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DEMATTEIS NON CI STA
'NOI CORRIDORI ULTIMA RUOTA DEL CARRO'

"Corridori smettetela di mentire". Un'invettiva a firma di Candido Cannavò apparsa sulla Gazzetta dello Sport la scorsa settimana e passata inosservata ai più ha trovato la pronta risposta di chi ha la passione per le due ruote che gli circola ancora nelle vene anche dopo il passaggio al professionismo. A Miculà Dematteis, 23enne portacolori della Tenax, quelle parole proprio non sono andate giù e così ha deciso di raccontare la propria verità tramite una lettera alla "rosa" che ha suscitato non poco clamore nell'ambiente. Ai microfoni del nostro Francesco Sulas, al termine del Giro dell'Appennino vinto da Bertolini, si è raccontato mettendo a nudo i mali che affliggono l'universo professionistico.

.: Nella foto di Roberto Bettini, Miculà Dematteis in azione nella stagione 2006, al primo anno da professionista.

di  Francesco SULAS

Il Giro dell’Appennino esce dal letargo prolungato e dà vita alla sua edizione numero 68. Si voleva evitare la concomitanza con la Liegi, in maggio, ma spostando la gara ad agosto ci si ritrova con la Clasica de San Sebastian che viene corsa dai big il giorno prima. Così da Novi Ligure partono in soli 109, dei team Pro Tour c’è la Liquigas con tanti giovani e Pellizotti. Spicca la presenza di Mauricio Soler, miglior scalatore allo scorso Tour de France che si ritirerà dopo la terribile Bocchetta, il cui record di scalata resta anche quest’anno nelle mani di Gilberto Simoni, correva l’anno 2003. Chi sale più veloce sotto il sole d’agosto è Yauhen Sobal della Cinelli Endeka, che scollina in 23’37”. Proprio sulla Bocchetta si accende la corsa, ma a dire il vero già dal passaggio nel centro di Genova Alessandro Bertolini si era avvantaggiato con un altro gruppetto. “Volevo anticipare la salita pe sfruttare le mie doti di discesista”, dirà al traguardo. Il vincitore del Giro dell’Appennino 2007. Staccato sulla Bocchetta da un Siutsou apparso in ottima forma (il giovane della Barloworld concluderà 2°), Bertolini non si perde d’animo, va a riprendere il bielorusso che si pianta sulle ultime rampe di quella che rappresenta una delle più arcigne salite liguri. Alla fine Bertolini stacca di 55” Siutsou, mentre il gradino più basso del podio va a Ruslan Pidgornyy, ucraino della Tenax, già vincitore della tappa conclusasi al Passo Maniva durante lo scorso Brixia Tour, indubbiamente ottimo scalatore e fondista eccezionale. Già, perché dopo i 200 km della corsa di quest’oggi, Ruslan torna al camper della Tenax, consegna fiori, coppa e rimonta in sella. “Dove te ne scappi?” gli chiediamo. “Vado a casa – risponde lui con tutta la naturalezza di questo mondo – abito a Novi Ligure, mi faccio ancora 60 km defaticanti”. Bel tipo questo ucraino che inforca la bici e se ne va a casa dopo la premiazione.
Mentre lo speaker inneggia ad Alessandro Bertolini ed il suo team manager Gianni Savio raccoglie coppe e coppette, arriva l’ultimo gruppo di corridori, un bel quarto d’ora sul groppone. Due Cinelli – Endeka, un Panaria ed un Tenax - Menikini, pettorale numero 23, come gli anni che porta. Ma è Miculà Dematteis! Quel ragazzo che in settimana, stufo di sentire associati il termine ciclista a quello di dopato, ha scritto una lettera alla Gazzetta dello sport in risposta all’articolo di Candido Cannavò intitolato “Corridori smettetela di mentire”. Ed è finito sulla rosea. Gli chiediamo innanzitutto com’è andata la gara, conclusa al 36° posto, penultimo. “Sono andato bello tranquillo, soprattutto dopo l’inizio della salita”. Quella che lui chiama “la salita” è la Bocchetta. Ci accordiamo per fare due chiacchiere, Miculà accetta volentieri, ma prima saluta tutto lo staff della Tenax - Menikini e recupera una valigia sul camper della squadra.
Dematteis non è certo uno sconosciuto in gruppo. Ha corso tra i dilettanti con Secondo Volpi, dal 2002 al 2004, per poi trascorrere l’ultimo anno alla Zalf. Infine il salto di categoria, il professionismo, con il contratto biennale firmato nel 2006 con la Tenax di Fabio Bordonali. Inutile nascondere che quella lettera in cui afferma di gareggiare senza l’utilizzo di sostanze dopanti ha fatto colpo, gli ha dato un po’ più di notorietà. Se sia un bene non lo sappiamo. L’abbiamo così chiesto direttamente a lui.

Miculà, da cosa è dettata la voglia di scrivere una lettera alla Gazzetta dello Sport in cui ti professi non dopato?
Fondamentalmente l’ho fatto per far sentire una voce fuori dal coro, perché ultimamente a leggere i giornali e i siti internet si tende a fare di tutta l’erba un fascio, sembra che tutti i corridori siano come Landis, Vinokourov e compagnia bella, fino ad arrivare agli ultimi dell’altro ieri. Sicuramente nel gruppo come me ce ne sono altri, non voglio assolutamente dire che io sia l’unico pulito, però se nessuno si fa mai sentire… E’ stato un po’ uno sfogo, non è che ce l’avessi con Cannavò nello specifico ma lunedì, leggere quell’articolo (“Corridori smettetela di mentire”,ndr) è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso ed ho deciso di rispondere, anche se pure nelle settimane precedenti i giornali avevano parlato molto di ciclismo e doping. Allora ho detto: “Qua bisogna fare qualcosa”, così ho scritto di getto quella lettera e l’ho inviata alla Gazzetta dello Sport, non pensando che la pubblicassero. Magari, mi sono detto, la mettono sul sito, e invece alla fine me la sono ritrovata sul giornale a mezza pagina!

Questa pubblicazione per te è stato un fatto negativo o positivo?
Mah, guarda, io son tranquillo e per me il fatto che abbiano pubblicato la lettera non è stata una cosa negativa. Adesso immagino che avrò molti riscontri positivi, perché la gente mi ha potuto conoscere un po’ meglio, anche se l’intenzione mia non era assolutamente quella di farmi pubblicità, anzi, il fenomeno è stato ampliato fin troppo, e questo mi dispiace. E poi ci sono riscontri negativi…

Esatto, per esempio, come sei stato accolto oggi dal gruppo?
Oggi purtroppo ho notato una forte indifferenza nel gruppo, nessuno mi ha detto niente, né nel bene né nel male. Preferirei piuttosto che certe persone invece di squadrarmi venissero da me e mi dicessero: “Sei un cretino, l’hai fatto per farti pubblicità e basta…”. Invece nessuno mi ha considerato, a parte una persona esperta, un grande ciclista ed un grande uomo che mi è venuto a fare i complimenti e mi ha incoraggiato. Sennò nient’altro. Anche all’interno del mio team ho avuto solo due compagni che mi hanno fatto i complimenti, perchè sono due ragazzi che hanno una certa apertura di vedute e capiscono certi discorsi. Purtroppo l’ambiente è così, chiuso.

Com’è stata invece la reazione dei diversi Direttori Sportivi, a partire dal tuo naturalmente, Fabio Bordonali (ds della Tenax - Menikini)?
Tra i Direttori Sportivi non so, perché nessuno è venuto ancora a dirmi “bravo” o a dirmi qualcosa di negativo, quindi non so bene. Bordonali era soddisfatto, mi ha detto che bisogna farsi sentire in qualche modo, non bisogna subire con indifferenza gli eventi, e quindi era contento.

Perchè nel ciclismo i corridori davvero puliti come te hanno così tanta paura di esporsi?
Questo non lo so ma posso dirti che c’è molta paura, perché con un gesto piccolo come il mio comunque ti esponi, esponi la tua faccia, esponi il tuo nome, quindi se Bordonali l’anno prossimo mi lasciasse a casa, per esempio, potrei certo propormi ad altri team manager, ma credo che questi difficilmente mi accetterebbero, adducendo scuse come la mancanza dei posti in squadra e senza dirtelo in faccia, però a quel punto sei tagliato fuori.

Com’è stato il tuo percorso verso il professionismo?
Mah, niente di speciale, ho fatto tutta la trafila, Esordienti, Allievi, Juniores, poi ho gareggiato in una squadra locale, la Vigor Piasco e tra i dilettanti nel team di Secondo Volpi ed una anno alla Zalf. Andavo sempre molto bene e infine l’anno scorso ho provato una gioia immensa a passare professionista. Ho sempre fatto tutto molto tranquillamente, senza pressioni addosso, perché io vivo l’andare in bicicletta come un divertimento prima di tutto. E’ il mio lavoro, mi piace andare in bicicletta, è la mia passione.

Tu che ci sei passato e probabilmente ne hai viste molte di cose, puoi dirmi com’è la situazione generale nelle categorie come Juniores e Under 23?
Secondo me il problema vero delle categorie giovanili sono i genitori, iniziando quasi da quelli dei giovanissimi. Ci sono una serie di genitori, non dico tutti ma quasi la maggior parte, che mettono prestissimo il figlio in bicicletta, poi magari il ragazzino inizia ad andare bene, vince quelle quattro, cinque corse all’anno e perciò quando passa tra gli Esordienti i genitori arrivano a mettere tante pressioni addosso a questi ragazzini. Così il ragazzo, sia tra gli Esordienti, gli Allievi o gli Juniores, pur di non dare dei dispiaceri ai genitori arriva a fare delle scelte che magari sono sbagliate.

Sempre nelle categorie giovanili, che ruolo hanno le squadre sui ragazzi?
Sinceramente non conosco bene molte società, conosco la mia, dove ho corso, ed era una squadra dove regnava la massima tranquillità. Anche lì c’erano questi genitori un po’ “caldi”, diciamo, ma si cercava di tranquillizzare il più possibile noi ragazzi. Io poi non avevo bisogno di essere tranquillizzato, i miei genitori saranno venuti alle gare due volte, ero proprio io che tante volte partivo da casa per conto mio ed andavo a correre. Loro mi hanno sempre appoggiato in tutto quello che potevano senza però giungere mai all’esasperazione. Il problema è proprio questo, che si arriva con alcuni all’esasperazione, così il ragazzo o manda tutti al diavolo, lascia perdere il ciclismo e va a fare un altro lavoro, e così si perdono molti giovani, oppure dopo i diciotto anni fa scelte sbagliate, diciamo.

Invece com’è il passaggio da Under 23 a Professionista e tu come l’hai vissuto?
Per quanto mi riguarda non ho mai patito molto i salti di categoria, anzi. Da Esordiente ad Allievo son migliorato, da Allievo a Juniores son migliorato ancora ed andando avanti nelle categorie, con l’allungarsi dei chilometraggi mi sono sempre trovato a mio agio. Sono un corridore di fondo, vado bene nelle corse lunghe e vengo fuori dopo molti chilometri, sono un diesel, ecco. Nel passaggio al professionismo ti ritrovi con l’elite del ciclismo, le medie sono forsennate… Per farti un esempio, oggi siamo arrivati ai piedi della Bocchetta (dopo 152 km di gara, ndr) che avevamo fatto i 41.8 km/h di media, e figurati che i primi 20 km li abbiamo corsi ai 30 all’ora. Abbiamo attraversato Genova senza mai scendere sotto i 50 all’ora. Quindi nel Professionismo c’è il meglio, si preparano tutti bene, nel senso che alle corse ci sono sempre almeno una trentina di corridori che vanno veramente forte, il livello è alto e si va sempre forte.

In questi due anni nel professionismo hai fatto molti piazzamenti ma purtroppo ancora nessuna vittoria. Prima mi hai parlato di un livello molto alto tra i prò, ma come si giunge a questo livello?
Guarda, come si giunga a livelli così alti non lo so, ma basta solo vedere gli ultimi avvenimenti, come quelli del Tour, per farsi un’idea. Voglio dire, ci può stare magari in una corsa di un giorno che uno che ha veramente classe sfoderi una gran prestazione, ce la fa tranquillamente, però non mi vengano a dire che in un Giro o in un Tour è la stessa cosa. Puoi anche correrla e finirla una grande corsa a tappe, però non è che fai per tre settimane i 45 km/h di media. Puoi farlo correndo a medie un po’ più basse, un po’ più umane. Ma sì che si può, e ti faccio un altro esempio. Quest’anno al Giro d’Italia, durante la Scalenghe – Briançon, che era la dodicesima tappa mi pare, quindi erano già a metà Giro, ebbene, a scalare il Colle dell’Agnello hanno impiegato 32 minuti e 36 secondi, se non ricordo male. Io quelle strade le conosco a memoria, l’Agnello è una delle mie salite d’allenamento, e per salire al Colle impiego 39 minuti, 38 e mezzo. D’accordo, in allenamento non si va proprio a tutta, dipende dal tipo di lavoro che si sta svolgendo, però ci metto sempre 39 minuti, mentre loro al Giro ce ne hanno messi 32 e mezzo, il che vuol dire andare su almeno 2 o 3 km/h più veloce del mio ritmo. E tieni conto che dopo l’Agnello avevano ancora l’Izoard da scalare, che erano durante una corsa a tappe… No, no, assolutamente, i primi del Giro, del Tour, vanno su veramente forte.

Infine, ti senti abbastanza tutelato dall’ACCPI, specie in una materia spinosa com’è quella del doping? E cosa pensi del ciclismo e del pessimo momento che sta attraversando?
Dunque, l’ACCPI ci segue e ci rappresenta abbastanza bene, ha un paio di avvocati che lavorano per l’Associazione anche se personalmente non ho usufruito molto del loro lavoro perché parecchie questioni, come quella sul DNA, riguardavano soltanto i Team Pro Tour.
Il vero problema del ciclismo è che l’UCI ha creato un impianto che permette loro di far tutto da soli, ascoltando poco o nulla i corridori, i Team e gli Organizzatori. L’UCI prende delle decisioni, non si sa in base a quali criteri, fatto sta che queste sono insindacabili ed indiscutibili, perciò Organizzatori, Team e corridori devono sottostarvi. Anche l’impianto del Pro Tour di per sé sarebbe valido, sicuramente se l’UCI l’avesse regolamentato in un certo modo, interpellando squadre, Organizzatori, corridori avremmo avuto una challenge sensata, non come ora che il Pro Tour non ha più alcun senso di esistere. Quando si mettono in atto tali cambiamenti bisogna interpellare un po’ tutti e non fare di testa propria. Inoltre anche in un momento come questo l’UCI non riconosce i propri sbagli, per loro la situazione va bene così e chi ci va di mezzo siamo sempre noi corridori e chi effettivamente lavora nel ciclismo. Non dimentichiamo che in una gara come quella di oggi, con 109 corridori alla partenza, c’erano almeno 300 addetti ai lavori, tra il manager, l’autista dei bus che fa anche il meccanico, il massaggiatore e compagnia bella. Tutta questa gente dipende dalle decisioni dell’UCI e attualmente ci stanno rimettendo, e anche molto.
Prima del Pro Tour c’era un ranking UCI a punteggio, ogni punto valeva più o meno un milione di lire, e così veniva determinato il valore di mercato di ogni singolo corridore. Le squadre si potevano così basare sui punti UCI per svolgere la loro attività e se volevi disputare certe corse dovevi avere un organico che in totale portasse alla squadra un bel gruzzolo di punti, altrimenti, se compravi solo 20 Dematteis che avevano 13 punti, mettiamo, non potevi correre nè una Liegi né il Giro d’Italia. In tal modo i corridori che avevano maggior valore sul campo avevano più mercato. Ora invece chi è nel Pro Tour ci sarà per sempre, chi vi è fuori vi entrerà difficilmente e quindi anche noi corridori non abbiamo più un mercato. Si arriva a dicembre e metà dei corridori ha un contratto mentre l’altra metà non sa dove andrà a sbattere la testa ed il personale delle squadre si trova nella stessa situazione. Una volta corridori come Roberto Petito, Fabio Baldato e tanti altri arrivavano a fine luglio con già un contratto in tasca per l’anno successivo. Solo qualcuno non aveva ancora firmato, ma erano casi sporadici, determinati da scelte o situazioni particolari. Ora c’è molta precarietà ed è una gran brutta situazione.

L’area riservata al parcheggio dei caravan delle squadre si è ormai svuotata, nel piazzale siamo rimasti soli con Miculà e la sua famiglia, pronti al rientro a Piasco, località nel cuneese all’imbocco della Val Varaita. Salutiamo calorosamente Dematteis, simbolo di un ciclismo sano e genuino che resiste strenuamente alle tentazioni della farmacia ed alla trasformazione dell’attività ciclistica in un’azienda. Un ragazzo la cui passione sconfinata è diventata un lavoro, fortuna che pochi hanno. Ci diciamo arrivederci a presto e speriamo di vederlo a braccia alzate tra i prò, per la sua prima vittoria, ben consci comunque che anche se i risultati non dovessero venire Miculà sarà sempre tra le montagne ad allenarsi duramente per ottenere il meglio da sé. Senza però dimenticare che “il ciclismo è prima di tutto divertimento”. Parola di Miculà Dematteis.

Francesco Sulas    [f.sulas@ilciclismo.it]

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