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L'APPROFONDIMENTO
INDOSSARE LA MAGLIA ROSA: PELLIZOTTI

Da Agrigento fino a Peschici. E’ questo il percorso che Franco Pellizotti, 30enne portacolori della Liquigas, ha fatto con la maglia rosa sulle spalle. Sullo stesso traguardo fatto suo nel 2006 e che finora gli è valso l’unico successo sulle strade del Giro, il Delfino di Bibione ha lasciato il simbolo del primato a Visconti ma con l’arrivo delle grandi montagne è pronto a lottare per riguadagnarselo. Federico Petroni inaugura il ciclo delle grandi interviste ai leader della classifica generale del Giro 2008.

di  Federico PETRONI

Indossare la maglia rosa. Colore della pelle. Nome di un fiore. Insieme dei venti. Il rosa è una tonalità subito riconoscibile, particolare, volendo anche modaiola, sicuramente diversa da tutte le vestigia del primato che popolano il mondo delle due ruote nobili. Se la maglia gialla dà un senso di onnipotenza, la rosa fa sentire nell’occhio del ciclone itinerante che è il Giro d’Italia. Vestirla è un onore, un’impresa, fors’anche una carriera. Tutti vorrebbero provarla, almeno un giorno. In gruppo, qualcuno l’ha vestita, almeno per qualche giorno. Dopo la scappatella con Christian Vandevelde, la Rosea Principessa si è concessa per lungo tempo a due ben piazzati figli d’Italia: Franco Pellizotti e Giovanni Visconti. Se il rampante siciliano continua a trattenerla come un prezioso sogno d’amore, il friulano l’ha svestita, per scelta o per necessità.

La sera è ormai calata sulla campagna emiliana. L’intenso odore dei campi giunge alla periferia di Modena con una prepotenza inconsueta. All’albergo Raffaello sono ormai le 22.15 e la Liquigas è ancora rintanata nel ristorante. Quando la tappa venuta non ha stressato i corridori e quella ventura promette di non farlo, i corridori, svestiti i panni della battaglia, vanno a rilento, si gustano il meritato riposo. Sfila Cavendish, ancora troppi grilli per la testa per la sconfitta (sarà stata tale?) di Carpi; s’intravede Cardenas, orrida capigliatura, aiuola gialla in testa. L’apparizione di Noè preannuncia l’arrivo della squadra più vincente del 91° Giro d’Italia. Franco Pellizotti ci viene incontro sorridente, viso da putto angelico, tradito da un pizzetto sgaligino, come si dice da queste parti. Gli parli della maglia rosa e subito gli occhi brillano di gioia e speranza, scacciando il velo di stress e stanchezza.

“Non potete immaginare il mio stato d’animo, quando ho saputo che, finalmente, l’avrei indossata. Al traguardo di Agrigento, nemmeno ci pensavo. Avevo fatto quarto (dietro a Riccò, Di Luca e Rebellin, N.d.R) e sapevo dell’opportunità ma solo con gli abbuoni ce l’avrei potuta fare. Avviatomi verso i pullman, stavo scacciando il pensiero, ripetendomi che le occasioni non sarebbero mancate, quando la radio ha cominciato a gracchiare. L’urlo del mio diesse poco ci mancava che mi assordasse: ero in maglia rosa, Vandevelde aveva perso terreno! Insegui per anni un risultato e quando arriva, ti coglie impreparato.” Quanto ci mette un corridore per realizzare che il sogno si è avverato? “I pizzicotti durano fino al palco: le miss, la musica, il pubblico.”

Il Giro d’Italia è un po’ una vita in piccolo: un viaggio, collettivo e solitario, chi scende e chi sale, chi resta e chi saluta, chi esulta e chi si danna l’anima. Vestire l’effige del primato cambia questa esistenza in miniatura, in tutte le sue sfaccettature: la squadra, il gruppo, il pubblico. “Quando hai la maglia rosa, diventi la ragione d’esistenza dei tuoi compagni. Non c’è gerarchia, c’è comunanza. La tua causa è quella di tutti, come per i tre moschettieri. Lo so perché lo scorso anno, è stato Di Luca a portarci la maglia, quindi ho vissuto l’emozione e il riconoscimento di un gregario. La carica aumenta in tutti, ci sono motivazioni mai viste, l’euforia è a mille. A ognuno dei compagni appartiene un brandello della maglia, è anche merito loro se l’ho indossata e conservata per qualche giorno. Trovo che la cronosquadre iniziale sia un’ottima scelta perché premia il lavoro di un gruppo.”

“Anche in gruppo, le cose cambiano. Non sei più solo chiacchiere e distintivo, come in quel famoso film: hai il simbolo del primato. Fa uno strano effetto girare per il gruppo con questa maglia. Non dico che prima non ci si porti rispetto ma i corridori si scansano davvero, e più in fretta!” La maglia rosa è come la torcia olimpica, come un alloro posato sul capo: è riconoscibile. Attira le attenzioni dei passanti, non importa quanto ferrati siano in materia. “L’abbraccio del pubblico è speciale. Per strada, la gente ti vedo in modo unico, in questo periodo, la maglia è simbolo di celebrità. Gli ornamenti, gli striscioni, persino le facce sono dipinte di rosa. Attraversi i paesi e senti il tuo nome sulle bocche di tutti. Solo un evento come il Giro d’Italia trasforma lo sport in festa.”

Al Delfino di Bibione brillano gli occhi. Si legge la magia, nella sua emozione.
Pellizotti ha vinto, al Giro d’Italia. Peschici 2006. Pellizotti ha portato il simbolo del primato. Agrigento 2008. Logico investigare quale emozione sia da preferire. “Sono due cose totalmente diverse. Vincere è vincere. Un brivido unico, potentissimo. Vestirsi di rosa è più una soddisfazione di lungo periodo, non c’è tutta la stessa adrenalina, ma è dilazionata nel tempo. Al Giro del 2006, ho colto la mia vittoria più bella. Corsa tirata. Rimonta da dietro. Lo scatto di Axel Merckx. Il timore di non riprenderlo. La volata. Il paesaggio. Stupendo. A dirla tutta, non feci in tempo a gustarmi lo spettacolo del Gargano, ero troppo concentrato. Tornarci quest’anno, tranquilli, al coperto, mi ha permesso di assaporare antiche emozioni.” Si dice che non si debba mai tornare sul luogo del delitto: Pelizzotti è tornato a Peschici, croce e delizia, e, proprio nel ridente paese che lo aveva issato agli onori di cronaca, ha dovuto lasciare ad altri la maglia. “Gioia due stagioni fa, rischio calcolato e quindi ben assorbito quest’anno. Sapevo quanto fosse dispendioso per la squadra tenere a freno la corsa, è stato un male necessario, una scelta deliberata.”

Alla domanda se avrebbe cambiato tutte le vittorie della carriera, per indossare la maglia rosa, l’angolo sinistro della bocca si inarca leggermente. “Darei volentieri tutte le coppe vinte, anche da ragazzo, per vestirla. A Milano.” Capiamo il gioco, lo incalziamo. “Forse lo avrei fatto prima di Agrigento, ma ora che ho coronato un sogno… Come dire? So che sarà durissima rivestirla. Lotterò fino alla fine, il terreno per attaccare non manca, anche se non mi muoverò in prima persona, sono lì, vicino ad altri grandi favoriti. Sabato (Alpe di Pampeago, N.d.R) si faranno i conti, sarà il banco di prova delle mie condizioni fisiche. Conto di fare bene nella cronoscalata di Plan de Corones, la specialità mi piace e posso difendermi.”

Continueremmo fino a tarda notte. Parlare con un corridore schiude un mondo inimmaginabile di piccole emozioni, rende tangibile il Giro d’Italia. Ma s’è fatto tardi, ormai, è ora di dormire. Mentre ci avviamo verso l’ascensore, fa la sua apparizione Vincenzo Nibali, claudicante dopo le botte di oggi. “Ecco un altro, la butta lì Pellizotti, che, prima o poi, la rosa la indosserà.” Lo terremo a mente, Franco, saremo ben felici di scrivere un altro racconto di quanto sia splendido e unico vestire la maglia rosa.

Federico Petroni

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