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TRE BUONI MOTIVI PER...PASSARE LA DOMENICA DAVANTI ALLA TELEVISIONE

Le undici asperità stimolano l'appetito ed assicurano spettacolo. La maglia rosa di Vandevelde è già pronta per essere messa in palio. A bramarla sono in molti ed i reduci dalla campagna delle Ardenne prenotano già una taglia. Ma l'ultimo chilometro non è l'unica ragione per la quale il nostro Gabriele Bugada vi invita a passare una comoda domenica in poltrona a gustare le meraviglie del Giro...

di  Gabriele BUGADA

Tre buoni motivi per... aver guardato la cronosquadre (invece che la classifica alla sera).

PRIMO PER LE FACCE
Primi piani al primo posto. I baffi di Zabriskie, Buffalo Bill in tuta stars and stripes, che sul podio improvviserà un assolo di chitarra con la bottiglia di spumante. Il naso di Pinotti che cala gli occhiali con fare professorale. La mia preferita, la bocca di Backstedt lì in alto a destra sullo schermo, spalancata di dolore al traguardo, il resto della faccia tagliato via nel fuoricampo: ma non c’è bisogno di altro.
Anche se non è una faccia, veramente ci sarebbe anche un altro ritratto di Zabriskie, in corsa, inquadrato di spalle, così spianato e raccolto nel minimalismo aerodinamico che di lui restano solo un paio di gambe, e - beh, ci siamo capiti.

SECONDO PER LA FATICA (PER IL DOLORE)
Tre chilometri al due-virgola-quattro percento. Tra viale Margherita di Savoia e viale Ercole. Affrontati dopo soli tredici chilometri, un quarto d’ora suppergiù, dal via. Se ne calcolassimo la difficoltà con un indice apposito, sarebbe meno di 12: contro i 172 dello Stelvio, o anche solo i 27 della Cipressa. Ecco perché bisogna vedere per credere. Perché non c’è numero che ti racconti la fatica, quella vera, quella di quando sei a tutta, più che a tutta, impiccato con la testa piegata da un lato e il collo che sembra spezzato. In un quarto d’ora - un quarto d’ora di pianura - ci puoi già arrivare. Tutte le squadre in lizza per il primato hanno offerto in questo tratto lo spettacolo della concentrazione che tiene in pressione la testa quando stai per scoppiare, per sfiatare il tuo vapore e mollare; lo spettacolo dei muscoli che invece stantuffano a tutta. Kanstantin Siutsou della High Road, 25 anni, probabile uomo di classifica dopo il suo exploit al Giro della Georgia (arrivo in salita e primato finale battendo il signor Leipheimer) si inchioda, non ce la fa proprio, ma lasciarlo qui al suo destino vuol dire che la generale è già bruciata alla tappa zero. Un compagno smette di tirare, si alza, lo incoraggia - dicendogli chissà cosa, a dir la verità! La High Road perde la tappa di 7 secondi, il secondo gradino del podio per 1 secondo solo (dalla CSC, come due anni fa).

David Millar, che era stato pronosticato come candidato alla prima rosa - visto il suo ruolo simbolico per il programma antidoping della Slipstream, e visto che proprio la rosa mancava alla sua collezione di maglie di GT - si strema ai meno 1500m per lanciare verso il primato il compagno Vandevelde, americano con cappellino a rovescio e faccia da Hollywood senz’altro più spendibile presso il pubblico USA, generalista e nazionalista come pochi altri. In compenso, Millar diventa il simbolo di tutti quegli atleti che si sono schiantati e sganciati, immolati o fusi nel calore bruciante della flamme rouge.

TERZO PER IL COLORE
Le maglie dei campioni nazionali a variegare le uniformi troppo uniformi (e proprio la Slipstream che è già abbastanza sgargiante se ne concede più d’una!). Il fervido tifo per i corridori di casa. I verdi della Liquigas, i rossi della Barloworld, i bianchi della LPR (sì, d’accordo sono grigio chiaro) per riaccendere la speranza che la cronosquadre, anche senza grandi cronomen, torni specialità amica per le nostre squadre.

Tre buoni motivi... per passare la domenica pomeriggio davanti alla TV (che sia per la tappa di Agrigento, mi raccomando!)

PRIMO PER LA SFIDA
Più di 200km, e meno di quaranta sono in pianura. Il dislivello sfora i 2000m, in una tappa che serve un antipasto impastato di polvere, scirocco e tanto sudore, anche se mancherà il solleone. Infiniti su e giù, strade tortuose, l’ambientazione ideale per un agguato. L’assenza della canicola che avrebbe potuto far fuori qualche nome grosso rende però più probabile che si combatta all’arma bianca. Una fuga, certo: per i primi punti, e per le prime maglie: tanto più dure da conquistare perché garantiranno quasi certamente un possesso sereno di qualche giorno. Una fuga che potrebbe arenarsi sugli altipiani dove la strada si rilassa come un fiume prima di calare su Agrigento, ma una fuga che potrebbe diventare tanto, troppo oneroso recuperare. Ci sarà di tutto: la rissa, la guerriglia, la guerra di trincea, l’assedio al fortino; e per una volta ci sarà anche la Rai una mezz’ora prima, per non perdersi tutto il divertimento. Sarà una tappa in cui risparmiare il giusto, ma con i nervi tesi, come tutte quelle in cui la maglia rosa minaccia - o promette - di cambiar padrone. Alla fine: quasi mille metri tra l’otto e il dieci per cento, preceduti da un paio di km con pendenze più chete e costanti, per rodere i gregari, per sfogliare la rosa dei migliori. La seconda volta sarà quella buona. Un arrivo vero, una tappa vera, adatta a corridori veri. Per una vera maglia rosa.

SECONDO PER LA SICILIA
Un’altra Sicilia, una Sicilia altra. Il mare lontano come un’idea, come un sentito dire, tra forre e colli spesso disabitati, presidiati da masserie mute come sfingi. La Sicilia di Camilleri, contro quella degli antagonisti di Montalbano. La Sicilia che guarda un po’ sapeva anche costruire biciclette. L’Agrigento della Valle dei templi, del declivio degli scempi.

TERZO PER IL TRAGUARDO
In tanti vogliono quel traguardo. In tanti hanno il revolver rovente per una sparata senza repliche. Bettini o Rebellin, che puntano la linea come segugi, fiutando eccitati dall’odore di iride che alligna in zona dal ’94; i Riccò, Mazzanti, Nocentini o Visconti, ansiosi di rifarsi in una rivincita delle Ardenne curiosamente spiazzata sull’atlante; i motivatissimi Di Luca, Gasparotto, Pellizotti, Nibali, Soler o Pfannberger, perfino!, che vedono a una manciata di secondi una morgana rosa da afferrare per un soffio - così come potrebbero restarne stregati qualche High Road o CSC. O Astana, perché no, alla faccia della pretattica. E poi quelli che avranno senza tema di dubbio lanciato compagni in fuga, e che chissà, potrebbero trarne giovamenti tattici - crediamo non si esimeranno i CSF o i Diquigiovanni. C’è tanta elettricità nell’aria, a patto che non si scarichi "a terra" nella pancia pigra del gruppo... Ma le punte per far scattare la scintilla non mancano di certo.

Gabriele Bugada

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