LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XLIII: MONDIALE 2016

dicembre 21, 2023 by Redazione  
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Il percorso totalmente pianeggiante lasciava intendere un mondiale noioso, votato alla volata finale. Invece il tratto in linea iniziale attraverso il deserto si rivela elettrizzante e decisivo a causa del vento, selezionando il gruppetto di una ventina di corridori che andrà a giorcarsi la maglia iridata sul circuito di Doha. I velocisti più attesi riescono a rimanere nella prima parte del gruppo, ma sul rettilineo d’arrivo non ci sarà nulla da fare: Sagan li anticipa tutti conquistando il suo secondo mondiale

CHILOMETRO 70: IL MONDIALE ESPLODE E SAGAN FA IL BIS

E’ stato un ventaglio aperto dai belgi al chilometro 70 a portar via il gruppo che si è andato a giocare l’edizione 2016 dei mondiali di ciclismo su strada. Eliminati dai giochi i pericolosi alemanni, belgi e italiani hanno tentato di fare la corsa ma, nella volata conclusiva, si è imposto perentoriamente Peter Sagan, che ha messo dietro anche il fortissimo velocista mannese Cavendish ed ha imitato l’impresa di Bugno del 91/92, mettendo la ciliegina su una stagione da incorniciare.

Il caldo, la distanza, il vento; queste le tre principali difficoltà di un tracciato che si presentava come un tavolo da biliardo, senza neppure un metro di salita. Una scelta certamente discutibile che ragioni di natura economica, per quanto rilevanti, non possono del tutto giustificare. Fortunatamente, ci hanno pensato i corridori a sfruttare al massimo le tre difficoltà del percorso per fare corsa dura. Ne è venuta fuori una gara emozionante, esplosa già a più di 170 Km dalla conclusione quando, su un’accelerazione dei britannici, i belgi aprono un ventaglio molto stretto che rende difficile l’ingresso, tanto che moltissimi corridori di primissimo piano, tra cui gli alfieri della corazzata tedesca, rimangono fuori, costretti ad aprire altri ventagli che provocano ulteriore selezione.
Altro aspetto da sottolineare è certamente la desolante assenza di pubblico, che solo nei pressi dell’arrivo si è minimamente animato, composto comunque di sostenitori quasi tutti europei. In un territorio come quello in cui si svolgeva la rassegna iridata non c’è la benché minima tradizione ciclistica ed era quindi del tutto prevedibile che non ci sarebbe stata una gran risposta da parte della popolazione. Anche se il deserto ed il caldo hanno dato ai più coraggiosi l’occasione di far esplodere la corsa da molto lontano, non si può comunque non ribadire la sostanziale negatività di un tracciato che tecnicamente rimane povero, anche se ha offerto momenti tattici davvero importanti e pregevoli.
Dopo l’apertura del ventaglio, infatti, la corsa ha vissuto sostanzialmente di tatticismo, con quelli davanti che andavano a tutta – tirati particolarmente dai corridori della nazionali più rappresentate, Belgio e Italia – e quelli dietro intenti ad inseguire, con il grosso del lavoro sulle spalle dei tedeschi, disturbati in continuazione dai due belgi rimasti dietro con il compito di rompere i cambi.
In definitiva, chi scrive ritiene che, nonostante la corsa di oggi si stata oggettivamente appassionante, sarebbe opportuno evitare percorsi del genere, sia per l’ambientazione singolare in relazione ad uno sport come il ciclismo, sia per la assenza totale di difficoltà altimetriche in grado di scompigliare i piani.
Passando alla cronaca, si devono registrare i primi scatti fin dal via ufficiale. Nonostante l’andatura iniziale si presentasse comunque elevata, sono Ryan Roth (Canada), Anas Ait El Abdia (Marocco), Rene Corella (Messico), Nick Dougall (Sud Africa), Natnael Berhane (Eritrea), Sergei Lagkuti (Ucraina) e Brayan Ramírez Chacón (Colombia) che riescono ad evadere dal gruppo dopo 7 chilometri di corsa. Andata via la fuga, il gruppo rallenta notevolmente, lasciando che i battistrada riescano a mettere all’attivo un vantaggio che arriva a superare gli 11 minuti. Una prima reazione la abbozza Kanstantin Siutsou (Bielorussia) che, con una accelerazione dei ritmi, comincia a erodere il vantaggio dei fuggitivi della prima ora. L’andatura sale ulteriormente in prossimità del giro di boa con il ritorno verso Doha, cambio di direzione repentino che porterà il vento laterale sulla corsa, con la conseguente probabilità di formazione di ventagli. I favoriti cercano, ovviamente, di mantenersi davanti e questo provoca l’ulteriore erosione del vantaggio dei battistrada, che cercano di resistere aumentando a loro volta i ritmi e provocando la capitolazione di Corella, che non riesce a mantenere il ritmo.
Proprio nei pressi del cambio di direzione gli inglesi impongono un’accelerazione, ma sono i belgi che, in contropiede, vanno ad aprire un ventaglio molto stretto dal quale rimane fuori l’australiano Ewan che cerca, tanto disperatamente quanto invano, di non perdere questo treno. Nulla da fare: il ventaglio è troppo stretto, chi non si è fatto trovare pronto è rimasto inesorabilmente tagliato fuori e costretto a cercare di aprire altri ventagli per inseguire. Il frazionamento è massimo e si formano numerosi gruppetti divisi da pochi secondi. Per colpa di una caduta perdono contatto Luke Durbridge (Australia), Fernando Gaviria (Colombia) e Luka Mezgec (Slovenia). Per i colombiani la caduta di Gaviria, che rimane dolorante a bordo strada, rappresenta il tramonto delle poche speranze che potevano nutrire ai nastri di partenza.
Spezzata la corsa, si fa l’appello e davanti a rispondere “presente” ci sono William Bonnet, (Francia), Oliver Naesen, Jens Keukeleire, Tom Boonen, Jasper Stuyven, Greg Van Avermaet, Jurgen Roelandts (Belgio), Mathew Hayman, Michael Matthews (Italia), Daniele Bennati, Jacopo Guarnieri, Giacomo Nizzolo, Elia Viviani (Italia), Niki Terpstra, Tom Leezer (Paesi Bassi), Edvald Boasson Hagen, Alexander Kristoff, Truls Korsaeth (Norvegia), Sam Bennett (Irlanda), Magnus Cort Nielsen (Danimarca), Peter Sagan, Michael Kolář (Slovacchia), Mark Cavendish e Adam Blythe (Gran Bretagna).
Mancano nomi altisonanti, come tutti i componenti della temuta corazzata tedesca (a partire da Degenkolb, Kittel e Greipel) e i francesi Bohuanni e Démare. L’andatura è elevatissima e, per lunghi tratti, la velocità è prossima ai 70 Km/h. In una situazione del genere un minimo problema meccanico significa la sostanziale compromissione della corsa: le vittime sono Magnus Cort Nielsen e Sam Bennett, che devono abbandonare l’allegra compagnia dell’avanguardia del gruppo, nel frattempo popolatasi dei sei battistrada iniziali, che vengono riassorbiti e cercano di rimanerne accodati.
A questo punto, la battaglia si restringe ad un duello a distanza tra il primo gruppo, che tenta di aumentare il proprio vantaggio, ed il secondo, che tenta disperatamente di rientrare. In un primo momento, il vantaggio sembrava essersi stabilizzato sui 30/40 secondi ma, quasi subito, si assesta sul minuto. Dopo l’ingresso nel circuito finale, da ripetere sette volte, il gap si allarga ulteriormente, sostanzialmente per due fattori. Infatti, davanti Belgio e Italia collaborano nel tenere un’andatura il più possibile elevata, mentre dietro i due belgi rimasti nelle retrovie cercano di favorire i sei connazionali di testa andando a rompere i cambi e provocando l’ira di Degenkolb, visibilmente contrariato, che va quasi a minacciare i due portacolori del Belgio. Il vantaggio arriva a superare i due minuti, circostanza che porta Degenkolb e Kittel a mollare il colpo ed a ritirarsi.
Nei chilometri successivi non ci sono particolari note di cronaca da segnalarfe, con il gruppo davanti che continua la marcia di avvicinamento alla fasi finali e con la tensione che comincia a trasparire fuori dai caschi e dagli occhiali.
Ci si gioca tutto all’ultimo giro, nel corso del quale quelli che hanno tirato tutto il giorno, tra cui l’ottimo Daniele Bennati, si staccano e davanti rimane un drappello più ridotto. E’ Terpstra che prova per primo a muoversi, ma il suo allungo, immediatamente stoppato da Van Avermaet, è estremamente timido e lo stesso olandese desiste immediatamente dal tentativo. L’andatura si alza ulteriormente per le trenate di quelli che voglio evitare gli scatti ed arrivare allo sprint ma, in un momento di esitazione, parte molto deciso Tom Leezer che guadagna subito qualche metro. Complice una prima indecisione su chi dovesse prendersi l’incarico di inseguire, il vantaggio aumenta fino ad arrivare ad una consistenza di oltre 150 metri. Ad un certo punto si ha l’impressione che l’olandese, che passa in testa sotto il triangolo rosso, possa farcela, ma la fatica si fa sentire e, poche centinaia di metri prima dell’arrivo, Leezer deve capitolare. Quasi in contemporanea Guarnieri cerca di lanciare la sprint di Nizzolo, che viene infilato proprio vicino alle transenne da Peter Sagan che poi va ad imporsi su Cavendish e su Tom Booonen, uno dei principali responsabili della situazione di corsa che si era venuta a creare nel deserto e, sicuramente, uno di quelli che poteva trarne i maggiori vantaggi. Il massimo risultato, però, è andato a Sagan che, pur trovandosi di fronte velocisti puri come Cavendish, ha fatto valere la maggior capacità di reggere la fatica di una corsa di 257 chilometri, disputata in un gruppo ristretto che ha corso a tutta per la maggior parte del tracciato. Alla fine, la fatica, complice anche il caldo, si è fatta sentire ed è venuta fuori la classe e la resistenza dello slovacco che non solo va a bissare il successo dell’anno scorso, come fece Bugno nei primi anni ‘90, ma corona anche una stagione da incorniciare con un Tour de France corso veramente da fuoriclasse.
Gli italiani non sono riusciti ad arricchire il nostro parco medaglie ma hanno corso con generosità, alimentando attivamente l’azione del gruppo davanti in cui erano in 4, inferiori in numero solo ai belgi. Nel finale Viviani sembrava tormentato dai crampi, mentre Nizzolo ha provato a lanciare lo sprint lungo ma, contro la brillantezza di Peter Sagan, che si è infilato in una strozzatura tra Nizzolo e le transenne, non c’è stato nulla da fare ed alla fine il campione italiano è rimasto un po’ intrappolato ed ha chiuso in quinta posizione.
E’ stato un mondiale obbiettivamente appassionante, grazie alla situazione creatasi già a 170 Km dalla conclusione ma, come si diceva in apertura, questo non è abbastanza per dare la sufficienza ad un percorso che lascia comunque molte perplessità.

Benedetto Ciccarone

Al termine di una gara più emozionante di quel che lasciava presagire il tracciato, Peter Sagan espolde e fa sua la maglia iridata, la seconda consecutiva dopo quella conquistata a Richmond lanno passato (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

Al termine di una gara più emozionante di quel che lasciava presagire il tracciato, Peter Sagan ''espolde'' e fa sua la maglia iridata, la seconda consecutiva dopo quella conquistata a Richmond l'anno passato (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XLII: ENECO TOUR 2016

dicembre 20, 2023 by Redazione  
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Il mondiale del 2016 è stato spostato in avanti in calendario di un paio di settimane per evitare ai corridori il caldo del Qatar e così i corridori che vogliono puntare alla maglia iridata sono obbligati a un piccolo cambio di programma, cercando l’iscrizione a corse più vicino all’appuntamento. Dopo l’infelice esperienza dell’anno precedente Sagan sceglie di non tornare alla Vuelta e di optare per una diversa marcia d’avvicinamento, che passa prima per le corse canadesi del World Tour e per il campionato europeo e poi per una breve gara a tappe, l’ENECO Tour. La corsa disegnata a cavallo tra Belgio e l’Olanda è l’ideale per affinare la preparazione in vista di un mondiale dal percorso completamente pianeggiante e Sagan coglie l’occasione per andare a segno su un paio di traguardi

3a TAPPA: BLANKENBERGE – ARDOOIE

SEMBRA TOMBA, MA E’ SAGAN

Altra incredibile vittoria del campione del mondo che, dopo che i 5 fuggitivi di giornata sono stati ripresi in vista del traguardo, slalomeggia letteralmente tra gli avversari sul rettilineo finale di Ardooie e si impone davanti a Danny Van Poppel e Nacer Bouhanni, portandosi a 3” da Rohan Dennis in classifica generale. Migliore degli azzurri ancora Giacomo Nizzolo che bissa il 6° posto ottenuto a Bolsward.

La terza tappa dell’Eneco Tour, 182,3 km da Blankenberge ad Ardooie, si presentava come una classica frazione per velocisti, che già in passato nella cittadina delle Fiandre Occidentali divenuta traguardo fisso della breve corsa a tappe del Benelux l’hanno fatta da padrone con Tom Boonen che si è imposto in due occasioni, ultima delle quali nel 2015, al pari di André Greipel.
Tuttavia il copione solo in extremis ha potuto essere rispettato e non per via del vento, che non ha rappresentato un’insidia come si paventava alla vigilia, ma perchè, nonostante almeno una dozzina di squadre abbiano collaborato all’inseguimento, i fuggitivi di giornata – Stijn Steels (Topsport Vlaanderen), Jesper Asselman (Roompot), Mark McNally (Wanty), Yukia Arashiro (Lampre-Merida) e un Martin Elmiger (Iam Cycling) che ha quantomeno fatto incetta di secondi di abbuono negli sprint intermedi che gli hanno consentito di portarsi a 14” dal leader Rohan Dennis (Bmc) in classifica generale – hanno resistito alla grande al ritorno del gruppo, colpevole di aver inizialmente lasciato loro troppo spazio, con un vantaggio massimo che ha superato i 7′. Se non avessero cincischiato dopo un tentativo di allungo del giapponese in vista dell’ultimo chilometro, i cinque ardimentosi si sarebbero certamente giocati il successo. Così, invece, non è stato e a disputarsi la vittoria sono stati gli sprinter con Peter Sagan (Tinkoff), i cui compagni peraltro non si erano mai fatti vedere in testa al gruppo in precedenza, autore di un vero e proprio show nelle ultime centinaia di metri in cui, nonostante la sede stradale piuttosto stretta e l’ostacolo rappresentato dagli ex battistrada che procedevano molto più lentamente degli altri sul rettilineo finale, ha messo insieme potenza e abilità di guida della bicicletta slalomeggiando letteralmente tra gli avversari fino a mettere le ruote davanti a tutti, portandosi a quota 11 successi stagionali. Alle spalle dello slovacco si è piazzato un po’ a sorpresa Danny Van Poppel (Team Sky) che ha preceduto Nacer Bouhanni (Fdj) e il vincitore della tappa di Bolsward Dylan Groenewegen (Lotto NL-Jumbo) mentre Giacomo Nizzolo (Trek-Segafredo) ha confermato il 6° posto ottenuto l’altroieri ponendosi tra i reduci della fuga McNally ed Elmiger e davanti agli ancora deludenti Marcel Kittel (Etixx-QuickStep) ed André Greipel (Lotto Soudal).
Con questo successo Sagan si porta a soli 3” da Dennis in classifica generale, scavalcando Jos Van Emden (Lotto NL-Jumbo), ora 3° a 5”, e distanziando chi segue con Jasha Sütterlin (Movistar) ed Elmiger 4° e 5° ambedue a 14” e Wilco Kelderman (Lotto NL-Jumbo) e Matthias Brändle (Iam Cycling) rispettivamente 6° e 7° a 15” e ponendo le basi per conquistare la maglia biancorossa di leader al termine della quarta tappa, 201,4 km da Aalter a St-Pieters-Leeuw che, nonostante le sei “côtes” da scavalcare dovrebbe, sulla carta dovrebbe vedere ancora gli sprinter alla ribalta, anche se in chiave successo finale le cose per lo slovacco potrebbero complicarsi al termine della quinta frazione, una cronosquadre di 20,9 km in quel di Sittard che vede la Tinkoff meno attrezzata rispetto a molte dirette rivali.

Marco Salonna

4a TAPPA: AALTER – SINT-PIETERS-LEEUW

SAGAN, WHAT ELSE? TAPPA E MAGLIA ALL’IRIDATO

Ennesima prova di forza del fuoriclasse slovacco, al quarto successo nelle ultime due settimane malgrado una concorrenza sempre di altissimo livello, che si aggiudica allo sprint anche la tappa di St-Pieters-Leeuw davanti ad André Greipel, rinvenuto forte negli ultimi metri ma non a sufficienza per superarlo, e ad Alexander Kristoff, balzando in vetta alla classifica generale con 7” su Rohan Dennis, che però potrebbe riprendersi il primato al termine della cronosquadre di Sittard. Ancora una volta il migliore dei nostri è Giacomo Nizzolo, che non va oltre il 9° posto, mentre una caduta nel finale costringe al ritiro Tom Boonen.

Anche la quarta tappa dell’Eneco Tour, 201 km da Aalter a St-Pieters-Leeuw, si è conclusa allo sprint come era prevedibile alla vigilia, ma rispetto alle precedenti frazioni in linea di Bolsward e Ardooie si è assistito a una corsa decisamente più combattuta, complice un percorso leggermente più impegnativo che prevedeva diversi tratti in pavè e alcuni muri, comunque non paragonabili ai più duri che si affrontano al Giro delle Fiandre, tra i quali spiccavano quelli di Alsemberg e di Bruine Put, inseriti nel circuito finale di 32 km da ripetere tre volte. La prima fuga di giornata, che ha visto protagonisti Mark McNally (Wanty-Groupe), ancora in avanscoperta dopo essere stato ripreso solo sul rettilineo finale in quel di Ardooie, Bert Van Lerberghe (Topsport Vlaanderen) e il duo della Roompot-Oranje composto da Brian Van Goethem e Sjoerd Van Ginneken, è stata infatti annullata dal gruppo in coincidenza con il primo passaggio sotto la linea del traguardo, quando ancora alla conclusione mancavano 64 km. Da quel momento si sono susseguiti gli scatti: un primo tentativo di una ventina di corridori – tra i quali il leader della generale Rohan Dennis (Bmc), Edvald Boasson Hagen (Dimension Data) e il bresciano Matteo Bono (Lampre-Merida) – è stato tempestivamente rintuzzato dagli uomini della Tinkoff di Peter Sagan, mentre decisamente più spazio ha avuto l’azione della coppia dell’Astana Grivko – Gruzdev, che ha guadagnato una trentina di secondi e a lungo ha resistito non solo al ritorno del gruppo – nel quale diversi corridori e squadre si sono alternati all’inseguimento, anche se il grosso del lavoro è stato compiuto dal trentino Daniel Oss (Bmc) – ma anche a quello di due tra i più forti cronomen in circolazione, al di là della giornata no avuta da entrambi nella prova contro il tempo di Breda, Tom Dumoulin (Giant-Alpecin) e Tony Martin (Etixx-QuickStep), che si sono portati a ridosso dei due ex sovietici al comando ma poi hanno dovuto desistere e sono stati riassorbiti da un plotone dal quale, strada facendo, hanno perso contatto alcuni tra i velocisti meno avvezzi alle salite come Caleb Ewan (Orica-Bike Exchange) e Andrea Guardini (Astana), oltre a un’ulteriore cinquantina di atleti.
Sull’ultimo passaggio sul muro di Bruine Put, con Grivko e Gruzdev ormai prossimi a essere ripresi, è stato Jasper Stuyven (Trek-Segafredo) a provare a dare nuova linfa all’azione, riportandosi sui due uomini dell’Astana per poi tirare dritto ai -3 dal traguardo. Anche per il passista veloce belga non c’è stato nulla da fare e sono iniziate le grandi manovre in vista della volata, cui non ha preso parte Michael Matthews (Orica-Bike Exchange), che ha innescato una caduta di massa nella quale è stato coinvolto anche Tom Boonen (Etixx-QuickStep), poi costretto al ritiro. Davanti si sono portati Roy Curvers (Giant-Alpecin) e William Bonnet (Fdj), a sostegno dei rispettivi capitani John Degenkolb e Arnaud Démare che, però, hanno atteso qualche attimo di troppo prima di partire e ne hanno così approfittato Alexander Kristoff (Katusha), che è stato il primo a lanciarsi, e soprattutto il solito Sagan che, dopo aver impressionato ancora una volta per la facilità con cui ha risalito il gruppo senza l’apporto di alcun compagno di squadra e nonostante qualche spallata di troppo con Démare, ha saltato con facilità il norvegese ed è andato a cogliere il secondo successo consecutivo, il dodicesimo stagionale, malgrado il disperato tentativo di rimonta di André Greipel (Lotto-Soudal), la cui formazione ha, come spesso accaduto in questa stagione, sbagliato i tempi lasciandolo da solo quando ancora mancavano diverse centinaia di metri al traguardo. Sul gradino più basso del podio si è piazzato Kristoff davanti a Démare, a Dylan Groenewegen (Lotto NL-Jumbo) e a Degenkolb mentre Giacomo Nizzolo (Trek-Segafredo), un altro che in questo Eneco Tour non può contare su una squadra in grado di supportarlo al meglio negli ultimi metri, è stato nuovamente il migliore degli azzurri ma non è andato oltre il 9° posto.
Con i 10” di abbuono conquistati Sagan è balzato al comando della classifica generale mettendo importante fieno in cascina e, infatti, ora guida con 7” su Dennis, 12” su Jos Van Emden (Lotto NL-Jumbo), 20” su Grivko, risalito a sua volta dopo aver fatto incetta di abbuoni nei tre sprint intermedi presenti in rapida successione nel cosiddetto ”Chilometro d’Oro”, e 21” su Jasha Sütterlin (Movistar) e Martin Elmiger (Iam Cycling). Difficilmente il fuoriclasse slovacco potrà confermarsi in maglia biancorossa al termine della quinta tappa, una cronosquadre di 20,9 km con partenza e arrivo a Sittard, ma se la Tinkoff riuscirà a limitare i danni rispetto a Bmc, Lotto NL Jumbo e Movistar, che sembrano essere le compagini maggiormente attrezzate, ha tutte le carte in regola per riprendersi il primato nelle due frazioni conclusive, adattissime alle sue caratteristiche.

Marco Salonna

Ci ha ricordato le prodezze di Alberto Tomba quanto fatto vedere dal campione del mondo Peter Sagan sul rettilineo di Ardooie (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

Ci ha ricordato le prodezze di Alberto Tomba quanto fatto vedere dal campione del mondo Peter Sagan sul rettilineo di Ardooie (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XLI: EUROPEO 2016

dicembre 19, 2023 by Redazione  
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È una maglia che non potrà indossare quella di campione europeo perchè quella iridata ha la “prelazione” su tutte e Sagan mira, un mese più tardi, ha riconquistarla nel mondiale qatarino. Ma è comunque un prestigioso trofeo da conservare in bacheca, anche per il fatto che chi la vincerà avrà l’onore di inaugurare l’albo d’oro del campionato europeo di ciclismo su strada, gara già presente in calendario sin dal 1995 ma che solo dal 2016 viene aperta ai professionisti. E il campione slovacco non si fa trovare impreparato sul rettilineo in salita di Plumelec, dove svernicia il corridore di casa Julian Alaphilippe e lo spagnolo Daniel Moreno

E’ SAGAN IL PRIMO CAMPIONE EUROPEO

Lo slovacco campione del mondo in carica va a prendersi anche il primo titolo di campione europeo dello storia del ciclismo, precedendo nettamente Alaphilippe e Moreno in volata al termine di una corsa combattuta sino alla fine, con gli italiani, in particolare Moser e Villella, che hanno messo in scena belle azioni, purtroppo non andate a buon fine

La prima edizione dei campionati europei di ciclismo aperta ai professionisti (esclusi fin dall’edizione del debutto, disputata nel 1995) impone una riflessione su tale corsa. Sicuramente quella di istituire questa corsa è una buona idea, specialmente in chiave storica. Il ciclismo è stato, infatti, per la maggior parte della sua storia uno sport prettamente europeo, con i soli Stati Uniti e Colombia che sono riusciti a portare nelle corse più importanti uomini di un certo spessore. Al giorno d’oggi, tuttavia, la situazione volge verso un cambiamento. Se, infatti, sono sempre gli atleti europei quelli numericamente più presenti nelle grandi corse, è pur vero che sempre più frequentemente si affacciano sulla scena corridori dei vari continenti.
A questo aspetto positivo ne fanno fronte due negativi, che caratterizzano però questa edizione e sono quindi suscettibili di miglioramenti.
In primo luogo, è infelice la collocazione in calendario di questa particolare edizione, posta a ridosso dei mondiali e non troppo lontana dal termine della Vuelta. I partecipanti sono stati così costretti a scegliere tra europei e mondiali, senza contare quei corridori che non hanno ancora smaltito le fatiche di una corsa a tappe di tre settimane come quella spagnola. Ovviamente non c’è confronto di importanza tra europei e mondiali e sono i primi a pagarne le spese, con una partecipazione inferiore a quella che potrebbe registrare una corsa del genere collocata meglio in calendario. Va, però, detto che finora i campionati europei si correvano a luglio, in concomitanza con il Tour, o talvolta ad agosto e la collocazione settembrina dell’edizione 2016, la prima aperta ai professionisti, è stata stabilita anche per non scontrarsi con le Olimpiadi, che hanno provocato lo “slittamento” di altre corse, come l’Eneco Tour, che prenderà il via domani, con un mese di ritardo rispetto alla data tradizionale.
L’altro aspetto negativo è il percorso, un circuito di 14 chilometri, da ripetere 17 volte, privo di difficoltà altimetriche sostanziali, se si eccetta la salita che conduceva al traguardo, la Côte de Cadoudal (1,7 Km al 6,2%), affrontata in diverse occasioni anche al Tour de France. Come spesso succede anche in occasione dei campionati del mondo, quello proposto è risultato un percorso troppo facile perché i corridori talentuosi negli attacchi possano offrire un numero degno di una competizione che aspira ad un certo livello.
Nonostante il nome altisonante del vincitore e i tentativi che pure ci sono stati, la corsa alla fine è arrivata allo sprint. Ciò non significa comunque che i corridori non abbiano cercato di interpretare al meglio un circuito che non offriva particolari spunti interessanti.
Dopo 6 chilometri di corsa si forma la fuga che caratterizzerà gran parte della prova e nella quale entrano Bert – Jan Lindeman (Paesi Bassi), Pirmin Lang (Svizzera), Andrii Bratashchuk (Ucraina) e Risto Raid (Estonia). Il gruppo prosegue sornione, lasciando che i battistrada si allontanino concedendo loro un vantaggio massimo di oltre 11 minuti. Sono Italia, Belgio e Francia ad imporre una accelerazione in gruppo che comincia ad erodere poco alla volta il vantaggio dei fuggitivi.
A cinque giri dalla fine, provano a lanciarsi al contrattacco Alexandre Geniez (Francia), Enrico Gasparotto (Italia), Jelle Vanendert (Belgio), David De La Cruz (Spagna), Emanuel Buchmann (Germania), Łukasz Owsian (Polonia) e Tobias Ludvigsson (Svezia) ma senza trovare la necessaria collaborazione, così che il gruppo non tarda a riportarsi su di loro.
Meglio strutturata è l’azione che va in scena nel giro successivo, composta da Karol Domagalski (Polonia), Sergey Lagutin (Russia), Jan Polanc (Slovenia), Redi Halilaj (Albania), Nicolas Edet, Cyril Gautier (Francia), Ben Hermans, Jelle Vanendert (Belgio), Davide Villella, Fabio Aru (Italia), Sam Oomen (Paesi Bassi), Fabian Lienhard (Svizzera), Karel Hnik (Rep. Ceca), Simon Geschke (Germania), Peeter Pruus (Estonia), David De La Cruz, Omar Fraile (Spagna) e Sergio Paulinho (Portogallo). Questo gruppo riesce a guadagnare sino a 1′30 su quello inseguitore ma anche costoro faticano a trovare la giusta tabella di marcia e vengono ripresi, mentre i battistrada vedono il loro vantaggio ridursi a soli 30 secondi che, a seguito di un nuovo cambio di ritmo del gruppo, si polverizzano in men che non si dica.
Nel corso della discesa dalla Côte de Cadoudal finiscono a terra Gianni Moscon (Italia), Alexandre Geniez (Francia) e Rubén Fernández (Spagna); la confusione che ne segue favorisce il formarsi di un drappello al comando formato da Philippe Gilbert, Tiesj Benoot, Ben Hermans (Belgio), Moreno Moser, Giovanni Visconti, Fabio Aru (Italia), Paul Martens, Paul Voss (Germania), Cyril Gautier (Francia), Diego Rubio (Spagna), Huub Duyn, Sam Oomen (Paesi Bassi), Mathias Frank, Sébastien Reichenbach (Svizzera), Karol Domagalski (Polonia), Matija Kvasina (Croazia) e Sergey Lagutin (Russia). L’italia ha tre ottimi elementi davanti, ma dietro sono Portogallo e Slovacchia, che non hanno uomini in fuga, a tirare; anche Francia e Spagna, che hanno un solo uomo davanti, decidono di dare una mano nell’inseguimento, che ha termine all’inizio dell’ultima tornata, ma Moser tenta nuovamente l’attacco, stavolta da solo. Il tentino riesce a guadagnare un vantaggio di una trentina di secondi che sembra restare stabile, finché non è Peter Sagan in prima persona ad imporre un cambio di ritmo al gruppo e, nel tratto più duro della salita finale, il gruppo piomba su Moser. Gli uomini di Cassani, però, non mollano ed è Villella a provare la stoccata vincente, ma anch’egli si vede ripreso a soli 400 metri dall’arrivo. La volata non ha offerto alcuna emozione dato che Sagan si è imposto sugli avversari con una facilità disarmante. Pronostico rispettato, dunque.
L’italia, nonostante non abbia raccolto molto, si è mossa bene, in tutte le azioni pericolose gli uomini di Cassani sono stati presenti e, nel finale, sono stati in due a provarci con l’azione di Moser, che è stata davvero pregevole.

Benedetto Ciccarone

Sagan si impone con facilità anche nella prima edizione dei campionati europei destinata ai professionisti (foto Bettini)

Sagan si impone con facilità anche nella prima edizione dei campionati europei destinata ai professionisti (foto Bettini)

LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XL: QUÉBEC 2016

dicembre 18, 2023 by Redazione  
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Non c’è solo il bis al Mondiale nei programmi stagionali di Peter Sagan. Il 2016 è, infatti, anche l’anno del primo campionato europeo e lo slovacco ha messo nel mirino anche questo obiettivo, scegliendo un strada diversa rispetto a quella percorsa l’anno prima, quando aveva deciso di correre la Vuelta dopo il Tour. L’esperienza spagnola nel 2015 si era conclusa, però, con una brutta caduta dopo pochi giorni e così stavolta preferisce non correre rischi, optando per un paio di corse in linea oltreoceano, che di solito gli hanno sempre portato bene. È andrà così anche stavolta, con Sagan che va a cogliere la vittoria in Canada al Grand Prix Cycliste de Quebec

CHE BEL SAGAN IN QUÉBEC. PETER VINCE IN CANADA CON CLASSE E POTENZA

Peter Sagan (Team Tinkoff) ritorna al ciclismo su strada dopo la partecipazione alla gara olimpica della mountain-bike e sfodera una bella vittoria nel Grand Prix Cycliste de Québec battendo in una volata ristretta Greg Van Avermaet (Team BMC) e Anthony Roux (Team FDJ.fr). Da segnalare le buone prove di Matteo Trentin (Team Etixx) e Gianni Moscon (Team SKY) che hanno provato ad animare gli ultimi chilometri di corsa, caratterizzata da una fuga inizialle di 8 ciclisti, tra cui Valerio Agnoli (Team Astana), e da molti attacchi negli ultimi 40 km. Domenica si attende il bis a Montréal.

Giunto alla sua sesta edizione, il Grand Prix Cycliste de Québec, insieme al GP di Montréal che si correrà domenica, rappresenta uno dei più prestigiosi appuntamenti del calendario World Tour. Nonostante il contemporaneo svolgimento del Giro di Spagna e del Tour of Britain, i nomi alla partenza delle corse canadesi sono di tutto rispetto e non mancheranno sicuramente di suscitare interesse tra gli appassionati d’oltreoceano. Il percorso resta immutato rispetto agli scorsi anni, con il circuito della città vecchia di Québec, lungo 12,6 kmm da ripetere 16 volte per un totale di 201,6 km. Tre le asperità principali, brevi ma insidiose e tutte concentrate negli ultimi 4 km: la Côte de la Montagne, la Côte de la Potasse e la Montée de la Fabrique. In costante ascesa anche l’ultimo chilometro sulla Grande Allée, dove i ciclisti dovranno impegnarsi nello sforzo finale, tra finisseurs e velocisti, che rende la corsa canadese incerta fino all’ultimo – e ricordiamo proprio l’ultima edizione del 2015 dove Rigoberto Urán scattò proprio all’inizio dell’ultimo chilometro e riuscì a mantenere un vantaggio risicato ma decisivo sul gruppo, regolato da Michael Matthews. Due nomi, questi ultimi, presenti anche al via dell’edizione 2016 insieme, tra gli altri, al campione del mondo su strada Peter Sagan ed al campione olimpico Greg Avermaet. Dopo la partenza si formava una fuga composta da sei ciclisti – Lars Bak (Lotto Soudal), Maxim Belkov (Katusha), Valerio Agnoli (Astana), Twan Castelijns (Lotto NL Jumbo), Matt Brammeier (Dimension Data) e Alexandre Pichot (Direct Énergie) – ben presto raggiunti da Jan Bárta (Bora Argon 18) e Nicolas Masbourian (Silber Pro Cycling). Alla fine del primo giro la testa della corsa aveva circa un minuto e mezzo di vantaggio. Al termine del secondo giro il vantaggio della fuga era aumentato a 4 minuti e mezzo mentre nel gruppo inseguitore ci si iniziava a organizzare per l’inseguimento, per evitare che il vantaggio della fuga si dilatasse troppo. Tra le squadre maggiormente impegnate si segnalavano l’Orica BikeExchange e la Etixx. La corsa viveva una fase di stanca nei successivi tre giri, con il vantaggio della fuga che si assestava intorno a 4 minuti e mezzo. Al termine del settimo giro il vantaggio della fuga era sceso sotto i 4 minuti, sintomo che il gruppo stava pian piano recuperando. Alla fine dell’ottava tornata, quindi a metà corsa, il gruppo aveva ancora recuperato qualcosa alla fuga che adesso conduceva con un vantaggio di 3 minuti e mezzo. Il gruppo era ormai in progressiva rimonta e dopo 10 giri il vantaggio della fuga era di soli 2 minuti e mezzo. L’andatura del gruppo si alzava decisamente e Peter Sagan si faceva notare per essere nelle retrovie del gruppo, proprio lui che dopo l’esperienza della prova olimpica in mountain bike era tornato a gareggiare su strada soltanto poco giorna fa in Francia, nella Bretagne Classic, corsa che lo aveva visto ritirato. Davanti la fuga si spezzettava e Lars Bak restava il solo a crederci fino in fondo, mantenendo un vantaggio inferiore al minuto quando ancora mancavano circa 45 km all’arrivo. Bak veniva ripreso a poco meno di 40 km dal traguardo da Julian Alaphilippe (Team Etixx) e Luke Rowe (Team SKY), che provavano ad andarsene e tagliavano la linea del 13° giro con 40 secondi di vantaggio sul gruppo. Alaphilippe si avvantaggiava su Rowe lungo la terzultima ascesa verso la Côte de la Montagne, ma il gruppo non lasciava spazio e raggiungeva il francese ai meno 28. Il gruppo iniziava il penultimo giro molto sfilacciato, con l’impressione che non ci fosse una squadra di riferimento che riuscisse a tenere chiusa la corsa. Si formava in testa un gruppo costituito da una quindicina di ciclisti, fra i quali si segnalava la presenza di Fabio Aru (Team Astana). L’azione di questo drappello non sembrava, però, molto convinta e infatti il gruppo annullava anche quest’altro tentativo. Matej Mohoric (Team Lampre) era l’ultimo ciclista ad essere ripreso ai meno 15, quandio Sagan si faceva vedere per la prima volta nelle prime posizioni del gruppo. Ai meno 14 km dall’arrivo Paul Voss (Team Bora 18) provava un altro attacco e iniziava l’ultimo giro con circa 20 secondi di vantaggio. Il tedesco veniva raggiunto ai meno 10 da Oliver Naesen (Team IAM Cycling), recente vincitore della Classica di Amburgo. Il generoso tentativo del belga si esauriva a meno 3 km e mezzo dalla linea bianca. Alaphilippe riprovava l’attacco sulla Côte de la Montagne, a meno 3 km dall’arrivo, trainando con sé il compagno Matteo Trentin e Gianni Moscon (Team SKY). Ma il gruppo anche stavolta riprendeva quest’ennesimo tentativo di attacco; provava quindi, a un chilometro dall’arrivo, Rigoberto Urán, tentando un “remake” della scorsa edizione. Questa volta, però, il colombiano non riusciva a imprimere la necessaria potenza per imporsi sugli avversari; infatti, era proprio Peter Sagan che si involava ai meno 200 metri con uno scatto repentino, che univa classe e potenza. Il campione del mondo vinceva così abbastanza nettamente, precedendo Greg Van Avermaet (Team SKY) e Anthony Roux (Team FDJ.fr). Da segnalare positivamente il quarto posto di Alberto Bettiol (Team Garmin Cannondale) mentre chiudeva la top five Michael Matthews (Team Orica BikeExchange). Nella top ten si piazza anche Diego Ulissi (Team Lampre Merida), classificatosi 7°. Il week end in Canada prosegue domenica con il GP de Montréal, corsa che vedrà ai nastri di partenza le stesse squadre e, per grandi linee, gli stessi protagonisti del GP de Québec.

Giuseppe Scarfone

Quasi con naturalezza Sagan si beve ledizione 2016 del Grand Prix Cycliste de Québec (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

Quasi con naturalezza Sagan si ''beve'' l'edizione 2016 del Grand Prix Cycliste de Québec (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXIX: TOUR DE FRANCE 2016

dicembre 17, 2023 by Redazione  
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Dopo il magro bottino al Tour dell’anno precedente, nel quale si era imposto “solo” nella classifica a punti dopo un’infinita sequela di piazzamenti, Peter Sagan torna alla vittoria sulle strade della Grande Boucle, dimostrando ancora di esser riuscito ancora a spezzare, almeno per questa stagione, la maledizione della maglia iridata. Alla fine porterà a casa tre vittorie di tappe oltre alla maglia verde, sua per il quinto anno consecutivo.

2a TAPPA: SAINT-LÔ – CHERBOURG-EN-COTENTIN

TINKOFF, INFERNO E PARADISO: CONTADOR CROLLA, A SAGAN TAPPA E MAGLIA

Giornata in chiaroscuro per la corazzata russa, protagonista assoluta nel bene e nel male: Sagan spezza il digiuno e torna a vincere al Tour dopo tre anni, conquistando anche la maglia gialla; Contador cade di nuovo, sulla spalla già ammaccata ieri, e paga negli ultimi 3 km, cedendo 48’’ ai migliori. Ancor più pesante il passivo di Porte, che perde 1’45’’ a causa di una foratura. In lieve ritardo (11’’) anche Nibali e Pinot.

Dopo un digiuno durato 57 tappe, dove vittorie annunciate sono sfumate in ogni modo immaginabile, è stato lo strappo verso Cherbourg-en-Cotentin a riportare Peter Sagan al successo sulle strade del Tour de France, con annessa prima maglia gialla in carriera. Una giornata perfetta macchiata soltanto dalla mancata soddisfazione dell’alzata di braccia sul traguardo. Non perché esistessero dubbi sull’esito dello sprint, nel quale Sagan, facendo tesoro della sconfitta di ieri, ha saggiamente atteso che fosse Alaphilippe ad uscire dalla sua ruota e a prendere l’iniziativa, per poi incollarsi al francese e saltarlo negli ultimi 50 metri; bensì perché, nella confusione degli ultimi chilometri, il campione del mondo non si era reso conto che tutti i fuggitivi della prima ora erano stati riassorbiti, ed era convinto di lottare per la terza piazza.
Un dubbio in realtà più che legittimo, poiché per molti chilometri si è creduto che l’azione di Paul Voss – già all’attacco ieri e in cerca di punti per conservare la maglia a pois –, Vegard Breen, Cesare Benedetti e Jasper Stuyven fosse destinata al successo. Il gruppo ha infatti aspettato i 50 km all’arrivo per avviare un inseguimento convinto, quando i battistrada potevano gestire ancora quasi 6 minuti, su un terreno nervoso e tortuoso. Ci sono voluti quasi 30 km per dimezzare quel margine, e in cima allo strappo di Octeville, a meno di 8 km dal traguardo, Stuyven, sbarazzatosi nel frattempo dei compagni di viaggio, vantava ancora 90 secondi circa.
Tinkoff, BMC, Etixx e Lotto-Soudal, su tutte, hanno contribuito a rimettere in gioco le sorti della tappa, che ai piedi della Côte de La Glacerie, a 3 km e spiccioli dal termine, sembravano comunque ancora pendere dalla parte del leader, in vantaggio di un minuto abbondante.
L’azione di Stuyven, però, si è arenata sul più bello, e in vetta, a 1400 metri dal traguardo, il forcing di Roman Kreuziger aveva ridotto il divario a poche decine di metri, colmate nel breve tratto di lieve discesa precedente l’ultima rampa di 700 metri.
Nessuno – tralasciando un timido allungo sulla Glacerie di Slagter, forse intenzionato soltanto ad alzare il ritmo e lasciato solo dall’affanno di chi gli era a ruota – ha provato ad anticipare la volata, e così è stata questione fra i soliti sospetti. Alaphilippe è stato il primo a lanciare lo sprint, Sagan lo ha marcato e saltato, relegandolo alla piazza d’onore; Valverde, che in finali del genere sospettiamo possa essere competitivo fino a 55 anni e con una gamba sola, ha completato il podio; Daniel Martin, che avrebbe avuto forse bisogno di salite un po’ più esigenti per esprimersi al meglio, ha chiuso quarto; Matthews, per il quale vale il discorso opposto, si è dovuto accontentare del quinto.
Malgrado il bottino pieno di Sagan, dubitiamo che in casa Tinkoff sarà festa grande questa sera; perché se il grande vincitore di giornata è lo slovacco, il grande sconfitto è Alberto Contador. Dopo la caduta di ieri, lo spagnolo ha bissato oggi, finendo a terra e battendo la stessa spalla ammaccata ventiquattro ore fa quando all’arrivo mancavano 122 km, in un tratto dove il gruppo viaggiava fortunatamente ad andatura contenuta.
Il massiccio lavoro profuso dalla Tinkoff aveva autorizzato ad ipotizzare che il madrileno fosse in condizioni almeno discrete; invece, subito dopo la volata, la regia francese ha mostrato la mesta immagine di un Contador in evidente difficoltà, scortato dai pochi compagni che non erano rimasti al fianco di Sagan e non avevano perso contatto in precedenza. Il ritardo di 48’’, se maturato in altre circostanze, non comprometterebbe nulla in chiave successo finale, ma la chiara sofferenza fisica fa pensare che servirà un recupero prodigioso per evitare di salutare ogni ambizione di maglia gialla già mercoledì, sul Massiccio Centrale.
Il campione di Pinto non è il solo a vedere crollare le proprie quotazioni dopo la tappa di oggi: peggio ancora – almeno a livello cronometrico – è andata infatti a Richie Porte, vittima di una foratura a 5 km e mezzo dall’arrivo e incredibilmente abbandonato a se stesso dalla BMC, che sembra dunque aver già compiuto la propria scelta fra il tasmaniano e Van Garderen.
Undici secondi li hanno lasciati per strada anche Nibali, forse più sincero di quanto si sperasse circa le due modeste ambizioni per questo Tour, e Pinot, più a sorpresa. Per loro vale un discorso analogo a quello fatto per Contador: il distacco cronometrico è di per sé quasi irrilevante, ma una conferma della tendenza mercoledì potrebbe già significare una prematura uscita dai piani alti della classifica.

Matteo Novarini

11a TAPPA: CARCASSONNE – MONTPELLIER

FROOME COME CONTADOR NEL 2013, GUADAGNA SECONDI CON I VENTAGLI

Christopher Froome, che nel 2013 si vide infliggere un minuto da un Contador non al meglio in una tappa pianeggiante a causa dei ventagli formatisi sul tracciato, ha evidentemente imparato la lezione ed oggi ha sfruttato la situazione e, grazie alla sua potenza, è riuscito ad andarsene a 11 Km dall’arrivo, rifilando 5 secondi (più l’abbuono del secondo posto) a tutti i suoi avversari per la vittoria che, a questo punto, hanno peccato anche di disattenzione, anche se comincia a farsi strada l’idea di una superiorità del britannico un po’ su tutti i terreni. Sagan vince la tappa e tenta di tenere Oleg Tinkoff nel mondo del ciclismo.

Nella nostra rubrica “Anteprima Tour” si era detto che la tappa di oggi sarebbe finita in volata e che l’unico elemento che avrebbe potuto scongiurare un similare esito sarebbe stato il vento.
In effetti, è stato proprio il vento che ha dato sale alla tappa, sia durante le fasi centrali della frazione sia nel finale che ha visto il leader della generale andarsene con il campione del mondo ed un compagno di squadra per ciascuno. Il bottino per il keniano bianco, alla fine, non è stato particolarmente succulento dal punto di vista strettamente cronometrico, tuttavia il colpo psicologico agli avversari non è da poco. Dopo quello messo a segno da Froome nella discesa del Peyresourde, di per sé non particolarmente tecnica, il numero di oggi ha un altro significato.
Fermo restando che un uomo di classifica al Tour di France non può e non deve farsi sorprendere come hanno fatto Quintana e compagnia nella discesa pirenaica, oggi non c’è più neppure la scusa di un qualcosa di inaspettato. Si è capito che Froome ha in animo di sfruttare tutte le occasioni che si presentano per guadagnare secondi e, visto quanto il britannico aveva imparato a proprio spese nel 2013, ci si poteva aspettare grande attenzione da parte sua. In un Tour de France che Froome aveva saldamente in mano Alberto Contador, in stato di forma non ottimale, riuscì a staccare con la squadra il keniano bianco in una tappa di pianura, proprio sfruttando un ventaglio. Era quindi ovvio che, in questo Tour, che Froome ha preparato meticolosamente e che ha dimostrato di correre con molta attenzione, il britannico non solo non si sarebbe fatto sorprendere una seconda volta, ma avrebbe anche tentato di guadagnare sui diretti avversari, qualora se ne fosse presentata l’occasione. Gli avversari di Froome, invece, si sono fatti mettere nel sacco un’altra volta, con la maglia gialla che, pian pianino, si presenta alla vigilia della tappa sulla carta a lui più favorevole con un vantaggio che comincia ad avere una certa consistenza, soprattutto se si pensa che, nei piani alti della classifica, non ci sono uomini in grado di impensierirlo più di tanto a cronometro.
La corsa di oggi è stata caratterizzata, sin dall’inizio, dal vento che, fino ad un certo punto, ha spirato in senso favorevole alla marcia dei corridori con conseguenti velocità molto alte.
La fuga di giornata, composta da Arthur Vichot (FDJ) e Leigh Howard (IAM Cycling), non decolla dato che il vantaggio massimo si attesta sui 4 minuti ed il ricongiungimento con il gruppo avviene a 50 Km dalla conclusione.
Dietro, tuttavia, è una battaglia continua per tenere le posizioni di testa, cosa che causa anche numerose cadute che coinvolgono anche nomi illustri, come quelli di Thibaut Pinot e Luis Leon Sanchez.
Negli ultimi 80 Km il vento si fa laterale e questo, oltre a provocare il rapido dissolversi del vantaggio dei fuggitivi, comincia a favorire la formazione dei temuti e pericolosi ventagli con la Tinkoff e la Sky molto attente davanti.
A 13 chilometri dall’arrivo scatta l’azione decisiva, con il campione del mondo che rompe gli indugi e se ne va, affilandosi al compagno di squadra Maciej Bodnar che si produce in un’accelerazione impressionante. A quel punto, Froome decide di riportarsi sullo slovacco utilizzando lo stesso metodo, ovvero l’aiuto del compagno di squadra Geraint Thomas che ha buone doti di potenza. Gli altri leader del gruppo restano sorpresi da quest’azione e perdono il momento buono per affilarsi. La squadra dei velocisti mettono in scena l’ultimo disperato tentativo di chiudere, ma ormai è troppo tardi. Joaquim Rodriguez (Katusha) e Louis Meintjes (Lampre – Merida) restano addirittura attardati in un gruppetto che arriverà al traguardo con un ritardo superiore al minuto.
Al traguardo nessuno osa disputare uno sprint contro Peter Sagan che va a vincere senza problemi con Froome a ruota che incassa l’abbuono del secondo posto, mentre il gruppo piomba sul traguardo 6 secondi più tardi.
Come si era già detto, il vantaggio, in termini cronometrici, non è stato granché, ma gli avversari potrebbero accusare il colpo e l’idea che battere il britannico sia impossibile potrebbe cominciare a farsi pericolosamente strada.
Purtroppo è notizia dell’ultima ora, anche se il sentore era nell’aria sin dal primo pomeriggio, che domani a causa del forte vento non si potrà salire sul Ventoux. Dopo che folate fino a 100 Km/h avevano ribaltate le transenne già allestite sul “Gigante della Provenza” e che le previsioni meteo per la giornata di domani non lasciavano illusioni di miglioramento, a malincuore gli organizzatori hanno annunciato in serata che il traguardo sarà collocato a Chalet Reynard, salvando almeno i primi 9 Km dell’ascesa, comunque impegnativi perchè dotati di una pendenza media superiore al 9%, decisamente più nutrita di quella della salita affrontata domenica scorsa ad Arcalis

Benedetto Ciccarone

18a TAPPA: MOIRAINS-EN-MONTAGNE – BERNA

SAGAN TERZO CENTRO. ED ORA CHE FARA’ OLEG TINKOFF?

In un arrivo particolarmente adatto alle sue caratteristiche, Sagan riesce a vincere per un nonnulla su Kristoff allo sprint, mentre nel finale il gruppo si spezza in diversi tronconi. Nulla da fare per la fuga di giornata tutta Etixx e per il successivo tentativo di Rui Costa. Allo sprint si rivede davanti anche Degenkolb.

Oleg Tinkoff, dopo la prima vittoria di Sagan, aveva annunciato che avrebbe ritirato il proprio addio al ciclismo in caso di ulteriori due vittorie di Sagan.
Lo slovacco ha accontentato il patron, conquistando oggi la sua terza tappa a questo Tour de France. Oggi lo sprint è stato veramente all’ultimo sangue con Alexander Kristoff, anch’egli adatto a questo tipo di arrivi. Inizialmente, dall’inquadratura, sembrava avesse vinto Kristoff, come anche l’esultanza del norvegese sembrava suggerire. E’ necessario il fotofinish per chiarire, senza equivoci, la vittoria dello slovacco, bravissimo a trovare ik colpo di reni al momento giusto.
La fuga di giornata è stata inscenata da una coppia Etixx, composta da Tony Martin e Julian Alaphilippe. Molti altri tentano di agganciare questo treno, ma la velocità che Tony Martin è in grado di sviluppare sul passo rende impossibile a tutti il rientro. Il gruppo, in effetti, dovrà sudare sette camice per riuscire a chiudere, cosa che è resa palese dall’estremo allungamento del plotone in fila indiana nelle fasi più concitate dell’inseguimento. Lo stesso Alaphilippe avrà non poche difficoltà stare insieme al compagno di squadra, impegnato a menare a tutta.
Dopo i tentativi falliti di singoli corridori di portarsi sui due di testa, ci provano in quattro – Timo Roosen (LottoNL-Jumbo), Lawson Craddock (Cannondale), Vegard Breen (Fortuneo-Vital Concept) e Nicolas Edet (Cofidis) – e per diversi chilometri la corsa resta divisa in tre, con i due di testa che non si fanno riprendere dal quartetto che, dopo essere riuscito ad erodere il distacco sino a 2 minuti, sono costretti pian piano a cedere fino ad essere riassorbiti dal gruppo che progressivamente alza la velocità, sgretolando il vantaggio della coppia di testa. Tutto ciò avviene con notevole fatica di coloro che tirano in testa al gruppo perché Tony Martin, con le sue straordinarie doti di passista, è uomo non facile da andare a riprendere. In ogni caso, lodi ai due fuggitivi che, dopo essere stati ripresi a ventidue chilometri dalla conclusione, si incaricano di cercare, purtroppo per loro invano, di riportare in gruppo Kittel che aveva perso contatto sulle facili rampe dell’unico GPM in programma nella frazione odierna. Martin e Alaphilippe si possono consolare con il premio riservato al più combattivo di giornata ed eccezionalmente assegnato ad entrambi-
Ai meno venti è lodevole anche il tentativo dell’ex campione del mondo Rui Costa, che riesce a staccare il gruppo ed a mantenere a lungo un vantaggio nell’ordine dei 10/15 secondi fino ad essere ripreso a 4 chilometri dalla conclusione. L’attacco era davvero difficile da portare all’arrivo perché composto da un uomo solo, partito da molto distante e con l’intero gruppo dietro a tirare; in ogni caso Rui Costa ha dimostrato coraggio, inscenando un tentativo davvero pregevole che ha costretto il gruppo ad andare a tutta per chiudere.
Dopo il tramonto del tentativo di Rui Costa, c’è bagarre per prendere in testa lo strappetto che termina a 1 Km dalla conclusione ed è proprio in questa fase che il gruppo si spezza in diversi tronconi, con gli uomini di classifica comunque davanti. Sagan resta per tutto lo strappo nelle prime posizioni, ma il primo a lanciare lo sprint è addirittura Alejandro Valverde, sul quale parte in contropiede Kristoff che rimane in vantaggio fino a pochissimo prima della linea del traguardo, venendo superato dal campione del mondo con un colpo di reni. Ora si aspetta l’annuncio ufficiale di Oleg Tinkoff. Domani giorno di riposo alla vigilia del finale sulle Alpi. Già mercoledì è prevista la tappa con arrivo a Finhaut Emosson, con la Forclaz a rendere il finale un invito agli attacchi che si spera finalmente di riuscire a vedere tra i big.

Benedetto Ciccarone

Sagan e Alaphilippe spalla a spalla sul rettilineo finale di Cherbourg (foto Getty Images Sport)

Sagan e Alaphilippe spalla a spalla sul rettilineo finale di Cherbourg (foto Getty Images Sport)

LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXVIII: TOUR DE SUISSE 2016

dicembre 16, 2023 by Redazione  
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La California chiama la vittoria e la Svizzera risponde da par suo. Come al solito Sagan dopo aver raccolto nella corsa statunitense ritorna a mieter successi nella vecchia Europa al Giro di Svizzera, dopo porta a casa un ugual numero di affermazioni, 2 come negli USA

1a TAPPA: CIRCUITO DI BAAR

SAGAN BRACCIA AL CIELO: COPIONE RISPETTATO, MA…

Il campione del mondo conquista da favorito la prima tappa in linea del Giro di Svizzera 2016 vincendo agevolmente uno sprint senza storia, anche per la caduta di Gaviria, unico avversario credibile dello slovacco in una volata insieme a Matthews. Roelandts conquista la maglia di leader ai danni di Fabian Cancellara grazie ad un buco formatosi negli ultimi metri. Gesink, vittima di una caduta, è costretto al ritiro.

Chi si fosse informato per conoscere il nome del vincitore della tappa di oggi del Giro di Svizzera potrebbe pensare che quella odierna sia stata una frazione priva di colpi di scena ed emozioni.
In effetti è vero, dato che è andata in scena la più classica delle fughe ripresa anche troppo presto dal gruppo che poi ha fatto buona guardia per impedire ulteriori tentativi di avanscoperta. In realtà, sono accadute anche altre cose che meritano di essere segnalate.
Che Fabian Cancellara non potesse dormire sonno tranquilli lo si era capito dal vantaggio davvero minimo rimediato su un uomo come Roelandts, che è un velocista e quindi oggi, in virtù degli abbuoni, avrebbe potuto aspirare a conquistare il vessillo del primato; che ci sarebbe riuscito grazie ad un buco creatosi negli ultimi metri era, invece, un po’ più difficile da pronosticare. In ogni caso, il belga, che ieri ha mancato la vittoria per un battito di ciglia, ha meritatamente conquistato la maglia di leader poiché è stato attentissimo nelle fasi salienti, facendosi trovare tra gli uomini davanti e andando a disputare lo sprint.
I migliori pagano tre secondi ai primi 5 e così Cancellara si ritrova alle spalle di Roelandts per lo stesso lasso di tempo con il quale ventiquattrore fa aveva conquistato la maglia gialla nel cronoprologo.
Per quel che riguarda la vittoria di tappa lo slovacco Sagan ha avuto buon gioco, dato che Gaviria, il più pericoloso avversario di oggi in quanto velocista puro, è caduto nel corso della frazione riportando diverse escoriazioni che gli hanno di fatto impedito di andare a disputare lo sprint. Al suo posto la Etixx ha lanciato nella mischia Richeze, che è riuscito a precedere il principale outsiders dopo la caduta di Gaviria, ovvero Michael Matthews.
Da segnalare, infine, il ritiro di Robert Gesink che, vista la starlist non proprio eccezionale, poteva essere certamente protagonista per la classifica generale. Un peccato per una bella corsa che soffre una partecipazione non proprio eccezionale.
La corsa, come si diceva, si è svolta senza sussulti e dopo una decina di chilometri è andata via la fuga, formata da Marcel Wyss (IAM Cycling), Sébastien Minard (Ag2r La Mondiale), Matthias Krizek (Team Roth) e Antwan Tolhoek (Roompot – Oranje). La Trek non sembra avere intenzione di dannarsi l’anima nell’inseguimento e i battistrada riescono tosto a conquistare un vantaggio importante, che arriva sino a 5 minuti.
A circa 60 km dalla conclusione si portano in testa anche altre squadre, tra le quali una delle più attive risulta essere l’Astana. A 35 chilometri dall’arrivo i fuggitivi devono alzare bandiera bianca ma, vista la distanza che ancora separa il gruppo dal traguardo, immancabilmente qualche speranzoso, che nel caso di specie risponde al nome di Samojlaŭ, tenta la fortuna con una azione abbastanza sballata e prontamente annullata dal gruppo. Identica sorte tocca a tutti quelli che tentano, anche timidamente, di mettere il naso davanti.
Allo sprint, come si diceva poco sopra, non c’è sostanzialmente storia e il campione del mondo va a vincere facile, precedendo imperiosamente Richeze e Matthews sulla linea del traguardo, mentre Roelandts, in agguato per tentare di conquistare un abbuono (poi sfuggitogli), riesce a rimanere con i primi 5 i quali, nel disputare la volata, creano un buco di tre secondi, fatale per Cancellar che perde la maglia di leader, passata sulle spalle del belga.
Domani tappa di collina con alcune asperità nella seconda parte, mentre per vedere le prime montagne bisognerà attendere mercoledi con il tappone d’alta quota con Furkapass, Passo del San Gottardo e l’arrivo in salita a Carì.

Benedetto Ciccarone

3a TAPPA: GROSSWANGEN – RHEINFELDEN

BIS DI SAGAN. MA STAVOLTA C’È ANCHE LA MAGLIA

Il giallo sopra l’iride per uno straordinario Peter Sagan, che sta facendo man bassa nella terra dei cantoni. Il campione del mondo riesce prima con il ritmo, poi allungando a sua volta, a riportarsi su Albasini, che si era involato in precedenza, e sul fuggitivo della prima ora Dillier. Sul traguardo lo slovacco trionfa allo sprint sui due avversari e infligge tre secondi al gruppo, conquistando così il primo posto nella classifica generale.

I complimenti degli appassionati vanno oggi, prima ancora che al vincitore, allo stoico Silvan Dillier. Il corridore della BMC è partito subito dopo il via ufficiale ed è stato l’unico a giungere al traguardo insieme al vincitore Sagan ed al bravo corridore di casa Albasini, in una tappa che ha visto anche il gruppo dei migliori notevolmente assottigliato sotto la linea dell’arrivo.
La fuga di giornata è partita, come si diceva, sin dai primi chilometri, composta oltre che dal bravissimo Dillier, anche da Sven Erik Byström (Katusha), Gregory Rast (Trek-Segafredo), Mathew Hayman (Orica GreenEDGE), Branislau Samoilau (CCC Sprandi), Bruno Pires (Roth), Antwan Tolhoek e Huub Duijn (Roompot – Oranje).
Il gruppo, guidato dai Tinkoff e dai Lotto Soudal, lascia abbastanza spazio a questo tentativo e i battistrada riescono così a guadagnare fino a 5 minuti e mezzo sul plotone.
A questo punto il gruppo alza leggermente la velocità, riducendo lentamente ma inesorabilmente il gap fino ad arrivare con 2 minuti di ritardo all’ingresso del circuito finale, caratterizzato da due asperità.
Nel corso primo giro è Amets Txurruka (Orica GreenEDGE) che tenta di evadere dal gruppo sulla prima salita, ma sulla seconda asperità questo tentativo vede il proprio tramonto poiché in gruppo sono gli uomini di Sagan ad imporre un deciso cambio di ritmo che, unito alla strada bagnata, provoca un frazionamento del gruppo principale, con molti corridori che non rientreranno più e giungeranno all’arrivo in forte ritardo.
Durante il secondo giro, mentre il vantaggio della fuga iniziale continua a scendere lentamente, vi sono le prime defezioni tra i battistrada. I primi ad alzare bandiera bianca sono Samoilau, Pires e Rast che attendono di essere riassorbiti dal gruppo dal quale evade, in bella progressione, il corridore di casa Albasini che, a dispetto della maglia dei GPM conquistata al Giro di Svizzera del 2006 , non è proprio un provetto scalatore. L’elvetico riesce però a mettere in scena un allungo pregevole e a riprendere il compagno Hayman, che faceva parte della fuga iniziale e che lo aiuta a riportarsi sulla testa della corsa. Sull’ultima asperità il campione del mondo deve lavorare in prima persona, dopo aver sfruttato al massimo il lavoro della squadra. Lo slovacco non si fa pregare ed impone un cambio di ritmo che costa caro a molti, tra i quali il leader della classifica Roelandts. In vista dello striscione del GPM Sagan accelera ulteriormente e se ne va tutto solo all’inseguimento dei due di testa, raggiungendoli nel corso della discesa. Nell’ultimo tratto di pianura i tre riescono a resistere all’inseguimento, portato in particolare della Etixx e della Giant, che però non è convinto, dato che anche Roelandts riesce ad rientrare su questo gruppo abbastanza assottigliato.
Allo sprint Albasini, che non è male in volata, tenta di sorprendere Sagan ma il campione del mondo ha decisamente una marcia in più e riesce di potenza a mettere la propria ruota davanti a quella del rivale.
Il gruppo dei migliori giunge a tre secondi, regolato da Richeze che toglie l’abbuono a Roelandts e proprio in virtù delle bonificazioni Sagan conquista la maglia di leader, che dovrebbe mantenere sino alla prima tappa di montagna, prevista dopodomani.
Roelandts ce l’ha messa tutta per mantenere la propria posizione in classifica ma le salite, pur non impossibili, sono risultate fatali a lui che è un velocista. In ogni caso ha dimostrato grande tenacia riuscendo a non mollare durante il primo giro, laddove atleti più forti di lui in salita hanno ceduto e, successivamente, a rientrare in discesa sul gruppo principale, andando addirittura a disputare lo sprint per tentare di conquistare l’ultimo posto valevole per gli abbuoni. Ottima, come si era già detto, la prova di Dillier, che in fuga dalla prima battuta ha tenuto il ritmo di Albasini in salita e successivamente quello di Sagan in discesa e nel tratto finale.
Il campione del mondo è stato superlativo, sia nell’inseguimento all’ottimo Albasini, sia nella volata nella quale ha fatto valere la propria potenza su un corridore come l’elvetico dell’Orica che, oltre ad essere forte allo sprint, ha pure le giuste motivazioni per mettersi in mostra sulle strade di casa

Benedetto Ciccarone

Il campione del mondo in carica vince facile la prima tappa in linea del Tour de Suisse 2016 (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

Il campione del mondo in carica vince facile la prima tappa in linea del Tour de Suisse 2016 (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXVII: TOUR OF CALIFORNIA 2016

dicembre 15, 2023 by Redazione  
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Con l’agognata maglia iridata sulle spalle Sagan non poteva mancare all’appuntamento con il Giro della California e anche stavolta ritorna in Europa con il bottino di due tappe vinte. Le favorevoli circostanze dell’anno precedente, però, non si ripetono e non riesce a bissare il successo in classifica finale, concludendo la gara con più di 20 minuti di ritardo rispetto al vincitore, il francese Julian Alaphilippe.

1a TAPPA: CIRCUITO DI SAN DIEGO

C’E’ IL CALIFORNIA? ALLORA VINCE SAGAN

Prosegue l’impressionante ruolino di marcia nella gara a tappe statunitense dello slovacco che, al rientro alle corse dopo la campagna del Nord, si aggiudica la frazione inaugurale di San Diego superando di prepotenza negli ultimi metri i due olandesi Wouter Wippert e Dylan Groenewegen, portandosi così a quota 14 successi nelle ultime 7 edizioni, oltre a quello di un anno fa nella classifica generale. Discreto 6° posto per Niccolò Bonifazio mentre deludono Alexander Kristoff e Mark Cavendish, rispettivamente 16° e 29°.

Per la prima volta nella storia è San Diego ad ospitare la frazione inaugurale del Giro di California, corsa a tappe di 8 giorni che nel corso delle sue 11 edizioni è divenuta indubbbiamente la più importante tra quelle che si disputano negli Stati Uniti e anche in campo internazionale ha acquisito un certo prestigio, sebbene siamo comunque lontani dai livelli del concomitante Giro d’Italia. L’esempio di ciò è rappresentato dalla start list che è assolutamente di prim’ordine per quanto riguarda i cacciatori di tappe, con la presenza di Tom Boonen e Zdeněk Štybar (Etixx-QuickStep), Mark Cavendish (Dimension Data), Alexander Kristoff (Katusha), Taylor Phinney e Greg Van Avermaet (Bmc), Bryan Coquard (Direct Énergie), John Degenkolb (Giant-Alpecin) e del nostro Niccolò Bonifazio (Trek-Segafredo) su tutti, mentre lo è decisamente meno per quel che riguarda gli uomini di classifica, dal momento che a disputarsi il successo finale saranno seconde linee come Julian Alaphilippe (Etixx-QuickStep), Tiago Machado e Jurgen Van den Broeck (Katusha), Samuel Sánchez (Bmc), Andrew Talansky (Cannondale), Julián Arredondo e Haimar Zubeldia (Trek-Segafredo), Laurens Ten Dam (Giant-Alpecin) e, la citazione è d’obbligo quantomeno perchè si era imposto nel 2014 anche se non è certamente tra i favoriti attuali, Bradley Wiggins, alla guida del team che porta il suo nome. Non vanno, comunque, dimenticati i tanti corridori nordamericani poco conosciuti all’estero ma che rendono al meglio sulle strade di casa, in quello che per loro è il principale appuntamento della stagione. Detto questo la stella indiscussa di questo Giro di California è indubbiamente Peter Sagan (Tinkoff), che nelle precedenti 6 edizioni ha collezionato ben 13 successi di tappa e che nel 2015, complice anche un percorso non durissimo in seguito al maltempo che costrinse gli organizzatori a tagliare le tappe di montagna, è riuscito addirittura ad imporsi nella classifica generale al termine di un duello all’ultimo sangue con Alaphilippe.
Fin da subito bisogna aggiornare il “tassametro” per il campione del mondo, che si è aggiudicato in maniera imperiosa la prima tappa, conclusasi come prevedibile con un arrivo a ranghi compatti. A 5 km dal traguardo, infatti, Daniel Patten (Team Wiggins) e Jacob Rathe (Jelly Belly), rimasti soli al comando dopo aver distanziato i compagni d’avventura iniziali – Daniel Eaton (UnitedHealthcare), Joonas Henttala (Novo Nordisk), Danny Pate (Rally Cycling), Michael Sheehan (Jelly Belly) e Oscar Clark (Holowesko-Citadel), insieme ai quali avevano acquisito un vantaggio massimo intorno ai 6′ – sono stati riassorbiti dal plotone e ne è scaturita una volata in cui, sia per via del forte vento contrario che per la larghezza della carreggiata che dava un po’ a tutti la possibilità di portarsi davanti, le carte si sono rimescolate più volte finchè a lanciarsi con decisione negli ultimi 200 metri è stato Dylan Groenewegen (Lotto-Jumbo), seguito da Wouter Wippert (Cannondale). I due olandesi, però, non hanno potuto fare nulla di fronte alla prepotente rimonta di Sagan che, dopo aver perso inizialmente qualche metro, li ha saltati quasi a doppia velocità andando a conquistare il successo e con esso, naturalmente, la prima maglia gialla di leader della generale. Wippert ha a sua volta avuto la meglio su Groenewegen conquistando la piazza d’onore mentre ai piedi del podio ha chiuso Coquard (atteso con curiosità anche nei prossimi giorni alla luce dei miglioramenti nelle salite non troppo impegnative che gli hanno consentito di imporsi nella classifica generale della recente 4 Giorni di Dunkerque) davanti all’altro olandese Martijn Verschoor (Novo Nordisk) e a Bonifazio che ha colto dunque il 6° posto. I grandi delusi di giornata sono stati Cavendish e Kristoff: il primo nelle precedenti due edizioni del Giro di California era sempre riuscito a conquistare la prima tappa (anche se in quelle occasioni si arrivava a Sacramento), mentre stavolta è giunto solo solo 29°; il norvegese, la cui Katusha è stata la formazione più attiva all’inseguimento ai fuggitivi, non è andato oltre il 16° posto.
La seconda tappa, 148,5 km da South Pasadena a Santa Clarita, si presta a diverse possibili soluzioni. Si parte, infatti, in salita con i 14 km al 5% che portano ad Angeles Crest e successivamente verranno affrontati altri tre gran premi della montagna, ultimo dei quali quello di Little Tuyunga Canyon a 30 km dal traguardo. Nel finale vi è, comunque, spazio per recuperare e potrebbe andare in scena uno sprint a ranghi ristretti, nel quale Sagan sarà nuovamente l’uomo da battere.

Marco Salonna

4a TAPPA: MORRO BAY – LAGUNA SECA

SAGAN SCACCIA LA NEMESI VAN AVERMAET

Testa a testa tra il campione del mondo e il belga della Bmc sull’arrivo di Laguna Seca ma, a differenza di quanto era spesso avvenuto nelle ultime due stagioni, questa volta è lo slovacco della Tinkoff a precedere il rivale nella volata del gruppetto selezionatosi nelle due salite finali, comprendente anche Gianni Moscon (14° sul traguardo), portando a 15 i suoi successi in carriera al Giro di California. Sebbene non brillantissimo nel finale, Julian Alaphilippe allunga in classifica generale dove ora conduce con 22” su Peter Stetina e 37” su George Bennett.

La quarta tappa del Giro di California, 217 km da Morro Bay a Laguna Seca, si è disputata lungo un percorso in gran parte agevole, al di là dei tre GPM di modesta difficoltà disseminati qua e là, e tutto in riva all’Oceano Pacifico ma con un finale decisamente insidioso, caratterizzato da una salita di 2a categoria ai -8 dal traguardo e una di 3a categoria ai -3M con l’arrivo posto all’interno del celebre circuito che ogni anno ospita una prova del MotoMondiale. Una frazione dunque non alla portata della maggior parte dei velocisti e questo ha incentivato i tentativi di fuga, che sono stati innumerevoli nei primi 60 km in cui nessuno è riuscito a prendere veramente il largo, tanto che Julian Alaphilippe (Etixx-QuickStep) ha potuto transitare in testa al primo sprint intermedio conquistando 3” di abbuono e rafforzando la sua leadership nella classifica generale. Uno dei corridori più attivi nel cercare di avvantaggiarsi è stato stranamente Mark Cavendish (Dimension Data), che alla fine ce l’ha fatta a prendere il largo in compagnia di Michael Mørkøv (Katusha), Ryan Anderson (Direct Energie), Timo Roosen (Lotto-Jumbo), Tanner Putt (UnitedHealthcare), William Routley (Rally Cycling) e Gregory Daniel (Axeon Hagens Berman), quest’ultimo già in grande evidenza nella tappa di ieri, nella quale era stato l’ultimo ad arrendersi al ritorno del gruppo sulla salita finale della Gibriltar Road. Gli uomini di testa, tutti piuttosto lontani in classifica generale, hanno avuto via libera dall’Etixx-QuickStep acquisendo un vantaggio massimo intorno ai 5′, ma la Tinkoff, com’era prevedibile, si è portata con decisione in testa a tirare per Peter Sagan, favoritissimo di giornata su di un finale cucito su misura per le sue caratteristiche.
I fuggitivi hanno comunque venduto cara la pelle, conservando un vantaggio ancora di 1′ ai piedi della salita di Laureles Grade sulla quale, come era avvenuto il giorno prima, Daniel ha lasciato dietro di sè i compagni d’avventura tentando di resistere in tutti i modi alla rincorsa dei big, tra i quali si è scatenata la bagarre, alla quale non ha potuto purtroppo partecipare Lachlan Morton (Jelly Belly) che, rimasto vittima di una caduta, arriverà al traguardo con un ritardo di 10′02” dicendo addio alle velleità di chiudere nelle zone alte della classifica generale, dove occupava il 7° posto. Il primo a muoversi è stato Daniel Jaramillo (UnitedHealtcare), dopo di che ci hanno prova il terzo della generale George Bennett (Lotto-Jumbo), portato avanti dal compagno Alexey Vermeulen; quindi è stata la volta del nostro Gianni Moscon (Team Sky) e di Daniel Teklehaimanot (Dimension Data), le cui azioni hanno fatto sì che il gruppo si riducesse a una ventina di atleti, comprendente tutti gli uomini di classifica ma anche Sagan e Greg Van Avermaet (Bmc) e che Daniel venisse ripreso e staccato. Sull’ultima salita, posta all’interno del circuito di Laguna Seca, hanno provato ad andarsene nell’ordine Ruben Guerreiro (Axeon Hagens Berman), Nathan Haas (Dimension Data) e il secondo della generale Peter Stetina (Trek-Segafredo), che ha tentato di mettere in difficoltà un Alaphilippe evidentemente meno brillante rispetto alla tappa di Gibraltar Road, che si è sempre mantenuto nelle retrovie del gruppetto. Tutte queste azioni non hanno comunque sortito effetti, anche perchè la Bmc, in netta superiorità numerica rispetto alle altre formazioni, ha preso decisamente in mano la situazione negli ultimi 3 km preparando lo sprint di Van Avermaet. Il belga si è posizionato in terza posizione a ruota di Haas, che è stato il primo a lanciare lo sprint, e di Sagan tentando di anticipare quest’ultimo sul rettilineo finale ma, nel momento stesso in cui ha visto il rivale alzarsi sui pedali, il campione del mondo è partito a sua volta impedendogli di superarlo per poi saltarlo e cogliere il suo secondo successo in questo Giro di California, nonchè il quindicesimo in carriera nella corsa a tappe statunitense, e prendendosi una bella rivincita nei confronti della sua bestia nera Van Avermaet, che tra il 2015 e il 2016 aveva sfidato 5 volte incassando 4 sconfitte (due tappe alle ultime due Tirreno-Adriatico, l’Omloop Het Nieuwsblad dello scorso febbraio e la frazione di Rodez al Tour de France di un anno fa). Questa volta, invece, è stato l’atleta della Bmc a doversi accontentare della piazza d’onore davanti ad Haas, al suo compagno Brent Bookwalter e ai due talenti dell’Axeon Hagens Berman Tao Gheoghegan Hart e Neilson Powless mentre Alaphilippe e Stetina, rispettivamente 10° e 11°, hanno guadagnato 3” su Bennett e su Laurens Ten Dam (Giant-Alpecin), rimasti nel secondo gruppo insieme a Moscon, 14° al traguardo, per via di un buco creatosi in volata. La nuova classifica generale vede dunque Alaphilippe portare a 22” il suo vantaggio su Stetina con Bennett 3° a 37”, Bookwalter 4° a 40”, Powless 5° a 43” e Ten Dam 6° a 49”, ma potrà subire nuove modifiche al termine della quinta tappa, 212 km da Lodi a South Lake Tahoe, che presenta un’altimetria un po’ particolare. I chilometro tra il 60° e il 140° circa sono, infatti, un lunghissimo falsopiano in salita che porta dal livello del mare fino ai 2400 metri di altitudine, dopo di che verranno affrontate le due brevi salite di Kirkwood e di Carson Pass e, soprattutto, lo strappo che porta sul traguardo, 1700 metri con una pendenza media del 5,9%.

Marco Salonna

Sagan vince la 4a tappa del Giro di California sul traguardo posto sul famoso circuito di Laguna Seca (Getty Images Sport)

Sagan vince la 4a tappa del Giro di California sul traguardo posto sul famoso circuito di Laguna Seca (Getty Images Sport)

LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXVI: GIRO DELLE FIANDRE 2016

dicembre 14, 2023 by Redazione  
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Il grande giorno che i tifosi di Sagan aspettavano è finalmente arrivato: il loro idolo il 3 aprile del 2016 riesce a inserire nel suo già prestigioso palmares una classica monumento imponendosi in solitaria nel Giro delle Fiandre, giunto alla sua 100a edizione.

PETER, IL FIANDRE È TUO! SAGAN DOMINA L’EDIZIONE NUMERO 100

Peter Sagan (Tinkoff Saxo) vince la sua prima corsa monumento che combacia proprio con l’edizione n°100 del Giro delle Fiandre. Azione decisiva all’ultimo passaggio sul Paterberg, dove Sagan si toglie dalla ruota Sep Vanmarcke, giunto poi terzo al traguardo di Oudenaarde. In seconda posizione si classifica Fabian Cancellara (Team Trek Segafredo) che dà ancora una volta una dimostrazione della sua classe all’ultimo Fiandre della sua carriera. Brutte cadute per Tiesj Benoot e Greg Van Avermaet. Italia praticamente non pervenuta, se si esclude l’inserimento di Federico Zurlo (Lampre Merida) nella fuga iniziale e qualche apparizione nel finale di Daniel Oss dopo il ritiro di Van Avermaet.

L’edizione numero 100 del Giro delle Fiandre non partiva sotto i migliori auspici, dopo gli attentati di Bruxelles e i recenti lutti di Antoine Demoitiè e Daan Myngheer. Ma il ciclismo ancora una volta ha guardato avanti e, seppur con un po’ di tristezza, ha celebrato degnamente una delle corse più sentite dagli appassionati di ciclismo. Alla partenza di Bruges si contava una folta schiera di pretendenti alla vittoria. Fari puntati in primo luogo su Fabian Cancellara, all’ultimo anno da professionista e la cui condizione, unita all’esperienza, lo poneva in pole position per il poker. Ma dall’altra parte Peter Sagan, recente vincitore della Gand-Wevelgem, era lì pronto a cogliere l’occasione propizia, come anche i più quotati ciclisti belgi di Lotto Soudal, Team BMC, Lotto NL-Jumbo e Etixx Quick Step, tra cui spiccavano i nomi di Jurgen Roelandts, Greg Van Avermaet, Sep Vanmarcke e Tom Boonen. Un’altra squadra faro, almeno alla vigilia, non poteva che essere il Team SKY, che schierava alla partenza un tridente di tutto rispetto come Michal Kwiatkowski, Ian Stannard e Geraint Thomas. E cosa dire di Alexander Kristoff, uomo di spicco del Team Katusha e vincitore nel 2015, altro bel nome da prendere in considerazione nonostante un inizio di stagione altalenante. E così i 255 km da Bruges a Oudenaarde promettevano scintille e spettacolo, con i 18 muri che aspettavano i ciclisti. I chilometri iniziali venivano letteralmente spazzati via dal gruppo, che imponeva da subito un’andatura velocissima e la fuga partiva soltanto dopo circa 70 km, grazie all’azione di sei coraggiosi, Hugo Houle (AG2 La Mondiale), Federico Zurlo (Team Lampre Merida), Imanol Erviti Ollo (Movistar Team), Wesley Kreder (Team Roompot Oranje), Gijs Van Hoecke (Topsport Vlaanderen) e Lukas Postlberger (Team Bora Argon 18). Il gruppo lasciava fare e i sei fuggitivi accumulavano un vantaggio che raggiungeva i 4 minuti. Le prime, inevitabili cadute rallentavano Sep Vanmarcke e mettevano fuori gioco Tieji Benoot, una delle punte della Lotto Soudal. In testa al gruppo erano molto attente Sky e Tinkoff. Dopo un forcing della Etixx Quick Step per mettere in difficoltà Vanmarcke, rimasto nelle retrovie, a 10 km dall’arrivo si segnalava un’altra caduta causata da uno scarto di Manuel Quinziato (Team BMC) che faceva letteralmente “strike” su molti suoi compagni di squadra: era Greg Van Avermaet ad avere la peggio – per lui frattura alla clavicola – e a dover dire addio ai sogni di gloria. Nel frattempo Erviti Ollo e Van Hoecke erano i reduci della fuga, a cui si univano Andrè Greipel (Lotto Soudal), Nils Politt (Team Katusha), Dimitri Claeys (Wanty Groupe Gobert) e Dmitriy Gruzdev (Team Astana). Il secondo passaggio sull’Oude Kwaremont e quello successivo sul Paterberg scremavano il gruppo dei migliori, che si riduceva ulteriormente a circa 40 km dall’arrivo, grazie all’iniziativa di Sep Vanmarcke sul successivo Taaienberg. Il belga della Lotto NL Jumbo rilanciava continuamente l’azione e su di lui si riportavano Michal Kwiatkowski (Team SKY) e Peter Sagan (Tinkoff Saxo). Il terzetto accumulava una quarantina di secondi di vantaggio sul gruppo di Cancellara, il cui compagno Devolder si sacrificava all’inseguimento dei fuggitivi e dei contrattaccanti. I tre contrattaccanti si riportavano sui battistrada a 24 km dall’arrivo. A questo punto il gruppo di testa, formato da otto ciclisti – tra cui si segnalava anche la presenza di Stijn Vandenbergh (Team Etixx Quick Step), che era rientrato ancora prima – provava di comune accordo a mantenere il vantaggio sul gruppo principale, formato da non più di trenta ciclisti. Iniziava così l’ultimo passaggio su Oude Kwaremont e Paterberg. Da dietro Fabian Cancellara tutto solo provava a rientrare sulla coppia di testa Sagan-Vanmarcke. Sul Paterberg Sagan accelerava e staccava Vanmarcke, che veniva a sua volta raggiunto dallo svizzero. Sagan concludeva così la sua cavalcata trionfale aggiudicandosi la prima corsa monumento della sua carriera. Cancellara giungeva secondo, consapevole di aver fatto tutto il possibile ed ammettendo la superiorità dello slovacco. Terza posizione per Sep Vanmarcke, mentre Kristoff regolava il gruppetto su Luke Rowe. Adesso vedremo se Sagan saprà ripetersi alla Parigi Roubaix di domenica prossima.

Giuseppe Scarfone

Sagan sfata la maledizione della maglia iridata e si impone nelledizione numero 100 del Giro delle Fiandre (foto Bettini)

Sagan sfata la maledizione della maglia iridata e si impone nell'edizione numero 100 del Giro delle Fiandre (foto Bettini)

LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXV: GAND – WEVELGEM 2016

dicembre 13, 2023 by Redazione  
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Tutti gli appassionati di ciclismo conoscono la leggenda della “maledizione del mondiale”, secondo la quale chi vince la maglia iridata avrà una stagione avara di successi l’anno successivo. Ci sono precedenti che avvalorano questa tesi, ma ci sono anche le eccezioni alla regola e Peter Sagan questa eccezione l’ha incarnata alla perfezione nel 2016. Con indosso le insegne arcobaleno conquistate a Richmond lo slovacco si ripeterà al campionato del mondo, vincerà la prima edizione dei campionati europei destinata ai professionisti, tornerà a far incetta di vittorie al Tour e vincerà la sua prima classica monumento, il Giro delle Fiandre. Nel frattempo, una settimana prima della sua affermazione nella gara fiamminga Sagan tornerà ad imporsi alla Gand-Wevelgem, già vinta nel 2013, in una giornata nella quale sulla sue gesta cadrà il velo della tragedia per la morte del corridore francese Antoine Demoitié

SAGAN(D) A WEVELGEM SPEZZA LA MALEDIZIONE: APPRENSIONE PER DEMOITIÉ, VITTIMA DI UNA MOTO

Antoine Demoitié, 25enne belga della Wanty, è stato travolto da una moto dopo una caduta in gara e versa in condizioni critiche. Una circostanza tragica e pressoché inedita che offusca una corsa spettacolare.

La bici è rischio, le fatalità dagli esiti anche tragici in uno sport del genere sono auspicabilmente limitabili ma non inevitabili: tuttavia la rabbia e l’amarezza sono difficili da tenere a freno quando un corridore giovane rischia di morire in gara per un incidente con un mezzo meccanico. Non è il primo scontro tra auto o moto al seguito ed atleti; anzi nelle ultime stagioni questi eventi infausti sono divenuti sempre più ricorrenti, il che rende ancor più grave quanto accaduto oggi, nonché del tutto inadeguata, in questo caso, la parola “fatalità”. Tutto questo specialmente a fronte di una presunta maggior attenzione alla sicurezza e salute degli atleti che, in certe circostanze, minaccia perfino di snaturare lo sport in sé (vedasi l’annullamento della tappa di montagna alla Tirreno). Quali provvedimenti o studi sono stati messi in campo per limitare un fenomeno la cui incidenza appariva preoccupante già da tempo?

Quanto alla corsa, è stata vivace e appassionante fin dalle prime battute, complice il vento che, seppur non apocalittico come nella passata edizione, ha sferzato il percorso indurendo la gara già molto lontano dal traguardo. Come da copione, è partita presto una fuga di lunga gittata, entro la quale segnaliamo Westra, l’uomo Astana in passato già dimostratosi abile sulle pietre, e Pavel Brutt della Tinkoff, eroe delle epiche evasioni su distanze interminabili. Fuor da copione, come anticipato, faceva la propria irruzione in scena il vento, che sotto l’impulso della BMC del convalescente Van Avermaet spezzava il gruppo in diversi segmenti a ben 150 km dalla linea del traguardo (dando tra l’altro adito ad alcune foto davvero spettacolari!). L’uomo più importante tra coloro che si trovano attardati è Sep Vanmarcke, che mette alla frusta la propria Lotto NL: il ricongiungimento è comunque sofferto, con gli squadroni principali ben rappresentati davanti. Finalmente ai -90 km si torna a una situazione di gruppo compatto, ma è un modo di dire: il peloton non conta più di una sessantina di atleti.

Da qui la dinamica è quella di una classica in grande stile, come la Gand è tornata ad essere con il nuovo percorso indurito e la nuova collocazione nel calendario, lasciandosi definitivamente alle spalle alcuni anni di opacità vissuti nei più recenti decenni. Basti pensare che, a fronte di un forcing continuo e pressante della Trek di Cancellara, si lancia in avanscoperta dal Monteberg (-70) un drappello di nomi di primissima qualità, con poche speranze di vedere l’arrivo, certo, ma buttando sulla bilancia tattica la spada metaforica di una minaccia concreta, e innalzando di conseguenza in modo esponenziale la durezza di una gara via via più esigente. Si tratta di Trentin, mezzapunta con licenza di colpire in casa Etixx, il campioncino della Lotto belga (non quella olandese di Vanmarcke) Tiesj Benoot, Nizzolo, l’uomo veloce della Trek, e Oss, in gara con un certo margine di libertà date le condizioni non eccelse del capitano Van Avermaet. Con loro l’irriducibile Brutt, che al momento dell’attacco aveva già nelle gambe qualcosa come 170 km di fuga. Evidentemente non gli bastavano! Brutt è un compagno di Sagan, apparso molto isolato a confronto della forza collettiva dimostrata dalla Trek, dalla BMC o dall’Etixx, ma mandarlo all’attacco poteva non essere una mossa peregrina, in modo da averlo presso la testa della gara in caso di problemi meccanici o altro.
Fatto sta che si apre una fase molto delicata, con i principali team rappresentati in questa bella azione (nella quale fa piacere contare molti italiani, in una fase storica nella quale comunque al Nord stentiamo, e specialmente sulle pietre).
Chi tirerà dietro? Ancora la Lotto NL di Vanmarcke, l’uomo forte del Belgio per il dopo Boonen, nonostante corra in una squadra olandese e sia reduce da un paio di annate piuttosto deludenti, che hanno reso il suo palmarés più ricco di podi che di vittorie. Lo sforzo sui volti degli inseguitori è agonico, collabora anche la Dimension Data per Boasson Hagen, e il momento è davvero coinvolgente, con il duello a distanza che mantiene il distacco sempre attorno ai 20”-30”. Infine l’azione viene ripresa, e in contropiede parte il russo Kuznetsov per la Katusha (tutti battitori liberi, in assenza dell’influenzato Kristoff), in una mossa solitaria di faccia al vento. Un viaggio senza speranza verso il nulla dell’entroterra belga, all’apparenza, tant’è che il gruppo lascia volentieri spazio e rifiata in attesa delle due ultime asperità di giornata, il Baneberg e l’emblematico Kemmelberg, che verrà scollinato ai -35 km dalla fine. Sul primo dei due è il già citato Vanmarcke a muoversi in prima persona, evidentemente scottato dall’essere stato tagliato fuori per ben due volte in precedenza e consapevole di non poter chiedere molto altro al suo team. Quinziato, per la BMC, lo stoppa.
È però destino che sia il Kemmelberg il muro decisivo: la durissima ascesa che combina pendenze impossibili e pietre selezione implacabile i migliori. È Cancellara a portare il primo affondo deciso che sbriciola il gruppetto dei sopravvissuti: alla sua ruota c’è però Sagan che nel punto più dura rilancia e con incredibile facilità di pedalata scollina in testa, con Fabian che tiene la ruota del campione del mondo digrignando i denti. Poco dietro c’è Vanmarcke, non all’altezza dei due fenomeni ma una spanna sopra gli altri, poi Stybar per la Etixx (Boonen, complice la grave frattura al cranio dello scorso autunno inoltrato, non sembra essere all’altezza), Van Avermaet e Luke Rowe della Sky. La discesa del Kemmelberg è crudele e selettiva quanto l’ascesa, tant’è che i buchi impalpabili dello scollinamento di fanno voragini, anche grazie all’abilità tanto di Sagan quanto di Cancellara. Solo Vanmarcke riesce a rientrare con tenacia incredibile. Gli altri preferiscono aspettare il gruppo e confidare in un inseguimento che, con oltre trenta km di pianura e falsopiani ancora da affrontare, di solito premia i grandi numeri.
Davanti si forma un poker, perché – chi si ricordava di lui? – c’è Kuznetsov, che solo soletto lì in testa alla gara si fa riprendere dal treno espresso e si accoda come umile vagoncino. Tirerà meno degli altri, è chiaro, ma qualche palata di carbone la apporterà pure lui, assai meritoriamente.
Cancellara, Vanmarcke e Sagan sono pressoché l’elite delle pietre. Tre mostri sacri, due dei quali ancora giovani peraltro, accomunati oltretutto da una smodata generosità. Vita dura là dietro per gli uomini Etixx di un immaginiamo furiosissimo Lefevére, nonostante qualche sporadico apporto da parte della FDJ (c’è Démare, che avrà smaltito i bagordi del dopo Sanremo e si dimostra dotato di un plus di classe per le grandi gare del Nord). Tanto più che questo “gran gruppo” è formato da una ventina di uomini scarsi! Per l’Etixx c’è Gaviria, alla sua seconda (!) gara in vita sua sul pavé, o giù di lì, quindi c’è anche da dire che gli altri team non sono motivatissimi a tirare per una volata contro uno sprinter puro. Eppure gli uomini della sola Etixx dovrebbero avere le forze per chiudere, sulla carta, sono tanti (cinque più Gaviria) e blasonati… ma Trentin e Stybar sono stanchi, Vanderbergh e Terpstra hanno già tirato parecchio, Boonen pare in bambola. Cancellara e Sagan hanno fin qui risparmiato le forze, pur tra piccoli problemi (Cancellara aveva forato nella prima parte di gara, Sagan ha dovuto più volte andare all’ammiraglia da solo per il rifornimento causa mancanza di compagni). Le loro trenate sono semplicemente devastanti.
Il distacco si dilata, tanto da consentire all’ultimo km un vero e proprio mexican stand-off, con tutti gli attori del quartetto a studiarsi con le pistole spianate. Cancellara ha i nervi a fior di pelle e i crampi che guizzano come pesciolini lungo i polpacci: si sbraccia contro Sagan, sembra riemergere la vecchia rivalità; e perfino Vanmarcke, che tante volte ha tolto le castagne dal fuoco a Fabian pur essendone avversario, stavolta non abbocca all’amo.
È Kuznetsov a lanciare una volata lunghissima, ma non stolta: il russo normalmente è l’apripista di Kristoff, e quando si parla di misurare i metri dopo la flamme rouge la sa molto lunga. Meno pratico di colpi di reni, ovviamente, e infatti proprio per non aver dato quell’ultimo allungo perderà il… secondo posto. Sì perché il primo è tutto per Sagan, alla faccia della maledizione iridata: e la vittoria con cui si spezza la presunta maledizione è pure specialmente simbolica, visto che se non abbiamo letto male sulle pagine dei ben informati della rete, era dai tempi di Van Looy, niente meno che l’Imperatore i persona, che nessuno vinceva la Gand con l’iride addesso. Peter prende la ruota del russo e lo salta lasciandosi tutti alle spalle in un’esultanza potente e liberatoria. Vanmarcke fa secondo, quasi al fotofinish, sull’uomo Katusha, e per Cancellara non c’è nemmeno il podio, in una classica a lui forse poco adatta e in effetti mai vinta in carriera. Tale resterà, stante che questa è l’ultima stagione dello svizzero.
Dietro Démare conferma il suo feeling con le pietre e il gran momento di forma vincendo la volata dei sopravvissuti su un Gaviria comunque eccezionale, poi Roelandts, l’affidabile uomo della Lotto belga.
Funestata da quanto riportato in apertura, è stata, in termini strettamente agonistici, una splendida Gand, e un eccezionale viatico all’imperdibile appuntamento di domenica prossima, quando il risultato finale manderà in secondo piano tutto quando è accaduto finora. È l’ora della Ronde, l’università del pavé, il Giro delle Fiandre.

Gabriele Bugada

AGGIORNAMENTO

Al momento della pubblicazione ci è giunta la triste notizia che Antoine Demoitié non ce l’ha fatta ed è deceduto nella notte

Sagan si sblocca e ottiena alla Gand-Wevelgem la sua prima vittoria stagionale (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

Sagan si sblocca e ottiena alla Gand-Wevelgem la sua prima vittoria stagionale (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXIV: MONDIALE 2015

dicembre 12, 2023 by Redazione  
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È una corsa che inseguiva dal 2011 e nella quale finora aveva conseguito come miglior risultato il secondo posto a Firenze nel 2013. Stiamo parlando del campionato del mondo, che Peter Sagan riesce finalmente a conquistare nel 2015, nonostante la sua marcia d’avvicinamento sia stata interrotta in malo modo da una caduta avvenuta un mese prima al Giro di Spagna. A Richmond, in Virginia, lo slovacco è primo, anche a dispetto della minoranza numerica della sua nazionale, che può permettersi solo tre corridori al via: sarà il primo di tre mondiali consecutivi, una sequenza di vittoria che finora non era mai riuscita a nessuno

SAGAN, ASSOLO DA URLO. PESSIMA ITALIA

Lo slovacco attacca sul penultimo strappo, si leva di ruota Gilbert e resiste nell’ultimo chilometro al ritorno del gruppo, regolato da Matthews su Navardauskas. Solo quarto Kristoff, addirittura 29° Degenkolb. Prova incolore dell’Italia, con Ulissi, Nibali e Trentin mai protagonisti e Viviani speso forse fuori tempo al terzultimo giro.

Come Cadel Evans a Mendrisio, Peter Sagan ha scelto il palcoscenico più prestigioso per scrollarsi di dosso la nomea di piazzato nelle grandi occasioni. Una fama forse precipitosamente affibbiata ad un ragazzo ancora 25enne, atteso però ormai da diverse stagioni alla prima affermazione in una classica monumento, a volte sfumata di fronte alle prodezze del Cancellara di turno, a volte gettata al vento come in alcune edizioni della Milano-Sanremo. Al Campionato del Mondo, poi, lo slovacco era sempre stato tanto temuto alla vigilia quanto impalpabile in gara, non recitando mai un ruolo da protagonista, e andando paradossalmente a cogliere l’unico piazzamento nei dieci a Firenze, nell’edizione forse a lui meno adatta.
Dopo le tante delusioni patite nelle passate edizioni, Sagan ha costruito invece, nel finale del Mondiale di Richmond, un piccolo capolavoro. Nascosto nella pancia del gruppo per 256 dei 259 km in programma, il campione di Zilina si è materializzato nelle posizioni di testa all’imbocco del sedicesimo ed ultimo passaggio sullo strappo di 23rd Street, il rettilineo in pavé che Greg Van Avermaet aveva eletto a trampolino di lancio per dare la caccia al titolo iridato e scollarsi di dosso un’etichetta non dissimile da quella del futuro vincitore. Sagan si è dapprima incollato alla sua ruota, per poi lasciarla a metà salita e attaccare a sua volta, allungando di poche biciclette sul belga e su Boasson Hagen, e scavando un solco già netto sul resto del plotone.
I due diretti inseguitori sono parsi per alcune centinaia di metri sul punto di riagganciare il battistrada, che del resto sembrava finirsi inutilmente intestardendosi a difendere i pochi spiccioli di vantaggio, anziché cercare man forte. Nella successiva discesa, però, Sagan ha dilatato i pochi metri di margine fino a trasformarli in un divario incolmabile: un fatto non certo anomalo, non fosse che la discesa in questione misurava poche centinaia di metri ed era pressoché dritta. A fare la differenza, forse, la posizione scriteriata ma redditizia assunta dallo slovacco, pedalando con il sedere sul telaio, o forse, più banalmente, un attimo di indecisione alle sue spalle.
Sbarazzatosi di Van Avermaet e Boasson Hagen, Sagan ha dovuto tuttavia ancora fare i conti con il gruppo principale, tirato da una Spagna che ancora una volta ha dovuto puntare su Valverde, e ancora una volta si è dovuta accontentare del solito piazzamento. Il rettilineo finale in leggera salita deve essere parso interminabile al leader, visibilmente appesantito, ma non al punto da non trovare nel serbatoio le energie sufficienti a rilanciare quel tanto che bastava per non finire infilzato come Franco Bitossi 43 anni fa.
Michael Matthews, anch’egli mimetizzatosi magistralmente in mezzo al gruppo fino all’ultimo istante, è comparso davanti giusto in tempo per bruciare tutti allo sprint, buono però soltanto per la medaglia d’argento. Sul gradino più basso del podio è salito il sempre sottovalutato Ramunas Navardauskas, mentre Kristoff, forse il favorito numero 1 della vigilia, è stato relegato alla medaglia di legno, giusto davanti a Valverde, incredibilmente capace di aspettare la volata anche su un percorso che consentiva di resistere anche a molti velocisti.
La top 10 è stata completata da Gerrans, Gallopin, Kwiatkowski, Rui Costa e Gilbert nell’ordine, mentre per trovare la prima bandiera italiana nell’ordine d’arrivo bisogna scendere fino alla 18a posizione di Giacomo Nizzolo, evidentemente troppo stremato per poter far valere il suo spunto veloce. Meglio, forse, sarebbe andata al più quotato e vincente tra gli sprinter azzurri, Elia Viviani, che ha però scelto di giocarsi la sua chance al terzultimo giro. Una decisione quantomeno discutibile che offre il pretesto per aprire la triste pagina della prestazione italiana.
Data l’oggettiva mancanza di un uomo intorno al quale costruire la squadra su un tracciato come quello di Richmond, Davide Cassani ha optato – in maniera a nostro giudizio del tutto condivisibile – per una formazione eclettica, forte di varie carte buone per diverse soluzioni. Di tutte queste possibili soluzioni, però, non si è visto neppure un abbozzo: Nibali si è meritato qualche inquadratura soltanto al 10° giro, quando una caduta a centro gruppo (della quale ha fatto le spese Daniel Oss, costretto al ritiro) ha favorito lo sganciamento di un drappello piuttosto nutrito, nel quale siciliano era il solo azzurro presente; Diego Ulissi non ha praticamente messo piede nella prima metà del gruppo, facendosi sistematicamente trovare in coda ad ogni passaggio sugli strappi di Libby Hill, 23rd Street e Governor Street; Matteo Trentin è stato leggermente più attivo, ma soltanto inserendosi in seconda battuta in tentativi già promossi da altri, perlopiù ormai morenti. Con Nizzolo giustamente in attesa della volata, Oss vittima della caduta, Felline sacrificato alla causa dei capitani e Bennati e Quinziato dediti all’usuale lavoro di gregariato, il solo a muoversi e a rendersi protagonista di un’azione significativa è stato, come detto, Elia Viviani.
Lo sprinter del Team Sky è stato l’ultimo ad agganciare un trenino sganciatosi al terzultimo giro su input di Ian Stannard, seguito anche da Mollema, Boonen, Kwiatkowski, Moreno e Amador. Si è trattato del primo e di fatto unico tentativo credibile di evitare una risoluzione negli ultimi 4 km, arrivato dopo la fuga della prima ora di Khripta, Sergent, Stevic, Sung Baek, Dunne, Tvetcov, King e Alzate e il successivo contrattacco di Pantano, Boivin, Siutsou e Phinney, oltre ad alcuni scatti senza conseguenze di Gesink, Kreuziger, Rodriguez e Vanmarcke.
Il drappello di Viviani ha raggiunto un vantaggio massimo di poco superiore al mezzo minuto, subendo tuttavia il prevedibile rientro del gruppo nel tratto selettivo del circuito, al penultimo giro
Per i primi tre quarti dell’ultima tornata, gli azzurri si sono incaricati di trainare il gruppo all’inseguimento di un gruppetto sganciatosi in corrispondenza del passaggio sul traguardo, comprendente fra gli altri Van Avermaet, e dei contrattaccanti Siutsou e Farrar, salvo poi essere risucchiati indietro nel momento chiave, ai piedi di Libby Hill. Mentre Stybar tentava di andarsene, con un Degenkolb fin troppo generoso alla sua ruota, il destino infausto del Mondiale azzurro era ormai segnato, con le punte che arrancavano oltre la ventesima posizione. Dopo un istante di marcamento che ha consentito al gruppo di ricompattarsi, è stata la volta dell’azione di Van Avermaet prima e di Sagan poi, e da lì delle maglie azzurre si sono perse le tracce.
Stante l’estrema facilità della critica dal divano e a posteriori, ci sembra impossibile non etichettare come pessimo il bilancio azzurro nella prova regina del Mondiale. Non ci è ovviamente dato sapere se la condotta di gara incolore sia stata dovuta ad una precisa indicazione attendista arrivata dal C.T. Cassani, o se ai suoi uomini siano semplicemente mancate le gambe, ma un eventuale chiarimento in questo senso potrebbe servire al massimo a spartire le responsabilità, non certo a rivedere un giudizio necessariamente tranciante.
L’aspetto più preoccupante del chiarissimo verdetto emesso dalla strada sulla selezione italiana è che il risultato fotografa piuttosto accuratamente lo stato attuale di un movimento ancora competitivo nelle grandi corse a tappe (anche se con soli due elementi – Nibali e Aru – davvero ai vertici mondiali) ma da anni in difficoltà nel ritagliarsi spazio nelle grandi classiche. Non dubitiamo che corridori come Trentin e Ulissi, se in giornata, o un Viviani gestito diversamente avrebbero potuto far meglio, ma non si può ignorare il fatto che l’unico risultato di prestigio in una grande classica sia arrivato quest’anno da Luca Paolini, 38 primavere sulle spalle, che in tempi neppure troppo remoti poteva al più aspirare ad un ruolo di gregario in Nazionale. Dopo Doha, che il prossimo anno dovrebbe concedere spazio ai soli velocisti, occorrerà una decisa inversione di tendenza, unita alla crescita di qualche giovane e magari alla risoluzione della crisi esistenziale di Moreno Moser, per presentarsi a Bergen in maniera più degna della Nazionale italiana.

Matteo Novarini

Peter Sagan taglia in solitaria il traguardo di Richmond (foto Tim De Waele/TDWSport.com)

Peter Sagan taglia in solitaria il traguardo di Richmond (foto Tim De Waele/TDWSport.com)

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