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6a TAPPA: FIRENZE - GENOVA
25 MAGGIO 1909: ATTACCO AL DUCE

“Duce” è, nell’antica terminologia latina, il capo e così Costamagna appella Ganna nella tappa che lo vede seriamente attaccato dagli sfidanti. Il ciclismo è agli albori, non si parla ancora di legge non scritta che recita di non approfittare delle disgrazie altrui per trarne vantaggio in corsa: Ganna fora e davanti partono a tutta, per staccare più possibile il capo della classifica. Ma questa è stilata a punti e non a tempi: concludendo terzo dopo una dispendiosa rimonta – comunque non coronata da successo – il varesino salva il suo primato. Il settimo capitolo della storia del primo Giro d’Italia.

Un’altra giornata difficile attende i corridori, che alle 3 e mezza della notte del 25 maggio, cominciano a raggiungere il parco delle Cascine. Nel medesimo luogo dove s’era conclusa la precedente tappa, prende anche il via l’ultima frazione montana della prima edizione della corsa rosa. Il tracciato è meno impegnativo rispetto alla giornata di Napoli, per la presenza d’ampi tratti pianeggianti fino a La Spezia, dove la carovana lascerà il mare per salire verso il Passo del Bracco. Tornati sulle rive del Mar Ligure, il percorso prenderà poi a serpeggiare, assecondando gli anfratti della Riviera di Levante: ultimi saliscendi tra Chiavari e Recco, con la salita della Ruta da affrontare nel doppiare il Monte di Portofino, poi il tracciato torna a farsi relativamente filante con l’approssimarsi a Genova. Il traguardo è fissato al Lido d’Albaro dove, per la prima volta nella storia del Giro, è allestito il quartiertappa. Allora definito “quartiere dei corridori”, è ospitato nei locali dello stabilimento balneare, dove a ciascuno è assegnato un camerino nel quale depositare i propri effetti personali. Sono inoltre predisposti un servizio di toilette e le docce, creando un’atmosfera che oggi si è persa ed è possibile respirare solo nelle spartane docce del velodromo di Roubaix. L’entusiasmo dei genovesi è enorme, come si evince dalla quantità di premi straordinari messi in palio: il comune assegnerà a tutti una medaglia d’argento con dedica; il commendator Croce (capo console del TCI a Genova e presidente del comitato di tappa) premierà i primi tre genovesi dell’ordine d’arrivo con una medaglia d’oro; due coppe artistiche sono fornite dal cavalier Picasso (vicepresidente del comitato) e dal signor Prada (presidente della società ciclistica “Veloce Sport Club”); un’altra medaglia d’oro sarà assegnata dal signor Pietro Brunoldi, rappresentante delle quattro case ciclistiche Rudge Whitworth, Swift, Humber e Gritzner, al primo corridore loro affiliato che taglierà la linea d’arrivo.
L’entusiasmo contagia anche la popolazione, sin dai giorni precedenti l’arrivo del Giro. Per evitare i disagi delle tappe scorse è potenziato il servizio di sorveglianza mentre, per distogliere una parte dei genovesi dalla zona d’arrivo, nel centro è allestito un punto d’informazioni presso la sede del quotidiano “Il Secolo XIX”: lì campeggia una gigantografia del percorso di gara, presa d’assalto da numerosi “zenesi” che, comunque, si rileveranno essere i tifosi più indisciplinati incontrati dalla partenza da Milano. I tantissimi che si porteranno al Lido d’Albato invaderanno ogni buco possibile, creando due ali di folla che entusiasmeranno e stordiranno Cougnet, ma creeranno anche non pochi grattacapi agli uomini preposti all’ordine pubblico, soprattutto quando un nutrito gruppo si fionderà sopra al palco riservato alle autorità, arrivando a provocarne il collassamento.
Il via, dato mediante uno squillo di tromba ed il classico abbassamento della bandierina, è dato alle 5 e mezza. Manca Troussellier che, dopo le traversie patite nella tappa precedente, ha preferito ritirarsi e tornare in Francia, seguito dal fidato Pottier.
I “big” sono già sull’attenti fin dai primi chilometri, pianeggianti ma insidiosi a causa della strada, polverosa e tortuosa. Già a 9 Km dalla partenza, dopo le prime scaramucce, il gruppo di testa è costituito dalla crème della classifica (Ganna, Galetti, Rossignoli, Ernesto Azzini e Canepari), mentre due plotoni d’inseguitori seguono staccati, rispettivamente di 300 e 500 metri. D’improvviso la velocità cala, favorendo il ricompattamento dei tre gruppetti; andando verso Pistoia la testa della corsa è ora formata da una quarantina di corridori, che procedono in maniera piuttosto monotona. Incominciano le prime difficoltà altimetrie, che si sposano ai disagi tecnici: sulla salita di Serravalle si registrano, infatti, le prime forature. Il passaggio per Montecatini è disturbato dai viavai di carri e carrozzelle, che sollevano un polverone accecante. A Lucca la corsa transita sulla passeggiata delle mura, dove è previsto il primo controllo a firma, che avviene sotto una pioggia di fiori, lanciata dai tifosi locali. Un gesto simpatico che piace al direttore della Gazzetta, mentre è tacciato come maleducato da Cougnet. È anche l’occasione per eseguire riparazione tecniche o far rifornimento di energie: così Ganna ne approfitta per cambiare il sellino, mentre Canepari, appena rientrato dopo una foratura, arraffa un’enorme costoletta.
Un’altra difficoltà si prospetta all’orizzonte, “il monte per cui i Pisani veder Lucca non ponno” : i primi ad arrampicarsici, ovvero la testa della corsa, sono Oriani, Cocchi, Ganna, Ernesto Azzini, Chiodi, Galetti, Sala, Lampaggi, Gaioni, Rossignoli e Marchese. Anche in questo caso, poco distanziati seguono due gruppetti d’inseguitori, mentre appare all’orizzonte la Torre di Pisa. Nei pressi del pericolante edificio è previsto un altro punto di firma, dove giungono per primi Ganna e Azzini, che s’impegnano in un piccolo sprint. Il gruppo al vertice, che si era ridotto nel numero approssimandosi a Pisa, torna a ricompattarsi una volta imboccate le dritte strade versiliane. Non ce la fanno a rientrare, però, Corlaita, Oriani e Cocchi, frenati da forature e cadute. Anche la Zust di Costamagna è costretta più volte a fermarsi, ma per ben altri, più lieti, motivi: i sindaci dei comuni attraversati avvicinano spesso il direttore della “rosea” per consegnare lettere di congratulazione, mentre s’innalzano grandi striscioni inneggianti ai campioni e allo sport. La sfortuna si accanisce ancora contro Oriani che cade e, rimediata una contusione alla gamba, si ferma a bordo strada; attendendo l’arrivo del medico, è avvicinato da un colonnello che, saputo che si tratta di un militare (arruolato nei bersaglieri, Oriani morirà nel 1917, dopo aver contratto la polmonite per aver attraversato il Piave a nuoto durante la ritirata di Caporetto), lo incita calorosamente a resistere e a terminare il Giro.
Passata Massa, nella girandola delle forature è nuovamente coinvolto Ganna ma stavolta, così lontano dal traguardo e con tutte le montagne ancora da affrontare, sarà impossibile recuperare. Il varesino cerca di non lasciar intendere agli avversari del sopraggiunto incidente, rallenta e si porta nell’ultima posizione del gruppo di testa. Davanti non se ne sono accorti, neppure il suo compagno di squadra Chiodi. Ma quando questi si volta per cercarlo e, non vedendolo, si ferma, la frittata è fatta: un brivido percorre il gruppetto di testa, che subito accellera. È Canepari a trainarlo a tutta, causando il cedimento dei corridori meno resistenti e riducendolo nel giro di pochi chilometri a soli sei elementi: Canepari, Galetti, Rossignoli, Celli e i due fratelli Azzini, Ernesto e Luigi. In vista del passaggio dalla Spezia, dove finisce la pianura ed è previsto un rifornimento prima d’affrontare le salite, il gruppetto degli attaccanti s’è ulteriormente ridotto, poiché si sono staccati Celli e Luigi Azzini, anch’egli vittima di una foratura.
Prima del Bracco si deve affrontare la breve salita della Foce, dalla cima della quale si ammira il Golfo della Spezia, lievemente ammantato d’una cappa di nebbia. Bastano già i suoi sei tortuosi Km a far emergere i più forti: scollinano in testa Rossignoli e Galetti, mentre si staccono prima l’altro Azzini e poi Canepari, che rimedia la sua seconda foratura di giornata.
Il Bracco non è ripido ma molto temuto. Cougnet, che l’ha scelto personalmente nel tracciare il suo primo Giro d’Italia, definisce la salita come “molto forte: il terreno è buono, ma i frequenti e rapidi tourniquets ci costringono ad andare adagio”. L’Itala è dunque costretta a frenare, permettendo ai giornalisti al seguito di ammirare il panorama dell’Appennino Ligure. Il conseguente rallentamento consente loro anche di assistere a ciò che accade nelle retrovie; mentre i due di testa scollinano assieme ai 618 metri del Bracco, dietro Ganna si lancia in un veemente inseguimento – il suo distacco dal duo al comando era inizialmente di un minuto e mezzo – che gli consente di raggiungere nella discesa verso Sestri Azzini e Canepari, protagonista di uno sbandamento che manda per le terre il compagno d’avventura.
Dalle stesse parti, i due di testa collaborano fino quando una foratura di Rossignoli scatena gli appettiti di Galetti: al passaggio da Lavagna il corridore milanese ha 3 minuti di vantaggio su Rossignoli e quasi un quarto d’ora sul terzetto costituito dal capoclassifica Ganna, Canepari ed Ernesto Azzini; altri sette minuti bisogna attendere per vedere transitare Chiodi, due minuti in più per Celli.
La difficoltà successiva, l’ultima prevista dal percorso di gara, non cambia la situazione in testa, mentre crea ancor più sparpaglio tra gli inseguitori: Chiodi fora, Canepari cade e si fa male, Ernesto Azzini si stacca e in breve chi gli sta davanti guadagna quasi un chilometro. C’è chi tira a tutta, Ganna per tentare d’accorciare le distanze, Galetti per sortire l’effetto opposto. Per questi la vittoria sembra assicurata, il suo vantaggio pare rassicurante, ma una buca si para sul suo cammino. Il milanese l’avverte solo all’ultimo e scarta d’impeto, con un’irruenza, dettata dal nervosismo, che gli provoca un salto di catena. L’inconveniente permette a Rossignoli di raggiungere la “lepre” e di dar con lui vita ad un finale emozionante al cardiopalmo tra conterranei (Rossignoli è pavese). Una sfida tra l’”uomo cronometro” e “Baslott”, come sono soprannominati Galetti e Rossignoli: è quest’ultimo ad imporsi, con uno sprint di tale potenza da staccare di 100 metri l’avversario nel rettilineo d’arrivo in leggera discesa, tracciato sulla strada che dall’Aurelia scende al lungomare. “Angosciosa” per tutti l’attesa di Ganna che, tagliando il traguardo in terza posizione dopo qualche minuto, grazie alla classifica a punti salva la sua leadership.

7 - continua

Mauro Facoltosi [info@ilciclismo.it]

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