gli abbuoni sono volati via con la fuga. Sono stati quattro minuti di violenza estrema. Pogacar vigilava costantemente affinché Vingegaard non potesse prendergli la ruota, tirando e tirando la corda, senza però che l’elastico si spezzasse mai. Sul 14% con cui sadicamente finisce la salita, Pogacar si alza sui pedali, e si contorce, pestando con violenza inaudita una martellata dopo l’altra, “un minatore” l’aveva definito sprezzantemente Dumoulin prima di abbandonare anzitempo e con poco bottino lo sport professionistico. Pogacar scava secondi, diamanti minuscoli di secondi preziosissimi, poi rifiata prima della linea. Vingegaard subisce e subisce, ma non molla, non crolla, non si spezza, e fiuta la ruota fino all’ultimo metro.
Quattro minuti di mito, quattro minuti fuori scala. Dietro è cronaca: Adam e Hindley i più in affanno, Carlos Rodríguez il più solido ma il meno esplosivo nel finale, Simon Yates il più propositivo e arrembante, Pidcock sulla sua scia. Il resto dei contendenti si spartiranno le frattaglie della top ten, con i francesi Bardet, Gaudu e perfino Pinot ancora in lizza con gli storici frequentatori della media classifica a piccolo cabotaggio di questi ultimi anni, i Bilbao, i Meintjes, uno spento Landa, un malinconico Guillaume Martin. Insomma il solito ciclismo dei tardi anni ’10 che non può fare altro se non correre la propria “gara nella gara nella gara” mentre davanti esplodono i lapilli della leggenda. Quanto può durare un’eruzione vulcanica?

Gabriele Bugada

Pogagar stacca Vingegaard sulle infuocate rampe del vulcano francese (Getty Images)

Pogagar stacca Vingegaard sulle infuocate rampe del vulcano francese (Getty Images)

VOLATA REGALE DI PEDERSEN A LIMOGES. IL DANESE VINCE L’8A TAPPA. CAVENDISH KO

luglio 9, 2023 by Redazione  
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Quello di Limoges era un finale particolarmente adatto a sprinter resistenti come Mads Pedersen. Il campione della Lidl-Trek non ha deluso le attese e ha conquistato l’8a tappa del Tour de France con una volata lunghissima e di rara potenza. Nulla han potuto i due fiamminghi Jasper Philipsen (Alpecin-Deceuninck), miglior velocista di quest’edizione della Grand Boucle, e Wout Van Aert (Jumbo-Visma), che deve accontentarsi dell’ennesimo amaro piazzamento di questa difficile stagione. Fuori dai giochi Mark Cavendish (Astana Qazaqstan Team) vittima di una caduta a 60 km dall’arrivo che lo ha costretto ad abbandonare la corsa e il sogno di staccare Eddy Merckx nella classifica assoluta dei vincitori di tappa al Tour. Resta quasi immutata la classifica generale se si fa eccezione delle due posizioni perse da Simon Yates (Team Jayco-AlUla), rimasto coinvolto in una caduta nel finale.

L’8a frazione del Tour, da Libourne a Limoges per un totale di 200.7 km, proponeva un tracciato tutto sommato semplice ma reso frizzante dalla presenza di diversi strappetti nel finale che sorridevano ai corridori veloci e resistenti come Wout Van Aert (Jumbo-Visma), Mads Pedersen (Lidl-Trek), Biniam Girmay (Intermarchè-Circus-Wanty) e Mathieu Van der Poel (Alpecin-Deceuninck). Andando nel dettaglio, erano presenti 3 gpm: la Côte de Champs-Romain (2.8 km al 5.2%, 3a categoria) posta ai -70 e quindi nel finale due gpm di 4a categoria, ovvero la Côte de Masmont (1.3 km al 5.5%) ai -16 e la Côte de Condat-sur-Vienne (1.2 km al 5.4%) ai -9.

La lotta per entrare nella fuga di giornata è partita sin dai primissimi chilometri ed è continuata a lungo vista la volontà di tanti corridori di centrare l’azione di giornata. Come sempre accade in questi casi, ne è venuto fuori un inizio di tappa caratterizzato da un’andatura altissima. Dopo una lunga serie di tentativi che hanno visto tra i protagonisti anche Giulio Ciccone (Lidl-Trek), la fuga buona è partita al km 22 grazie all’azione di 3 corridori: Tim Declecq (Soudal-Quick Step), Anthony Delplace (Team Arkea-Samsic) e Anthony Turgis (TotalEnergies). Un tentativo destinato a non avere buon esito visto l’esiguo numero di corridori in avanscoperta e l’intenzione di alcune squadre, Alpecin-Deceuninck e Intermarchè-Circus-Wanty su tutte, di non lasciarsi scappare l’occasione di giocarsi la tappa coi rispettivi capitanti. Il gruppo ha quindi mantenuto i battistrada sempre ad una distanza di sicurezza (vantaggio massimo di circa 5′30″). Dopo lo sprint intermedio di Tocane-Saint-Apre, una dozzina di uomini (tra cui addirittura Mathieu Van der Poel) hanno provato ad approfittare del classico rilassamento del gruppo post-volata per andare al contrattacco. La Jumbo-Visma, intuito il pericolo, ha subito messo a lavoro Dylan Van Baarle e Nathan Van Hoodydonck al fine di riprendere immediatamente i contrattaccanti. Come diretta conseguenza il gap di battistrada è rapidamente crollato sotto i 4′.

Nei chilometri successivi il distacco non è ulteriormente diminuito e così intorno ai -80 davanti al gruppo sono arrivate le maglie della Lidl (con un Ciccone molto attivo) e della Intermarchè, aumentando l’andatura del plotone e facendo diminuire di conseguenza il vantaggio dei fuggitivi. Ai -61 è arrivato il primo colpo di scena della giornata: Mark Cavendish (Astana Qazaqstan Team) è finito a terra insieme ad altri alteti. Il britannico, decisamente dolorante, è stato costretto ad alzare bandiera bianca a causa di una frattura alla clavicola che lo ha privato della possibilità di vincere una tappa al suo ultimo Tour de France (si ritirerà a fine anno) staccando Eddy Merckx nella classifica assoluta dei vincitori di tappa al Tour.
Ai -37, un pò a sorpresa, dal gruppo è uscito tutto solo Kasper Asgreen (Soudal-Quick Step). Il danese si è lanciato all’inseguimento dei 3 fuggitivi, a cui era rimasto un vantaggio ormai inferiore ai 2 minuti, ma si è dovuto arrendere dopo una quindicina di chilometri.
Il gruppo ha così imboccato il secondo gpm di giornata, la Côte de Masmont, con circa 45″ di ritrardo. A quel punto Turgis ha deciso di accelerare staccando Delaplace e Declerc per proseguire la sua fuga in solitaria. Di lì a poco in testa al gruppo sono tornate le maglie giallo-nere della Jumbo-Visma che hanno decisamente preso il comando delle operazioni andando raggiungere uno alla volta Declercq, Delaplace e Turgis. Tiesj Benoot, Nathan Van Hooydonck e Christophe Laporte hanno continuato a tenere alto il ritmo anche lungo l’ultimo strappo di giornata, la Côte de Condat-sur-Vienne.

Una volta conclusa la cote, Victor Campenaert (Lotto-Dstny) e Fred Wright (Bahrain-Victorius) hanno provato a soprendere il gruppo, ma la loro azione è stata prontamente rintuzzata dai ‘calabroni’. Poco dopo, ai -6, uno spettatore disattento ha causato una caduta nelle retrovie del gruppo che ha coinvolto Stef Cras (TotalEnergies), poi costretto al ritiro, e Simon Yates (Team Jayco-AlUla). Il britannico non è riuscito a rientrare sul plotone lanciato ad altissima velocità verso lo sprint finale ed è giunto al traguardo con un passivo di 47″ che gli è costato due posizioni nella classifica generale. Nel frattempo in testa al gruppo erano giunte le maglie blu-giallo-rosse della Lidl, con in testa Alex Kirsch, intenzionate a lanciare al meglio Mads Pedersen. Ai -500 i corridori della Lidl sono stati superati da Christophe Laporte che ha lanciato, probabilmente con troppo anticipo, la volata di Van Aert. Il francese però si è man mano piantato mentre veniva superato da un lato da Mathieu Van der Poel con Jasper Philipsen a ruota e dall’altro da Mads Pedersen. Ai 250 metri il danese ha lanciato la sua lunghissima e potente volata resistendo al timido tentativo di rimonta di Philipsen. Van Aert, rimasto chiuso dal compagno, ha provato a sua volta la rimonta ma si è dovuto accontentare della terza piazza esternando poi l sua delusione per l’ennesima occasione mancata. Quarta piazza per un Dylan Groenewegen (Team Jayco-Alula),molto bravo a resistere sullo strappo finale, davanti a Nils Eekhoff (Team DSM-Firmenich).

Classifica generale quasi immutata, al netto dei 47″ persi da Simon Yates. In testa troviamo sempre Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma) con appena 25″ su Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) e 1′34″ su Jai Hindley (Bora-Hansgrohe). Il duello tra i due fuoriclasse proseguirà nella 9a tappa, la Saint-Léonard-de-Noblat – Puy-de-Dome. La Grand Boucle tornerà sulla mitica cima del Massiccio Centrale dopo ben 35 anni.

Pierpaolo Gnisci

Mads Pedersen regale a Limoges (Getty Images)

Mads Pedersen regale a Limoges (Getty Images)

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