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L'APPROFONDIMENTO
BETTINI-DI LUCA E
L'ERA DEI TATTICISMI

Di Luca, Bettini, Riccò e le rispettive compagini. Alle dichiarazioni di battaglia della viglia non sono corrisposti i fatti e la fuga ha preso il largo. Chi dovrà mangiarsi le mani? L'impressione è che il Killer abbia fatto le proprie valutazioni per evitare il confronto diretto mentre Bettini non si sia fidato di una condizione ancora precaria. Di Federico Petroni.

di Federico PETRONI

All’arrivo di Contursi Terme, Paolo Bettini, oltre ad essere una maschera di sudore, è l’emblema della serenità. Ammette l’errore, la disattenzione, la mancanza di fiducia in se stesso, chiave di volta della quinta tappa del Giro d’Italia, ma non pare corrucciato né infastidito dall’ennesimo successo nella corsa rosa svanito sul più bello. Se lo stremato ma simpatico faccione di Pavel Brutt può concedersi il sorriso noto solo a chi si fa protagonista sulle italiche strade, il merito va ascritto ad un groviglio di tatticismi, una lunga partita a scacchi, un gioco di surplace a cinquanta all’ora tra le squadre più forti della 91° corsa rosa. Il processo alle formazioni non può non cominciare con un capo d’accusa. I 3km di ascesa verso Contursi rappresentavano una ghiotta occasione per gli uomini di classifica più in forma per lavorare di cesello con il cronometro ed incamerare qualche prezioso secondo. Non impegnativa come la rampa della Valle dei Templi, questo zampellotto campano vedeva però proprio i tratti più duri racchiusi nella flamme rouge, con 7-800 intorno all’8%. Quale miglior palcoscenico per Pellizotti di vincere in maglia rosa, novello sogno cullato dal Delfino di Bibione; o per Di Luca di incominciare il ballo del potere, dovendo recuperare solo 7” al biondo friulano; o per Bettini, di squarciare le nubi del Meridione e del digiuno del Giro, con la sua magnifica iride? Il piatto era ghiotto, ma solo la Liquigas, squadra investita del roseo soglio, si è fatta un mazzo tanto per tenere al guinzaglio una fuga-a-rischio-bidone: Perez Sanchez era attardato di due soli minuti da Pellizotti. La compagine di Amadio punta alla vittoria finale, su questo non ci sono dubbi: ha le capacità e i leaders per provare l’impresa. Mantenere il simbolo del primato costa, e tanto, in termini di usura dei gregari e di stress mentale. Non sarebbe meglio cederla, fare contento qualche comprimario, chiedendogli magari sulle montagne di ricambiare il favore? L’opzione sembra non interessare a Pellizotti, inebriato dal sapore della maglia rosa tanto da lanciarsi in proclami bellicosi. Meglio godersi la pacchia, finchè dura, potrebbe essere invece, il più realista ragionamento del nativo della Carnia. Resta, in ogni modo, l’esagerato dispendio di forze cui è sin qui sottoposto Noè con tutta la sua Arca. Ad una ventina di chilometri dall’arrivo, il vantaggio dei fuggitivi stava inesorabilmente scemando, attestatosi sui 2’30” di ritardo. Lungo la discesa conclusiva, gli argentei scudieri di Danilo Di Luca si sono materializzati in testa al gruppo. Sembrava l’inizio di una collaborazione proficua per falcidiare le speranze di Brutt e compagni. All’inizio del decisivo falsopiano, rientrava l’allarme: si trattava soltanto di tenere nelle prime posizioni il capitano ed evitare rischi inutili nell’inzuppata picchiata. Invece di giocarsi la vittoria di tappa, rischiando di indossare la rosea armatura, Di Luca ha preferito tirare i remi in barca. Stanchezza? L’abruzzese non ha debuttato in condizioni smaglianti come dodici mesi or sono. Prudenza? L’ebbrezza del potere, Di Luca, l’ha già assaporata all’ultimo Giro, dominato in lungo e in largo; conosce i tranelli del primato, specie con una squadra meno competitiva della Liquigas. Intuizione? Già, perché la mossa del capitano della LPR potrebbe essere stata deliberatamente volta ad evitare il confronto diretto con i rivali, procrastinando ad un generico domani (Pescocostanzo) lo svelare delle reali forze in gioco. A riprova dell’interpretazione, la volata delegata a Pietropolli, secondo dietro Bettini. Di Luca è una lince, non lascia nulla al caso. L’onere della prova ricade tutto su Paolo Bettini, per sua candida ammissione restio a fare lavorare la squadra per riprendere i compagni. Brutt ha conservato solo 30” sul resto del gruppo: sarebbe bastata un’apparizione in testa della Quick Step per fagocitare i riottosi di giornata. Il campione del mondo ha vinto la volata dei battuti con una gamba sola. Impossibile – e futile – trasporre questa situazione ad uno sprint dove ci si gioca ben altro, di un quinto posto. Tuttavia, la condizione migliora di giorno in giorno, zampilla qua e là, come un geyser pronto ad esplodere in tutta la sua potenza. Lo stesso Bettini sembra quest’anno spiazzato dalla sua sibillina gamba. Lo scatto alla Sanremo e l’attacco di Liegi dovevano essere poco più di toccate e fughe in Re minore; hanno invece rischiato di tramutarsi in Odi alla Gioia, dimostrando una volta di più quanto talento sprigioni questo figlio della Maremma ma svelando quanto arduo sia interpretare i segnali del corpo, anche a 33 anni e con due Mondiali alle spalle. L’iride di Bettini splenderà, ne siamo sicuri; troppo in sintonia è il DNA del livornese con l’essenza nazional-popolare del Giro d’Italia. Mentre confortanti segnali giungono dall’indice sinistro di Riccò (in scia di Bettini) e dalla mano destra di Soler, gli occhi di tutti sono puntati sulla prossima tre giorni, una continua rincorsa su colline e calvari, scogliere e prime montagne, zampellotti e persino dune. L’esito della fuga odierna è stato anche determinato dall’attesa del Circuito del Gargano, dall’assaggio di Appennini di Pescocostanzo e dalla volata di Tivoli. La miccia del Giro si è accesa, già oggi se n’è avuto un saggio: 40 di media, dopo le passeggiate dei giorni scorsi. Il dislivello occulto, tanto invocato per indurire la gambe dei girini, si materializzerà con tre arrivi in leggera salita ma preceduti da tranelli insidiosi. Allacciare le cinture, l’ora dei tatticismi è ormai suonata.

Federico Petroni

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