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TRE BUONI MOTIVI PER...LA CAVALCATA DEI MONTI PALLIDI

I volti stremati di Pampeago rappresentano la testimonianza di una netta inversione di rotta. Il Giro vive nell'incertezza e chiede al tappone dolomitico odierno le prime risposte. Chi vorrà esporsi e chi ha davvero finito la benzina? Gabriele Bugada ci spiega i motivi che ci inchioderanno allo schermo anche oggi pomeriggio per vivere fino in fondo un week-end da brividi.
di Gabriele BUGADA


Tre buoni motivi per... aver visto chi ha poca paura, e chi troppa.

PRIMO PER LA SOLITUDINE DEL SALBANEO
La strada toglie, la strada dà. Dà, a chi ha il coraggio di andare a prendersi il proprio spazio, il proprio tempo: quei cinque minuti su tutti gli altri in cui esistere da soli, in cui non veder mai materializzarsi lo spettro di un avversario, per quanto l'ansia ti torca il collo e lo sguardo verso le spalle. Verso il basso. Niente cambi e niente scambi, niente patti o compromessi. Solo quei pedali sempre più duri, quelle lacrime di sudore sempre più dolci.

SECONDO PER LA PIGRIZIA DELLE PECORE
Il potere del non-sapere. La paura di saltare, o la paura di essere saltati, di bruciarsi in un assalto anticipato che divenga gradino per le scalate altrui. Nessuno è troppo certo di stare bene, i più arrembanti rosi dalla bronchite, sconquassati dalle cadute. Il più grintoso che si è sentito le gambe d'argilla. I più pronosticati che hanno scoperto l'asprezza di salite da grimpeur di razza.
Ogni capitano, così ansioso - prima di oggi - di essere, di sentirsi capitano, di imporsi a stella polare di uno sport individuale... ogni capitano oggi pensa alla squadra, ad avere un compagno, un amico, una ruota di scorta per gli sponsor. Di Luca, oltre che ai propri tremiti, pensa forse a un Savoldelli dalle sopracciglia spaurite già a Tesero, o alla maglia rosa del jolly Bosisio. Riccò, che ha Piepoli acciaccato da tener lì come "secondo capitano". Contador e Kloden che si guardano e riguardano a vicenda, pensando che oggi è già tanto portare a casa la pelle. Pellizotti probabilmente non vedrebbe l'ora di far fuori Nibali, ma finché Nibali era di un minuto e passa davanti, la direzione tecnica ha senz'altro pensato a non far scoppiare troppo presto il proprio puledro.
La "forza" della squadra diventa per una volta la debolezza di ogni singolo. Infatti emergono i più soli tra i capitani: Simoni, Menchov, Bruseghin, Van den Broeck (quando è passato nella dimensione oltre la siepe, come già spiegammo qualche puntata fa, si è allenato per dieci anni mentre nella nostra realtà passavano solo 10"). Lo stesso Pellizotti alla fine spinge a tutta proprio per amor di primato individuale, e come detto nel suo caso l'incertezza pregressa di tappa è stata assai probabilmente dettata dall'alto. Riccò scatta nel finale, ovvero proprio quando è più certo della ripresa di Piepoli e delle ambasce altrui.

TERZO PER LO SPARPAGLÌO DEGLI STREMATI
Negli occhi di Piepoli e Bettini, che riscoprono la propria carta d'identità e anzi la sorpassano improvvisamente di qualche annetto: le occhiaie, la saliva, il capo che cade sul petto. La fatica giovane e bellissima di Pozzovivo e Van den Broeck. O di Riccò che risale, e sulla linea si spinge avanti a testate, balbettando con le labbra invisibili e livide. Vandevelde con le pupille nel nulla. Di Luca pietrificato, terreo, anzi color cenere come la sua maglia. Contador che sobbalza, l'agilità di gambe scomposta in isteria, in battuta a vuoto.

Simoni arriva sereno, consumato, un po' rassegnato, ma con la consapevolezza matura di chi il suo l'ha fatto. Menchov dà una lezione di classe: senza squadra, bastonato di mezzo minuto (o più!) già in cronosquadre, bravo ma sottovalutato nella crono individuale, raccoglie i frutti della propria compattezza singola e singolare. Chi l'ha visto alla Vuelta non si stupisce, tutti gli altri invece sarà meglio che si sveglino... a meno che non sperino nelle immancabili, talvolta un po' fantozziane, crisi "a roulette" che investono ogni tanto il russo. Pellizotti arrabbiato, cattivo, insiste e reclama considerazione arrivando sulla linea con un fremito energico. Bruseghin ancor più energico si mangia tutti gli avversari piantati nel finale, e arriva lì lì, quasi ti aspetti il colpo di reni: come nella crono una gestione delle proprie forze calibrata in modo eclatante.

Tre buoni motivi per... la cavalcata dei Monti Pallidi.

PRIMO PER IL PORDOI
Quando si parte in salita, si selezionano spesso fuggitivi di qualità. Anche oggi sarà così, anche oggi potrebbe profilarsi una speranza di giornata: il gruppo però potrebbe scoprirsi meno transigente. Il bilancio delle energie sempre più complicato, dilaniato tra ambizioni e tatticismi. La dialettica tra peloton e fuga avrà meno margini, meno gioco: si farà sul serio, e se quando si fa sul serio è più difficile che le evasioni riescano, e pur vero che anche il costo di tale sorveglianza può divenire esorbitante.

SECONDO PER I SERRAI
Passo Fedaia. Un arrivo letale. Fatto apposta per rilanciare la paura. Fatto apposta per paralizzare le gambe ancor prima che ci pensi l'acido lattico. Fatto apposta per reagire, speriamo!, reagire a questa paura maledetta che domina questo Giro: fin qui "bello e terribile", come una donna che sembra un esercito, sotto il cui sguardo altero ogni conquistatore si scopre impotente.

TERZO PER IL FALZAREGO (E IL GIAU)
Dopo le lezioni, i rimbrotti e i rimpianti di ieri, qualcuno avrà... non chiamiamolo più "il coraggio", ma semplicemente "la determinazione"... di mettere alle corde gli avversari scombussolati. Adesso è un dovere da parte di chi affermi di voler vincere questo Giro. Da parte di chi non si rassegni a perdere imbelle facendosi calpestare in una crono passerella. Adesso è più difficile, certo: la tappa fatta - apposta, a tavolino! - per "la palombella" da lontano era ieri. Oggi non è lo stesso, oggi non è così facile: ma oggi si SA qualcosa in più di ieri su se stessi e sui contendenti (forse si crede di sapere però questo fa parte del gioco), e questo sapere deve trasformarsi in potere, in pressione, in azzardo se vogliamo. Vogliamo!

Gabriele Bugada

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