NIBALI STORY – CAPITOLO 30: L’ULTIMO ACUTO AL TOUR
Le primavere sono oramai 34 e difficilmente Nibali potrà tornare ad essere competitivo al pari dei migliori in una grande corsa a tappe, anche se l’ultimo suo Giro d’Italia, nel 2022, lo vedrà comunque collezionare un prestigioso quarto posto finale. E che non sia più il solito Squalo lo si capisce anche dal numero di vittorie, che lentamente diminuiscono pur rimanendo di “qualità”: dai 7 successi del 2013 e dai 6 del 2014 si è scesi alle 4 affermazioni conseguite nel 2017 e alla Milano – Sanremo del 2018, unica sua vittoria stagionale. Anche il 2019, il suo 14 anno nella massima categoria, lo vedrà andare a segno una sola volta e in una corsa prestigiosa, il Tour de France. Il 27 luglio è, infatti, il giorno della sua ultima vittoria sulle strade della Grande Boucle, ottenuta sul traguardo alpino di Val Thorens, reduce da una corsa nella quale non brillerà e lo vedrà terminare lontanissimo dalla maglia gialla, con un passivo di oltre un’ora e mezza sul colombiano Egan Bernal.
27 luglio 2019 – 20a tappa: Albertville – Val Thorens
VINCENZO NIBALI SONO, LA VAMPA DELLO SQUALO A VAL THORENS
Grande vittoria dello “Squalo” nell’ultima tappa alpina del Tour. Crolla definitivamente Alaphilippe che esce anche dal podio. Bernal resiste ai pochi attacchi di oggi mentre Kruijswijk, sfruttando una grande squadra, centra il podio finale.
Nonostante le condizioni meteo non ottimali, si ritornava a correre dopo il terremoto di emozioni vissute nella tappa di ieri pomeriggio, frazione che ricordiamo veniva neutralizzata a causa di una violenta grandinata che aveva bloccato strade e causato una frana lungo la discesa dall’Iseran. La tappa era stata dichiarata conclusa proprio in vetta all’Iseran, dove erano stati presi i tempi di fara ed Egan Bernal (Team INEOS) era andato a prendersi la maglia gialla, dopo uno scatto perentorio che non aveva lasciato scampo a Julian Alaphilippe (Deceuninck Quick-Step). Oggi si correva la ventesima e ultima tappa del Tour de France 2019, ultima prova prima della passerella finale sugli Champs-Élysées. Anche questa tappa a causa del maltempo veniva ”tagliata” e trasformata in una microfrazione di appena 59 chilometri. Incredibile, però, come gli organizzatori non abbiano predisposto un ”piano B” per le ultime e decisive tappe e si siano fatti trovare impreparati. Molto probabilmente si è voluto creare, improvvisare e sperimentare, date le estreme condizioni, una sorta di tappa veloce tutta in salita che potesse portare fantasia e una ventata di novità alla corsa. Lo spettacolo in effetti non è mancato grazie alla voglia di rivalsa di un grande campione come Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) e di una Jumbo-Visma che ha impresso un ritmo elevatissimo sulle rampe del Val Thorens.
La ventesima tappa non aveva più in programma le salite del Cormet de Roselend (1a categoria) e della Côte de Longefoy di 2a categoria. Si partiva da Albertville per poi correre in direzione sud verso Moûtiers percorrendo poco meno di trenta chilometri sull’autostrada di fondovalle prima di iniziare la lunghissima salita di Val Thorens, ben 33,5 chilometri col 5,5% di pendenza media e il manto stradale bagnato dalla pioggia che aveva imperversato tutta la notte sui valichi alpini.
La corsa partiva alle 14:37, con il Team INEOS in testa al gruppo a scortare la maglia gialla Bernal, che doveva difendere i 45” di vantaggio dal rivale Alaphilippe, autore quest’ultimo di un sorprendente Tour de France. Proprio i due sopracitati appena dopo il via si scambiavano una bellissimo e sportiva stretta mano, segno di rispetto e stima reciproca, un gesto che contempla i princìpi più puri dello sport. Il gruppo che prevedibile partiva subito forte e si allungava nei primissimi chilometri di strada, con molti ciclisti, tra coloro che avevano il desiderio di lasciare il segno su un Tour de France fino ad ora corso in modo anonimo o non convincente, a provare ad andare in avanscoperta. I primi a centrare la fuga erano Dylan Teuns (Bahrain Merida), vincitore di una tappa a questo Tour, Magnus Cort Nielsen (Astana), Alberto Bettiol (EF Education First), Alberto Rui Costa (Team UAE Emirates), Lilian Calmejane (Total Direct Énergie) e Kevin Van Melsen (Wanty – Gobert), che invece avevano disputato una corsa fin qui negativa. Alle loro spalle evadeva dal controllo del gruppo un altro gruppo di attaccanti composto da numetosi ciclisti, tra i quali Ilnur Zakarin (Katusha), Elia Viviani (Deceuninck Quick-Step), Tony Gallopin (Ag2r La Mondiale), Nicolas Roche (Sunweb) e il nostro Vincenzo Nibali, desideroso di riuscire a vincere una tappa e mettere così la firma in un’edizone del Tour dove la sua presenza forzata, in rotta coi vertici del team, è stata davvero una decisione infelice e non molto curata. I due gruppi si riunivano all’inizio della salita di Val Thorens formando così una maxi fuga composta da 29 ciclisti. Sulle prime rampe i fuggitivi iniziavano a contrattacare, con Zakarin e Nibali tra i più attivi. Alle loro spalle, a 2′30” prendeva nel gruppo l’iniziativa la Jumbo-Visma di Steven Kruijswijk, desideroso di centrare il suo primo podio alla Grande Boucle. Proprio le pedalate del team olandese facevano staccare e perdere le ruote del plotone a due pedine del Team INEOS, Gianni Moscon e Michał Kwiatkowski (per loro un Tour negativo).
In testa, con 34” di vantaggio da un altro gruppetto di fuggitivi, si formava un quintetto con Nibali, Zakarin, Gallopin, Michael Woods (EF Education First) e Pierre-Luc Périchon (Cofidis), mentre il blocco della Jumbo-Visma da dietro, con Laurens De Plus e George Bennett imprimevano un ritmo altissimo mettendo in difficoltà molti ciclisti, tra i quali Peter Sagan (Bora Hansgrohe) e Fabio Aru (Team-UAE Emirates), che ai meno 27 chilometri si staccavano dal gruppo maglia gialla. Il sardo sarebbe riuscito a rientrare un centinaio di metri più tardi, mentre il ritardo dalla testa della corsa scendeva sotto i due minuti. Geraint Thomas (Team INEOS) e soprattutto Bernal erano sempre attenti alle spalle di Kruijswijk, che era solo a 12” dal terzo posto difeso proprio dal gallese. I primi posti della classifica generale potevano essere decisi dagli abbuoni di tappa e questo rendeva ancora più incerto un Tour de France avvincente ed equilibrato, con la Jumbo-Visma desiderosa di annullare la fuga e regalare al proprio capitano una piazza d’onore.
A 18 km dal traguardo Bennett, esausto, si faceva da parte lasciando spazio ad uno scatenato De Plus. Il ritmo del giovane ciclista olandese faceva male a molti ciclisti tra cui Dylan Van Baarle (Team INEOS), Bauke Mollema (Trek Segafredo), Guillame Martin (Wanty – Gobert) e Richie Porte (Trek Segafredo) che, autore di un Tour sotto le aspettative, oggi uscirà dalla top ten della classifica generale, scavalcato dal francese Warren Barguil (Arkéa Samsic). Qualche chilometro più tardi, sempre sotto il ritmo di De Plus, andavano in difficoltà la maglia a pois Romain Bardet (Ag2r La Mondiale) e soprattutto Alaphilippe. Per l’ex maglia gialla iniziava un duro calvario che lo portava nel giro di due chilometri ad accumulare già 40” di ritardo, segno di una condizione fisica arrivata al limite dopo le difese estenuanti, con le unghie e coi denti, nelle ultime tappe di montagna. Il ritardo dai fuggitivi, raggiunti nel frattempo da Omar Fraile (Astana), scendeva sotto al minuto grazie alla spinta del talentino neerlandese che stava spianando Val Thorens. La fuga vedeva spegnersi le speranze pian pianino e per questo motivo, con uno scatto più d’orgoglio che di gambe, Nibali salutava i suoi ex compagni di fuga scattando e attaccando nuovamente a 12 chilomentri dalla linea d’arrivo. Giunti nella parte più dura dell’ascesa finale, ad 6 chilometri dal traguardo, la composizione della corsa era questa: Nibali in testa, Marc Soler, Nairo Quintana (Movistar) e Zakarin in seconda posizione a 35”, coi Movistar che insiema a Simon Yates, fermo a 50”, erano evasi dal gruppo qualche centinaio di metri prima. Il gruppo maglia gialla era cronometro a 57”, Alaphilippe, Enric Mas (Deceuninck Quick-Step) e Bardet a 2′20”.
Finito il gran lavoro del talentino De Plus, Emanuel Buchmann (Bora Hansgrohe), che aveva un ritardo di 1′05” da Alaphilippe, metteva il fidato Gregor Mühlberger in testa al gruppo con l’intenzione di scalare un altro posto nella generale. L’azione dell’uomo Bora annullava le azioni di Quintana, Zakarin e Soler, mentre dietro perdeva contatto Barguil. Nibali, stringendo i denti, mostrava il carattere e la grinta del gran campione che è, teneva duro e resisteva, arrivando agli ultimi due chilometri con 35” di vantaggio sul gruppo della maglia gialla guidato da Buchmann. Il siciliano, stremato e con una pedalata che si era appesantita, passava ai -500 metri con ancora 32” di margine, era una gioiosa agonia verso il meritato successo. Pedalata dopo pedalata lo “Squalo” riusciva ad emozionare tutti gli appassionati di ciclismo, non solo i suoi tifosi, per il sigillo di un campione che non voleva partecipare a questo Tour. Un successo che riempe di gioia e orgoglio un’intera nazione, la terza vittoria italiana dopo quelle ottenute da Matteo Trentin (Mitchelton-Scott) a Gap ed Elia Viviani (Deceuninck – Quick Step) a Nancy. Si tratta della sesta tappa personale vinta al Tour de France da Vincenzo Nibali, tappa che il siciliano dedicherà al nonno venuto a mancare lo scorso anno. È un corridore straordinario, patrimonio del ciclismo italiano, che nonsotante faccia del fondo una delle sue armi più letali, riusce a vincere anche in una tappa di soli 59 chilometri, nella quale in tanti avevano provato a vincere.
Secondo posto per Alejandro Valverde (Movistar) a 10”, terzo per Mikel Landa Movistar) a 14” mentre Thomas e Bernal passava insieme la linea del traguardo dopo 17”, stringendosi la mano sotto l’arco d’arrivo. Bello il gesto del gallese verso il colombiano, a cui passava le consegne. Bernal, che Eddie Merckx aveva già battezzato come vincitore del Tour de France qualche mese fa, a 22 anni diventava uno dei corridori più giovani a vincere la Grande Boucle. Primo colombiano a vincere il Tour de France, quest’anno aveva già conquistato la Parigi-Nizza e il Tour de Suisse, Un predestinato! Alaphilippe terminava la tappa con 3′37” di ritardo da Nibali, incassando una débâcle dovuta alla stanchezza accumulata nelle tappe precedenti.
In classifica generale è sempre primo Bernal con 1′11” sul compagno di squadra Thomas. Sul podio al terzo posto sale Kruijswijk a 1′31”, quarto è Buchmann a 1′56” e solo quinto a 3′45” Alaphilippe, che comunque ha corso in modo molto positivo in queste tre settimane, vincendo due tappe e portando per 14 giorni la maglia gialla sulle spalle. Appuntamento a domani per la passerella finale di Parigi, dove Bernal potrà finalmente festeggiare il primo Tour de France del Team INEOS dopo le sei edizioni vinti con Bradley Wiggins, Chris Froome (4 volte) e Thomas col nome di Team Sky.
Luigi Giglio

Vincenzo Nibali mette la sua prestigiosa firma sull'ultima tappa di montagna del Tour (foto Bettini)
19-11-2022
novembre 20, 2022 by Redazione
Filed under Ordini d'arrivo
VUELTA AL ECUADOR
L’ecuadoriano Santiago Montenegro (Movistar-Best PC) si è imposto nell’ottava ed ultima tappa, circuito della Ciudad Mitad del Mundo (Quito), percorrendo 115.9 Km in 2h46′22″, alla media di 41.799 Km/h. Ha preceduto allo sprint i colombiani Juan Diego Hoyos (Corratec Racing America) e Robinson Chalapud (Team Banco Guayaquil Ecuador). Nessun italiano in gara. Chalapud si impone in classifica con 1′01″ sul connazionale Cristhian Montoya (Team Medellin-EPM) e 4′56″ su Montenegro
18-11-2022
novembre 20, 2022 by Redazione
Filed under Ordini d'arrivo
VUELTA AL ECUADOR
Il colombiano Jaime Chacon (Team Medellin-EPM) si è imposto nella settima tappa, Cayambe – Quito (Ciudad Mitad del Mundo), percorrendo 128.7 Km in 3h33′11″, alla media di 36.222 Km/h. Ha preceduto di 3″ l’ecuadoriano David Sebastian Caicedo (Team Cinecable Internet – Twitter) e di 2′51″ il connazionale Cristhian Montoya (Team Medellin-EPM). Nessun italiano in gara. Il colombiano Robinson Chalapud (Team Banco Guayaquil Ecuador) è ancora leader della classifica con 57″ su Montoya e 4′56″ sull’ecuadoriano Santiago Montenegro (Movistar-Best PC)
NIBALI STORY – CAPITOLO 29: NON SOLO GIOIA E TRIONFI
Nella carriera di un grande campione non ci sono solo gioie e trionfi, ma anche pagine che si vorrebbe dimenticare. Di Coppi, per esempio, non si rammentano soltanto le grandi imprese in montagna ma anche la famosa caduta ai piedi delle Scale di Primolano durante il tappone dolomitico del Giro del 1950 nella quale si fracasso il bacino, costringendolo ad una lunga convalescenza, dopo la quale riuscirà ancora a vincere, imponendosi in un Tour e in due edizione della Corsa Rosa. I tifosi di Gimondi, invece, ricordano ancora con terrore gli attimi d’angoscia che si vissero al Giro del 1976, quando rimase per qualche minuto a terra privo di senso dopo aver battuto il capo sull’asfalto nella tappa di Longarone, incidente dal quale si riprese al punto che qualche giorno più tardi riprese definitivamente la maglia rosa nella cronometro dell’ultimo giorno. Sotto questo aspetto anche Nibali ha avuto i suoi bei grattacapi, tra la clavicola rotta alle Olimpiadi di Rio nel 2016 e la frattura della vertebra rimediata a due passi dal mitico traguardo dell’Alpe d’Huez, al Tour del 2018, quando fu spedito a terra da una moto del seguito. Riviviamo ora quelle due pagine della storia del ciclismo italiano
6 agosto 2016 – Gara olimpica di Rio de Janeiro
NIBALI SOGNA, POI CADE. L’ORO E’ DI VAN AVERMAET
Una splendida gara olimpica vede il siciliano al comando in vetta all’ultima salita, in compagnia di Sergio Henao e Rafal Majka. Il sogno della medaglia d’oro sfuma però in discesa, quando Nibali cade insieme al colombiano. Il polacco, rimasto solo al comando, viene raggiunto a 2 km dall’arrivo da Van Avermaet, che conquista l’oro, e Fuglsang, medaglia d’argento, ed è costretto al gradino più basso del podio. L’Italia si deve accontentare del 6° posto di Aru.
A 12 km dal traguardo, la prima medaglia italiana ai Giochi di Rio era quasi cosa fatta. Nibali, magistralmente lanciato da Fabio Aru al penultimo Giro, aveva operato la selezione sperata sull’ultima salita, portando con sé i soli Sergio Henao e Rafal Majka, rimasti agganciati con i denti nel finale dell’ascesa. Dietro, nessuno aveva gregari da spendere, mentre l’Italia poteva contare su Fabio Aru, pur provato dal lavoro svolto in precedenza, in veste di stopper. La conquista dell’oro, viste le limitate doti di sprinter del messinese, sarebbe stata impresa complessa ma non proibitiva, al cospetto di altri due scalatori non noti per il loro spunto veloce.
Il lavoro dell’Italia per mettere il capitano nelle condizioni migliori era cominciato da lontano, quando Alessandro De Marchi era stato tra i primi ad attivarsi nell’inseguimento alla fuga della prima ora, promossa da più di un nome eccellente (Albasini, Kwiatkowski e Pantano su tutti, oltre a Geschke, Bystrom e Kochetkov). Al friulano si erano uniti i soli Erviti e Stannard, ma l’inferiorità numerica non aveva impedito ai tre di riportare entro margini di sicurezza il distacco dalla testa, giunto a toccare anche gli 8 minuti.
Nella lunga fase centrale, svoltasi su un primo circuito, comprendente le salite di Grumari e Grota Fonda, ad animare la corsa è stato perlopiù il vento, che intorno a metà percorso, nel tanto chiacchierato tratto in pavé, ha ad un tratto spezzato il gruppo in tre tronconi, prima del ricompattamento generale. Già in questa fase si sono chiamati fuori dal discorso medaglie atleti di alto livello, fra cui Tim Wellens, già staccato, e Wouter Poels, in chiaro affanno in coda al gruppo. Per l’Olanda si trattava della seconda uscita di scena, dopo il ritiro di Tom Dumoulin nei chilometri iniziali. Da chiarire le condizioni dell’uomo da battere nella prova a cronometro.
Lo scenario è cambiato quando la corsa ha imboccato il secondo circuito, la cui asperità principale, l’ascesa di Canoas, ha subito provveduto a falcidiare il sestetto di testa, riducendolo ai soli Kwiatkowski e Kochetkov. Dietro, l’Italia prendeva in mano la situazione, prima piazzando in testa al gruppo Diego Rosa (in generale al di sotto delle attese, ad onor del vero), utile a lasciare indietro, fra gli altri, Poels, Gilbert e Boasson Hagen; quindi lanciando l’attacco di Damiano Caruso, marcato stretto da Geraint Thomas e Greg Van Avermaet e seguito in un secondo momento anche da Rein Taaramae e Sergio Henao.
Il quintetto non ha mai acquisito un margine tale da impensierire più di tanto i favoriti, ma la sua mera presenza è stata sufficiente a costringere la Spagna ad entrare in azione. Caruso e compagni, nella tornata successiva, sono rientrati sulla testa della corsa, dove Kwiatkowski si era nel frattempo sbarazzato di Kochetkov. Le salite non hanno selezionato granché il plotone, scosso solo, per qualche chilometro, da un contrattacco non troppo minaccioso lanciato da Durasek.
A spaccare la gara ha provveduto invece la discesa, lungo la quale Richie Porte, cadendo, si aggiungeva alla lista dei big fuori gioco: Aru ha accelerato, con Nibali nella sua scia; i soli Fuglsang, Majka e Yates hanno avuto la prontezza di accodarsi, e quando il quintetto così formatosi si è riportato sui battistrada, il vantaggio ha fatto in tempo a salire a 50’’ prima che in gruppo venisse imbastito un inseguimento degno di tale nome. Fondamentale era la presenza in testa di Caruso, Kwiatkowski e Thomas tre, elementi sacrificabili per i leader appena rientrati, benché l’inglese non abbia fornito grande collaborazione e l’iridato di Ponferrada sia stato fermato pochi chilometri più tardi dai crampi.
L’emergenza costringeva intanto la Spagna ad una scelta fra i propri due capitani: Valverde si è sacrificato nell’inseguimento, consegnando i gradi di capitano unico a Purito. E se gli iberici non avessero trovato un inatteso alleato in Cancellara, evidentemente molto fiducioso nelle possibilità di Steve Morabito, la lotta per le medaglie si sarebbe di fatto ristretta ai battistrada già prima dell’ultimo giro.
Il lavoro di Caruso si è esaurito ai piedi dell’ascesa di Canoas, dove ha ceduto il testimone a Fabio Aru. Dietro è stato Kangert il primo a tentare la rimonta, rimbalzando però dopo poche centinaia di metri. Di ben altro spessore, invece, il contrattacco di Rodriguez e Meintjes, capaci di rifarsi sotto proprio mentre Nibali cominciava la sua serie di attacchi. Froome provava a sua volta la rimonta solitaria, arrendendosi però dopo un paio di chilometri. Alaphilippe, dopo aver atteso fin troppo, riusciva allora a saltare il vincitore dell’ultimo Tour e a riportarsi a sua volta nella scia di Purito e Meintjes.
Quella che pareva dover essere l’azione decisiva è nata sulla meno impegnativa delle due salite del circuito, quella di Vista Chinesa: Nibali è partito, Henao ha rilanciato, il siciliano ha ribattuto a sua volta, e il solo Majka ha tenuto botta, perdendo solo una manciata di metri, ricucita con passo regolare. Un ulteriore scatto di Nibali, a un chilometro circa dalla vetta, è parso per qualche istante poter lanciare il messinese verso una cavalcata solitaria, ma Henao ha provveduto con non pochi patemi a ricompattare il trio.
Forti di un margine di una quindicina di secondi al momento dello scollinamento, i tre si sono lanciati in discesa a rotta di collo, mentre Alaphilippe, con un paio di curve disegnate col compasso, riusciva a distanziare di qualche metro il resto degli inseguitori. Davanti, era Nibali a dettare le traiettorie, e l’impressione era che solo il francese potesse almeno ridurre il distacco dai battistrada.
Finché, a 12 km dal traguardo, la prima moto riprese ha mostrato prima Henao a terra, a bordo strada, e poi, pochi metri più avanti, lo stesso Nibali, in condizione analoga. La dinamica della caduta, in mancanza di immagini, dovrà essere ricostruita più avanti, in base alle testimonianze dei protagonisti. Argomento di interesse francamente limitato, al cospetto di una medaglia quasi vinta e sfumata sul più bello. Di lì a poco, sempre senza una telecamera a riprenderlo, anche Alaphilippe, il solo a potersi riportare sul terzetto, è finito a terra, riuscendo però a ripartire in tempi celeri e ad accodarsi al drappello di Aru.
Majka, il meno collaborativo e probabilmente il più stanco dei tre al comando, si è così ritrovato solo al comando nelle più rocambolesche delle circostanze, con una ventina di secondi da gestire. Dietro, per almeno un paio di chilometri, non si è vista neppure una parvenza di collaborazione, e la sensazione, a 6 km dal traguardo, era che l’oro fosse quasi al collo del polacco.
Nella girandola di scatti e controscatti, però, dal drappello inseguitore è evasa la coppia Van Avermaet-Fuglsang, che ha invece trovato subito un accordo impeccabile. La sagoma del polacco, davanti agli occhi dei due, si è fatta via via più grande, fino al ricongiungimento a 2 km dalla conclusione. Nulla poteva più impedire uno sprint a tre, e nulla poteva impedire a Van Avermaet, nettamente il più veloce, di fare polpette dei compagni di avventura.
Non è eresia parlare di una componente di fortuna nell’oro del belga, ma non si deve tuttavia perdere di vista l’impresa compiuta da un corridore che quasi nessuno considerava tra i papabili medagliati su un tracciato tanto selettivo (basti pensare che Sagan, corridore dalle caratteristiche non lontanissime da quelle del fiammingo, ha ritenuto il percorso olimpico così impegnativo da virare sulla mountain bike). E aiuta ad attenuare la delusione per la mancata medaglia azzurra pensare che a vincere sia stato un corridore dal credito sterminato con la sorte.
Fuglsang ha preceduto Majka, mentre Alaphilippe ha vinto l’inutile volata dei battuti, davanti a Purito e ad un ottimo Aru. Quello del sardo è un 6° posto che non può bastare a consolare per la sventura di Nibali, ma che evita almeno all’Italia di non figurare nelle zone alte della classifica, dopo una gara condotta in maniera magistrale, indubbiamente la migliore sotto la guida di Davide Cassani.
Estendendo il discorso, possiamo dire che la prova olimpica è stata di gran lunga la più spettacolare gara per nazionale degli ultimi anni. Merito, oltre che dell’intraprendenza degli azzurri, di un percorso all’altezza, come raramente ne abbiamo visti nei Mondiali recenti; dei 5 corridori (al massimo) per squadra, che ha reso impossibile anche alle compagini più forti un pieno controllo sulla corsa; forse anche della mancanza di radioline, che ha peraltro prodotto una situazione paradossale ad un centinaio di chilometri dal traguardo, quando Chris Froome, costretto ad un cambio di bici, ha dovuto inseguire per alcuni chilometri in compagnia di Geraint Thomas, mentre Cummings teneva alto il ritmo in testa al gruppo. Sarà difficile, però, ricordare la gara di oggi per il bello spettacolo, anziché per la maledetta caduta nell’ultima discesa.
Matteo Novarini
19 luglio 2018 – Tour de France – 12a tappa: Bourg-Saint-Maurice – Alpe d’Huez
THOMAS VINCE IN GIALLO MA IL PIÙ GRANDE E’ KRUIJSWIJCK
Grandissima azione dell’olandese della LottoNL-Jumbo che è andato in fuga solitaria per moltissimi chilometri ed ha percorso da solo al comando la curva degli olandesi sull’Alpe. Nei chilometri final scoppia la battaglia e Nibali, vittima di una caduta assurda, limita al minimo i danni grazie anche ad un rallentamento dei primi rotto da Bardet, bramoso di allungare la striscia dei vincitori francesi. Allo sprint vince Thomas, ma Dumoulin, che oggi era dato in difesa, non perde un metro ed anzi, con un’accelerazione, dà anche qualche grattacapo al keniano bianco.
Finalmente una tappa meravigliosa e piena di emozioni, non tanto per la battaglia finale sull’Alpe d’Huez, che si è sviluppata come al solito negli ultimissimi chilometri, ma per la grandissima azione di Steven Kruijswijk (LottoNL-Jumbo) che, dopo essersi inserito nella fuga iniziale, se n’è andato da solo sulla salita del Col de la Croix-de-Fer guadagnando un margine enorme in pochi chilometri. Per un lungo tratto l’olandese ha mantenuto un margine di 6 minuti sul gruppo maglia gialla, poi ovviamente il peso della lunghissima fuga e quello del tratto pianeggiante al vento verso l’inizio dell’Alpe d’Huez si è fatto sentire, ma il bravissimo scalatore olandese è riuscito a non colare a picco e, anche dopo essere stato raggiunto e staccato dai primi, ha retto bene ed è giunto al traguardo con soli 53 secondi di ritardo, mantenendo anche l’ottava in classifica generale.
Queste sono le azioni che tutti vorrebbero vedere in corse prestigiose come il Tour de France, queste sono le azioni coraggiose e, se vogliamo, scriteriate che rimangono però il sale del ciclismo, l’aspetto che rende questo sport il più bello che esista.
Sarebbe stato bello e meritato vedere Kruijswijk in giallo o, almeno, vederlo vincere la tappa, ma in ogni caso gli elogi non saranno mai sufficienti per un corridore che si trovava, e si trova tuttora, ancora ben messo in classifica e che inscena una azione del genere da solo, rischiando di saltare.
La classe dell’olandese si era già vista al Giro d’Italia del 2016 quando solo la rovinosa caduta nella discesa del Colle dell’Agnello gli impedì di vincere alla grande quell’edizione della Corsa Rosa.
Anche in quel caso Kruijswijk attaccò da lontano ma quell’azione, anche se ebbe un esito migliore, non è paragonabile per bellezza e fascino a quella di oggi e ogni appassionato non può non aver sperato che quest’impresa finisse nel migliore dei modi.
L’altro episodio chiave della giornata è stata l’assurda caduta di Vincezo Nibali (Bahrain Merida), causata da una moto. Naturalmente un’organizzazione come quella di ASO, bravissima nel fare pubblicità, da alcuni anni fa ha cominciato a scricchiolare e perdere colpi, dalla scena di Froome a piedi sul Ventoux allo sgonfiamento improvviso dell’arco dell’ultimo chilometro, gonfiato ad aria compressa, nella tappa del Lac de Payolle, episodi entrambi verificatisi al Tour del 2016.
Chris Froome e Geraint Thomas (Sky) si sono cavallerescamente fermati per aspettare il siciliano, poi Romain Bardet (AG2R La Mondiale) ha rotto l’equilibrio scattando. Non è che si possa pretendere che i primi si fermino in occasioni del genere, perché va bene il fair play, ma la corsa era in una fase caldissima, la vittoria sull’Alpe è il sogno di ogni ciclista e quelli davanti si stavano giocando il Tour de France.
Nel dopocorsa Paolo Slongo, direttore sportivo dello “Squalo” si è recato dalla giuria per chiedere che Nibali fosse accreditato del tempo dei primi, come accadde nel caso della caduta di Froome sul Ventoux, ma stavolta i giudici di gara hanno deciso di considerare l’episodio come “incidente di gara” e così confermato il distacco di 13 secondi accusato dal siciliano. Chi scrive ritiene la decisione giusta, anche perché non si può sapere come sarebbe andata se l’incidente non si fosse verificato. Tuttavia, visto il precedente di Froome, per un’ovvia applicazione del principio che vuole situazioni uguali trattate in modo uguale, Nibali avrebbe dovuto vedersi accreditato il tempo dei migliori. Ovviamente il peso economico di una squadra come la Sky è molto superiore a quello di una squadra come la Bahrean, ma sarà davvero difficile per ASO giustificare questa discrasia nella valutazione.
Nibali, comunque, è stato davvero bravo perché non si è lasciato prendere dal nervosismo ed è risalito in bicicletta, riuscendo a recuperare molti secondi con un’ottima azione, anche se la fase di attesa ha sicuramente favorito in parte l’inseguimento. Lo “Squalo” è, ovviamente, sembrato molto deluso dopo il traguardo perché, come ha detto ai microfoni dei giornalisti, si sentiva bene (aveva anche provato un allungo per saggiare la reazione degli avversari) ed aveva intenzione di provare nel finale a vincere la tappa, magari riuscendo anche a guadagnare qualche secondo sui rivali e pareggiare il conto con gli olandesi nelle vittoria in cima a questa storica ascesa, conquistata per la prima volta nella storia dal Campionissimo.
Gli olandesi, in effetti, oggi si sono fatti onore perché, oltre all’immenso Kruijswijk, bisogna sottolineare anche l’ottima prova di Tom Dumoulin (Sunweb) che, pur non reagendo alle accelerazioni violente di Froome, è riuscito a chiudere il buco che si era aperto come al solito con il ritmo e nel finale ha anche provato un’accelerazione che aveva lasciato in debito Froome e Bardet. Su una salita diversa da quella di ieri e adatta agli scalatori, pure il fortissimo cronoman della Sunweb non ha pagato alcun dazio ed ha pure conquistato l’abbuono riservato al secondo piazzato.
A questo punto una considerazione tattica va fatta anche in casa Sky. Dumoulin ha solo 11 secondi di ritardo da Froome e, se l’olandese dovesse resistere ancora sulle montagne che mancano, nella cronometro del penultimo giorno potrebbe sopravanzare il keniano bianco ed allora Thomas, che ha un vantaggio abbastanza consistente su di lui in generale ed è anche forte a cronometro, potrebbe essere la scelta migliore nella squadra per vincere, a meno che Froome non riesca a confezionare un’azione come quella nata sul Colle delle Finestre, in condizioni che però erano ben diverse da quelle attuali.
La considerazione prende ancor più corpo se si pensa che sinora Thomas non è affatto sembrato inferiore a Froome e oggi si è addirittura andato a prendere la vittoria di tappa in maglia gialla, al termine di una tappa durissima.
Nairo Quintana, invece, dopo un velleitario scatto ha pagato un dazio molto pesante, nonostante la condotta di gara della Movistar (sballata secondo chi scrive) avesse fatto pensare che il colombiano fosse intenzionato a sferrare un grande attacco. In casa Unzué si è, invece, salvato Mikel Landa, che è sembrato in difficoltà quando è stato dato fuoco alle polveri, ma – anche grazie al rallentamento seguito alla caduta di Nibali – è riuscito a rientrare sui migliori ed ha addirittura tentato la volata lunga per vincere.
Da segnalare, inoltre, che Primož Roglič (Team LottoNL-Jumbo) è arrivato insieme a Nibali a 13 secondi da Thomas ed è quinto in generale a 2′46″ oltre ad essere un bruttissimo cliente a cronometro.
Oggi la corsa non è decollata dai primi chilometri, in quanto i vari scatti non hanno portato al formarsi di una fuga, ma sotto i colpi della Movistar, che con Andrey Amador riduce di molto il gruppo, nasce quasi spontaneamente un tentativo foltissimo e molto interessante per le presenze. Nella fuga ci sono, infatti, Alejandro Valverde (Movistar), Kruijswijk (LottoNL-Jumbo) e Ilnur Zakarin (Katusha-Alpecin), che sono in classifica generale. Insieme a loro, troviamo Mikel Nieve (Mitchelton-Scott), Warren Barguil (Fortuneo-Samsic), Pierre Rolland (EF Education First-Drapac), Daniel Navarro (Cofidis) e alcuni big “decaduti” come Rafał Majka (Bora-Martínez) e Tejay Van Garderen (BMC). Nel corso della salita alcuni corridori perdono terreno e davanti restano così Daniel Martinez, Pierre Rolland (EF Education First-Drapac), Pierre Latour (Ag2r La Mondiale), Laurens Ten Dam (Sunweb), Barguil, Maxime Bouet, Amaël Moinard (Fortuneo-Samsic), Gorka Izagirre (Bahrain-Merida), Nieve, Amador, Valverde (Movistar), Van Garderen (BMC), Julian Alaphilippe (Quick-Step Floors), Majka, Gregor Mühlberger (Bora-Hansgrohe), Jasper Hansen (Astana), Serge Pauwels (Dimension Data), Zakarin, David Gaudu (Groupama-FDJ), Kruijswijk, Robert Gesink (LottoNL-Jumbo), Romain Sicard (Direct Énergie), Nicolas Edet, Navarro, Anthony Perez (Cofidis) e Marco Minnaard (Wanty – Groupe Gobert).
La Sky non fa un gran ritmo – anche perché quello di Amador aveva causato alcune defezioni, poi rientrate, nel team britannico – e il tentativo d’attacco prende consistenza con Alaphilippe che va a conquistare il GPM del Col de la Madeleine per raggranellare punti per la maglia a pois.
Nel fondovalle si muove Rolland, che aveva tentato in vari modi di convincere gli uomini in buona posizione in classifica a desistere per permettere che il tentativo potesse decollare.
Rolland resta solo sui Lacets di Montvernier ma, nella discesa successiva, viene raggiunto prima da Kruijswijk e Valverde e poi anche da altri componenti del gruppo originario. Sulle rampe della Croix-de-Fer, il vantaggio sul gruppo resta intorno ai 4 minuti e Kruijswijk decide che deve aumentare e va a sollecitare violentemente l’andatura, voltandosi ripetutamente nella speranza che qualcuno lo segua. Non c’è nulla da fare: nessuno tiene il ritmo dell’olandese che prende il coraggio a due mani e se ne va da solo, riuscendo tosto a distanziare moltissimo gli inseguitori e il gruppo.
All’inseguimento dell’olandese si forma un gruppetto con Barguil, Majka e Nieve, mentre più indietro restano Valverde, Zakarin, Rolland e Gesink.
Visto il dilatarsi del vantaggio, Ag2R e Movistar aumentano il ritmo, causando il distacco di Bauke Mollema (Trek – Segafredo) e Adam Yates (Mitchelton-Scott), che già ieri avevano mostrato di non essere in condizione.
Il vantaggio di Kruijswijk al GPM è di 3 minuti sui più immediati inseguitori, 4 sul gruppo di Valverde e 6 su quello della maglia gialla. In discesa l’olandese mantiene il vantaggio che, invece, scende inevitabilmente nel tratto di pianura prima di iniziare a salire i 21 leggendari tornanti.
Gli inseguitori non ci credono più e vengono ripresi dal gruppo, in testa al quale gli Sky si mettono a fare un gran ritmo. Sulla salita è Egan Bernal che impone un ritmo forsennato e riduce ad undici unità il gruppo, dal quale si stacca Daniel Martin che ieri, invece, era sembrato in stato di grazia.
Bardet prova a partire in contropiede su un allungo di Landa e resta a lungo davanti a bagnomaria con pochi secondi sul gruppo dei migliori, nel quale ci sono ora solo Thomas, Froome, Dumoulin, Nibali, Roglič, Landa e Bernal, mentre Quintana appare in difficoltà.
A poco meno di 4 Km dall’arrivo cade Nibali e Thomas mette piede a terra, mentre Froome accelera e chiude su un bravissimo Kruijswijk, che si stacca ma non va alla deriva. Dopo un momento di attesa per vedere se Nibali poteva rientrare, parte Bardet, che non riesce a staccare nessuno. Dumoulin, invece, riesce solo per un attimo a distanziare gli altri, eccetto Thomas che rimane incollato alla sua ruota. Si arriva così in volata con Thomas che precede Dumoulin e Froome.
Roglič e Nibali arrivano dopo 13 secondi, mentre Kruijswijk chiude con 53 secondi di ritardo. Archiviate le Alpi, bisognerà stare attenti alle tappe che porteranno la carovana ai Pirenei, perché sono piene di insidie e qualcuno, vista la solidità della Sky, potrebbe cercare di approfittare proprio dei trabocchetti previsti dalle prossime giornate. Domani si annuncia, comunque, una delle ultime tappe facili del Tour 2018, anche se non è così scontato che si arrivi in volata perchè parecchi velocisti si sono ritirati nelle ultime due tappe (Gaviria, Groenewegen e Greipel oggi, Kittel e Cavendish ieri) e ben poche saranno le squadre che avranno l’interesse di collaborare affinchè si rientri sui fuggitivi di giornata.
E a propositi di ritiri, c’è il rischio concreto che domani mattina non si possa schierare al via proprio Vincenzo Nibali, in questi momenti ricoverato in ospedale per accertamenti temendosi una frattura vertebrale che lo costringerà ad un lungo stop, mettendo a repentaglio anche la sua partecipazione al mondiale.
Benedetto Ciccarone

Nibali a terra sulla salita dell'Alpe d'Huez
17-11-2022
novembre 19, 2022 by Redazione
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VUELTA AL ECUADOR
L’ecuadoriano Santiago Montenegro (Movistar-Best PC) si è imposto nella sesta tappa, San Gabriel – Cayambe, percorrendo 179 Km in 4h46′14″, alla media di 37.528 Km/h. Ha preceduto di 2″ il colombiano Robinson Chalapud (Team Banco Guayaquil Ecuador) e di 3″ il connazionale Bryan Raul Obando (Team Cys Tecnology). Nessun italiano in gara. Chalapud è ancora leader della classifica con 1′01″ sul connazionale Cristhian Montoya (Team Medellin-EPM) e 4′01″ su Montenegro
NIBALI STORY – CAPITOLO 28: A SANREMO IL NIBALI CHE NON TI ASPETTI
Alzi la mano chi avrebbe puntato un soldo sulla vittoria di un corridore come Nibali alla Milano – Sanremo? La classica primaverile da decenni è divenuta terreno di caccia per velocisti, mentre si sono drasticamente ridotte le possibilità di successo per quei corridori che vogliono tentare la sortita sulla salita del Poggio, mitica quando si vuole ma tutt’altro che dura. Infatti per trovare la vittoria di uno scalatore nell’albo d’oro della Classicissima bisognava tornare indietro nel tempo fino al 1994, quando si era imposto Giorgio Furlan. Ma c’è un corridore che ha dimostrato che quando ci sono classe e volontà sono raggiungibili i traguardi più insperati, anche a dispetto dell’età che avanza: è così il 17 marzo del 2018 il 35enne Nibali ha messo la classica “ciliegina” sulla sua carriera scattando a 7 Km dal traguardo di Sanremo, nel punto di massima pendenza del Poggio,e involandosi a prendere la sua seconda classica monumento dopo il Lombardia nonostante il disperato inseguimento del gruppo, che è riuscito a raggiungere lo “Squalo” proprio sulla linea d’arrivo, ma quando oramai era troppo tardi.
LO SQUALO SBANCA LA SLOT DELLA SANREMO
Vincenzo Nibali vince alla grande la Classicissima con un’azione di forza sul Poggio che non lascia scampo agli avversari. Il tentativo di inseguimento di Trentin naufraga negli ultimi chilometri sull’Aurelia, tratto in cui Nibali stringe i denti e riesce per un soffio a resistere al disperato tentativo di rientro del gruppo. Beffati i velocisti che, fino al Poggio, erano riusciti a tenere chiusa la corsa in un modo per loro ideale.
Non è la sua corsa in assoluto e quella di quest’anno non lo era neppure in modo relativo, visto come si è sviluppata. Ma Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) è noto per essere in grado di tirare fuori il coniglio dal cilindro quando meno te lo aspetti ed è esattamente quello che ha fatto oggi, inventandosi un’azione che, per audacia ed imprevedibilità, ha lasciato tutti di stucco, favorendo così il guadagno di un piccolo gruzzoletto di secondi, che gli hanno consentito di presentarsi sul rettilineo d’arrivo con un vantaggio sufficiente a tagliare il traguardo di Via Roma braccia al cielo, nonostante il disperato tentativo di recupero del gruppo, andato praticamente in porto sulla linea d’arrivo, quando oramai era troppo tardi.
In realtà, due elementi potevano far presagire da un lato il possibile tentativo del siciliano, dall’altro la concreta possibilità di vincere. Durante le fasi importanti della corsa Nibali ha, infatti, fatto a “sportellate” per riuscire a mantenere le posizioni migliori in gruppo, sia sui tre storici capi, sia sulla Cipressa, e questo è l’elemento che poteva ingenerare il sospetto che lo “Squalo” fosse venuto a questa corsa per tentare di fare risultato. La caratteristica della Sanremo che, invece, poteva far pensare alla possibilità per un corridore come Nibali di imporsi era il chilometraggio. Per un fondisti di talento come lui, i più di 300 Km da percorrere (considerando anche i 7,5 Km da pedalare per raggiungere il via ufficiale) potevano essere l’elemento decisivo per riuscire a fare la differenza, nel momento nel quale le energie degli avversari si sarebbero ridotte al lumicino. La progressiva riduzione delle distanze delle corse attuali fa sì che, specialmente i più giovani, non siano più abituati a chilometraggi come quello della Sanremo, che ha lasciato la propria lunghezza quasi invariata rispetto al 1907, anno della prima edizione.
La vittoria di Nibali, inoltre, ha riportato questa meravigliosa corsa nella sua giusta dimensione per quanto riguarda la levatura dei vincitori. Scorrendo l’albo d’oro si trovano nomi come quelli di Girardengo, Binda, Bartali, Coppi, Merckx, Gimondi, De Vlaeminck, Fignon, Bugno,Chiappucci, Jalabert, oltre a molti altri che tralasciamo solo per brevità.
Nel ciclismo moderno, però, le caratteristiche del percorso hanno molto spesso portato alla volata, premiando i velocisti ma, anche in quei casi, coloro che sono riusciti a vincere sono stati quelli che hanno retto meglio il chilometraggio che oggi solo questa corsa presenta.
La Cipressa e il Poggio non sono salite durissime e, per di più, vengono percorse a velocità spesso molto elevate anche se regolari, rendendo difficili tentativi di attacco. Tuttavia, dopo aver percorso 290 K anche questa strategia di gara può saltare ed è esattamente ciò che è accaduto oggi. I velocisti sono riusciti a tenere narcotizzata la corsa nonostante la capitolazione della fuga già dal Capo Berta, quando mancavano ancora 40 Km alla conclusione. Sulla Cipressa uomini come Démare (Groupama – FDJ) sono andati in carrozza, leccandosi i baffi pensando alla volata finale nella quale le loro possibilità sarebbero state significativamente elevate. Anche la media molto bassa, dovuta anche al veloce formarsi di una fuga con uomini senza grandi pretese ed alla pioggia che è caduta copiosa per moltissimi chilometri prima di lasciar spazio ad ampie schiarite, sembrava favorire i velocisti, che così potevano risparmiare energie.
La fuga, come si diceva, è partita dopo pochissimi chilometri di gara ed era composta da Mirco Maestri e Lorenzo Rota (Bardiani – CSF), Evgeny Koberniak (Gazprom – Rusvelo), Guy Sagiv e Dennis Van Winden (Israel Cycling Academy), Sho Hatsuyama (NIPPO – Vini Fantini – Europa Ovini), Charles Planet (Novo Nordisk), Matteo Bono (UAE Team Emirates) e Jacopo Mosca (Wilier – Selle Italia).
Questi uomini hanno avuto un vantaggio massimo vicino ai 7 minuti, ma il gruppo ha sempre tenuto sotto controllo l’azione di costoro, che hanno preso moltissima acqua durante la loro azione. Il tentativo ha intrapreso il viale del tramonto nella marcia di avvicinamento alla fase calda della corsa ed è terminato definitivamente lungo la discesa del Capo Berta, dopo che il gruppo di testa si era appena sgretolato sulle pendenze più cattive del celebre strappo. In quel frangente il primo grosso nome a farne le spese è stato quello del tedesco Marcel Kittel (Team Katusha – Alpecin), che partecipava alla Sanremo per la prima volta in carriera.
Da questo momento è stata una guerra di posizione, con gli uomini più blasonati impegnati a tenere le migliori posizioni, anche perché ritrovarsi dietro in queste fasi potrebbe anche voler dire salutare definitivamente le speranze di vittoria. Diverse cadute si sono registrate negli ultimi 40 Km e la più paurosa è stata certamente quella occorsa a Mark Cavendish (Dimension Data) che, nel tratto immediatamente precedente l’imbocco del Poggio, è andato ad impattare violentemente contro uno spartitraffico posto dopo l’uscita di un rondò, facendo un volo pauroso e venendo centrato da un altro corridore che sopraggiungeva.
Sulla Cipressa, gli uomini di Démare hanno tenuto una andatura molto regolare e neppure l’avvicendarsi in testa degli Sky ha potuto scalfire la tranquillità del campione francese che, nella pericolosa discesa successiva, ha messo di nuovo in testa i suoi uomini e si è ripresentato sull’Aurelia addirittura con qualche secondo di vantaggio sul resto del gruppo, ancora composto da ben oltre cento unità.
Nel generale tentativo di restare davanti si è arrivati al Poggio con i migliori intenti a fare a spallate. Appena iniziato lo salita è partito Marcus Burghardt (Bora – Hansgrohe), che sembra più intenzionato ad accelerare l’andatura del gruppo in vista di un attacco di Peter Sagan piuttosto che a staccare gli altri. Quasi subito Jean-Pierre Drucker (BMC) si è riportato sul tedesco ma, tramontato tale tentativo, si è mosso Krists Neilands (Israel Cycling Academy) con a ruota Vincenzo Nibali. Dietro si sono marcati un po’ troppo, pensando ad un tentativo effimero e, nel tratto più duro della salita, lo “Squalo dello Stretto” ha provato l’affondo deciso, riuscendo a guadagnare una decina di secondi grazie all’indecisione di Sagan e Michał Kwiatkowski (Sky), che continuavano a marcarsi tra loro aspettando ognuno che fosse l’altro a prendere in mano la situazione. In un simile quadro l’esperto Matteo Trentin (Mitchelton-Scott), intuito il pericolo concreto, si è lanciato all’inseguimento ed un’altra volta Sagan e Kwiatkowski non sono saltati sulla ruota del corridore di Borgo Valsugana, lasciandolo da solo all’inseguimento di Nibali. Trentin ha continuato l’inseguimento nella discesa ma, una volta ritornato sull’Aurelia, il gruppo, lanciato a forte velocità, lo ha tosto riassorbito.
Gli ultimi 2,8 Km sono stati i più duri per Nibali che, dopo aver affrontato la discesa a forte velocità, ha dovuto dare fondo a tutte le energie per resistere al ritorno del gruppo su vialoni dritti e larghi da percorrere faccia al vento. In un simile terreno, 100 corridori che inseguono un uomo solo sono certamente in grado di recuperare una decina di secondi ma, ancora una volta, gli avversari del messinese non sono riusciti a condurre un inseguimento strutturato, procedendo un po’ disordinatamente alla ricerca di una quadra che non hanno mai trovato. Il vantaggio di Nibali ha cominciato a polverizzarsi solo quando da dietro hanno lanciato lo sprint lungo. Tutto ciò non è stato sufficiente per raggiungere il bravissimo siciliano che ha tagliato lo storico traguardo di Via Roma con almeno un paio di biciclette di vantaggio su Caleb Ewan (Mitchelton-Scott) che ha preceduto Arnaud Démare.
Dopo l’ormai lontano successo di Filippo Pozzato, datato 2006,, la Classicissima prende di nuovo la strada dell’Italia, grazie ad un numero veramente pregevole di Vincenzo Nibali.
Anche se la condotta di gara degli avversari dopo l’attacco ha certamente favorito la vittoria del siciliano, non si può non apprezzare la classe e la fantasia di questo atleta che si conferma un fuoriclasse che, dove non arriva con le gambe, arriva con la testa e con una perfetta visione di gara.
Dopo la conclusione, Nibali affermerà che la strategia di gara era quella di fare da stopper per portare alla volata Sonny Colbrelli, ma è apparso chiaro che l’inserimento in eventuale tentativo era finalizzato a tenere aperte entrambe le possibilità per la squadra.
La stagione delle classiche monumento non poteva iniziare in un modo migliore e si spera che anche la corse del Nord possano offrire grande spettacolo e qualche soddisfazione per i nostri atleti che vi parteciperanno. Il prossimo grande appuntamento sarà rappresentato dalla Gand-Wevelgem di domenica prossima, che anticiperà di una settimana l’atteso Giro delle Fiandre, quest’anno in calendario il giorno di Pasqua.
Benedetto Ciccatone

Nibali all'attacco sul Poggio, dove osano le grandi aquile della Sanremo (foto Bettini)
NIBALI STORY – CAPITOLO 27: IL LOMBARDIA RITROVA IL SUO SQUALO
Se nel 2016 aveva scelto di “tradire” il Lombardia per andare a correre in Kazakistan il Tour of Almaty, la corsa sponsorizzata dalla sua ex squadra, nel 2017 Nibali decide di ritornare sul luogo dove dodici mesi prima aveva messo la firma, per la prima volta in carriera, sulla Classica delle foglie morte. Ad invogliarlo è anche il fatto che, dopo che l’edizione precedente s’è disputata sul meno prestigioso percorso inverso, il Lombardia torna a corrersi da Bergamo in direzione di Como sul tracciato classico, con il Ghisallo e il Muro di Sormano ad anticipare il tradizionale finale che prevede di scalare in successione Civiglio e San Fermo della Battaglia. Anche stavolta il suo affondo parte nella discesa del Civiglio e per gli altri la pinna dello “Squalo” diventerà imprendibile….
LO SQUALO FA IL BIS SUL LUNGOLAGO CON UN’AZIONE ALLA SUA MANIERA
Vincenzo Nibali conferma il feeling che lo lega al lungolago di Como. Dopo il successo del 2015, lo Squalo si conferma e con una grande azione, caratterizzata da un’ottima strategia di gara oltre che da una condizione invidiabile. Dopo aver ripreso Pinot, che aveva fatto di diavolo a quattro sul Civiglio, lo ha staccato in discesa ed ha aumentato il vantaggio sul successivo tratto in pianura e sulla salita di San Fermo della Battaglia.
Nibali non si smentisce, dal 2013 ad oggi ha sempre regalato grandi prestazioni. Se nel 2013, nel 2014 e 2016 ha conquistato un grande giro, nel 2015 e nel 2017 si è imposto al Giro di Lombardia con grandi azioni degne della sua classe. Quest’anno, inoltre, ha portato a casa una grande vittoria che è arrivata sia grazie alla condizione ottima del siciliano, sia grazie ad una perfetta strategia di gara.
Quanto al primo elemento va osservato che Vincenzo ha comunque centrato due podi in altrettanti grandi giri disputati, impreziositi da prestigiose vittorie di tappa come quella dello Stelvio, e che le sue caratteristiche di fondista gli hanno permesso di uscire dalla Vuelta con una grandissima condizione che rischiava di essere compromessa da una microfrattura. Lo “Squalo dello Stretto” è stato in grado di non farsi condizionare da tale sfortunato fuori programma e si è presentato al meglio ai nastri di partenza dell’ultima classica monumento di questa stagione.
Riguardo al secondo elemento, è bastato guardare la corsa per apprezzare l’ottima strategia adottata dal capitano della Bahrain Merida. Con una squadra non al meglio il siciliano ha cercato di far lavorare la formazione nella prima parte, prima dello scoppio della bagarre, per poi rimanere in posizione di controllo sul Civiglio. Ha chiuso sul primo allungo di Pinot (FDJ), mentre ha preferito lasciarsi sfilare sul secondo per poi partire deciso dalla retrovie con una progressione irresistibile. Ha saltato Pozzovivo (AG2R La Mondiale) a doppia velocità e si è riportato in men che non si dica sulla scatenato francese, che aveva tentato di mettere tutti alla frusta. Nella seconda parte della discesa Nibali, conscio delle difficoltà che Pinot ha sempre avuto in questo terreno di gara, ha forzato per andarsene. Il transalpino ha però dimostrato di essere migliorato molto e, pertanto, il vantaggio accumulato dallo “Squalo” non era rassicurante. A questo punto il messinese, come i migliori passisti, ha cercato di fare una sorta di cronometro nel tratto di pianura. Anche in questo terreno Pinot ha fatto ottimi progressi rispetto a qualche anno fa, ma in corse di elevato chilometraggio conta moltissimo il fondo dell’atleta, la resistenza agli sforzi prolungati ed in questa specialità Vincenzo non ha certo nulla da imparare. Le energie rimaste e la gestione dello sforzo hanno, infatti, permesso a Nibali di aumentare progressivamente sia il vantaggio sul gruppo, sia quello su Pinot, che sulla salita finale ha pagato gli sforzi tanto da essere raggiunto dal gruppo in vista dello scollinamento del San Fermo. Il connazionale Alaphilippe (Quick-Step Floors), che con un allungo era stato il primo a riprendere Pinot, ha fatto valere le sue doti di discesista nel disperato tentativo di riportarsi su Nibali, ma ormai il vantaggio era talmente ampio da permettere al siciliano di gestirsi senza prendersi eccessivi rischi, come ha dovuto invece fare Alaphilippe scendendo a rotta di collo verso Como.
A proposito di discesa va segnalata la paurosa caduta di Laurens De Plus (Quick-Step Floors) che è volato al di là del guard rail scendendo dalla Colma dei Sormano, finenendo nella sottostante scarpata. Per fortuna le conseguenze di questa rovinosa caduta non sono state gravi come si era temuto in un primo momento.
La corsa è partita forte sin dalle prime battute, tanto che Davide Ballerini (Androni – Sidermec) e Jacques Janse Van Rensburg (Dimension Data), che erano stati i primi ad uscire dal gruppo, restano per molti chilometri a bagnomaria con un vantaggio di una manciata di secondi senza che il tentativo riuscisse a prendere concretezza. La situazione si sblocca quando i due attaccanti vengono raggiunti da Pierpaolo De Negri (Nippo – Vini Fantini), Lorenzo Rota (Bardiani – CSF), Mathias Le Turnier (Cofidis) e Lennard Hofstede (Team Sunweb). A questo punto il gruppo rallenta sensibilmente e la fuga prende il largo, arrivando ad avere un vantaggio massimo di dodici minuti sul Colle del Gallo. Sono a questo punto la Cannondale e la Bahrain Merida che si portano in testa al gruppo, aumentando notevolmente il ritmo e dimezzando il gap nel giro di pochissimi chilometri. Una volta riportato sotto controllo lo svantaggio, il gruppo ha cominciato a viaggiare alla stessa velocità dei fuggitivi per diversi chilometri, fino a quando Movistar, Lotto Soudal e Sky non hanno preso in mano le operazioni per andare a ridurre ulteriormente la distanza dai fuggitivi che, ai piedi del Ghisallo, conservavano un margine intorno ai due minuti.
Sulla salita verso la Madonna dei Ciclisti iniziano a muoversi gli outsiders con Primož Roglič (Lotto NL – Jumbo), Laurens De Plus (QuickStep – Floors), Rodolfo Torres (Androni – Sidermec), Jan Polanc (UAE Team Emirates) e Mikaël Cherel (AG2R La Mondiale) che, partendo in contropiede sul tentativo di Jesús Herrada (Movistar Team) e Andrei Grivko (Astana), riescono a sfuggire al controllo del gruppo.
Tra i fuggitivi Ballerini tenta di allungare, ma Le Tournier resiste all’attacco ed in un secondo momento stacca l’italiano andandosene tutto solo, mentre tra i contrattaccanti sono Cherel e De Plus, che riescono a resistere al ritmo di Roglič . Anche in questo caso saranno i due che si erano accodati a staccare chi aveva promosso il cambio di ritmo. Cherel e De Plus riescono a riportarsi sul battistrada in vista del prestigioso scollinamento, mentre in gruppo iniziano a muoversi le acque con Philippe Gilbert (QuickStep – Floors), Mathias Frank (AG2R La Mondiale), Alessandro De Marchi (BMC), Fabrice Jeandesboz (Direct Énergie), Enrico Battaglin (Lotto NL – Jumbo) e Diego Rosa (Sky) che mettono la testa avanti ma vengono ripresi ai piedi della salita verso la Colma di Sormano che, anche quest’anno, è stata raggiunta dalla via del prestigioso muro, con pendenze sino al 27%.
Su questa salita la situazione dietro si ricompatta con i contrattaccanti, ma il gruppo va progressivamente perdendo pezzi ed assottigliandosi chilometro dopo chilometro, mentre davanti Cherel stacca i due compagni di avventura. In discesa, De Plus si prende qualche rischio di troppo per cercare di ricucire e finisce al di là del parapetto, lasciando tutti col fiato sospeso finché non arriva la notizia delle buone condizioni generali del belga.
Al termine delle discesa Gilbert e De Marchi ci riprovano, ma con loro stavolta c’è anche Pello Bilbao (Astana). I tre riprendono Cherel ma da dietro i ritmi aumentano in vista delle fasi cruciali della corsa con la FDJ di Pinot in testa a fare l’andatura.
Gli attaccanti devono alzare bandiera bianca sulle prime rampe del Civiglio ed a quel punto scoppia la battaglia tra i grandi. Al primo allungo di Alexis Vuillermoz (AG2R La Mondiale) risponde Nairo Quintana (Movistar) con Nibali che riporta sotto anche gli altri. Il secondo tentativo è di Gianni Moscon (Sky) che tenta di soprendere tutti partendo in contropiede in un momento di rallentamento generale. L’italiano viene seguito dal giovane Sam Oomen (Team Sunweb) prima e da Ben Hermans (BMC) poi. A sfruttare la scia di Hermans ci pensa Pinot che, con poche pedalate, si riporta sulla testa. Stavolta è Nibali a reagire per primo, portandosi dietro Rigoberto Urán (Cannondale-Drapac), Quintana ed Egan Bernal (Androni-Sidermec), mentre Fabio Aru (Astana), Alaphilippe e Pozzovivo perdono qualche secondo. Dopo la chiusura su Pinot il gruppo, ormai ridottissimo, si ricompatta ma è solo la quiete che precede l’uragano perché Pinot riparte a tutta con Pozzovivo che tenta di reagire e Nibali che sembra in un primo momento guardare in faccia gli altri. Il siciliano sta però affilando le armi: infatti, si lascia sfilare leggermente per poi aprire il gas, dando il via allo show che abbiamo raccontato nella prima parte.
Il siciliano giunge in perfetta solitudine sul traguardo lariano, mentre Alaphilippe conquista la piazza d’onore. Terzo in volata Gianni Moscon, con qualche polemica con i francesi.
La classica delle foglie morte ancora una volta non ha deluso, ha regalato grande spettacolo ed ha rappresentato una degna chiusura della stagione del grande ciclismo.
Per questo chi scrive non può condividere quanto scritto da Pier Bergonzi sulle pagine della Gazzetta dello Sport di oggi, paventando uno spostamento del Lombardia in primavera per radunare le classiche monumento e permettere la partecipazione anche a corridori che, dopo la Vuelta ed il mondiale, chiudono bottega. Chi scrive ritiene che questo non sia un buon motivo per snaturare questa corsa che trova proprio nella sua collocazione attuale molti dei suoi pregi. Il tutto accompagnato dall’imprevedibilità meteorologica che ci permette di vedere corse calde ed assolate come oggi oppure gare flagellate dalle piogge che accompagnano il cambio di stagione ed i colori dell’autunno che cominciano ad avanzare dandoci l’appuntamento all’anno successivo.
Eccessivo romanticismo? Sarà, ma spostare il Lombardia in primavera sarebbe come festeggiare il Natale ad Agosto. Chi preferisce scartare i regali sotto l’ombrellone piuttosto che sotto l’albero?
Benedetto Ciccarone

Al Giro di Lombardia 2017 Nibali raccoglie a piene mani un'altra perla della sua prestigiosa carriera (foto Bettini)
16-11-2022
novembre 17, 2022 by Redazione
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VUELTA AL ECUADOR
L’ecuadoriano Jhon Elvis Cotacachi (Team Jonathan Narváez S-F) si è imposto nella quinta tappa, Tufiño – Tulcán, percorrendo 117.4 Km in 3h21′11″, alla media di 35.013 Km/h. Ha preceduto di 1″ il connazionale Bryan Rosero (Team Cinecable Internet – Twitter) e di 2′55″ il connazionale Byron Guamá (Movistar-Best PC). Nessun italiano in gara. Il colombiano Robinson Chalapud (Team Banco Guayaquil Ecuador) è ancora leader della classifica con 21″ sul connazionale Cristhian Montoya (Team Medellin-EPM) e 1′11″ sul connazionale Marlon Castro (Nariño Tierra Ciclistas)
NIBALI STORY – CAPITOLO 26: GIRO 2017, L’UNICO ACUTO ITALIANO È DELLO SQUALO
Sarà un Giro da dimenticare per i corridori italiani quello del 2017, il peggiore di sempre per quel che riguarda il bilancio delle vittorie. Fino alla 15a tappa nessuno dei nostri riuscirà ad imporsi e sarebbe stato così fino alla fine se uno spiraglio di sole azzurro sarebbe arrivato proprio da Nibali nel tappone del doppio Stelvio. Lo Squalo ha già superato da un paio di stagioni i 30 anni d’età e lentamente si sta avvicinando al progressivo declino della sua carriera ad alti livelli, anche se lampi d’altissima classe ce li fornirà negli anni successivi, come il secondo Lombardia, l’inattesa vittoria alla Sanremo e i piazzamenti sui podi dei grandi giri: a quello del 2017 si dovrà accontentare del gradino più basso, terzo a 40” da Tom Dumoulin, poi arriveranno il secondo posto alla Vuelta 2017 e il quarto al Giro del 2022, l’ultimo della sua carriera.
23 maggio – 16a tappa: Rovetta – Bormio
SHOW DI NIBALI IN DISCESA. FINE DEL DIGIUNO ITALIANO, DUMOULIN DIFESA STRENUA
Nella tappa regina del Giro d’Italia numero 100, i big si muovono in grave ritardo, nonostante il problema intestinale che aveva costretto la maglia rosa a fermarsi per un considerevole lasso di tempo. Tuttavia, Nibali, gettandosi a capofitto in discesa, raggiunge e batte in volata il bravissimo Landa in fuga dal mattino, che avrebbe anch’egli meritato la vittoria.
Indubbiamente sul Passo dell’Umbrail è successo di tutto, però qualche perplessità sulla condotta di gara dei big rimane. A inizio salita, Tom Dumoulin si ferma in preda ad un problema intestinale e dopo parecchio tempo riprenderà la corsa. Il gruppo dei migliori però non aumenta l’andatura subito, nessuno attacca e per lunghissimi chilometri il ritardo di un Dumoulin da solo e in difficoltà scende addirittura nei confronti del gruppo dei migliori. Alla fine, il tanto atteso attacco di Quintana non è arrivato e probabilmente il colombiano non era in giornata di grazia. Il più attivo è stato proprio Vincenzo Nibali che, grazie alle sue accelerate, è riuscito a portar via un quartetto con Zakarin, Pozzovivo e il colombiano, staccando anche gli altri uomini di classifica ed in particolare Pinot che lo precedeva nella generale.
A guardar la classifica, sembrerebbe che Quintana abbia sferrato un grande attacco, ma in realtà la tattica di gara non è stata particolarmente sagace. Tre dei migliori uomini in fuga facevano pensare ad intenzioni bellicose che invece non si sono concretizzate. Altre perplessità nascono da alcune indecisioni, come lo stop and go di Anacona che prima si lascia sfilare dalla fuga e poi, spendendo notevoli energie, si riporta sul gruppo di testa. Amador è stato ripreso quando era ormai molto provato e, anche se ha dato tutto per aiutare Quintana, poteva essere sfruttato meglio.
Si è discusso di fair play per il problema di Dumoulin. Sinceramente, chi scrive ritiene che, in quella occasione, i big avrebbero dovuto attaccare a testa bassa, mentre invece l’andatura è calata notevolmente. La corsa è corsa, si gareggia per arrivare primi e il fair play non è questo. Proprio ieri, durante la trasmissione, si ricordava come nel 1955 Coppi e Magni attaccarono Nencini in maglia rosa approfittando di una foratura del giovane Gastone. Fu proprio tale attacco che consentì a Fiorenzo Magni di vincere il suo terzo ed ultimi Giro. Questa è la corsa e, pertanto, il comportamento del gruppo è stato sinceramente eccessivamente gentile nei confronti del leader.
Per quel che riguarda la condotta di gara in generale, questa tappa ha un po’ deluso perché, problemi fisici a parte, con i distacchi con i quali gli avversari dell’olandese sono partiti stamattina da Rovetta l’attacco doveva essere sferrato sull’ascesa verso la Cima Coppi, anche perché l’ultimo giorno è in programma un’altra tappa a cronometro, nella quale l’olandese probabilmente si rifarà con gli interessi.
In conclusione, pare ci sia stato un eccessivo attendismo, anche se gli ultimi 30 chilometri sono stati spettacolari e anche se la maglia rosa ha certamente speso energie preziose nel salire in solitudine verso il Giogo di Santa Maria, energie che potrebbero mancare nelle prossime tappe di montagna. Bravissimo e stoico l’olandese che è riuscito a limitare i danni con grande caparbietà, aiutato comunque da avversari che hanno iniziato a fare sul serio un po’ troppo tardi.
Per quanto riguarda la cronaca della corsa, il gruppo è partito a tutta, facendo registrare una media di 50 km orari nelle fasi iniziali ed impedendo tentativi di fuga.
In una girandola di scatti e controscatti riescono ad avvantaggiarsi Quentin Jaregui (A2gr La Mondiale), Pello Bilbao, Zhandos Bizhigitov (Astana), Manuel Senni (BMC), Joe Dombrowski, Davide Villella (Cannondale-Drapac), Felix Grossschartner, Branislau Samoilau (CCC Sprandi), Mathieu Ladagnaous (FDJ), Jasper De Buyst (Lotto Soudal), Winner Anacona, Davide Bennati (Movistar), Laurens De Plus, Pieter Serry (Quick-Step Floors), Natnael Berhane (Dimension Data), Maxim Belkov, Alberto Losada (Katusha-Alpecin), Jurgen Van den Broeck (LottoNL-Jumbo), Vasil Kiryienka (Sky), Phil Bauhaus, Chad Haga (Team Sunweb), Mads Pedersen, Jasper Stuyven (Trek-Segafredo), Marco Marcato, Matej Mohoric, Edward Ravasi (UAE Team Emirates) e Julen Amezqueta (Wilier-Selle Italia).
Si forma così la fuga, con il gruppo che si tiene a distanza di sicurezza, ma sul Mortirolo si avvantaggiano, riportandosi sulla testa della corsa, anche uomini importanti come Landa (Sky), Kruijswijk (Lotto NL Jumbo) e Luis León Sánchez (Astana). E’ proprio colui che doveva essere l’ultimo uomo per Michele Scarponi che va a transitare per primo sulla cima che gli organizzatori hanno voluto dedicare al corridore di Filottrano scomparso tragicamente un mese fa.
Durante la discesa del Mortirolo si ricompone il gruppone dei fuggitivi, che si era notevolmente scompigliato. Ci pensano gli Sky a forzare il ritmo in modo tale che davanti rimangono solo gli uomini più forti, ossia Sánchez, Hirt, Amador, Gorka Izagirre, Antón, Kruijswijk, Landa e Deignan. Anacona, che si era staccato, si riporta su questi uomini in prossimità dello Stelvio. L’indecisione sul da farsi da parte della Movistar è alquanto imbarazzante perché prima era stato fermato proprio Anacona, che poi ha dovuto spendere energie per rientrare sulla testa, mentre successivamente viene fermato Izagirre, che si fa riprendere dal gruppo della maglia rosa che transita sulla Cima Coppi con un ritardo di 2 minuti e 20. Nella discesa allunga l’ottimo discesista Amador sul quale si riporta il bravissimo Mikel Landa. Vedendo cosa è riuscito a fare oggi il basco, molti sono i rimpianti per aver perso un uomo che non era certo venuto al Giro per fare il gregario di Geraint Thomas, come pure era stato affermato.
I due vengono ripresi dagli altri uomini che si erano avvantaggiati sullo Stelvio, ad eccezione di Sánchez che viene ripreso dal gruppo che, già sulla Cima Coppi, era ridotto a circa trenta unità.
I fuggitivi se la vedono brutta nel falsopiano che separa la fine della discesa dello Stelvio (dal magnifico versante altoatesino) dall’attacco del Giogo di Santa Maria in quanto, in quel tratto logorante, la riluttanza a tirare è grande e solo Steven Kruijswijk, oggi grande interprete della tappa, alimenta questo tentativo che comunque perde molto terreno rispetto al gruppo, che in questa tratto riesce a sviluppare velocità decisamente superiori.
Nelle fasi iniziali della salita Kruijswijk, che scopriamo oggi aver corso sino ad ora con una costola incrinata, prova ad accelerare e guadagna qualche metro, ma Landa prima e Hirt poi riescono a rientrare.
A quel punto in gruppo avviene il fattaccio: Dumoulin si ferma a bordo strada e si leva la maglia rosa. Qualcuno pensa ad un problema come una vespa entrata nella maglietta ed invece, quando il leader della generale si leva anche i pantaloni e si abbassa dietro ad un fosso a lato della strada, si capisce che il problema è di natura intestinale e che le cose per il leader della generale iniziano a farsi complicate. In gruppo, nonostante l’assenza della maglia rosa, il ritmo non è affatto alto, tanto che i fuggitivi riescono addirittura a guadagnare. Incomprensibilmente nessuno attacca, nonostante l’elevato distacco che tutti accusano nella generale e nonostante la tappa a cronometro conclusiva costituisca un’altra occasione per Dumoulin. La corsa soffre un eccessivo attendismo in questa fase, mentre davanti Landa stacca i due compagni d’avventura. Dumoulin sembra sofferente in volto, eppure recupera secondi sul gruppo dei migliori, anche se il ritardo è comunque elevato. Solo quando Nibali prova un paio di accelerate, portandosi dietro Quintana e successivamente anche Pozzovivo e Zakarin, il distacco della maglia rosa riprende lentamente a salire. Le accelerazioni di Nibali lasciano sulle ginocchia tutti gli altri importanti uomini di classifica come Mollema, Yates, Jungels e soprattutto Pinot, che alla partenza precedeva il messinese in classifica generale.
Il quartetto va a riprendere e staccare Hirt e Kruijswijk, che non erano riusciti a rispondere all’ultimo attacco di Mikel Landa. L’olandese sarà poi bravissimo a tenere il ritmo del gruppetto di Jungels e, al termine della tappa, guadagnerà una posizione in classifica. Con l’attacco a lunga gittata, Kruijswijk ha rischiato di saltare, perdendo la posizione nella top ten, ma per uno come lui che l’anno scorso ha mancato la vittoria del Giro per via della caduta nella discesa del colle dell’agnello, il decimo posto non significa molto e, pur in una condizione non ottimale, si è dimostrato un duro ed un corridore molto generoso, essendosi sobbarcato il peso del lavoro per molti chilometri.
Il gruppetto di Nibali scollina a 10 secondi da Landa e, nella discesa, Nibali si getta a capofitto, lasciando Quintana un po’ indietro, mentre Zakarin ha gravi problemi ad impostare le traiettorie. Va un po’ meglio Pozzovivo, mentre Nibali raggiunge Landa, altro ottimo discesista. Nella volata, lo Squalo prende l’ultima curva internamente e supera sulla linea del traguardo un Mikel Landa che tira un pugno sul manubrio per la frustrazione di un’impresa sfuggitagli all’ultimo metro. In ogni caso, il basco merita i complimenti per essere partito dalla prima salita in una tappa di oltre 220 km e di essere arrivato a giocarsela in volata con Nibali.
Quintana taglia la linea d’arrivo dopo 12 secondi e conquista l’abbuono per il terzo posto; successivamente arrivano gli altri corridori un po’ alla spicciolata, con Pinot che accusa un grave ritardo da Nibali e scende dal podio provvisorio.
Dumoulin, grazie ad un’ottima difesa, arriva a 2 minuti e 20 secondi e conserva la maglia rosa per 31 secondi.
L’olandese è ancora il favorito del Giro perché, oltre ad avere ancora la maglia rosa sulle spalle, ha anche a disposizione la cronometro finale a Milano ed oggi il gap patito è stato causato non da una crisi ma da un problema intestinale che è sembrato transeunte, visto l’ottimo recupero messo in atto. Bisognerà vedere se la salita dell’Umbrail percorsa a tutta ed in solitudine non gli presenterà il conto nelle prossime tappe. Per sua fortuna domani la tappa non è durissima, ma nelle fasi iniziali qualcuno potrebbe testarne la condizione, anche se la cosa appare francamente improbabile visto l’atteggiamento attendista che ha regnato oggi fino alle fasi caldissime. In ogni caso giovedì, nel tappone dolomitico, si potrà capire se il problema di oggi ha avuto un contraccolpo, anche psicologico, sul forte cronoman che, all’arrivo, non ha nascosto la sua delusione per il tempo perduto.
Nibali, come tutti speravano grazie alle sue caratteristiche di fondista, è in crescendo di condizione, mentre chi non è apparso brillantissimo è stato Quintana, che non ha provato nessun attacco e non ha mostrato le stilettate che gli avevano permesso di staccare tutti sulla Maielletta. E’ possibile che il colombiano, avendo impostato la stagione sulla doppietta Giro/Tour, sia in un momento di calo per poi recuperare la brillantezza nella terza settimana della corsa francese, vista anche la prestazione opaca offerta ad Oropa
Tutte interrogativi che troveranno risposta nei prossimi giorni.
Benedetto Ciccarone

Porta la firma di Vincenzo Nibali il successo che l'Italia inseguiva da ben due settimane (Getty Images Sport)
15-11-2022
novembre 16, 2022 by Redazione
Filed under Ordini d'arrivo
VUELTA AL ECUADOR
L’ecuadoriano Santiago Montenegro (Movistar-Best PC) si è imposto nella quarta tappa, Otavalo – San Gabriel, percorrendo 153.4 Km in 4h09′12″, alla media di 36.934 Km/h. Ha preceduto di 1″ il colombiano Robinson Chalapud (Team Banco Guayaquil Ecuador) e di 3″ il connazionale Wilson Steven Haro (Team Banco Guayaquil Ecuador). Nessun italiano in gara. Chalapud è ancora leader della classifica con 19″ sul connazionale Cristhian Montoya (Team Medellin-EPM) e 1′11″ sul connazionale Marlon Castro (Nariño Tierra Ciclistas)