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TRE BUONI MOTIVI PER...IL GIORNO DEL GIUDIZIO

Perchè oggi ci sarà l’ultimo scontro diretto. Perchè ci si potrà guardare ancora negli occhi prima di avere accanto solo il Duomo. Perchè su queste strade Armstrong capì che non avrebbe mai vinto il Giro d’Italia. Perchè per assistere alla battaglia di tre in 20’’, per una volta, si pagherebbe anche il biglietto. Di Gabriele Bugada.

di Gabriele BUGADA

Tre buoni motivi per... la tappa più bella (fino a domani?).

PRIMO PER CHI NON SI ARRENDE
Di Luca, Savoldelli, Ermeti a concertare un attacco che resterà nella storia del ciclismo. Ermeti, l’appoggio predisposto dal mattino, inserito in una fuga al sapore di pista, lanciata in una prima ora da dietro motore (oltre 50km/h di media). Fermato nel momento migliore, in tempo per intervenire sull’affanno di Savoldelli dividendo le fatiche dei falsipiani dopo Teveno. Sbaglia la valutazione chi l’avrebbe voluto con Di Luca scollinata la Presolana, discesa dove il pescarese perde qualcosa per prudenza, ma che non essendo da spinta non richiedeva troppa compagnia. Savoldelli, magistrale, conferma la propria classe cristallina; rientra sull’affondo del capitano, naviga a memoria una discesa perfetta, macina la salita come se vedesse ancora lì davanti a mo’ di muleta la casacca giallorossa di Rodriguez. Ritmo costante, fluido, vigoroso: Di Luca protetto alla perfezione. Lanciato l’assist al capitano, Di Luca realizza alla perfezione con una lunga crono (dal "riscaldamento" molto speciale di oltre 200km, tanto per sentirsi in clima da classiche): 35 minuti a tutta, dapprima - sulla Presolana - surclassando il ritmo del gruppo, poi lasciando sul colle Vareno una ventina di secondi che - aggiunti a quelli volati via nella picchiata su Bratto - sarebbero valsi la maglia. Prestazione comunque eccelsa anche nell’ultima tranche, se si considera che gli inseguitori erano stati sempre al coperto, e sull’ascesa finale hanno anche trovato modo per collaborare. Che coraggio, che determinazione, che lezione.

Kiryienka, l’uomo di Chernobyl, al terzo tentativo - sempre in qualche modo in "premiére" montuose - scavalca l’amarezza del secondo posto e conquista il bacio della signora T. Continua a litigare con i rapporti, ma la macchina rotante è lui!

Riccò dopo aver squadrato decine di volte il volto di Contador, evidentemente sempre insoddisfatto del responso, ottiene le proprie risposte solo nel tratto più impervio della salita al Pora, ed esplode una fucilata rabbiosa al confronto della quale le repliche di Sella appaiono petardi. In meno di quattro chilometri bruciano 37" dei 41" che dividono Riccò dalla Rosa. Non basta, e Riccò sbotta. Per la gioia dei giornalisti, le fucilate successive sono sui colleghi troppo fraterni con la maglia rosa. Ma a che serve strillarlo al pubblico? Se c’è qualcosa che non va, i conti si saldano in corsa.

SECONDO PER CHI SI ARRENDE
Simoni fatica, scatta in cima al Vivione per fare un po’ di rumore, arranca per tenersi i compagni vicino, arretra, si sfila. Alla fine crisi nera, o buco furbesco in classifica per puntare alla tappa regina. Sfuma il record di podi, la terra orobica congiura per l’imbattibilità di Gimondi.

Nibali tiene la scatenata coppia Lpr in discesa, poi tiene ancora quando il Falco picchia in salita, scivola indietro, rientra, cede sulla Presolana al ritmo di Di Luca, non molla, di nuovo si getta a capofitto in discesa. Rientra. Cede nei 3km cattivi del Pora, e sprofonda dietro al trenino dei migliori. Si ha l’impressione che in Liquigas non se lo filino più molto, ed è un peccato perché ha bisogno di tempo e attenzioni per dispiegare il proprio potenziale.

Sparisce la Caisse d’Epargne, forse raccolgon le forze per la tappona in cui sparare le ultime cartucce per impallinare una tappa?

TERZO PER LA BANDA CONTADOR
Contador non si arrende perché tiene duro, e soprattutto tiene la maglia; ma si arrende perché abbandonato da Kloden non sa dover sbatter la testa: un’accelerazione implosiva, qualche sobbalzo sulle punzecchiature di Sella, un fuorigiri da sballo sul quale balla Riccò. Si conferma sempre più l’impressione che la svolta per lo spagnolo debba esser di testa, di consapevolezza, di padronanza: tutte doti che con la preparazione c’entrano relativamente, non è una questione di spiaggia. La classe c’è, la forza c’è, il Giro c’è: senz’altro la corsa più difficile affrontata da Alberto nella sua ancor giovane carriera, domani è l’occasione della svolta. Vincere alla grande, vincere per il rotto della cuffia, o perfino perdere. Un’illuminazione, un’ispirazione, un lampo che lo porti all’esito più alto potrebbe costituire un gradino decisivo nella sua maturazione.

Tutti gli altri: non si arrendono perché sono tutti lì, (quasi) tutti ancora maledettamente lì, vicini, gomito a gomito. ma si arrendono perché quando la corsa esplode prevale l’istinto ovino, gregario, del darsi una mano. Chi troppo buono, chi troppo ingenuo, nessuno pensa a pugnalare i vicini di classifica in questo momento anche vicini di strada: prevale il tutti assieme appassionatamente, prevale la forza centripeta che vuole risucchiare le particelle impazzite nella pancia del gruppetto. E allora "andatura", senza strappi, con bei cambi ponderati. Bravi tutti, bravo nessuno. Domani è un altro giorno, si vedrà: ma come si fa ad augurare a qualcuno di salire in classifica sapendo che costerebbe il posto a qualcun altro del gruppo, tutti così in gamba in questo Giro bello e cattivo? Ci vorrebbe l’ex aequo ai primi dieci (... o venti...)!

Tre buoni motivi per... il giorno del giudizio.

PRIMO PER L’EFFETTO APRICA
Si dice che l’Aprica, così poco salita, dilati i distacchi. L’empirica legge deriva però da situazioni in cui sull’Aprica imperversavano campioni non così alieni all’esercizio della bruta potenza. Certamente "meglio soli che male accompagnati", ma a non essere bene accompagnati dopo il Mortirolo non si va lontano, certamente si va piano. E allora: chi ha gli amici... chi ha i nemici...
Sarà uno stillicidio di secondi e di emozioni.

SECONDO PER L’EFFETTO MORTIROLO
L’effetto Mortirolo è quello che Lance Armstrong è venuto a provarlo, e poi ha deciso che il Giro d’Italia si poteva anche non correre. L’effetto Mortirolo è il nome che dice tutto, e anche chi non sa un cavolo di ciclismo sa di che cosa stiamo parlando. L’effetto Mortirolo è forse ancora la più alta pendenza - e siamo proprio al limite - in cui una corsa di ciclismo è una corsa di ciclismo, con gli attacchi, gli scatti, i riferimenti... oltre ci sono i rapportini da mountain bike e il dio-ce-la-mandi-buona. Quest’ultimo anche sul Mortirolo comunque non guasta. L’effetto Mortirolo è un tritacarne, dal quale escono pezzetti sparsi, non si vedono più le squadre, le classifiche, è un gran pasticcio a cui cercare sul momento di dare una qualche FORMA, per organizzarsi, presto!, perché poi c’è l’Aprica.

TERZO PER L’EFFETTO GAVIA
Il Gavia ha qualcosa per cui è subito mito del ciclismo. Quei chilometri li pedali sempre nella striscia stretta e ripida della storia (per non parlare delle gallerie). E c’è anche dell’epica, tra le righe, c’è una voglia di fuga da lontano, di neve alta alta a bordo strada. Perché proprio il Gavia non lo so, ma è così. E’ l’effetto Gavia. Che qualcuno parta presto per costruire una storia che i capitani scriveranno tanti chilometri più avanti è fondamentale: non sarà facile prendere il largo, ma l’effetto Gavia potrebbe dare la giusta spinta.

Gabriele Bugada

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