LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXV: GAND – WEVELGEM 2016
Tutti gli appassionati di ciclismo conoscono la leggenda della “maledizione del mondiale”, secondo la quale chi vince la maglia iridata avrà una stagione avara di successi l’anno successivo. Ci sono precedenti che avvalorano questa tesi, ma ci sono anche le eccezioni alla regola e Peter Sagan questa eccezione l’ha incarnata alla perfezione nel 2016. Con indosso le insegne arcobaleno conquistate a Richmond lo slovacco si ripeterà al campionato del mondo, vincerà la prima edizione dei campionati europei destinata ai professionisti, tornerà a far incetta di vittorie al Tour e vincerà la sua prima classica monumento, il Giro delle Fiandre. Nel frattempo, una settimana prima della sua affermazione nella gara fiamminga Sagan tornerà ad imporsi alla Gand-Wevelgem, già vinta nel 2013, in una giornata nella quale sulla sue gesta cadrà il velo della tragedia per la morte del corridore francese Antoine Demoitié
SAGAN(D) A WEVELGEM SPEZZA LA MALEDIZIONE: APPRENSIONE PER DEMOITIÉ, VITTIMA DI UNA MOTO
Antoine Demoitié, 25enne belga della Wanty, è stato travolto da una moto dopo una caduta in gara e versa in condizioni critiche. Una circostanza tragica e pressoché inedita che offusca una corsa spettacolare.
La bici è rischio, le fatalità dagli esiti anche tragici in uno sport del genere sono auspicabilmente limitabili ma non inevitabili: tuttavia la rabbia e l’amarezza sono difficili da tenere a freno quando un corridore giovane rischia di morire in gara per un incidente con un mezzo meccanico. Non è il primo scontro tra auto o moto al seguito ed atleti; anzi nelle ultime stagioni questi eventi infausti sono divenuti sempre più ricorrenti, il che rende ancor più grave quanto accaduto oggi, nonché del tutto inadeguata, in questo caso, la parola “fatalità”. Tutto questo specialmente a fronte di una presunta maggior attenzione alla sicurezza e salute degli atleti che, in certe circostanze, minaccia perfino di snaturare lo sport in sé (vedasi l’annullamento della tappa di montagna alla Tirreno). Quali provvedimenti o studi sono stati messi in campo per limitare un fenomeno la cui incidenza appariva preoccupante già da tempo?
Quanto alla corsa, è stata vivace e appassionante fin dalle prime battute, complice il vento che, seppur non apocalittico come nella passata edizione, ha sferzato il percorso indurendo la gara già molto lontano dal traguardo. Come da copione, è partita presto una fuga di lunga gittata, entro la quale segnaliamo Westra, l’uomo Astana in passato già dimostratosi abile sulle pietre, e Pavel Brutt della Tinkoff, eroe delle epiche evasioni su distanze interminabili. Fuor da copione, come anticipato, faceva la propria irruzione in scena il vento, che sotto l’impulso della BMC del convalescente Van Avermaet spezzava il gruppo in diversi segmenti a ben 150 km dalla linea del traguardo (dando tra l’altro adito ad alcune foto davvero spettacolari!). L’uomo più importante tra coloro che si trovano attardati è Sep Vanmarcke, che mette alla frusta la propria Lotto NL: il ricongiungimento è comunque sofferto, con gli squadroni principali ben rappresentati davanti. Finalmente ai -90 km si torna a una situazione di gruppo compatto, ma è un modo di dire: il peloton non conta più di una sessantina di atleti.
Da qui la dinamica è quella di una classica in grande stile, come la Gand è tornata ad essere con il nuovo percorso indurito e la nuova collocazione nel calendario, lasciandosi definitivamente alle spalle alcuni anni di opacità vissuti nei più recenti decenni. Basti pensare che, a fronte di un forcing continuo e pressante della Trek di Cancellara, si lancia in avanscoperta dal Monteberg (-70) un drappello di nomi di primissima qualità, con poche speranze di vedere l’arrivo, certo, ma buttando sulla bilancia tattica la spada metaforica di una minaccia concreta, e innalzando di conseguenza in modo esponenziale la durezza di una gara via via più esigente. Si tratta di Trentin, mezzapunta con licenza di colpire in casa Etixx, il campioncino della Lotto belga (non quella olandese di Vanmarcke) Tiesj Benoot, Nizzolo, l’uomo veloce della Trek, e Oss, in gara con un certo margine di libertà date le condizioni non eccelse del capitano Van Avermaet. Con loro l’irriducibile Brutt, che al momento dell’attacco aveva già nelle gambe qualcosa come 170 km di fuga. Evidentemente non gli bastavano! Brutt è un compagno di Sagan, apparso molto isolato a confronto della forza collettiva dimostrata dalla Trek, dalla BMC o dall’Etixx, ma mandarlo all’attacco poteva non essere una mossa peregrina, in modo da averlo presso la testa della gara in caso di problemi meccanici o altro.
Fatto sta che si apre una fase molto delicata, con i principali team rappresentati in questa bella azione (nella quale fa piacere contare molti italiani, in una fase storica nella quale comunque al Nord stentiamo, e specialmente sulle pietre).
Chi tirerà dietro? Ancora la Lotto NL di Vanmarcke, l’uomo forte del Belgio per il dopo Boonen, nonostante corra in una squadra olandese e sia reduce da un paio di annate piuttosto deludenti, che hanno reso il suo palmarés più ricco di podi che di vittorie. Lo sforzo sui volti degli inseguitori è agonico, collabora anche la Dimension Data per Boasson Hagen, e il momento è davvero coinvolgente, con il duello a distanza che mantiene il distacco sempre attorno ai 20”-30”. Infine l’azione viene ripresa, e in contropiede parte il russo Kuznetsov per la Katusha (tutti battitori liberi, in assenza dell’influenzato Kristoff), in una mossa solitaria di faccia al vento. Un viaggio senza speranza verso il nulla dell’entroterra belga, all’apparenza, tant’è che il gruppo lascia volentieri spazio e rifiata in attesa delle due ultime asperità di giornata, il Baneberg e l’emblematico Kemmelberg, che verrà scollinato ai -35 km dalla fine. Sul primo dei due è il già citato Vanmarcke a muoversi in prima persona, evidentemente scottato dall’essere stato tagliato fuori per ben due volte in precedenza e consapevole di non poter chiedere molto altro al suo team. Quinziato, per la BMC, lo stoppa.
È però destino che sia il Kemmelberg il muro decisivo: la durissima ascesa che combina pendenze impossibili e pietre selezione implacabile i migliori. È Cancellara a portare il primo affondo deciso che sbriciola il gruppetto dei sopravvissuti: alla sua ruota c’è però Sagan che nel punto più dura rilancia e con incredibile facilità di pedalata scollina in testa, con Fabian che tiene la ruota del campione del mondo digrignando i denti. Poco dietro c’è Vanmarcke, non all’altezza dei due fenomeni ma una spanna sopra gli altri, poi Stybar per la Etixx (Boonen, complice la grave frattura al cranio dello scorso autunno inoltrato, non sembra essere all’altezza), Van Avermaet e Luke Rowe della Sky. La discesa del Kemmelberg è crudele e selettiva quanto l’ascesa, tant’è che i buchi impalpabili dello scollinamento di fanno voragini, anche grazie all’abilità tanto di Sagan quanto di Cancellara. Solo Vanmarcke riesce a rientrare con tenacia incredibile. Gli altri preferiscono aspettare il gruppo e confidare in un inseguimento che, con oltre trenta km di pianura e falsopiani ancora da affrontare, di solito premia i grandi numeri.
Davanti si forma un poker, perché – chi si ricordava di lui? – c’è Kuznetsov, che solo soletto lì in testa alla gara si fa riprendere dal treno espresso e si accoda come umile vagoncino. Tirerà meno degli altri, è chiaro, ma qualche palata di carbone la apporterà pure lui, assai meritoriamente.
Cancellara, Vanmarcke e Sagan sono pressoché l’elite delle pietre. Tre mostri sacri, due dei quali ancora giovani peraltro, accomunati oltretutto da una smodata generosità. Vita dura là dietro per gli uomini Etixx di un immaginiamo furiosissimo Lefevére, nonostante qualche sporadico apporto da parte della FDJ (c’è Démare, che avrà smaltito i bagordi del dopo Sanremo e si dimostra dotato di un plus di classe per le grandi gare del Nord). Tanto più che questo “gran gruppo” è formato da una ventina di uomini scarsi! Per l’Etixx c’è Gaviria, alla sua seconda (!) gara in vita sua sul pavé, o giù di lì, quindi c’è anche da dire che gli altri team non sono motivatissimi a tirare per una volata contro uno sprinter puro. Eppure gli uomini della sola Etixx dovrebbero avere le forze per chiudere, sulla carta, sono tanti (cinque più Gaviria) e blasonati… ma Trentin e Stybar sono stanchi, Vanderbergh e Terpstra hanno già tirato parecchio, Boonen pare in bambola. Cancellara e Sagan hanno fin qui risparmiato le forze, pur tra piccoli problemi (Cancellara aveva forato nella prima parte di gara, Sagan ha dovuto più volte andare all’ammiraglia da solo per il rifornimento causa mancanza di compagni). Le loro trenate sono semplicemente devastanti.
Il distacco si dilata, tanto da consentire all’ultimo km un vero e proprio mexican stand-off, con tutti gli attori del quartetto a studiarsi con le pistole spianate. Cancellara ha i nervi a fior di pelle e i crampi che guizzano come pesciolini lungo i polpacci: si sbraccia contro Sagan, sembra riemergere la vecchia rivalità; e perfino Vanmarcke, che tante volte ha tolto le castagne dal fuoco a Fabian pur essendone avversario, stavolta non abbocca all’amo.
È Kuznetsov a lanciare una volata lunghissima, ma non stolta: il russo normalmente è l’apripista di Kristoff, e quando si parla di misurare i metri dopo la flamme rouge la sa molto lunga. Meno pratico di colpi di reni, ovviamente, e infatti proprio per non aver dato quell’ultimo allungo perderà il… secondo posto. Sì perché il primo è tutto per Sagan, alla faccia della maledizione iridata: e la vittoria con cui si spezza la presunta maledizione è pure specialmente simbolica, visto che se non abbiamo letto male sulle pagine dei ben informati della rete, era dai tempi di Van Looy, niente meno che l’Imperatore i persona, che nessuno vinceva la Gand con l’iride addesso. Peter prende la ruota del russo e lo salta lasciandosi tutti alle spalle in un’esultanza potente e liberatoria. Vanmarcke fa secondo, quasi al fotofinish, sull’uomo Katusha, e per Cancellara non c’è nemmeno il podio, in una classica a lui forse poco adatta e in effetti mai vinta in carriera. Tale resterà, stante che questa è l’ultima stagione dello svizzero.
Dietro Démare conferma il suo feeling con le pietre e il gran momento di forma vincendo la volata dei sopravvissuti su un Gaviria comunque eccezionale, poi Roelandts, l’affidabile uomo della Lotto belga.
Funestata da quanto riportato in apertura, è stata, in termini strettamente agonistici, una splendida Gand, e un eccezionale viatico all’imperdibile appuntamento di domenica prossima, quando il risultato finale manderà in secondo piano tutto quando è accaduto finora. È l’ora della Ronde, l’università del pavé, il Giro delle Fiandre.
Gabriele Bugada
AGGIORNAMENTO
Al momento della pubblicazione ci è giunta la triste notizia che Antoine Demoitié non ce l’ha fatta ed è deceduto nella notte

Sagan si sblocca e ottiena alla Gand-Wevelgem la sua prima vittoria stagionale (foto Tim de Waele/TDWSport.com)
LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXIV: MONDIALE 2015
È una corsa che inseguiva dal 2011 e nella quale finora aveva conseguito come miglior risultato il secondo posto a Firenze nel 2013. Stiamo parlando del campionato del mondo, che Peter Sagan riesce finalmente a conquistare nel 2015, nonostante la sua marcia d’avvicinamento sia stata interrotta in malo modo da una caduta avvenuta un mese prima al Giro di Spagna. A Richmond, in Virginia, lo slovacco è primo, anche a dispetto della minoranza numerica della sua nazionale, che può permettersi solo tre corridori al via: sarà il primo di tre mondiali consecutivi, una sequenza di vittoria che finora non era mai riuscita a nessuno
SAGAN, ASSOLO DA URLO. PESSIMA ITALIA
Lo slovacco attacca sul penultimo strappo, si leva di ruota Gilbert e resiste nell’ultimo chilometro al ritorno del gruppo, regolato da Matthews su Navardauskas. Solo quarto Kristoff, addirittura 29° Degenkolb. Prova incolore dell’Italia, con Ulissi, Nibali e Trentin mai protagonisti e Viviani speso forse fuori tempo al terzultimo giro.
Come Cadel Evans a Mendrisio, Peter Sagan ha scelto il palcoscenico più prestigioso per scrollarsi di dosso la nomea di piazzato nelle grandi occasioni. Una fama forse precipitosamente affibbiata ad un ragazzo ancora 25enne, atteso però ormai da diverse stagioni alla prima affermazione in una classica monumento, a volte sfumata di fronte alle prodezze del Cancellara di turno, a volte gettata al vento come in alcune edizioni della Milano-Sanremo. Al Campionato del Mondo, poi, lo slovacco era sempre stato tanto temuto alla vigilia quanto impalpabile in gara, non recitando mai un ruolo da protagonista, e andando paradossalmente a cogliere l’unico piazzamento nei dieci a Firenze, nell’edizione forse a lui meno adatta.
Dopo le tante delusioni patite nelle passate edizioni, Sagan ha costruito invece, nel finale del Mondiale di Richmond, un piccolo capolavoro. Nascosto nella pancia del gruppo per 256 dei 259 km in programma, il campione di Zilina si è materializzato nelle posizioni di testa all’imbocco del sedicesimo ed ultimo passaggio sullo strappo di 23rd Street, il rettilineo in pavé che Greg Van Avermaet aveva eletto a trampolino di lancio per dare la caccia al titolo iridato e scollarsi di dosso un’etichetta non dissimile da quella del futuro vincitore. Sagan si è dapprima incollato alla sua ruota, per poi lasciarla a metà salita e attaccare a sua volta, allungando di poche biciclette sul belga e su Boasson Hagen, e scavando un solco già netto sul resto del plotone.
I due diretti inseguitori sono parsi per alcune centinaia di metri sul punto di riagganciare il battistrada, che del resto sembrava finirsi inutilmente intestardendosi a difendere i pochi spiccioli di vantaggio, anziché cercare man forte. Nella successiva discesa, però, Sagan ha dilatato i pochi metri di margine fino a trasformarli in un divario incolmabile: un fatto non certo anomalo, non fosse che la discesa in questione misurava poche centinaia di metri ed era pressoché dritta. A fare la differenza, forse, la posizione scriteriata ma redditizia assunta dallo slovacco, pedalando con il sedere sul telaio, o forse, più banalmente, un attimo di indecisione alle sue spalle.
Sbarazzatosi di Van Avermaet e Boasson Hagen, Sagan ha dovuto tuttavia ancora fare i conti con il gruppo principale, tirato da una Spagna che ancora una volta ha dovuto puntare su Valverde, e ancora una volta si è dovuta accontentare del solito piazzamento. Il rettilineo finale in leggera salita deve essere parso interminabile al leader, visibilmente appesantito, ma non al punto da non trovare nel serbatoio le energie sufficienti a rilanciare quel tanto che bastava per non finire infilzato come Franco Bitossi 43 anni fa.
Michael Matthews, anch’egli mimetizzatosi magistralmente in mezzo al gruppo fino all’ultimo istante, è comparso davanti giusto in tempo per bruciare tutti allo sprint, buono però soltanto per la medaglia d’argento. Sul gradino più basso del podio è salito il sempre sottovalutato Ramunas Navardauskas, mentre Kristoff, forse il favorito numero 1 della vigilia, è stato relegato alla medaglia di legno, giusto davanti a Valverde, incredibilmente capace di aspettare la volata anche su un percorso che consentiva di resistere anche a molti velocisti.
La top 10 è stata completata da Gerrans, Gallopin, Kwiatkowski, Rui Costa e Gilbert nell’ordine, mentre per trovare la prima bandiera italiana nell’ordine d’arrivo bisogna scendere fino alla 18a posizione di Giacomo Nizzolo, evidentemente troppo stremato per poter far valere il suo spunto veloce. Meglio, forse, sarebbe andata al più quotato e vincente tra gli sprinter azzurri, Elia Viviani, che ha però scelto di giocarsi la sua chance al terzultimo giro. Una decisione quantomeno discutibile che offre il pretesto per aprire la triste pagina della prestazione italiana.
Data l’oggettiva mancanza di un uomo intorno al quale costruire la squadra su un tracciato come quello di Richmond, Davide Cassani ha optato – in maniera a nostro giudizio del tutto condivisibile – per una formazione eclettica, forte di varie carte buone per diverse soluzioni. Di tutte queste possibili soluzioni, però, non si è visto neppure un abbozzo: Nibali si è meritato qualche inquadratura soltanto al 10° giro, quando una caduta a centro gruppo (della quale ha fatto le spese Daniel Oss, costretto al ritiro) ha favorito lo sganciamento di un drappello piuttosto nutrito, nel quale siciliano era il solo azzurro presente; Diego Ulissi non ha praticamente messo piede nella prima metà del gruppo, facendosi sistematicamente trovare in coda ad ogni passaggio sugli strappi di Libby Hill, 23rd Street e Governor Street; Matteo Trentin è stato leggermente più attivo, ma soltanto inserendosi in seconda battuta in tentativi già promossi da altri, perlopiù ormai morenti. Con Nizzolo giustamente in attesa della volata, Oss vittima della caduta, Felline sacrificato alla causa dei capitani e Bennati e Quinziato dediti all’usuale lavoro di gregariato, il solo a muoversi e a rendersi protagonista di un’azione significativa è stato, come detto, Elia Viviani.
Lo sprinter del Team Sky è stato l’ultimo ad agganciare un trenino sganciatosi al terzultimo giro su input di Ian Stannard, seguito anche da Mollema, Boonen, Kwiatkowski, Moreno e Amador. Si è trattato del primo e di fatto unico tentativo credibile di evitare una risoluzione negli ultimi 4 km, arrivato dopo la fuga della prima ora di Khripta, Sergent, Stevic, Sung Baek, Dunne, Tvetcov, King e Alzate e il successivo contrattacco di Pantano, Boivin, Siutsou e Phinney, oltre ad alcuni scatti senza conseguenze di Gesink, Kreuziger, Rodriguez e Vanmarcke.
Il drappello di Viviani ha raggiunto un vantaggio massimo di poco superiore al mezzo minuto, subendo tuttavia il prevedibile rientro del gruppo nel tratto selettivo del circuito, al penultimo giro
Per i primi tre quarti dell’ultima tornata, gli azzurri si sono incaricati di trainare il gruppo all’inseguimento di un gruppetto sganciatosi in corrispondenza del passaggio sul traguardo, comprendente fra gli altri Van Avermaet, e dei contrattaccanti Siutsou e Farrar, salvo poi essere risucchiati indietro nel momento chiave, ai piedi di Libby Hill. Mentre Stybar tentava di andarsene, con un Degenkolb fin troppo generoso alla sua ruota, il destino infausto del Mondiale azzurro era ormai segnato, con le punte che arrancavano oltre la ventesima posizione. Dopo un istante di marcamento che ha consentito al gruppo di ricompattarsi, è stata la volta dell’azione di Van Avermaet prima e di Sagan poi, e da lì delle maglie azzurre si sono perse le tracce.
Stante l’estrema facilità della critica dal divano e a posteriori, ci sembra impossibile non etichettare come pessimo il bilancio azzurro nella prova regina del Mondiale. Non ci è ovviamente dato sapere se la condotta di gara incolore sia stata dovuta ad una precisa indicazione attendista arrivata dal C.T. Cassani, o se ai suoi uomini siano semplicemente mancate le gambe, ma un eventuale chiarimento in questo senso potrebbe servire al massimo a spartire le responsabilità, non certo a rivedere un giudizio necessariamente tranciante.
L’aspetto più preoccupante del chiarissimo verdetto emesso dalla strada sulla selezione italiana è che il risultato fotografa piuttosto accuratamente lo stato attuale di un movimento ancora competitivo nelle grandi corse a tappe (anche se con soli due elementi – Nibali e Aru – davvero ai vertici mondiali) ma da anni in difficoltà nel ritagliarsi spazio nelle grandi classiche. Non dubitiamo che corridori come Trentin e Ulissi, se in giornata, o un Viviani gestito diversamente avrebbero potuto far meglio, ma non si può ignorare il fatto che l’unico risultato di prestigio in una grande classica sia arrivato quest’anno da Luca Paolini, 38 primavere sulle spalle, che in tempi neppure troppo remoti poteva al più aspirare ad un ruolo di gregario in Nazionale. Dopo Doha, che il prossimo anno dovrebbe concedere spazio ai soli velocisti, occorrerà una decisa inversione di tendenza, unita alla crescita di qualche giovane e magari alla risoluzione della crisi esistenziale di Moreno Moser, per presentarsi a Bergen in maniera più degna della Nazionale italiana.
Matteo Novarini

Peter Sagan taglia in solitaria il traguardo di Richmond (foto Tim De Waele/TDWSport.com)
LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXIII: VUELTA A ESPAÑA 2015
Non sembra una stagione fortunata per Sagan quella del 2015. Dopo aver deluso le sue e altrui aspettative alle classiche torna a casa quasi a secco anche dal Tour de France, dove incassa un’infinita sequela di piazzamenti (ben 5 secondi posti e due terzi), che almeno gli consentono di conquistare per il quarto anno consecutivo la classifica a punti. Poi lo slovacco va alla Vuelta, che vuole disputare in previsione del campionato del mondo, e qui le cose sembrano andare meglio perchè vince in volata a Málaga la terza tappa. Ma il destino è in agguato sotto forma di una caduta che lo costingerà al ritiro sei giorni più tardi. Mondiale a rischio?
3a TAPPA: MIJAS – MÁLAGA
SAGAN SFRECCIA A MALAGA. CHAVES CONSERVA LA MAGLIA “ROJA”
Dopo l’espulsione di Nibali alla fine della terza tappa per traino irregolare, Peter Sagan (Tinkoff Saxo) fa sua la terza tappa con una volata poderosa a Malaga, battendo Nacer Bouhanni (Team Cofidis) e John Degenkolb (Team Giant Alpecin). Sesta posizione per Kristian Sbaragli (MTN – Qhubeka). Chaves resta in maglia “roja” alla vigilia di una tappa dal finale insidioso.
Non possiamo dare conto della terza tappa della Vuelta 2015 tra Mijas e Malaga di 158,4 km senza prima soffermarci sulla strascichi che hanno infiammato la tappa di ieri. Ebbene, il traino irregolare all’ammiraglia Astana di cui ha usufruito Vincenzo Nibali ha fatto prendere la decisione più drastica, ma evidentemente inevitabile, alla giuria, che ha espulso il siciliano dalla Vuelta. Nibali ha in serata chiesto scusa, ma questo evento resterà una macchia nella sua carriera, anche perché almeno nel recente passato è la prima volta che un ciclista di prima fascia viene sanzionato in questo modo. Adesso l’Astana dovrà ricompattarsi attorno a Fabio Aru, il quale avrà certamente più libertà d’azione e diventerà il capitano vero e proprio. Sempre in casa Astana è da registrare la stoica resistenza di Paolo Tiralongo che, nonostante botte evidenti allo zigomo e all’arcata sopraccigliare sinistra con annesse fasciature (anche questi “regalini” della caduta di ieri), è partito stamattina da Mijas. Una partenza a razzo, se si pensa che già al km 2 la fuga di giornata prendeva vigore, sotto l’azione di Sylvain Chavanel (IAM Cycling), a cui si accodavano altri sette ciclisti: Alexis Gougeard (Ag2r-La Mondiale), Omar Fraile (Caja Rural-Seguros RGA), Natnael Berhane (MTN-Qhubeka), Ilia Koshevoy (Lampre-Merida), Maarten Tjallingii (LottoNL-Jumbo), Walter Pedraza (Team Colombia) e Martin Velits (Etixx-Quick Step). La prima asperità veniva affrontata al km 14 e Omar Fraile transitava per primo sul GPM di terza categoria dell’Alto de Mijas. L’Orica GreenEDGE faceva l’andatura e manteneva il ritardo sui fuggitivi al di sotto dei tre minuti. Al km 42 purtroppo Paolo Tiralongo era costretto al ritiro: le ferite si facevano sentire e quindi l’Astana restava con sette uomini. Il secondo GPM era nuovamente conquistato da Fraile che diventava così il nuovo leader della classifica GPM. La fuga raggiungeva il vantaggio massimo di 4 minuti e 20 secondi dopodiché le squadre dei velocisti iniziavano ad alternarsi in testa al gruppo per riprendere la fuga. Si segnalava, a circa 40 km dall’arrivo, una caduta di Daniele Bennati (Tinkoff Saxo) e Nacer Bouhanni (Team Cofidis), quest’ultimo già coinvolto nel capitombolo generale di ieri. Gougeard e Tjallingii erano gli ultimi due componenti della fuga ad arrendersi al ritorno del gruppo. La fuga veniva ripresa definitivamente a meno 14 km dall’arrivo. Iniziavano così le grandi manovre per la volata. Il grande lavoro della Tinkoff Saxo veniva premiato da Peter Sagan che impostava una volata di grande potenza, alla quale né Bouhanni né Degenkolb riuscivano ad opporsi, dovendo accontentarsi del secondo e del terzo posto. Il campione slovacco fa finalmente sua una tappa di un GT nel 2015 dopo aver vinto la maglia verde al Tour ma senza vittorie di tappa. Da registrare, nella top ten, il sesto posto di Kristian Sbaragli (MTN – Qhubeka). La classifica generale non cambia rispetto alla tappa di ieri ed Esteban Chaves (Orica GreenEDGE) mantiene agevolmente la maglia “roja”. Domani la quarta tappa sfiora i 210 km e l’arrivo a Vejer de la Frontera promette scintille tra i big, visto che a meno 4 km dall’arrivo è presente un muro vero e proprio al 15 % di pendenza media.
Giuseppe Scarfone

Dopo un digiuno durante ben 3 anni, a Malaga Peter Sagan torna a riassaporare la gioia del successo ottenuto in una frazione di un grande giro (foto Tim de Waele/TDWSport.com)
LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXII: TOUR DE SUISSE 2015
Il binomio California – Svizzera viene rispettato anche nel 2015: dopo aver disputato il Giro di California, dal quale Sagan torna a casa con la vittoria assoluta in classifica, il campione slovacco ritrova lo spunto vincente sulle strade del Giro di Svizzera, dove si impone in due frazioni
3a TAPPA: QUINTO – OLIVONE
SAGAN, SPUNTO VINCENTE A OLIVONE. TOM DUMOULIN RESTA IN GIALLO
Peter Sagan (Team Tinkoff Saxo) vince la terza tappa del Giro di Svizzera grazie a uno spunto vincente negli ultimi metri, favorito da un tratto di strada in discesa con diverse curve, un arrivo che calzava a pennello per il funambolo slovacco, che non si è lasciato sfuggire un’altra prestigiosa vittoria in stagione, dopo le affermazioni alla Tirrreno-Adriatico e al Giro di California. La tappa, caratterizzata da una fuga a tre in cui era presente anche Marco Marcato (Wanty Groupe Gobert), non vede la classifica generale sconvolta più di tanto, con Tom Dumoulin che conserva senza troppi problemi la maglia gialla
Dopo essersi finalmente sbloccato alla Tirreno-Adriatico e dopo aver vinto proprio all’ultima tappa il Giro di California, Peter Sagan vince la terza frazione del Giro di Svizzera, favorito da un finale adattissimo alle sue caratteristiche. Il Ticino ha fatto da sfondo alla terza tappa del Giro di Svizzera, una frazione originariamente più lunga, ma accorciata a 110 km nelle scorse settimane a causa di problemi di viabilità che avevano interessato alcune zone del percorso. Nonostante il ‘taglio’, già sul GPM del Passo del San Gottardo (18,8 km al 5,8 %) si assistevano a scatti e controscatti nel gruppo per portare via una fuga. Riuscivano nell’intento Stefan Denifl (IAM Cycling) e Marco Marcato (Wanty Groupe Gobert): l’austriaco transitava primo sul GPM suddetto e nella lunga discesa verso il fondovalle riusciva a raggiungere la coppia di testa il bielorusso Samoilau (CCC Sprandi). La fuga veniva così composta da tre ciclisti, mentre il gruppo lasciava fare e il loro vantaggio aumentava fino a quasi 5 minuti, registrati a 30 Km dall’arrivo, dopodichè Orica-GreenEDGE e Tinkoff-Saxo iniziavano a imporre un ritmo sensibilmente più elevato, tant’è vero che nel giro di 10 Km dimezzavano il vantaggio dei tre fuggitivi. Ai meno 20 iniziava il GPM di seconda categoria di Leontica, 5 km al 7% con le pendenze più arcigne soprattutto nel tratto iniziale dell’ascesa. La fuga perdeva il primo pezzo, ovvero Marco Marcato, che non riusciva a tenere le ruote dei due compagni. Il gruppo controllava sulle prime rampe, mentre anche oggi si segnalava il lento defilarsi di Michal Kwiatkowski (Etixx Quick Step). Marcato era, dunque, il primo ad essere ripreso, ai meno 17. Allo scollinamento la coppia di testa non aveva più di 35 secondi sul gruppo, adesso piuttosto ridotto numericamente. La fuga si concludeva ai meno 9 quando, durante la successiva ascesa verso il GPM di 3° categoria di Aquila, Michael Albasini (Orica GreenEDGE) e Jan Bakelants (Team AG2R) riprendevano Denifl e Samoilau e rilanciavano l’azione. Il gruppo, sempre tirato dalla Tinkoff-Saxo, teneva però i due davanti nel mirino. Sergio Henao (Tean SKY) partiva dal gruppo, seguito da Winner Anacona (Team Movistar). Bakelants riusciva per il rotto della cuffia a scollinare per primo sul GPM di Aquila. Il gruppetto di testa, ridotto a non più di una trentina di unità, era ormai a 5 km dall’arrivo. La strada era comunque ancora in leggera salita e gli scatti continuavano. Era ancora Albasini a provarci ai meno 4, ma nel suo caso era il canto del cigno perché si rialzava quasi subito. Ai meno 3 un terzetto composto da Jérôme Coppel (IAM Cycling), Steve Morabito (FDJ.fr) e Miguel Angel López Moreno (Team Astana) rilanciava l’azione ma il gruppo rinveniva su di loro ai meno 2, sempre con la Tinkoff-Saxo davanti. Era questa volta Peter Sagan a controllare le prime posizioni del gruppo ed a chiudere gli scatti in prima persona. Il finale, una serpentina di curve e controcurve in discesa, era un invito a nozze per il campione slovacco, che prendeva il comando e precedeva “Dani” Moreno (Team Katusha) e Thibaut Pinot (FDJ.fr). In classifica generale Tom Dumoulin, oggi quinto, conserva agevolmente la prima posizione, anche se, per via degli abbuoni sul traguardo, “Dani” Moreno e Peter Sagan hanno ora dall’olandese entrambi 5 secondi di ritardo. Domani è prevista una tappa dal profilo altimetrico abbastanza mosso: la Flims – Schwarzenbach di 193.2 km promette ancora spettacolo nel finale, quando i ciclisti dovranno affrontare per tre volte un circuito dominato dal non semplice strappo di Kirchberg, classificato come GPM di terza categoria. Si tratta di un gustoso aperitivo prima della tappa regina di mercoledì, con arrivo sul ghiacciaio di Solden, che segnerà in modo ancora più netto la classifica generale.
Giuseppe Scarfone
6a TAPPA: WIL – BIENNE
STAVOLTA NESSUNO DAVANTI E SAGAN FA IL BIS
Dopo le fatiche del tappone di ieri, Sagan era decisamente il favorito della tappa di oggi anche perché, rispetto ai velocisti puri, lo slovacco riesce a digerire meglio tappe come quella di ieri e in frazione come quella odierna riesce ad esprimere al meglio le sue ottime capacità di recupero. Ripresa una fuga proprio in vista dell’ultimo chilometro, lo slovacco non ha rivali e non viene saltato da nessuno, come era invece accaduto l’altro ieri.
La domanda da un milione era: chi tra i favoriti in un percorso come quello di oggi avrà recuperato meglio le fatiche del tappone?
La risposta più ovvia era Peter Sagan, ma nel ciclismo spesso un’inezia qualunque può rivoluzionare tutti i pronostici. Non è stato, comunque, il caso della tappa di oggi che ha consegnato il bis all’ottimo corridore slovacco, favorito anche dal finale bagnato.
La cosa non è stata del tutto indolore, dato che la fuga partita molto presto è stata ripresa solo in prossimità del triangolo rosso e grazie in particolare al disegno degli ultimi chilometri, decisamente sfavorevoli ad avventurieri che sui lunghi rettifili non potevano certo esprimere velocità in grado di limitare il recupero del gruppo.
Subito dopo il via ufficiale evadono in due, Axel Domont (Ag2r La Mondiale) e il polacco Marek Rutkiewicz (CCC Sprandi Polkowice): la coppia al comando viene poco dopo raggiunta da altri due avventurieri, Matej Mohorič (Cannondale – Garmin) e Jérôme Baugnies (Wanty – Groupe Gobert). Il gruppo non sembra preoccuparsi del tentativo, ma è anche plausibile che, dopo l’impegnativa tappa di ieri, le forze in gruppo inizino a scarseggiare e che le squadre avessero deciso di prendersi un giorno di pausa. In realtà, l’andatura sembra abbia lo scopo di evitare al contempo un ricongiungimento precoce, ma anche quello di non lasciare del tutto campo libero agli attaccanti.
Il vantaggio si mantiene quindi sui cinque minuti, fino a che non cominciano a fare capolino in testa la Etixx-QuickStep e la Giant-Alpecin, che cercano d’evitare che i fuggitivi possano accumulare un margine incolmabile.
Ai 25 all’arrivo avviene la svolta, quando dal gruppo partono Adriano Malori e Francisco Ventoso, entrambi in forza Movistar. L’impressione è che Ventoso, preoccupato per un possibile esito positivo della fuga, abbia chiesto ad un cronoman come Malori di aiutarlo a riportarsi sulla testa della corsa, popolata da uomini che in volata non avrebbero avuto alcuna possibilità contro di lui. Inoltre, un uomo come Malori poteva essere utile negli ultimi dieci chilometri pieni di rettilinei, per cercare di evitare il rientro del gruppo. Se si pensa che i fuggitivi sono stati ripresi solo all’ultimo chilometro, il ragionamento dei Movistar, seppur rischioso, non era del tutto da scriteriati.
Il lavoro del corridore italiano è molto generoso ma, nonostante la riduzione del gap fino a 20 secondi, il duo non riesce nell’operazione di aggancio ed è costretto ad alzare bandiera bianca. Gli ultimi dieci chilometri sono una sequela di rettilinei pianeggianti, ossia il terreno meno adatto per chi è davanti e non può raggiungere le velocità del gruppo. Niente da fare per gli attaccanti, quindi, che devono dire addio ai sogni di gloria quando erano molto vicini alla conclusione. Da segnalare alcune cadute negli ultimi chilometri.
Dall’ultima curva esce Sagan, ben lanciato da Bennati che continuava a guardarsi indietro per controllare la posizione del compagno, che taglia il traguardo per primo nettamente davanti a Roelandts e Kristoff.
Benedetto Ciccarone

Quinto successo stagionale per Peter Sagan sul traguardo di Olivone, dopo la tappa di Porto Sant'Elpidio alla Tirreno-Adriatico, le due frazioni vinte al Giro di California e la classifica generale della corsa americana (foto Tim de Waele/TDWSport.com)
LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXXI: TOUR OF CALIFORNIA 2015
Dopo una campagna nel nord fallimentare, nella quale ottiene come miglior piazzamenti due quarti posti a Sanremo e Fiandre Sagan si sposta nella “sua” California e qui torna a sorridere. Anzi, qui si troverà a sfoggiare un sorriso a 32 denti perchè stavolta non porterà a casa solo due vittorie di tappa, ma farà sua anche la classifica generale, per la prima e unica volta in carriera. Decisivi saranno gli abbuoni in palio durante l’ultima tappa, vinta da Mark Cavendish, che gli consentiranno di spodestare il francese Alaphilippe per soli 3 secondi
4a TAPPA: PISMO BEACH – AVILA BEACH
SAGAN SCODINZOLA E ROSICCHIA UN BELL’OSS
Dopo esserci andato vicinissimo nelle prime tre tappe il campione slovacco torna a finalmente a vincere in quel di Avila Beach, facendo valere le sue doti di guida della bicicletta nel tortuoso finale e precedendo Wouter Wippert e Mark Cavendish. Sfuma in prossimità della linea bianca il sogno del trentino della BMC, scattato in corrispondenza dell’ultimo chilometro e 8° al traguardo, mentre Tom Skujins conserva senza patemi la maglia gialla.
La quarta tappa del Giro di California, 173,1 km da Pismo Beach ad Avila Beach, si presentava come una frazione interlocutoria con l’abbordabile ascesa di Tepusquet Canyon, distante peraltro 90 km dal traguardo, come unica difficoltà altimetrica di giornata. A rappresentare una variabile poteva essere il vento laterale, ma in realtà non vi sono state raffiche di tali portata da poter creare scompiglio nel gruppo e pertanto la corsa ha avuto un andamento tranquillo, con le consuete scaramucce iniziali per entrare in fuga finchè non è nata l’azione di William Clarke (Drapac), Kiel Reijnen (UnitedHealthCare), Jesse Anthony (Optum) e Gregory Daniel (Axeon Cycling), ai quali si è successivamente accodato Daniel Teklehaimanot (MTN-Qhubeka). I cinque sono stati tenuti sotto controllo da un gruppo guidato dapprima dalla Hincapie Racing della maglia gialla Toms Skujins e successivamente dalle varie formazioni dei velocisti come la Drapac di Tyler Farrar, la Tinkoff-Saxo di Peter Sagan e naturalmente la Etixx-QuickStep di Mark Cavendish. Un’altra compagine che si è fatta più volte vedere nelle prime posizioni è stata la Lotto-Jumbo, il cui obiettivo era quello di tenere davanti il leader per la classifica generale Robert Gesink e magari provare con l’aiuto del vento a mettere in difficoltà alcuni dei diretti rivali dell’olandese, ma in realtà il plotone si è sempre mantenuto compatto.
L’ultimo ad alzare bandiera bianca tra i battistrada, che avevano avuto un vantaggio massimo di poco superiore ai 3 minuti, è stato Teklehaimanot, che ai -30 dal traguardo si è avvantaggiato dapprima insieme a Clarke per poi proseguire tutto solo l’azione, ma anche per il 20enne statunitense non c’è stato nulla fare con il gruppo che ha completato il ricongiungimento quando mancavano 15 km. Il finale si presentava decisamente tortuoso con diverse curve, l’ultima delle quali a non più di 200 metri dal traguardo, il che rendeva pressochè impossibile per le squadre degli sprinter organizzare un treno; di ciò ha tentato di approfittare l’inesauribile Daniel Oss (Bmc) che, con indosso la maglia a pois di miglior scalatore conquistata con i continui attacchi nelle tappe precedenti, ha prodotto una grande sparata guadagnando alcune decine di metri e mantenendole fino in prossimità della linea bianca ma proprio nel finale la fatica e la strada in leggera ascesa hanno tagliato le gambe al trentino che è stato infilzato dal suo ex compagno alla Liquigas Sagan, che ha fatto valere le sue doti di guida per uscire come un proiettile dall’ultima curva e tornare finalmente, dopo i tre secondi posti consecutivi nelle prime tre frazioni, a un successo che mancava ormai dalla Tirreno-Adriatico, in quel di Porto Sant’Elpidio. Alle spalle del campione slovacco, salito peraltro a quota 12 vittorie in carriera al Giro di California, si è piazzato il non più sorprendente Wouter Wippert (Drapac) davanti a un Cavendish che non è riuscito ad approcciare lo sprint nelle posizioni di testa, al redivivo Lucas Haedo (Jamis-Hagen), a Farrar, a Jasper Stuyven (Trek), a Jean-Pierre Drucker (BMC) e a un esausto Oss, che ha dovuto dunque accontentarsi dell’8° posto.
In classifica generale Sagan riduce a 22” il suo distacco da Skujins con Rob Britton (Team SmartStop) 3° a 43”, Julian Alaphilippe (Etixx-QuickStep) e Daniel Jaramillo (Jamis-Hagens) 4° e 5° a 44” e Gesink 6° a 47”, stesso ritardo degli altri uomini che puntano al successo finale. Alla luce del percorso vallonato della quinta tappa, 154 km da Santa Barbara a Santa Clarita, Sagan potrebbe fare il bis ma sulla corsa pesa l’incognita del meteo, poichè è infatti prevista pioggia e, con essam un brusco abbassamento delle temperature, al punto che l’organizzazione ha deciso di far disputare a Santa Clarita anche la tappa successiva, una cronometro individuale originariamente prevista sul circuito del Big Bear Lake, a un’altitudine di 2000 metri.
Marco Salonna
6a TAPPA: CIRCUITO A CRONOMETRO DI SANTA CLARITA
SAGAN SBANCA A CRONO… SOGNANDO LA “CALIFORNIA”
Strepitosa prestazione del campione slovacco che domina la breve prova contro il tempo di Santa Clarita, strappa la maglia gialla a Toms Skujins e tenterà di difenderla con i denti nel duro arrivo in salita di Mount Baldy. Bene Daniele Bennati, 5° dietro a Jos Van Emden, Julian Alaphilippe e Joey Rosskopf, mentre tra gli uomini di classifica Sergio Henao e Robert Gesink guadagnano sui rivali.
La sesta tappa del Giro di California sarebbe originariamente dovuta essere una cronometro di 24,1 km con partenza e arrivo a Big Bear Lake, località situata a un’altitudine di oltre 2000 metri, ma le previste nevicate hanno persuaso gli organizzatori a farla disputare in quel di Santa Clarita, già sede d’arrivo della frazione precedente, su una distanza ridotta a 10,6 km, il che almeno sulla carta avvantaggia in chiave classifica generale quegli scalatori meno avvezzi alle prove contro il tempo. Le sorprese non sono comunque mancate, a cominciare da quella di Peter Sagan (Tinkoff-Saxo) che certamente poteva essere considerato tra i favoriti della vigilia – alla luce dell’eccellente stato di forma, delle buone prestazioni già realizzate in passato in cronometro brevi (su tutte, quella di Lugano, tappa d’apertura del Tour de Suisse 2012) e della mancanza di competitori come potevano essere Tony Martin piuttosto che Fabian Cancellara o Bradley Wiggins – ma che ha impressionato per i distacchi inflitti agli avversari. Il campione slovacco è, infatti, volato a una media di quasi 51 km/h rifilando 15” allo specialista Jos Van Emden (Lotto-Jumbo), eterna promessa del ciclismo olandese mai sbocciata compiutamente, 19” a un Julien Alaphilippe (Etixx-QuickStep) che si dimostra dunque competitivo anche in questo tipo di prove, 20” a Joey Rosskopf (Bmc), sempre performante nelle gare che si disputano oltreoceano e approdato per la prima volta quest’anno in una formazione World Tour, e 22” al compagno Daniele Bennati, che fa piacere rivedere davanti e che a sua volta ci aveva comunque già abituato in passato a buone prestazioni contro il tic-tac. Per quanto riguarda gli atleti che puntano al successo finale il migliore è stato, un po’ a sorpresa, Sergio Henao (Team Sky, 7° a 26”), seguito da Robert Gesink (Lotto-Jumbo), che sulla carta avrebbe dovuto guadagnare sul colombiano, giunto 9° a 27” appena davanti a un ancora positivo Daniel Oss (Bmc), 10° a 28”. Un buon Haimar Zubeldia (Trek) si è piazzato 16° a 35”, seguito da Lawson Craddock (Giant-Alpecin, 19° a 37”), da Peter Kennaugh (Team Sky, 22° a 39”), dall’ex maglia gialla Toms Skujins (Hincapie Racing), che si è comunque dignitosamente difeso piazzandosi 34° a 46”, da Joseph Lloyd Dombrovski (Cannondale-Garmin, 39° a 50”) e dal romagnolo Manuel Senni (Bmc) che, considerando le sue caratteristiche di scalatore puro, ha limitato i danni rispetto agli avversari diretti chiudendo 43° con un distacco di 52”.
La nuova classifica generale vede pertanto Sagan, che già aveva guadagnato diverso terreno nei giorni scorsi rispetto ai big grazie agli abbuoni, al comando con 28” su Skujins, 45” su Alaphilippe, 49” su Rosskopf, 55” su Henao e 56” su Gesink. In particolare il colombiano e l’olandese sono sulla carta in grado di annullare il gap in quel di Mount Baldy, là dove si concluderà la settima e penultima tappa al termine di una lunga ascesa che in passato ha sempre creato grande selezione, a partire dal 2012 quando a imporsi fu proprio Gesink davanti a John Darwin Atapuma e Fabio Duarte. In ogni caso Sagan, che peraltro avrà dalla sua compagni capaci di sostenerlo in salita come Jay McCarthy e Johnny Hernandez, ha già dimostrato in passato di non temere i percorsi più impegnativi quando è al top della condizione, vedi la tappa vinta in quel di Grindelwald al Giro di Svizzera 2011 dopo aver scalato le durissime rampe del Grosse Scheidegg, e farà pertanto di tutto per difendere il primato.
Marco Salonna
8a TAPPA: LOS ANGELES LIVE – PASADENA
SAGAN LA SPUNTA IN UN FINALE THRILLING
Si decide letteralmente al fotofinish il Giro di California in favore dello slovacco della Tinkoff-Saxo, che per pochi centimetri riesce a mettere la propria ruota davanti a quella di Tyler Farrar conquistando in quel di Pasadena il terzo posto di giornata e con esso i 4” di abbuono che gli consentono di scavalcare Julien Alaphilippe in classifica generale. Il successo di giornata va al solito Mark Cavendish davanti a Wouter Wippert, sul podio anche un pizzico di azzurro grazie a Daniel Oss che si aggiudica la classifica di miglior scalatore.
Per la prima volta da quando questa corsa è stata introdotta nel calendario internazionale il Giro di California è approdato all’ultima tappa, 105 km interamente pianeggianti da Los Angeles a Pasadena con un circuito finale da ripetere per 10 volte, con una situazione tutta da decidere in virtù di una classifica generale che vedeva la maglia gialla Julien Alaphilippe (Etixx-QuickStep) e il suo più diretto inseguitore Peter Sagan (Tinkoff-Saxo), peraltro atleti di spessore ma che pochissimi si sarebbero immaginati in grado di giocarsi il successo finale, separati da soli 2”, un’inezia se si considera la presenza degli abbuoni previsti, sia nello sprint intermedio posto al termine del primo giro del circuito, sia al traguardo. Per tale ragione non si è assistito alla passerella che caratterizza di consueto la frazione conclusiva di una gara a tappe ma c’è stata corsa vera fin dalle prime fasi, con la Tinkoff-Saxo impegnata nel tenere cucita la situazione e la Etixx-QuickStep che, al contrario, sarebbe stata più che soddisfatta di veder prendere il largo una fuga. Anzi, essa stessa ha tentato in diverse occasioni di promuoverla, in particolare con Yves Lampaert e Matteo Trentin, che nel tratto in linea iniziale è stato tra i più attivi al pari di Danny Pate (Team Sky) e dell’ex maglia gialla Tom Skujins (Hincapie Racing). Ma la Tinkoff-Saxo ha raggiunto il primo obiettivo di giornata riuscendo ad annullare tutti i tentativi prima dello sprint intermedio, in cui Mark Cavendish ha svolto il ruolo di gregario di lusso per Alaphilippe, transitando davanti a Sagan e al francese che ha visto comunque così ridursi a 1” il suo vantaggio sullo slovacco.
Una volta approdati a Pasadena il copione non è cambiato, con continui scatti che hanno visto protagonisti tra gli altri Christian Knees e Nathan Earle (Team Sky), Ben King (Cannondale-Garmin), l’immancabile Daniel Oss (Bmc) e ancora una volta Lampaert, ma nessuno è riuscito a fare la differenza e come era prevedibile si è arrivato in volata, con Daniele Bennati che è stato abilissimo a portarsi in testa con a ruota Sagan all’ingresso del rettilineo finale. Il 25enne di Zilina, cui bastava piazzarsi sul podio di giornata per conquistare gli abbuoni necessari a scavalcare Alaphilippe, è partito lunghissimo venendo superato da Cavendish e da Wouter Wippert (Drapac) e rimontato anche da Tyler Farrar (MTN-Qhubeka), che gli si è affiancato proprio in corrispondenza della linea bianca. A seguire ci sono stati minuti di incertezza finchè il fotofinish non ha decretato che lo statunitense non era riuscito a mettere le proprie ruote davanti a quelle dello slovacco, che pertanto ha conquistato il successo finale, mentre la Etixx-QuickStep si è almeno in parte consolata con il quarto trionfo in questi 8 giorni di gara – oltre che tredicesimo stagionale – di Cavendish.
E’ stata indubbiamente una vittoria a sorpresa quella di Sagan che è stata favorita da un campo partenti buono ma non eccezionale e da un percorso non particolarmente impegnativo, se si eccettua l’arrivo in salita di Mount Baldy. Va dato comunque atto allo slovacco, che da sempre ha avuto un grande feeling con il Giro di California, di essersi difeso alla grande in quell’occasione tanto da piazzarsi 6°, di aver dominato la crono di Santa Clarita – peraltro disputata su soli 10,6 km rispetto ai 24,1 originariamente previsti in quel di Big Bear Lake -, e di aver concluso nei primi tre tutte le altre frazioni in linea. Vedremo se questo trionfo contribuirà a rasserenare l’ambiente in squadra dopo le recenti pesanti critiche di Oleg Tinkov per via di una stagione di Sagan che fin qui era stata al di sotto delle aspettative. Alaphilippe ha chiuso 2° a 3” dimostrandosi a sua volta competitivo su tutti i terreni, con la perla del successo in cima a Mount Baldy davanti a scalatori sulla carta più quotati di lui. Terzo a 37” si è piazzato il favorito della vigilia Sergio Henao (Team Sky), che si conferma comunque tornato quello di un paio di stagioni or sono, 4° a 1′14” un ritrovato Joseph Dombrovski (Cannondale-Garmin), 5° a 1′15” un Robert Gesink (Lotto-Jumbo) cui manca sempre qualcosa per arrivare al top e 6° a 1′16” il regolarista per eccellenza Haimar Zubeldia (Trek). Per quanto riguarda le altre classifiche il 22enne Alaphilippe è stato anche il miglior giovane, Cavendish ha conquistato la graduatoria a punti e Daniel Oss quella di miglior scalatore al termine di una settimana da protagonista che lo ha a più riprese visto all’attacco, mentre la classifica a squadre è andata al Team Sky.
Marco Salonna

Un'istantanea di Peter Sagan, scattata lunga la strada della crono ''alternativa'' di Santa Clarita (Getty Images Sport)
LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXX: TIRRENO ADRIATICO 2015
Nel 2015 si dovrà aspettare il mese di marzo per vedere Sagan alzare le braccia al cielo. Nei primo scampoli della stagione il corridore slovacco non raccoglie molto e non va oltre i due secondi posti ottenuti al Giro del Qatar, mentre stavolta se ne torna a bocca asciutta anche dal Giro dell’Oman. La sua prima corsa europea è la Strade Bianche, che lo vede però concludere solo trentunesimo. L’attesa affermazione arriva nella penultima tappa della Tirreno-Adriatico, sul traguardo di Porto Sant’Elpidio dove già si era imposto due anni prima
6a TAPPA: RIETI – PORTO SANT’ELPIDIO
SAGAN, LA PRIMA VA IN PORTO
Il campione slovacco spezza il digiuno di inizio stagione nella sesta tappa della Tirreno-Adriatico, a Porto Sant’Elpidio, cogliendo la prima vittoria stagionale dopo una lunga serie di piazzamenti. Alle sue spalle Ciolek, Debusschere, Cort Nielsen e Richeze. La Tinkoff prova a far saltare il banco attaccando sull’ascesa di Montelparo, a 80 km dal traguardo, ma i big non si fanno sorprendere. Invariata perciò la classifica generale, alla vigilia della cronometro conclusiva.
Dopo quattro secondi posti e nove piazzamenti nei primi cinque, si è finalmente conclusa con successo la caccia di Peter Sagan alla prima vittoria stagionale, agguantata sul traguardo di Porto Sant’Elpidio. Dopo due volate perse a dispetto di brillanti rimonte, il 25enne di Zilina ha cambiato strategia all’ultima occasione utile: dopo aver sfruttato il lavoro del treno MTN – Qhubeka, quando il copione avrebbe voluto che Ciolek subentrasse a Boasson Hagen per lanciare lo sprint, davanti a tutti è balzata la maglia di campione slovacco, nemmeno minacciata dai vani tentativi di rimonta dello stesso Ciolek e di Debusschere, relegati ai gradini più bassi del podio.
La Tinkoff, non in grado di offrire a Sagan un apripista all’altezza dopo il ritiro nelle battute iniziali di Bennati, ha comunque fornito un apporto decisivo al successo del suo alfiere, sia pur con un’azione nata con ben altre intenzioni. Dopo una prima fase di tappa del tutto canonica, con la scarna fuga giornaliera promossa da Vanotti, Arashiro e Devolder tenuta agilmente sotto controllo dal gruppo, gli uomini di Alberto Contador hanno infatti provato a far saltare il banco ad un’ottantina di chilometri dal traguardo, salendo verso il Gran Premio della Montagna di Montelparo; Kreuziger, in particolare, si è incaricato di produrre un forcing che ha ridotto il plotone ad una trentina di unità appena, a dispetto della modesta lunghezza dell’ascesa (5 km e mezzo) e delle pendenze tutt’altro che proibitive (media del 4.6%). Nessuno dei big, tuttavia, è finito nella trappola di Riis, rendendo inutile qualsiasi tentativo di dar seguito all’iniziativa.
Pur non riuscendo a sovvertire le gerarchie della Tirreno, l’offensiva degli uomini di Contador ha comunque tagliato fuori dai giochi una manciata di velocisti: primo fra tutti Mark Cavendish, senza dimenticare Sacha Modolo e Tyler Farrar, rimasti troppo attardati anche per far parte dei molti gruppetti riportatisi via via su quello dei favoriti.
Altro effetto collaterale della sgasata dei Tinkoff è stato quello di alterare il consueto canovaccio dell’ultimo quarto di corsa: la fuga, invece di essere riassorbita dai treni già lanciati, si è spenta già a 50 km dal traguardo, spianando la strada a possibili contrattacchi. Il primo, ai -35, in occasione del primo passaggio sullo strappetto prosaicamente denominato “Rotatoria zona industriale” (in questo senso si potrebbe imparare qualcosa dai francesi, maestri nel partorire i nomi più evocativi per le côtes più insignificanti), lo ha prodotto proprio uno degli attaccanti della prima ora, Alessandro Vanotti, ben presto imitato da Alexis Vuillermoz.
I due si sono subito ricongiunti, dando vita ad un sodalizio durato lo spazio di una quindicina di chilometri. Alla vista di un Vanotti comprensibilmente esausto, il francese ha provato a mettersi in proprio nell’ultima tornata, senza tuttavia riuscire ad estendere il proprio vantaggio oltre una ventina di secondi, agilmente annullati dal plotone intorno ai -3. La MTN – Qhubeka, fiutando il colpaccio, ha preso in mano le operazioni come la miglior Saeco dell’era Cipollini, ma Ciolek non si è rivelato all’altezza del Re Leone, cedendo il passo ad un Sagan che trova con perfetto tempismo un’importante iniezione di fiducia, all’alba della settimana della Sanremo.
Alla vigilia dei 10 km a cronometro di San Benedetto del Tronto, la classifica generale mantiene la fisionomia stabilita dal Terminillo, sulla cui scalata in mezzo alla neve le polemiche non sono cessate neppure oggi. Malgrado Quintana e Contador abbiano provveduto a spegnere sul nascere la discussione, etichettando come fattibile l’ascesa subito dopo la linea del traguardo (e se il colombiano poteva parlare per interesse, lo spagnolo ha elegantemente scansato una facile giustificazione per una prova deludente), non sono mancati i tweet polemici dei soliti aspiranti sindacalisti e mancati tronisti. Una polemica che speriamo non getti ombre sul meritatissimo successo che Quintana si appresta a cogliere, ritrovandosi a poter gestire un margine di 39’’ su Mollema e 48’’ su Uran.
L’olandese e il colombiano potrebbero scambiarsi le posizioni, ma il primo non dovrebbe aver problemi a difendere il posto sul podio, dal momento che Pinot (4° a 57’’) non offre maggiori garanzie contro il tempo, e Contador, 5°, è chiamato a recuperare 24’’. Più interessante, forse, la sfida per il successo parziale, che vedrà Cancellara in caccia della rivincita dopo la sconfitta sul filo di lana incassata da Malori a Lido di Camaiore.
Matteo Novarini

Peter Sagan urla la sua gioia sul traguardo di Porto Sant'Elpidio
LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXIX: TOUR DE SUISSE 2014
Sembra quasi un incontro di tennis quello instaurato da Peter Sagan tra i Giri di California e di Svizzera. Vince alla prima corsa e poi, il mese successivo, eccolo ribattere con una o più affermazioni nella confederazione elvetica. Era successo per la prima volta nel 2011 e questa doppietta si è immancabilmente per sei stagioni consecutive. E così dopo la vittoria nella tappa di Pasadena al California, ecco l’atteso successo al Tour de Suisse, dove lo slovacco si impone sul traguardo di Heiden
SAGAN BUONA LA SECONDA. MARTIN ESCE INDENNE DA UNA TAPPA INSIDIOSA
Peter Sagan, dopo la mezza delusione di ieri, precede l’idolo di casa Albasini sul traguardo di Heiden in un finale molto simile a quello della tappa di Seraing al Tour di due anni fa, che già lo aveva visto trionfatore. Lo slovacco resta al coperto per l’intera frazione ma, nel finale, dopo l’ultima curva secca supera Albasini, che aveva lanciato la volata, e taglia il traguardo davanti a tutti. Nessuno scossone in generale, nessuna assenza di rilievo nel gruppo principale ridotto ad una quarantina di unità.
Peter Sagan era il nome sulla bocca di tutti prima della partenza della frazione odierna. Il finale, infatti, era di quelli che si addicono allo slovacco che, due anni fa, proprio dopo aver fatto man bassa al Giro di Svizzera con 3 vittorie di tappa, vinse la frazione del Tour de France di Seraing, su un finale molto simile a quello odierno.
Tuttavia, il profilo della tappa non era di quelli del tutto tranquillizzanti per le intenzioni dello slovacco, per due ragioni se vogliamo tra di loro antitetiche. Da un lato, infatti, i continui saliscendi in tipico stile “mangia e bevi” della seconda parte della tappa potevano far presagire tentativi di attacchi anche da parte di uomini di classifica, vista la scarsità di salite sulle quali fare la differenza; dall’altro non era del tutto scontato che qualche velocista (Degenkolb su tutti) riuscisse a stringere i denti nel finale e mantenere le prime posizioni per poi infilare gli avversari allo sprint.
Dopo venticinque chilometri dal via, prendono l’iniziativa in due, Martin Kohler (BMC) e Steven Kruijswijk (Belkin), che escono dal gruppo in cerca di fortuna, non riuscendo però ad essere incisivi, anche perché la prima parte della tappa era pianeggiante ed assolutamente inadatta ad una fuga a due. Il gruppo, infatti, non ha alcuna difficoltà a controllare il vantaggio degli attaccanti, impedendo che esso assuma proporzioni preoccupanti, ed a ritornare sugli stessi quando mancano ancora molti chilometri alla conclusione.
Raggiunti i primi due avventurieri di giornata, ci provano Laurent Didier (Trek), Nino Schurter (Orica GreenEDGE), Björn Thurau (Europcar) e Danilo Wyss (BMC). La presenza di Schurter, però, è abbastanza scomoda per la fuga, dato che il ciclocrossista di casa può essere una minaccia per la maglia di Martin, trovandosi a soli 55 secondi dal leader. La Omega, infatti, non lascia più di un minuto al tentativo in questione.
A circa 40 chilometri dalla conclusione la fuga rimane orfana di Thurau, che viene ripreso dal gruppo, ma guadagna la presenza di Tosh Van Der Sande (Lotto Belisol) e di Valerio Agnoli (Astana) che vanno a fare compagnia al terzetto in testa alla corsa. Nel gruppo passano in testa gli uomini della Garmin che iniziano ad imporre un ritmo estremamente alto.
Sull’ultima salita prima dello strappo finale dalla testa perde contatto Didier, mentre il gruppo continua ad andare a tutta velocità e scollina con una manciata di secondi di ritardo dai fuggitivi. Accortosi dell’imminente rientro del gruppo, Van Der Sande prende la discesa a folle velocità tanto che Agnoli, nel tentativo di riportarsi sul corridore della Lotto, fa un dritto abbastanza impressionante in una curva, cavandosela fortunatamente con un ruzzolone senza conseguenze.
L’azione di Van Der Sande paga solo in prima battuta, dato che il belga riesce a portare il proprio vantaggio sul gruppo fino a 20 secondi ma, quando il gruppo inizia a fare sul serio, vede il distacco annullarsi nel giro di 3 chilometri.
Ai meno 7 abbiamo, quindi, una situazione di gruppo compatto in attesa dello strappo finale. L’andatura si mantiene estremamente elevata e nessuno riesce a trovare lo spunto buono per andarsene. Evans tenta una tirata negli ultimi 500 metri, ma il corridore di casa Albasini riesce a sopravanzarlo ed a lanciare la volata con eccessivo anticipo. Sagan, infatti, battezza la ruota dell’elvetico e lo supera in scioltezza appena dopo l’ultima curva, posta a meno di 100 metri dal traguardo.
A dispetto dell’ottimo disegno, la tappa non ha riservato grandi emozione, né in chiave classifica generale, né in chiave fughe. I due tentativi non sono apparsi convincenti, non il primo davvero assurdo, con due soli corridori partiti dopo 25 Km, ma neppure il secondo ben più organizzato, dato che il gruppo non ha mai concesso margini di libertà sufficienti agli attaccanti. I big non si sono mossi e la cosa appare alquanto strana, dato che c’è ancora una cronometro di 25 chilometri, mentre gli arrivi in salita sono pochi e tutt’altro che impossibili. Specialmente l’ultima discesa, molto tecnica, poteva essere il terreno per tentare di dare un assetto differente alla generale, ma nessuno si è voluto scoprire, a differenza del Giro del Delfinato nel quale già dalla seconda tappa i big si sono scattati a vicenda nei denti.
Domani tappa per velocisti con due soli GPM di quarta categoria.
Benedetto Ciccarone

Sagan domina sul traguardo di Heiden, terza tappa del Tour de Suisse (foto Bettini)
LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXVIII: TOUR OF CALIFORNIA 2014
È ancora California felix per Peter Sagan, che alla corsa statunitense porta a casa un’ennesima vittoria di tappa
7a TAPPA: SANTA CLARITA – PASADENA
ARRIVA IL SIGILLO DI SAGAN SU UN PERCORSO IDEALE
Sagan non si perde l’occasione più ghiotta del California, mette la squadra a fare il forcing sulle salite della parte centrale di gara e riesce a mettere Cavendish fuori dai giochi. Prima della sua vittoria effettiva c’è stata l’esultanza di Eloy Teruel, che pensava di aver vinto dopo aver tagliato per primo il traguardo quando mancava ancora un giro per terminare il circuito cittadino. Wiggins controlla senza problemi
Se il California prevedeva una tappa adatta a Peter Sagan, quella era la frazione odierna. Da Santa Clarita a Pasadena, con due GPM nella parte centrale della gara e la cima dell’ultima asperità posta a 50 Km dalla conclusione, c’era il terreno ideale per far fuori i velocisti e presentarsi sul traguardo insieme a corridori inferiori a lui allo sprint. Lo slovacco non ha sbagliato i calcoli e si è presentato nelle migliori condizioni all’appuntamento.
Anche oggi alcuni uomini hanno tentato la fuga, ma il primo tentativo, animato da Taylor Phinney della BMC, di nuovo all’attacco, Scott Zwizanski della Optum, Eloy Teruel della Jamis-Hagens Berman, Tao Geoghegan Hart della Bissell Development e Matteo Trentin dell’Omega Pharma – Quick Step, cui si è aggiunto in un secondo momento Matthew Hayman dell’Orica GreenEdge, non ha avuto fortuna ed il gruppo si è riportato abbastanza agevolmente e velocemente sugli attaccanti.
Poco dopo il ricongiugimento parte, però, un secondo tentativo nel quale è di nuovo presente Eloy Teruel, unitamente a Luis Enrique Davila della Jelly Belly, Chad Haga della Giant-Shimano, Lars Boom della Belkin, Greg Van Avermaet della BMC Benjamin King della Garmin Sharp e Isaac Bolívar Hernández della UnitedHealthcare. Questi ultimi attaccano ancora a 60 Km dall’arrivo e riescono a staccare i compagni di avventura. Sui di loro si riportano ben presto Van Avermaet e Haga e, in testa alla corsa, si forma così un quartetto. Bolívar passa primo sul secondo gran premio della montagna, mentre, da dietro, sotto le tirate della Cannondale, il gruppo recupera terreno e scollina ad un minuto e mezzo dalla testa. Molti velocisti, ivi compreso Cavendish, vengono irrimediabilmente staccati.
Nel corso della discesa, il gruppo riacciuffa Teruel e Davila e si avvicina pericolosamente ai battistrada, tra i quali si scatena la bagarre ai 15 dall’arrivo: parte Van Avermat con King a ruota, mentre gli altri non riescono a rispondere e nel gruppo passano in testa gli uomini di Wiggins.
In prossimità dell’ultimo giro, quando il gruppo è ormai a pochi secondi dai battistrada, parte Mendes, ma Teruel, che si era infilato in entrabi in tentativi di fuga, non ci sta e si riporta su di lui e sui battistrada, tagliando per primo il traguardo all’inizio dell’ultimo giro ed esultando, pensando di aver vinto. L’esultanza è piuttosto veemente e il povero Teruel ci mette un po’ per capire come stanno le cose: se ne accorgerà solo quando si vedrà superato da corridori che tirano a più non posso.
Negli ultimi chilometri non vi sono più tentativi e si va verso la volata di un gruppo che, orfano dei velocisti, vede Peter Sagan vincere con grande sicurezza davanti a Hushovd e Van Poppel e conquistare così una tappa disegnata per lui e corsa molto bene dalla sua squadra, che si è fatta carico di staccare i velocisti sulla salita più prossima all’arrivo.
Wiggins, dal canto suo, non ha nessun problema a controllare la corsa, che domani si concluderà con una tappa che, sebbene non provocherà distacchi tra gli uomini di classifica, non potrà essere considerata una normale passerella di finr giro. Il circuito di Thousand Oaks, un anello di circa 30 Km da ripetere quattro volte, prevede, infatti, l’ascesa a Rock Store, che potrebbe essere il trampolino di lancio per chi vorrà tentare di anticipare la volata, dando un’altra delusione ai velocisti.
Per la nona edizione i giochi sono ormai conclusi, ma la frazione di domani riserverà ancora momenti interessanti sui vari passaggi in vetta al GPM.
Benedetto Ciccarone

Sagan, tattica perfetta e stavolta la tappa è sua (foto Jonathan Devich)
LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXVII: TIRRENO-ADRIATICO 2014
Oltre alla Milano-Sanremo c’è un’altra prestigiosa corsa nella quale Peter Sagan teneva a far bella figura, soprattutto dopo il secondo posto nell’edizione 2013, nella quale era stata preceduto di soli 6 secondi da Moreno Moser. Stiamo parlano della Strade Bianche, alla quale torna con intenzioni “bellicose” nel 2014, ma anche stavolta deve accontentarsi della piazza d’onore, 19 secondi dopo l’arrivo vittorioso di Michał Kwiatkowski in Piazza del Campo. Sei giorni più tardi lo slovacco coglie una piccola rivalsa sul polacco precedendolo sul traguardo di Arezzo, alla terza tappa della Tirreno-Adriatico
SAGAN PAREGGIA I CONTI E KWIATKOWSKI VA IN AZZURRO
Peter Sagan con una progressione incredibile scavalca un cavallo di razza come Gilbert, che aveva lanciato la volta, e pareggia il conto aperto con Kwiatkowski alla “Strade Bianche” di sabato scorso. Il polacco, però, non resta a bocca asciutta e balza in testa alla generale grazie ai distacchi inflitti ai velocisti sul difficile chilometro finale.
Un chilometro finale che sembrava fatto apposta per ammirare una progressione di Moreno Argentin. Venticinque anni fa un traguardo del genere non sarebbe certo sfuggito al corridore di San Donà di Piave che, su arrivi di questo tipo, riusciva ad esprimere al meglio le proprie caratteristiche di uomo da classiche.
La tappa di oggi ha mandato in onda una sorta di replica della sfida tra Sagan e Kwiatkowski cui avevamo assistito sabato scorso alla “Strade Bianche”. Che Sagan non avesse gradito affatto la sconfitta, peraltro netta, subita dal polacco, era chiaro a tutti, come era chiaro che l’intenzione dello slovacco era quella di rifarsi con gli interessi, intenzione che è riuscito a porre in essere nel difficile arrivo della tappa di oggi. La sconfitta per Kwiatkowski, però, è dolce, dato che è lui il nuovo leader della generale: sul difficile chilometro finale, infatti, non solo i velocisti sono rimasti irrimediabilmente staccati, ma anche molti big hanno perso secondi, probabilmente per non rischiare cadute nelle bagarre formatasi in testa al gruppo per la vittoria.Così Urán è riuscito ad incrementare il vantaggio sugli altri favoriti per la vittoria finale, Contador è ora distanziato di 26 secondi, mentre il ritardo di Quintana è di 28 secondi.
La tappa ha visto una lunga fuga partita già dai primi chilometri. Evadono in cinque: Marco Canola, in fuga anche ieri, Nicola Boem compagno di squadra di Canola alla Bardiani-CSF, Jay Thomson (MTN-Qhubeka), Bjorn Thurau (Europcar) e Cesare Benedetti (NetAPP-Endura). L’evidente scopo di Canola era quello di aggiudicarsi i GPM di giornata, rafforzando così la propria leadership nella speciale classifica degli scalatori, scopo palesatosi allorquando, finiti i traguardi validi per il GPM, Canola si è rialzato lasciandosi riassorbire dal gruppo.
Nella prima parte di gara, la Omega Pharma controlla la corsa e non lascia molto spazio ai fuggitivi ma, dopo il GPM di Poggio alla Croce, quando Canola si rialza, il gruppo rallenta ed il vantaggio dei fuggitivi si dilata sino ad arrivare a sei minuti al primo passaggio dal traguardo.
Gli uomini Lampre si portano, quindi, al comando avendo in squadra diversi uomini con caratteristiche adatte all’arrivo di giornata, mentre davanti Thurau si lancia da solo verso l’arrivo staccando irrimediabilmente gli altri fuggitivi che, a quel punto, mollano la presa e vengono in breve riassorbiti dal gruppo.
Nonostante il ritmo ottimo di Thurau, il plotone continua irrimediabilmente a recuperare finchè il fuggitivo, a 7 Km dall’arrivo, viene ripreso definitivamente e le squadre iniziano ad organizzarsi sia per lanciare lo sprint, sia per tenere i capitani in posizioni ottimali senza rischi inutili.
Fanno un ottimo lavoro sia la Saxo-Tinkoff di Contador che la Cannondale di Sagan, ma è Tony Martin che screma il gruppo con una progressione impressionante per potenza, da grande passista quale è. Ai cinquecento metri Sagan non è in posizione ottimale, mentre Gilbert è in agguato e lancia una volata ristretta a otto atleti, dato che il resto del gruppo è rimasto staccato, seppur di pochi secondi, grazie all’accelerata di Martin.
Gilbert, però, ha fatto i conti senza l’oste, partendo decisamente troppo presto e, non riuscendo a fare il vuoto, si trova alle spalle un Peter Sagan che lo salta senza problemi e va a vincere con un netto distacco su tutti gli altri.
Kwiatkowski, che faceva parte degli otto di testa, conquista la maglia azzurra con 10 secondi di vantaggio sul compagno di squadra Urán.
La classifica si è in parte modificata dopo la tappa di oggi, ma resta, nei suoi contorni fondamentali, disegnata sulla falsariga del risultato della cronometro a squadre.
La progressione di Sagan è stata davvero impressionante e di tutt’altra potenza e freschezza rispetto al timido allungo visto alla “Strade Bianche” dove Sagan era sembrato un po’ sotto tono e dove lo stesso si era arreso, sostanzialmente senza lottare, ad un super Kwiatkowski.
Da domani, invece, si inizia a fare sul serio: tre gran premi della montagna con l’arrivo in quota a Selvarotonda, sopra Cittareale. La salita finale non è durissima, ha una pendenza media del 5,3% ma gli ultimi chilometri presentano una pendenza media dell’8% ed un passaggio al 10%. Non bisogna poi dimenticare l’importante chilometraggio della frazione di domani, quasi 250 chilometri con la seconda parte della frazione che non presenterà un metro di pianura. Questi fattori ci fanno ben sperare in una tappa emozionante e ricca di colpi di scena, in cui si avrà una prima idea della possibile classifica finale della Tirreno in attesa della tappa più dura di domenica e della cronometro conclusiva.
Benedetto Ciccarone

L'urlo liberatore di Sagan in cima alla rampa di Arezzo (foto Bettini)
LA SAGA(N) DI PETER – CAPITOLO XXVI: TOUR OF OMAN 2014
Per il terzo anno consecutivo la stagione di vittorie di Sagan si apre al Giro dell’Oman, dove lo slovacco va a segno nella quarta tappa.
4a TAPPA: WADI AL ABIYAD – MINISTRY OF HOUSING
SI SBLOCCA SAGAN. PRIMA GIOIA STAGIONALE PER LO SLOVACCO
Nella quarta tappa del Tour dell’Oman si rivede vittorioso Peter Sagan (Cannondale) che, in una volata a tre, precede il colombiano Rigoberto Urán (Omega-Quick Step) e Vincenzo Nibali (Astana). In sofferenza sulle ultime asperità di giornata, André Greipel é costretto a cedere la leadership a Peter Sagan.
Funziona così da un paio di stagioni. Prima affronta almeno una corsa per sciogliere i muscoli, poi, quando Peter Sagan giunge in Oman, scioglie la riserva e vince sempre una tappa. Per come é andata negli anni scorsi dovremmo aggiungere “la prima di una lunga serie”, ma tocca al campioncino di Žilina di dimostrarlo. La lista degli obiettivi dei prossimi due mesi è lunga e contiene corse come la Milano-Sanremo, il Giro delle Fiandre e, per la prima volta, la Parigi-Roubaix; sicuramente quello che Sagan non ci farà mancare sarà lo spettacolo, e questo indipendentemente dai risultati.
Già oggi il campione della Cannondale ha fatto intravedere momenti spettacolari, in particolare durante la discesa finale, dove ha esibito, assieme a Nibali e a Urán, la sua fenomenale capacità di guidare la bicicletta e di impostare al meglio le numerose curve, per poi battere successivamente gli avversari in volata, portando a casa la prima vittoria stagionale.
Per quanto riguarda il tracciato, questa quarta tappa, che partiva da Wadi Al Abiyad per giungere dopo 173 chilometri alla sede del Ministry of Housing dell’Oman, prevedeva un percorso parecchio accidentato nella seconda parte di gara e questo per la presenza della salita di Bousher Alamrat, strappo lungo poco meno di quattro chilometri con una pendenza media del 10%, da ripetere per ben quattro volte, con la prospettiva di assistere ad una lotta tra i big della classifica.
Dopo 16 chilometri di corsa si formava la fuga che sarebbe andata a caratterizzare la prima parte di giornata e composta da quattro corridori: Popovich (Trek), Huffman (Astana), Van Avermaet (BMC) e Wallays (ennesima fuga per l’uomo della Topsport Vlaanderen). Questi battistrada raggiungevano al chilometro 50 un vantaggio massimo di oltre otto minuti, facendo allarmare gli squadroni, la Belkin e la Sky su tutte, che in poco tempo diminuivano con grande lena il distacco portandolo a livelli accettabili.
Durante la penultima scalata alla Bousher Alamrat si sfaldava il drappello in testa alla corsa con Greg Van Avermaet che, ancora fresco, se ne andava in solitaria, mentre in gruppo provava ad allungare lo spagnolo Nieve (Team Sky), soprattutto per creare selezione in funzione del proprio capitano Chris Froome. Dopo aver pedalato per alcuni chilometri a metà strada tra il fuggitivo e il gruppo, il portacolori della Sky preferiva, però, farsi riprendere da quel che rimaneva del plotone principale.
Sull’ultima scalata ad Alamrat veniva raggiunto il fuggitivo Van Avermaet, autore di un’azione dispendiosa, oltre che coraggiosa, il che è sinonimo di grande condizione, che metterà sicuramente in mostra nelle prossime gare, a partire dalle prime semi-classiche belghe. Dopo il ricongiungimento partiva di gran carriera il corridore più atteso, ovvero Chris Froome, che in poche pedalate riusciva veramente a fare il vuoto, con il solo Rigoberto Urán a ciondolare alla sua ruota. Al GPM la coppia transitava con una vantaggio di 15″ nei confronti del gruppo, che in discesa rientrava sui due al comando mettendo fine alla loro azione. Ma dopo un’azione terminata ce n’è sempre una che nasce e stavolta i protagonista erano Sagan, Nibali ed ancora Urán che, grazie ad una discesa affrontata al massimo, potevano contare negli ultimi tre chilometri su di un vantaggio che sfiorava i venti secondi. Nonostante gli sforzi del gruppo di recuperare terreno, la tappa veniva decisa da uno sprint a tre che Peter Sagan dominava piuttosto facilmente, mettendo a segno la prima affermazione stagionale.
Alle sue spalle si classificava allo stesso tempo Rigoberto Urán, mentre si piazzava al terzo posto con un ritardo di 2″, lo stesso del gruppo, Vincenzo Nibali.
Dietro il portacolori dell’Astana si posizionavano in ordine Impey (Orica-Greenedge), Gallopin (Lotto-Belisol), Moreno Fernandez (Katusha), Gavazzi (Astana), Stybar (Omega-Quick Step), Lovkvist (IAM Cycling) e Moreno Moser (Cannondale) che, per la prima volta in questa stagione, concludeva una gara nella “Top Ten” dell’ordine d’arrivo.
In classifica generale la situazione cambiava di nuovo e stavolta era Peter Sagan a vestirsi della maglia di leader, con un vantaggio di 10″ su Urán e di 14″ su Nibali.
Domani la tappa, invece, sarà ancor più dura e questo per la scelta di arrivare sulla Green Mountain, salita lunga ed impegnativa che deciderà questa edizione del Tour dell’Oman.
Paolo Terzi

Sul palcoscenico del Ministry of Housing Sagan dirige la sua prima sinfonia del 2014 (foto Tim de Waele)