KRISTOFF SORVOLA LO STERRATO E VINCE ANCHE LA SECONDA TAPPA

agosto 5, 2024 by Redazione  
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Bis di Alexandre Kristoff nella seconda frazione dell’Arctic Race of Norway. Lo sterrato e una piccola salitella nel finale non impedisco l’arrivo allo sprint, dove il capoclassifica ribadisce la sua supremanzia alla vigilia della tappa più impegnativa

Pronti, partiti, via la fuga! Inizia alla grande la seconda tappa dell’Arctic Race, la più lunga con i suoi 175
chilometri e con 4 GPM da superare. A dirla tutta solo il primo è un GPM vero, di quelli che non
sfigurerebbero al Tour: sono quasi 9 chilometri al 7%, si arriva a 637 metri di quota e la fuga è partita
subito proprio perché questa cima prestigiosa (chiamata Beiarfjellet, a chi interessa) fa gola a molti. E
infatti, chi rivediamo a sprintare sul GPM? Quello stesso Jelle Joannink che non si trova (non ancora) su
Wikipedia, ma che evidentemente ha fiutato l’occasione della vita per vincere qualcosa. Ignoti gli altri tre
compagni di fuga.
Consolidata la maglia a pois… cioè, la maglia di miglior scalatore… cioè, insomma, meglio chiamarla maglia a
pois, perché nessuno saprebbe come chiamare la maglia “pavone” di questa particolare classifica: verde
chiarissimo con tanti occhi di pavone sui due lati (una volta era solo verde, gli occhi di pavone sono
un’aggiunta recente). Basta vederne una foto per capire come mai Joannink ci tenga tanto. Insomma,
consolidata la maglia i fuggitivi si organizzano e prendono il largo. Il gruppo riposa, mentre lentamente
torna in direzione di Bodø – la località dove si era arrivati ieri – salendo su e giù dalle colline scavate dai fiordi, e supera dapprima il secondoGPM (che nelle Fiandre sarebbe chiamato “côte”: 3 chilometri al 7%), e poco dopo il ponte di Saltstraumen, già percorso ieri in senso opposto. Dicono che nelle acque sottostanti si formi un gorgo simile al leggendario Maelstroem, ma chi lo dice non ha mai visto le piene dei nostri torrenti, che di vittime ne fanno sul serio.
Passato il ponte il percorso della tappa aggira a nord il gigantesco fiordo di Skjerstad (uno dei più grandi
della Norvegia, ieri aggirato a Sud) in direzione di Fauske, dove ci sarà l’arrivo di tappa dopo un tratto di sterrato e un breve circuito. Il vantaggio dei fuggitivi, salito fino a 4 minuti, cala tra un pascolo verde e
un’antica chiesa in legno (questi particolari edifici, patrimonio Unesco, risalgono agli anni 1100-1200,
quando i Vichinghi si convertirono). La terza côte – Seljeasnes – è a 48 chilometri dall’arrivo e i fuggitivi
iniziano a battagliare. Risultato: Joannink è solo secondo e in cima passa per primo il francese Simon
Pellaud, modesto gregario con un luminoso futuro ormai alle spalle, che decide di proseguire da solo
cercando quella che sarebbe la sola vittoria prestigiosa della sua carriera. Il quarto ed ultimo GPM – il Rodas
- è suo, poi il gruppo inizia a fare sul serio e a 8 chilometri dal traguardo, dopo il stratto sterrato, Pellaud è
ripreso. Il resto, direbbero tanti, è storia (già vista): la Uno-X, specialmente con Magnus Cort, tira la volata ad Alexander Kristoff, che la vince; secondo è Van Asbroeck (ieri terzo), terzo è proprio Cort. I primi due comandano anche la classifica generale, con Kristoff che vanta 10 secondi di vantaggio grazie agli abbuoni alla vigilia della frazione più impegnativa, che prevede l’arrivo in salita sulla Jakobsbakken (7 Km al 6,2% con i primo 2 Km al 9%). Non pervenuti i soliti noti; Froome, tanto per farsi ancora del male, riesce ad arrivare a 5 minuti.

Andrea Carta

Kristoff vince anche la seconda tappa della corsa di casa (www.nieuwsblad.be)

Kristoff vince anche la seconda tappa della corsa di casa (www.nieuwsblad.be)

ARCTIC RACE OF NORWAY, IL SIPARIO SI APRE SU KRISTOFF

agosto 4, 2024 by Redazione  
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Il norvegese Alexandre Kristoff vince la prima tappa della corsa di casa precedendo in volata i belgi Fretin e Van Asbroeck. Il corridore della Uno-X Mobility è, di conseguenza, il primo leader della classifica e domani potrà tranquillamente, viste le sue doti, fare il bis nella seconda frazione della corsa disegnata a nord del Circolo Polare Artico.

Che sono 25 gradi per chi da troppo tempo vive ai 40 dell’anticiclone africano? Le poche immagini che
arrivano dall’Arctic Race of Norway ci danno, del paese scandinavo un tempo patria dei Vichinghi, una
immagine quasi paradisiaca, ben diversa da quella ancora semi invernale che ci dà, invece, il più classico Giro
di Norvegia (che si disputa a maggio): prati e colline verdi, mare e fiordi azzurri, un sole che illumina e
scalda senza far soffrire, i cervi che saltano felici. Mancano solo i corridori, che partono sonnolenti alle
14.25 e, ben sapendo di dover girare in tondo nei pressi di Bodø per tre volte prima di dirigersi al traguardo
di Rognan (meno di 50 chilometri di distanza nonostante la tappa ne misuri 155) se la prendono comoda. È
così che dopo 30 chilometri vanno in fuga 5 carneadi; dopo 100 chilometri il gruppo si dà da fare e dopo 112
chilometri sono di nuovo tutti insieme. È allora, dopo qualche ulteriore attacco poco convinto, che arriva
il “terribile” GPM del Ljosenhammeren, ben 520 metri di quota che si raggiungono dopo 8 chilometri di
durissima salita al 3,5% (o no?). Vince un piccolo sprint il giovane (beh, quasi, 27 anni) olandese Jelle
Joannink, al secondo anno da Pro: non cercate il suo nome su Wikipedia, non lo trovereste. Sbrigata questa
fastidiosa formalità, nessuno si azzarda a muoversi sino al traguardo, quando parte il prevedibile treno della
Uno-X che prepara e serve sul classico piatto d’argento (o magari d’oro) la volata all’idolo di casa Alexander
Kristoff. Nessun problema per il vecchio leone – lui c’è su Wikipedia, con Monumento, argento mondiale e
non poche tappe al Tour – in cerca di quella vittoria che qui gli è sempre sfuggita (secondo dieci anni fa),
anche se nel suo palmares c’è, invece, un giro di Norvegia. Secondo è Milan Fretin, terzo Tom Van Asbroeck,
che almeno si trovano su Wikipedia ma che hanno perso una delle pochissime occasioni della loro carriera
per vincere qualcosa. Più interessante l’elenco dei non pervenuti, tra i quali c’è Leknessund (qui vincitore
due anni fa), il nostro incredibile, immortale Pozzovivo, e – incredibile ma vero – il fantasma di Chris
Froome, uno che un tempo avrebbe vinto la corsa solo con l’alluce sinistro e che oggi deve guardare il Tour
da lontano. E forse non solo quello.
Percorso nervoso, oggi (la Norvegia non è piatta, anzi: i fiordi scavano insenature e creano continui
saliscendi in quello che altrimenti sarebbe un vasto altopiano), col GPM alla fine. Domani sarà l’opposto: un
GPM all’inizio e poi nervosismo sino alla fine. Kristoff manterrà il primato? C’è da scommetterci.

Andrea Carta

Kristoff sul podio premiazioni dopo aver vinto la prima tappa dellArctic Race of Norway (foto Arctic Race of Norway / A.S.O.)

Kristoff sul podio premiazioni dopo aver vinto la prima tappa dell'Arctic Race of Norway (foto Arctic Race of Norway / A.S.O.)

KRISTEN FAULKNER REGINA A PARIGI, SUA LA MEDAGLIA D’ORO CON UNO SCATTO NEL FINALE

agosto 4, 2024 by Redazione  
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Grazie ad uno scatto nel finale Kristen Faulkner regala la medaglia d’oro agli Stati Uniti, sorprese in vista del rettilineo d’arrivo Marianne Vos (Paesi bassi) e Lotte Kopecky (Belgio)

La prova in linea femminile delle olimpiadi viene ufficializzata con il via dato dalla francese Jeannie Longo, subito dopo scatta Awa Bamogo (Burondi) che di fatto rappresenta la prima fuga di giornata, in solitaria la Bamongo arriva tutta sola alla prima cote del tratto in linea dove il gruppo la riasorbe. Il secondo tentativo è promosso da Nora Jenčušová (Slovacchia) a cui si accodano, dopo circa 10 chilometri, le sorelle Fariba e Yulduz Hashimi (Afghanistan), Thị Thật Nguyễn (Vietnam), Hanna Tserakh (atleta neutrale indipendente) e Rotem Gafinovitz (Israele). E’ la vera fuga buona di giornata che infatti prende subito un margine importante con quasi 5’ sul gruppo. In testa al gruppo si porta l’immancabile Ellen van Dijk (Paesi bassi), gruppo che nelle sei cote del tratto in linea inizia a rosicchiare secondi preziosi. Verso la Côte du Pavé des Gardes la fuga perde pedine, davanti infatti restano soltanto Fariba Hashimi e Tserakh, dietro la prima vera fiammata è innescata dalla spagnola Mavi García a cui risponde Marianne Vos (Paesi bassi), molto attente in questa fase di corsa le italiane con Silvia Persico ed Elena Cecchini. Proprio quest’ultima all’ingresso di Parigi prova un allungo ma la Vos spegne subito il tentativo bellicoso dell’Italia, si arriva così nel circuito finale con la testa della corsa che meno di dieci secondi di vantaggio, il gruppo sembra riacciuffarle ma una caduta in una curva sulla destra ridà respiro alle fuggitive nel primo passaggio a Montmartre. La caduta spezza in gruppo in più tronconi, il gruppo davanti, di una dceina di atlete, vede la presenza di Kristen Faulkner (Stati Uniti), Lotte Kopecky (Belgio), Elisa Longo Borghini (Italia), Liane Lippert (Germania), Marta Lach (Polonia), Noemi Rüegg (Svizzera), Blanka Vas (Ungheria) tutte le atlete britanniche e tutte le atleti dei Paesi bassi tranne Marianne Vos che resta nell’immediato secondo gruppo inseguitore. Tutta sola Kopecky, vista la situazione di incertezza, si riporta tutta sola sulla testa della corsa, dietro è la britannica Deignan a tirare il gruppetto in cui si ravvisa una scarsa collaborazione a ricucire. La testa della corsa ha un vantaggio di circa 40” sul primo gruppetto, il terzo invece sembra tagliato fuori dai gioco con un ritardo che sfiora il minuto. Si arriva così al secondo passaggio di Montmartre dove prova un allungo Anna Hendersonn (Gran Bretagna) forte della superiorità numerica con le sue nazionali; nel secondo gruppo, invece, non appena iniza lo strappo è Lorena Wiebes (Paesi bassi) a provare un disperato tentativo di riportarsi nel gruppo che precede ma il tentativo risulterà vano nonostante l’auto di Kasia Niewiadoma (Polonia) e Caroline Andersson (Svezia). Il gruppetto intanto si riporta sulla testa della corsa tra il tratto in disce e la successiva pianura, resta da fare l’ultima a terza ascesa verso Montmartre, intanto a poco più di 20 dall’arrivo Elisa Longo Borghini prova uno scatto ma le otto atlete non la lasciano adare in particolare la Vos che sembra gli scappi la gamba ed infatti poco dopo è lei in prima persona a cercare un allungo ma , anche questa volta, il gruppetto torna compatto. In testa una fase di studio rallenta la corsa, fatto che permette a Henderson e Deignan di rientrare, un nuovo allungo della Vos con a ruota la straordinaria ungherese Vas sembra essere l’azione decisiva a 19 dalla conclusione, la coppia di testa guadagna ben 35 secondi, dietro nessuna sembra prendere in mano la situazione, cede infatti la Longo Borghini ed il distacco si dilata sensibilmente. Ad inseguire restano la Kopecky, Georgi, Faulkner, Rüegg e García. Sull’ultimo passaggio a Montmartre la Faulkner scatta dal gruppo inseguitore portandosi dietro solo Kopecky che riescono ai meno 3,5 chilometri a riportarsi sulla coppia di testa nonostante i cambi regolari. Le quattro atlete si studiano e in un attimo di indecisione è la Faulkner a scattare, la statunitense non si volta mai e va via di forza. Le tre restano spiazzate, anche a corto di energie, non c’è una reazione e consentono a Kristen Faulkner di arrivare tutta sola al traguardo, per lei è medaglia d’oro. La volata per l’argento è vinta dalla Vos, la medaglia di bronzo va alla Kopecky, fuori dal podio una generosissima Vas.

Antonio Scarfone

Kristen Faulkner è oro olimpico 2024 a Parigi (Photo credit: Getty Images)

Kristen Faulkner è oro olimpico 2024 a Parigi (Photo credit: Getty Images)

RE REMCO: ILLUMINISMO CICLISTICO A PARIGI, IL BELGA VINCE LA PROVA OLIMPICA SU STRADA

agosto 3, 2024 by Redazione  
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Forse era scritto in qualche angolo del cielo, lo sapevano gli angeli che attutirono la caduta di Remco Evenepoel in quel maledetto Giro di Lombardia, quegli angeli stessi forse avevavo fatto un patto celeste con il belga e lui oggi, dopo l’oro a crono, ha mantenuto la parola di farli divertire a loro come a noi appassionati di ciclismo: vincere l’oro anche nella prova su strada, come nessuno mai aveva fatto. L’unico a resistere alla fiammata di Remco, dopo il secondo giro nel circuito olimpico, è stato Valentin Madouas (Francia) ma che a lungo andare ha perso le ruote del belga riuscendo però a chiudere secondo e dare la medaglia d’argento alla Francia, in terza posizione ha chiuso un altro francese venuto fuori alla distanza ovvero Christophe Laporte bravo a regolare un gruppetto di immediati inseguitori, medaglia di bronzo e francesi che hanno ben figurato a casa propria.

La cronaca della prova olimpica su strada inizia con il via dato da Peter Sagan, è presto, sono le 11 del mattino ed i chilometri da percorrere sono 272, la prima fuga va via con Eric Manzibayo (Rwanda), Thanakhan Chaiyasombat (Thailandia), Christopher Rougier-Lagane (Mauritius), Charles Kagimu (Uganda) e Achraf Ed Doghmy (Marocco). Il gruppo lascia fare ed il loro vantaggio arriva a toccare i 15 minuti dopo 80 km di corsa, in testa al gruppo si alternano le maglie arancioni dei Paesi Bassi, quelle del Belgio e della Danimarca e timidamente quelle dell’Italia. Poco prima della Cote de Mesnuls, è l’irlandese Ryan Mullen a promuovere un contrattacco che porta via anche Georgios Bouglas (Grecia), Gleb Syritsa (atleti neutrali indipendenti) ed Elia Viviani in “allenamento” per la prove su pista, questi atlerti andranno dopo qualche chilometro a raggiungere la testa della corsa. Il gruppo intanto inizia a rosicchiare tempo prezioso e grazie soprattutto a Tiesj Benoot (Belgio), Dan Hoole (Paesi Bassi), Michael Mørkøv e Mikkel Bjerg (Danimarca) i fuggitivi sono segnali a circa 8’. La gara si accende a 105 Km dalla conclusione lungo l’ascesa della Cote de Senlisse (1.7 km al 4.6%), qui è Valentin Madouas a far capire a tutti le intenzioni bellicose della Francia, al francese rispondono sia Ben Healy (Irlnda) sia Alexey Lutsenko (Kazakistan) proprio questi due vanno via da soli e impiegano circa 20 chilometri a riportarsi sulla tesa della corsa, siamo a 75 dall’arrivo, che intanto ha perso sia Elia Viviani sia Gleb Syritsa. Prima di arrivare nel circuito finale la fuga si riduce ai soli Lutsenko e Healy, mentre dietro in gruppo la Côte du Pavé des Gardesa vede il primo scatto di Remco Evenepoel (Belgio) che rompe gli indugi e si muove due volte in prima persona. Al belga rispondono Matteo Jorgenson (Sati Uniti), Mads Pedersen (Danimarca) e Alberto Bettiol (Italia). Nei 18 chilometri in linea conclusivi prima del circuito intorno a Parigi la coppia di testa guadahna qualche secondo portandosi a 1.12” dal gruppo da cui si sganciano Nils Politt (Germania), Madouas (Francia), Michael Woods (Canada), Stefan Küng (Svizzera) Marco Haller (Austria), Fred Wright (Gran Bretagna) e Jambaljamts Sainbayar (Mongolia). Sul primo passaggio verso lo strappo principe del circuito, quello di Montmartre, Healy e Lutsenko lo affrontano con 18″ sugli immediati inseguitori e 1′05″ sul gruppo, l’irlandese stacca il kazako e resta da solo al comando della corsa. Il gruppo appena inizia lo strappo è fatto esplodere dallo scatto, attesissimo, di Mathieu van der Poel a cui il solo Wout Van Aert riesce a resistergli. I due non sono però da soli, perché poco dopo lo scollinamento rientrano Matteo Jorgenson (Stati Uniti), Julian Alaphilippe (Francia) e Toms Skujins (Lettonia), ma il gruppo è la e le carte si rimescolano tornano quindi compatto. Da segnalare una fortura di Pedersen (Danimarca) costretto ad inseguire rientrerà poco dopo ma con un dispendio di energie preziose. Una volta che il gruppo dei migliori torna compatto è ancora Remco Evenepoel a partire, in una fase di corsa relativamente tranquilla, sembra un déjà vu del mondiale di Wollongong con il belga che, in pianura, spinge la sua bicicletta e guadagna secondi preziosi. Dietro cerca di mettere una pezza Dylan van Baarle, ma l’impressione è che sia troppo tardi, infatti Remco va a riprendere gli immediati inseguitori di Healy si mette in testa e li riporta tutti sotto l’irlandese. Al secondo passaggio di Montmartre il fresco campione olimpico a cronometro piazza uno scatto a cui resiste il solo Madouas. I due al comando della corsa conservano un vantaggio di 43”, quando il gruppo passa da Montmartre Mathieu van der Poel scatta nuovamente ed ancora Wout Van Aert si francobolla alla sua ruota, ma questa volta in funzione di stopper, mettendo di fatto nel sacco l’olandese. Davanti infatti Remco guadagna ancora secondi preziosi e se prima era solo una impressione questa volta è quasi certezza che il belga, insieme al francese, sono irrangiungibili per tutti. Madouas è attaccato con le ultime energie alle ruote del belga che le perde in uno strappetto prima del terzo ed ultimo passaggio da Montmartre, Evenepoel vi arriva tutto solo tra due ali di folla, presenza del pubblico che è una cornice fantastica. Allo scollinamento il vantaggio del belga è di oltr 1’, Madouas finisce subito a 33” ed a questo punto deve preoccuparsi del possibile arrivo di qualcuno da ciò che resta del gruppetto dei migliori. Ultimo sussulto ai meno 4 dalla conclusione, cambio bici per Remco a causa di un problema meccanico, quando intanto il vantaggio era ddi 1’:20” sul francese e di 1’:50” sul gruppetto dei migliori. L’arrivo in solitaria con la Torre Eiffel sullo sfondo, braccia al cielo e sguardo a quegli angeli contenti di vederlo vestirsi d’oro. Al secondo posto come detto in apertura Madouas per l’argento, terzo Laporte per il bronzo. Chapeau Remco!

Antonio Scarfone

EVENEPOEL E BROWN PRIMI ORI NELLE GARE DI CICLISMO. AL BELGA ED ALL?AUSTRALIANA LE PROVE A CRONOMETRO. ARGENTO PER FILIPPO GANNA

luglio 27, 2024 by Redazione  
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Sotto una pioggia battente Remco Evenepoel (Belgio) e Grace Brown (Australia) conquistano i primi ori per quanto riguarda le gare di ciclismo. Se l’australiana domina la sua prova rifilando oltre un minuto e mezzo alla britannica Anna Henderson, il belga deve impegnarsi di più e riesce ad avere la meglio su Filippo Ganna per 15 secondi. E’ comunque la prima medaglia d’argento per l’Italia davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Alle Olimpiadi di Parigi le prove a cronometro su strada maschili e femminili regalano le prime medaglie ai ciclisti. In una giornata caratterizzata dalla pioggia donne e uomini percorrono lo stesso tracciato di 32 km che attraversa alcuni tra i luoghi più belli della Ville Lumiere. Tra le donne si impone l’australiana Grace Brown, che domina la prova facendo segnare il miglior tempo in tutti gli intertempi. L’australiana chiude con il tempo di 39 minuti e 38 secondi facendo meglio di 1 minuto e 31 secondi sulla britannica Anna Henderson che è argento con solo 1 secondo sulla statunitense Chloe Dygert, bronzo olimpico. La beniamina di casa Juliette Labous chiude quarta con un ritardo di 1 minuto e 41 secondi dalla Brown mentre l’olandese Demi Vollering è quinta con un ritardo di 1 minuto e 51 secondi dalla Brown. La belga Lotte Kopecky, tra le favorite della vigilia, cade sul fondo scivoloso e dice addio ai sogli di gloria. Alla fine concluderà la sua prova in sesta posizione. L’Italia riponeva le speranze su Elisa Longo Borghini ma la fresca vincitrice del Giro d’Italia donne non ha fatto meglio dell’ottavo posto, facendo segnare il tempo di 41 minuti e 49 secondi, a 2 minuti e 11 secondi di ritardo dalla Brown. Nella prova maschile non si sono registrate cadute di rilievo tra i big. Remco Evenepoel ha confermato di essere il campione mondiale in carica della specialità e nonostante fosse uscito piuttosto stanco dal Tour ha fermato il cronometro a 36 minuti e 12 secondi, facendo meglio di 15 secondi rispetto a Filippo Ganna. La prova dell’italiano è stata in crescendo e Filippo avrebbe potuto giocarsi davvero l’oro olimpico se una clamorosa sbandata in rettilineo a circa 8 km dalla conclusione non l’avesse condizionato. Il bronzo se lo prende Wout van Aert che invece chiude in calando ma almeno riesce ad agguantare la medaglia di bronzo per soli 2 secondi davanti a Joshua Tarling, quarto. Chiude la top five lo statunitense Brandon McNulty con il tempo di 37 minuti e 16 secondi, a un minuto e 4 secondi di ritardo da Evenepoel. Ora spazio a mtb e pista prima di ritrovare di nuovo il ciclismo su strada il 3 ed il 4 agosto, rispettivamente con la prova su strada uomini e la prova su strada donne.

Antonio Scarfone

Evenepoel taglia il traguardo della cronometro olimpica con 15 secondi di vantaggio su Ganna (Eurosport)

Evenepoel taglia il traguardo della cronometro olimpica con 15 secondi di vantaggio su Ganna (Eurosport)

TRENTIN RE DI VALLONIA, ULTIMA TAPPA A WATSON

luglio 26, 2024 by Redazione  
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Matteo Trentin dopo la vittoria di ieri ha portato a casa la quarantacinquesima edizione dell’Ethias-Tour de Wallonie. L’ultima tappa è stata conquistata da Watson su Strong e Kielich.

Bersaglio centrato… Matteo Trentin ha messo la firma sulla quarantacinquesima edizione dell’ Ethias-Tour de Wallonie, conquistando nel contempo la prima corsa a tappe della sua carriera. Il trentino della Tudor Pro Cycling ha centrato il bersaglio grosso dopo il bel successo di ieri e si è potuto permettere il “lusso” di chiudere ottavo senza particolari patemi d’animo. La tappa conclusiva è andata al britannico Samuel Watson (Groupama FDJ), che si è improvvisato attaccante ed è andato a centrare la sua prima vittoria da professionista con una manciata di secondi sul gruppo, che aveva già lanciato la volata. Volata oramai di consolazione che è andata a Corbin Strong (Israel – Premier Tech) che ha messo la sua ruota davanti a quella di Timo Kielich (Alpecin – Deceuninck), Natnael Tesfatsion (Lidl – Trek), Per Strand Hagenes (Team Visma | Lease a Bike), Stan Dewulf (Decathlon AG2R La Mondiale Team), Iván García Cortina (Movistar Team), Trentin, Rudy Molard (Groupama – FDJ), Carlos Canal (Movistar Team) e tutti gli altri.
La vittoria di Watson ha così messo la parola fine ad un edizione della corsa vallone parla italiano, come avvenuto anche lo scorso anno. Trentin, infatti, succede nell’albo d’oro a Filippo Ganna (INEOS Grenadiers) che dodici mesi fa si era fatto valere grazie alle sue doti a cronometro, mentre in questa edizione non era prevista una gara contro il tempo. A proposito di tempo, quello finale fatto registrare dal trentino di Borgo Valsugana è stato identico a quello del secondo classificato, il neozelandese Stong. I migliori piazzamenti complessivi nelle 5 tappe hanno, però, premiato l’esperto italiano mentre sul terzo gradino del podio è salito il il lussemburghese Alex Kirsch (Lidl – Trek). Anche la classifica a punti ha visto il successo di Trentin, sempre davanti a Strong, mentre terzo si è piazzato Emilien Jeannière (TotalEnergies). Lo speciale ranking degli scalatori è andato a Jimmy Janssens (Alpecin – Deceuninck) su Markus Hoelgaard (Uno-X Mobility) e Johan Jacobs (Movistar Team). Per quanto concerne i giovani, il migliore alla fine di questi cinque giorni di gara è risultato Frederik Wandahl (Red Bull – BORA – hansgrohe), che ha chiuso in quinta posizione nella classifica generale con 18″ di ritardo da Trentin. Infine, il miglior Team è risultato l’Israel-Premier Tech, che ha distanziato di 29″ la Lidl-Trek e di 3′08″ la Bingoal WB.

Mario Prato

La premiazione di Matteo Trentin (Foto © Ethias-Tour de Wallonie)

La premiazione di Matteo Trentin (Foto © Ethias-Tour de Wallonie)

MATTEO TRENTIN RITROVA LA VITTORIA AL TOUR DE WALLONIE

luglio 26, 2024 by Redazione  
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Ritorno alla vittoria per Matteo Trentin che si impone nella quarta tappa del Tour de Wallonie. Una vittoria questa che vale al trentino anche la conquista della vetta della classifica.

Per Matteo Trentin (Tudor Pro Cycling Team) il terzo posto di mercoledì deve essere stata una specie di prova generale. Una prova ben riuscita visto quanto successo oggi ad Herve. Il trentino si è, infatti, imposto con una volata potente sul traguardo della quarta tappa dell’Ethias-Tour de Wallonie, tornando così alla vittoria dopo un digiuno che durava da quasi due anni (l’ultimo successo risaliva al 12 ottobre 2022, quando si era imposto al Giro del Veneto). La vittoria è stata impreziosita dalla conquista della maglia di leader, ottenuta grazie agli abbuoni ai “danni” di Corbin Strong (Israel – Premier Tech), che oggi non ha partecipato alla volata e ha chiuso nella pancia del gruppo
L’ordine d’arrivo odierno vede il portacolori della Tudor Pro Cycling Team davanti a Timo Kielich (Alpecin – Deceuninck), Emilien Jeannière (TotalEnergies), Madis Mihkels (Intermarché – Wanty), Mick van Dijke (Team Visma | Lease a Bike), Louis Barré (Arkéa – B&B Hotels), Iván García Cortina (Movistar Team), Lewis Askey (Groupama – FDJ), Tibor Del Grosso (Alpecin-Deceuninck), Dion Smith (Intermarché – Wanty) e gli altri componenti del gruppo principale, forte di una sessantina di unità.
Il tracciato odierno era particolarmente nervoso, così come lo è stata la tappa. Dopo una cinquantina di chilometri è nata la fuga che, sebbene con alterne vicende, ha caratterizzato l’intera tappa. A promuoverla sono stati Lorenzo Milesi (Movistar Team), Michael Gogl (Alpecin – Deceuninck), Cole Kessler (Lidl – Trek Future Racing), Liam Slock (Lotto Dstny) e William Blume Levy (Uno-X Mobility), quest’ultimo primo a sfilarsi quando al termine mancava circa 15 Km all’arrivo. Annullata la fuga ai meno 3, è stata la volta di Per Strand Hagenes (Team Visma | Lease a Bike) cercare il colpo a sorpresa sfruttando una leggera ascesa del circuito finale. Sul norvegese, però, si sono riportati prima Samuel Watson (Groupama – FDJ) e successivamente quel che restava del plotone
Oggi la cnclusione con la Mouscron – Thuin, tappa di 214,8 Km che prevede tre GPM nelle fasi iniziali, tra i quali l’Oude Kwaremont (2,6 km al 3,7% con quasi un chilometro mezzo di pavé), storica ascesa del Giro delle Fiandre. La corsa si deciderà nel circuito finale, da inannellare quattro volte, che prevede l’arrivo sul muro di Thuin (0,5 km al 7,8%), trampolino di lancio perfetto per andare a giocarsi l’ultima tappa con uno sguardo anche alla classifica generale.

Mario Prato

Dopo un lungo digiuno Matteo Trentin torna al successo nella penultima frazione del Giro di Vallonia (Getty Images)

Dopo un lungo digiuno Matteo Trentin torna al successo nella penultima frazione del Giro di Vallonia (Getty Images)

HOELGAARD VINCE IN VALLONIA, TRENTIN SECONDO IN CLASSIFICA

luglio 25, 2024 by Redazione  
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Vittoria al termine di una lunga fuga a due per il campione di Norvegia Markus Hoelgaard davanti a Jimmy Janssens. Terzo Matteo Trentin che sale al secondo posto della classifica dietro a Corbin Strong.

La tappa Regina dell’Ethias-Tour de Wallonie ha visto il successo del campione norvegese Markus Hoelgaard (Uno-X Mobility), che ha battuto il compagno di fuga Jimmy Janssens (Alpecin – Deceuninck). Terzo dopo 43″ si è piazzato Matteo Trentin (Tudor Pro Cycling Team), che ha regolato un gruppetto forte di una quindicina di unità. Grazie a questa prestazione l’esperto ciclista di Borgo Valsugana è salito al secondo posto della classifica generale a soli 7” da Corbin Strong (Israel – Premier Tech), oggi sesto.
I primi due dell’ordine d’arrivo erano gli unici sopravissuti di una fuga a 5 che comprendeva anche Johan Jacobs (Movistar), Gilles De Wilde (Team Flanders – Baloise) e Thomas Bonnet (TotalEnergies). Il tentativo era nata fin dalle prime pedalate e, pur perdendo pezzi strada facendo, è riuscito ad arrivare al traguardo. Il terzo di giornata, Trentin, si era già fatto vedere strada facendo nel tentativo di riportarsi sui fuggitivi.
Oggi il Tour de Wallonie prosegue con la quarta tappa che porterà i corridori in 188.5 Km da Verviers a Herve. Il percorso vallonato potrebbe potrebbe aprire a diverse soluzioni: tra le altre difficoltà altimetriche è prevista la mitica Côte de la Redoute (1.5 km al 10,5%), la salita simbolo della Liegi-Bastogne-Liegi, ma la sua collocazione a 56 Km dall’arrivo non dovrebbe renderla determinante.

Mario Prato

Markus Hoelgaard vince la terza tappa del Giro di Vallonia (foto Luc Claessen/Getty Images)

Markus Hoelgaard vince la terza tappa del Giro di Vallonia (foto Luc Claessen/Getty Images)

TAPPA E MAGLIA PER CORBIN STRONG AL GIRO DI VALLONIA

luglio 24, 2024 by Redazione  
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Cambio della guardia all’Ethias-Tour de Wallonie. Corbin Strong si impone su Emilien Jeannière e Paul Penhoët conquistando la maglia di leader.

Le ventilate difficoltà altimetriche della seconda tappa dell’Ethias-Tour de Wallonie non hanno sortito l’effetto che alcuni si aspettavano. Anche la tappa della corsa belga disputata tra Saint-Ghislain e Ouffet si è, infatti, conclusa in volata.
A spuntarla è stato il neozelandese Corbin Strong (Israel – Premier Tech) che ha tenuto a bada le velleità di Emilien Jeannière (TotalEnergies) mentr terzo, come il giorno prima, si è piazzato Paul Penhoët (Groupama – FDJ). Grazie agli abbuoni spettanti al primo classificato Corbin ha conquistato tre posizioni in classifica andandosi a insediare in vetta.
Il percorso della seconda tappa poteva ispirare gli attaccanti di giornata, anche se la classifica molto corta ha fatto si che i molteplici tentativi avutisi strada facendo siano sempre stati tenuti d’occhio dal plotone. Il finale è stato affrontato da alcuni con il cipiglio giusto, senza però ottenere il risultato sperato. Alla fine sul traguardo si è presentato un gruppo folto di una quarantina di unità, regolato come detto da Corbin Strong, mentre miglior italiano anche oggi si è confermato Matteo Trentin (Tudor), ottavo allo sprint e settimo in classifica con 11 secondi di ritardo.
Ora il Tour de Wallonie proseguirà con la tappa regina, disegnata tra Arlon e La Roche-en-Ardenne sulla distanta di 192 Km. In particolare bisognerà superare quasi 2900 metri di dislivello con le fase salienti da affrontare nel circuito conclusivo di 30 Km da ripetere due volte, anello che prevede le salite della Côte de Maboge (2,8 km al 6,5%) e del Col de Haussire (4,1 km al 6,9%).

Mario Prato

Corbin Strong vince la seconsa tappa del Tour de Wallonie (Getty Images)

Corbin Strong vince la seconsa tappa del Tour de Wallonie (Getty Images)

POGI, SEMPRE POGI, FORTISSIMAMENTE POGI: DODICI TAPPE PER UNA DOPPIETTA

luglio 23, 2024 by Redazione  
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Bulimia Pogacar. Vince sempre lui. Se al Giro sceglieva, fatti salvi regali impiattati su vassoi d’argento dagli avversari, al Tour si prende tutto. Tranne Parigi… perché quest’anno si finisce a Nizza, e perché Tadej rinuncia alle Olimpiadi imminenti.

La tappa finale di Nizza, originale (per il Tour) soluzione a crono che sostituisce causa Olimpiadi il classico e monumentale sprint sui Campi Elisi con Arco di Trionfo a condimento, emette un verdetto tutto fuorché originale: podio di giornata, Pogacar-Vingegaard-Evenepoel. Podio finale del TDF: Pogacar-Vingegaard-Evenepoel. Pochissime le sorprese, minimi i rivolgimenti su una classifica ormai già scandita a giri di clessidra più che a ticchettii di cronometro.
Fuori il dente, fuori il dolore: l’unica notizia di giornata per quanto concerne la top ten conclusiva riguarda l’italiano Ciccone, che dopo un Tour solido e costante esce sonoramente sconfitto dal gioco delle “sedie musicali” che vedeva quattro atleti battagliare per i tre posti dall’ottavo al decimo, rimasugli caduti dalla tovaglia dei quattro big team (UAE, Visma, Soudal-Quickstep e INEOS) che avevano già precettato con capitani e gregari – gregari di grandissimo lusso, s’intende – tutta l’alta classifica. Se lo svizzero Gall era prematuramente uscito dalla giostra in cui erano in lizza con lui e Ciccone anche il colombiano Buitrago e il canadese Gee, l’ingordigia inarrestabile degli squadroni aveva riportato in ballo lo statunitense Jorgenson della Visma, prima impiegato come supporto a Vingegaard: grazie a una serie di cavalcate autonome, tenute a bada dal solo Pogacar, il promettente, versatile e sempre sorprendente lungagnone si era sulle Alpi proiettato con prepotenza verso l’ottavo posto, rimandando dunque Ciccone, Gee e Buitrago a scannarsi per nona e decima piazza. Jorgenson suggella l’operazione con un’eclatante cronometro conclusiva che lo vede primo degli umani dietro i tre fenomeni del cui dominio si è detto in apertura, mentre Ciccone, a dispetto di una bella discesa, cede proprio in salita da Buitrago ma soprattutto da un Gee clamoroso, il quale proprio nei segmenti ascendenti era stato addirittura il primo rivale dei Magnifici Tre. Ecco dunque tre atleti delle Americhe a imbottire la base della top 10, con tre storie interessanti e variegate: la sorpresa Gee come GC-man per gli israeliani; la crescita regolare di Buitrago ultimo alfiere del ciclismo colombiano (illusoria la bella classifica di Bernal nella prima metà di Tour); la folgorante ascesa di Jorgenson, scoperto dalla Movistar poi abbandonata con disprezzo. Ma al di là dei meriti altrui, Giulio paga il proprio umano appannamento, dopo essersi a più riprese esposto nelle tappe precedenti per mettere in difficoltà gli avversari, vanamente purtroppo.
E qui viene a galla uno dei leit motiv impliciti di questo Tour: Pogacar ha decretato con editto imperiale che non sarebbe stata concessa libertà di movimento alcuna a chi lottasse per la classifica. Scelta peculiare e dispendiosa, visto che “essere in classifica” in questo Tour, fatti salvi appunto i primi tre gradini del podio, significa avere accumulato un distacco di venti minuti-mezzora (il quarto in classifica generale è a 19 minuti Almeida, peraltro gregario di Pogacar, il decimo è Buitrago a 29 minuti), vale a dire un distacco che in qualsiasi altro contesto sarebbe perfettamente compatibile con l’essere un candidato per la fuga di giornata.
Come già l’anno scorso, ma a parti invertite, abbiamo goduto di un Tour insospettabilmente apertissimo per due terzi, poi la svolta: nel 2023 alla sedicesima tappa la crono di Combloux aveva sancito un’esplosiva superiorità di Vingegaard al di là di ogni gestibilità per Pogacar, poi crollato più di testa che di gambe prima del contentino finale sui Vosgi. Quest’anno è la quindicesima tappa, Plateau de Beille che stronca ogni velleità del danese, per il quale quanto segue è solo sofferenza e strenua difesa, peraltro solida, nei confronti delle insidie portate dal giovane Evenepoel verso il secondo posto. Certamente nel 2023 la questione è che al netto della battuta a vuoto sul Marie Blanque, Pogacar era apparso in realtà più forte, seppur leggermente, del proprio avversario, almeno fino al risultato choc della crono che aveva completamente sovvertito ogni pronostico. Dopodiché lo sloveno aveva patito, come detto, un crollo verticale, anche rispetto al resto della concorrenza, salvo poi tornare ad affermarsi (ma forse tenuto al guinzaglio) alla penultima tappa. Quest’anno invece la sorpresa era consistita nel vedere un Vingegaard capace di reggere in modo solvente sotto i veementi colpi d’ariete dell’avversario, a maggior ragione su una gamma di terreni che tutti vedevano più favorevole a Pogacar. La sconfitta secca, tuttavia, sarebbe giunta proprio nel giorno in cui tutti, a cominciare dalla Visma, credevano sarebbe potuto emergere un differenziale positivo a favore del proprio atleta. Dopo la batosta, sancita da uno sguardo all’indietro, in quel caso verso Pogacar a ruota, il segno distintivo del Tour di Vingegaard sarebbe divenuto lo sguardo indietro, ma stavolta ad Evenepoel, vuoi come alleato, vuoi come avversario. Ma l’iniziativa sarebbe stata sostanzialmente sempre nelle mani del belga, nonostante quest’ultima frazione abbia ratificato che le energie fisiche maggiori erano ancora nelle gambe del danese, inibito però dall’esprimerle nelle tappe in linea per un proprio approccio, diciamo, contropiedista, nonché, senz’altro, per la tremenda botta morale di vedersi surclassato dall’avversario storico.
Non è forse un caso che entrambi i fenomeni nell’anno della sconfitta venissero da una preparazione perfettibile. Comunque la loro superiorità è tale che non è necessario ottimizzare per essere ampiamente irraggiungibili non solo per gli atleti professionisti “normali”, ma perfino per indiscutibili campioni come Roglic o – finora – per un talento naturale straripante com’è quello di Evenepoel. La bilancia s’inclina in una direzione o nell’altra solo fra loro due.
Pogacar è stato sostenuto nel proprio dominio sconcertante da una squadra di campioni acquistati al suo servizio, Vingegaard aveva avuto nelle sue due vittorie un team capace di elevare al rango di veri e propri mostri gli onesti mestieranti via via contrattati. Quest’anno la Visma sembra aver perso la relativa bacchetta magica, ma questo depone a favore del danese, il cui rendimento è rimasto estremamente alto. D’altro canto va però detto che quando un po’ di polvere di stelle si è sparsa in casa Visma, sostanzialmente sulle Alpi, il team ha prodotto grandi manovre strategiche degne di Annibale o Napoleone, ritrovando gambe fenomenali, ma è stato in questo caso proprio il capitano a non provare azzardi sulla lunga gittata, vuoi per timore di perdere il secondo posto, vuoi perché travolto in una spirale di sudditanza nei confronti del Re Sole Pogacar.
Ora, come insegnano storie e leggende di ogni latitudine, dopo aver sconfitto il proprio più temibile rivale, resta ancora un avversario capace di sprofondare l’eroe solare in precipizi tenebrosi: se stesso. Il cannibalismo di Pogacar anche in termini di tappe va apparendo via via più innecessario, i colpi di maglio psicologici volti a stroncare un Vingegaard in affanno risultano invero gratuiti. D’accordo scegliere, come al Giro, qualche tappa da vincere comunque per il significato speciale che possa avere, leggasi Livigno o Oropa, d’accordo dedicare una giornata allo spettacolo quando la classifica è già chiusa, come sul Grappa, d’accordo anche prendersi una tappa quasi per sbaglio se le trovate di altri team la servono su piatto d’argento e, al contempo, i possibili donatari non hanno i mezzi fisici per farsi girare il regalo. Qui però si è andati oltre: sembrava trasparire una rabbia cupa per le sconfitte passate, perfino per la lesa maestà di essere stato affrontato alla pari per una buona metà di Tour. Ben vengano grandi rivalità che sono il sale del ciclismo, ma attenzione alle fessure inattese dalle quali possa strisciare nella sala del treno la serpe della disgrazia. Per fare un piccolo esempio banale, Tadej ha appena annunciato che non parteciperà alle Olimpiadi di Parigi, dove sarebbe stato una garanzia di medaglia per la propria federazione e per il proprio Paese. La ragione addotta ufficialmente, la stanchezza. Le malelingue parlano di dissidi con la federazione nazionale in merito alla selezione femminile, dalla quale sarebbe stata esclusa, nonostante ottimi risultati sulla scena locale, la storica fidanzata di Pogi, a cui lui è legatissimo (sacrificò una Liegi a un lutto familiare di lei). Decisione assolutamente legittima, ma purtroppo nel ciclismo inimicarsi la propria federazione, pur quasi inevitabile in certi contesti se si è atleta di peso e dignità, può attrarre conseguenze incontrollabili.
Intanto però non pensiamo alle ombre e crogioliamoci almeno per un po’ al sole di questo Tour che ex post ci può sembrare scontato e dominato, ma che, se ci pensiamo bene, ci ha lasciati nella più grande incertezza fino a tutto il secondo weekend: e oltre, volendo, dato che pur definitisi i rapporti di forza, comunque si poteva credere in qualche folle gesto d’orgoglio da parte del danese e del suo team. Con tappe assolutamente superbe per la classifica quali quella degli sterrati o quella del Massiccio Centrale, ma certamente anche la prima crono, il Galibier o Pla d’Adet.

Gabriele Bugada

Il podio del Tour 2024 (foto Marco Bertorello / AFP / Getty Images)

Il podio del Tour 2024 (foto Marco Bertorello / AFP / Getty Images)

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