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ONE-SHARK-SHOW: LO SQUALO SI MANGIA L’APPENNINO

Vincenzo Nibali coglie la prima affermazione stagionale andando a dominare in solitaria il Giro dell’Appennino, una delle classiche italiane più impegnative, indorata oltre tutto da una tradizione nobile che la raccorda col mito del ciclismo storico. Dietro si corre per il secondo posto, in un confronto tra corridori di qualità e squadre motivate, benché la lista partenti patisca un po’ il disinteresse straniero.

.:nella foto Bettini, il podio del Giro dell’Appennino 2009

di Gabriele Bugada

Or non è molto che sulla Bocchetta, ascesa simbolo del Giro dell’Appennino nonché totem cronometrico per le sfide tra scalatori nostrani, si sono inaugurati i marmi che, aggiungendosi al viso di Coppi (e del patron Ghiglione), vanno a ravvivare la memoria di una corsa con una tradizione che non si sgretola nemmeno di fronte alle assenze dei nomi più pesanti del panorama internazionale. Come ribadisce la bella partenza dal museo dei due Campionissimi presso Novi Ligure.
Già teatro di alternanze al sapore di rivalsa tra i grandi di ogni epoca (Gimondi e Motta, con le vittorie di Zilioli a dieci anni di distanza quale cornice, così come quelle di Moser faranno da transizione verso l’era di Bugno e Chiappucci), terreno di caccia di atleti contraddistinti sempre e comunque da una classe sopraffina (Baronchelli il plurivincitore con sei trionfi consecutivi, ma c’è anche Argentin a dire di una gara che non può essere disdegnata dai cacciatori di classiche…), il Giro dell’Appennino ha confermato anche in tempi recenti la propria attitudine di competizione che si concede ai talentuosi, anche se con palmares in tono minore (Figueras, Nocentini), di gara da rivalità (Simoni e Cunego si alternano tra 2003 e 2005), più in generale di gara in linea ma spietata, massacrante, amica dei fondisti con il passaporto per le tre settimane di corsa (Berzin, Casagrande, Belli, Tonkov i vincitori degli ultimi anni ’90).
Certo, specie in anni a noi vicini l’albo d’oro ha assecondato “battute a vuoto”, con tutto il rispetto per Borgheresi, Zanetti o Bertolini: pur sempre dei duri, dei “cagnacci” nel senso migliore, capaci di incarnare a dovere lo spirito di un’altimetria che anche se non più supportata dai 260km di una volta resta capacissima di fare male.
Questo è lo sfondo, e che sfondo!, sul quale posizionare correttamente la vera e propria impresa da applauso a scena aperta che ci ha regalato oggi Vincenzo Nibali: una gara in cui gli assenti hanno sempre e comunque torto, perché è e resta un tracciato in grado di offrire allori della più pregiata qualità.
In quale categoria metteremo Nibali riguardano il suo nome sul marmo tra dieci anni? Talentuoso che avrà vinto meno di quanto promettesse la sua classe? Specialista delle tre settimane? O “soltanto” testardo esperto di fughe impossibili? Difficile rispondere, meglio allora lustrarsi gli occhi con i fatti di giornata, dimenticando per una volta l’odioso sport da cronisti consistente nell’incaponirsi in pronostici e confronti.
La metà inaugurale della gara, caratterizzata dal primo transito sul passo della Castagnola accompagnato dal Crocefieschi, racconta di una fuga adatta a tali pendenze morbide, animata infatti da due cronomen di spessore, quel Celli che si è piazzato nei 10 nel campionato italiano e Borisov, russo misconosciuto perché corre nella Amore&vita ma capace di numerosi podi nel campionato nazionale contro le lancette. L’azione, promossa dalla Diquigiovanni, ha lo scopo precipuo di alzare il ritmo: nonostante le asperità la media delle prime ore rasenterà i 45km/h.
Nel tratto di interludio prima del secondo terzetto di salite (che vede la Bocchetta “antipasto indigesto” in quanto terz’ultima ascesa, a ben 50km dalla fine) i due davanti vengono ripresi e sostituiti da un’altra evasione, quella di Solari, sempre della Diquigiovanni, con Colli (CarmiOro), grande promessa giovanile dispersasi tra le difficoltà di stringere contratti e un altro solido passista reduce dagli italiani, Biondo (che promette qualcosa di buono anche sul versante Flaminia). Gli ultimi due sono destinati ad essere repentinamente respinti dalla Bocchetta, le cui primissime rampe sorpassano sempre per 2km l’8%, rasentando progressivamente una media del 10%, con frequenti punte in sonora doppia cifra. Solari resiste, e a questo punto ci si attende da un momento all’altro la preparatissima fiondata che proietti innanzi l’uno o l’altro dei titolati alfieri di Savio, Scarponi o Bertagnolli già diplomati dalle vittorie di tappa al Giro.
Anche la CSF si mostra operosa, avendo tra le proprie fila uno scalatore in grado di incendiare le pendenze estreme, ovvero Pozzovivo: ma all’avvicinarsi di Solari, quasi al termine dell’ultimo tratto impegnativo che conclude la prima metà di salita, sono i colori Liquigas ad accendersi in testa al gruppo e un attimo dopo già cento metri avanti, irraggiungibili. Solari viene saltato senza pietà, mentre nessuno appare in grado di reagire, fors’anche per la sproporzione tra i chilometri mancanti al traguardo e la violenza dell’accelerazione.
Lo show di Nibali ammalia anche l’occhio della telecamera RAI (nota di demerito per non aver messo la gara in palinsesto fino all’ultimo minuto, i maligni direbbero in attesa di vedere un vincitore di spessore), e così non ci è dato sapere che cosa accadesse là dietro. Certo è che Vincenzo valica con 50” di vantaggio e si appresta ad affrontare tutto solo un altro paio di ben più pedalabili Gpm, nonché quasi 50km di solitudine interiore, la solitudine del fuggitivo.
Le doti di discesista dello squalo lo sprofondano in un’immersione tutta curve e vortici che gli fa guadagnare quanto la salita, e così il bottino da difendere assomma a 1’40”. Dietro il gioco si fa durissimo perché la Bocchetta è salita che seleziona senza sconti anche se lontana dalla linea: restano solo in nove ad inseguire, dei quali Rizzi (Utensilnord) davvero appeso a un filo, tanto che pagherà la sforzo sparendo a breve dalla gara.
Gli altri sono un esagitato Bertagnolli – è lui quindi il capitano per cui si è dannata la Diquigiovanni –, un redivivo e pimpante Caruso nelle fila della Flaminia (un altro che meriterebbe e assai più di Scarponi di essere riabilitato, perché con OP proprio non c’entrava nulla: ma forse è esattamente per questo che i grandi team hanno preferito emarginarlo?!?), quindi la coppia Miche, Muto e Giunti, Marzano della Lampre – anche lui uscito alla grande dal Delfinato –, Capecchi che tenta di sprigionare il proprio talento ancora inespresso e infine i due CSF, Pozzovivo e Savini. Finita la salita dura sembra quest’ultimo il più brillante, attento nel difendere Pozzovivo per farsi spalleggiare in un arrivo di certo meno adatto al lucano, ma sta di fatto che quando la strada riprende a salire, con modi più da “classica” forse, gli ultimi tre atleti citati svaniscono, per poi rientrare negli ultimi km, quando l’interminabile e “autostradale” discesa dai Giovi riavvicinerà un po’ tutti, complice il vento contro. La classifica dei primi dieci comprenderà i nomi qui citati, con l’aggiunta di un vicinissimo Proni, seguito dallo sparpaglìo di un gruppo lacerato dalle ascese di giornata.
Non c’è niente da fare, però, nei confronti di Vincenzo Nibali, che in tanti chilometri dissipa solo venti secondi del proprio vantaggio, anche a causa dello scarso accordo che regna là dietro. Bertagnolli e Caruso prendono sulle proprie spalle quasi ogni onere, ma evidentemente non possono bruciarsi ogni particella di energia perché sono capitani: è la gestione quindi della Miche e della CSF a lasciare a desiderare, oppure la capacità di quegli stessi capitani nel creare un accordo potenzialmente vantaggioso per tutti.
Con un Nibali così, ad ogni modo, le speranze sarebbero state comunque poche. La maggior parte del distacco svanito all’arrivo (47” il margine finale) se ne va in festeggiamenti, mentre dietro si fa al contrario la volata: volata che premia Bertagnolli, a quanto pare in gran forma, su Marzano, dopo il tentativo fallito di anticipo da parte di un troppo voglioso Caruso.
Nibali ringrazia la squadra, e guarda con fiducia al Tour… come previsto dagli organizzatori (nello scetticismo generale dei commentatori) l’Appennino si pone davvero come un ponte ideale tra un uomo da Giro, Bertagnolli, e uno da Tour, Nibali, con il condimento dei più talentuosi tra gli italiani esclusi e delusi. Con un po’ di cattiveria ci si potrebbe chiedere in che modo la squadra abbia “aiutato” Nibali oggi (a parte l’ovvia copertura nelle prime fasi, e ci mancherebbe altro!): ma forse il messaggio è proprio questo; l’aiuto migliore che a volte si possa ricevere dalla squadra è l’essere lasciato fare. Un po’ l’opposto di quell’ “aiuto” che Nibali è destinato a ricevere al Tour con l’affollamento di seconde e terze punte, una delle quali – anch’essa “marina” nel soprannome – non può non segnalarsi per l’arrembante invadenza. Ma queste sono le situazioni che deve dirimere il management… in bocca al lupo, anzi allo squalo!

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