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IL PUNTO SULLA TAPPA
...E DI LUCA SEMBRA LO STESSO DEL 2007...

Uno sprint per celebrare il trionfo dell'anarchia. Nell'epoca del deragliamento dei treni emerge veramente il più furbo tra i pedali veloci. Non è questo l'unico tema di giornata. Abbiamo dato uno sguardo anche alla lettura tattica di Danilo Di Luca ed alla regia-egemonia della Liquigas in gara. Di Marco Ferri.


di Marco FERRI


Viaggi, cadute, ordini e ramanzine. Questi i quattro elementi nei quali si sintetizza la terza frazione in terra siciliana della corsa rosa che ha rispecchiato, con le dovute proporzioni, quella che ha fatto da degna precursore con traguardo a Milazzo.
Dallo spicchio d’Italia un tempo di Falcone e Borsellino si va via, a 72 ore di distanza dai caschi a punta e dalle ruote a razze di Palermo, con qualche certezza in più. La prima è che Mario Cipollini, da vecchia volpe, aveva ragione. I primi due sprint del novantunesimo Giro hanno un retrogusto vintage, senza treni, senza fari e senza predoni. E nell’incertezza generale ecco spuntare due fenotipi diversi. Progressione contro sparata secca, scaltrezza contro fiuto. Sarà probabilmente questo l’incrocio di spade più suggestivo delle frazioni di “trasferimento” riservate ai pedali veloci, almeno fin quando McEwen resterà il gemello sbiadito del limatore di ruote ammirato negli anni passati.
La seconda è che anche i ragionamenti di Pozzato, biondo e bello almeno quanto Cipollini, non fanno una piega. Le lamentele del vicentino nelle Classiche si possono estendere tranquillamente fin qui. I troppi personaggi in cerca d’autore nelle fasi calde della gara rischiano di mettere a repentaglio la propria incolumità e quella di chiunque gli graviti a tiro. Non ce ne voglia Koldo Fernandez, ma fare la paternale ad un due volte iridato dopo essersi improvvisati Alberto Tomba a 65km/h sulle transenne appare esercizio di superbia.
Dalle ramanzine agli ordini. L’impressione è che la Lpr sia la versione 2.0 della Liquigas del 2007. Di Luca, una volta acquisite le chiavi in mano, l’ha plasmata ed innescata a propria immagine e somiglianza e gli ingranaggi paiono rispondere con precisione svizzera alle sollecitazioni del boss. L’unico neo rintracciabile nel team di Bordonali risiede proprio nelle attuali condizioni del Killer di Spoltore. I due richiami ai compagni che tiravano troppo forte, oggi e ad Agrigento, lasciano spazio all’annidarsi di qualche dubbio sulla piena effettività della condizione dell’abruzzese che sembra destinato a trovare l’apice della forma proprio in coincidenza con l’ultima settimana di corsa.
La Liquigas, da par suo, non ha sbandato pericolosamente una volta perso il vincitore dello scorso Giro d’Italia. Amodio è il generale di ferro di una truppa che negli ultimi due anni si è guadagnata sul campo i galloni di giudice della corsa. Pellizotti e Nibali rappresentano solo gli esecutori materiali di una melodia composta armonicamente da ogni membro della compagnia che in questi primi vagiti di Giro si è dimostrata quella più affiatata e in palla.
Si lascia la Sicilia, infine, con i veleni del gruppo per i trasferimenti-fiume e per le strade dissestate. Nulla di nuovo sotto al sole, verrebbe da dire, se non fosse che a rischiare di rimetterci la pelle sono stati, in mero ordine cronologico, Soler e Riccò. Due possibili aspiranti al trono del Killer. Due guastafeste e scombinatori di piani che, qualora dovessero abdicare, ci mancherebbero terribilmente…

Marco Ferri

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