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LA LEGGENDA DEL BLOCKHAUS, LA “CIMA MERCKX”

Ieri il Blockhaus, oggi il più facile Piano delle Cinquemiglia, in occasione del centenario il Giro d’Italia torna sulle sue montagne storiche. Prolunghiamo la breve ma intensa giornata vissuta poche ora fa con il racconto storico di Mario Silvano, che ci farà rivivere i quattro precedenti arrivi sul monte abruzzese.

Le montagne d’Abruzzo avevano fatto la storia del Giro d’Italia.
Sin dalle prime edizioni, infatti, le salite abruzzesi erano state inserite nei tormentati percorsi degli anni ruggenti della corsa a tappe nazionale, diventando palcoscenico di episodi che erano entrati nella leggenda della corsa rosa.
Come nel 1914, quando sulla salita delle Svolte ci fu il giallo che vide protagonista il capoclassifica, quel Calzolari che si sarebbe aggiudicato la vittoria finale.
O, ancora, quando Girardengo scese di bicicletta tracciando una croce sulla polvere del Macerone o quando, infine, Gino Bartali pose le basi per la conquista del Giro del ’36.

Nel corso degli anni erano stati scoperti nuovi arrivi, ma fu con l’esplosione di Vito Taccone, morsicano di Avezzano, che l’Abruzzo tornò ad essere protagonista.
Le sue genti reclamavano una tappa dura, che potesse esaltare le doti di provetto scalatore del loro beniamino.
Furono accontentati con l’arrivo di Roccaraso (1964), ma quel giorno Taccone non potè esprimersi al meglio.

La cinquantesima edizione del Giro d’Italia parve l’occasione ideale per celebrare degnamente una terra che tanto aveva dato alla storia della corsa.
Però non bastavano le solite salite, ci voleva qualcosa di nuovo.
Torriani inventò un arrivo al Blockhaus: un nome che evocava una salita dell’Alto Adige, non certo una località del centro Italia.
Avrebbe potuto chiamare Maiella la località dove era prevista la conclusione di quella tappa, ma vuoi mettere l’impatto mediatico?
Fu la Caserta - Blockhaus, quindi, la dodicesima tappa di quel Giro del ‘67.
Un tappone vero e proprio, con l’arrivo in salita ai 2068 metri dell’inedita ascesa, preceduto dai GPM del Macerone, di Rionero Sannitico e di Roccaraso.
La gente d’Abruzzo non poteva che rallegrarsi. Pareva un percorso fatto su misura per Taccone che, in verità, dopo l’expoit del ’63 pareva essersi un po’ appannato.

In quel Giro del ‘67 il motivo dominate della vigilia pareva essere l’ennesimo confronto tra il non più giovane Anquetil ed i nostri campioni: Motta, soprattutto, vincitore dell’edizione dell’anno precedente, e Gimondi. Con Adorni e Zilioli a fare da battitori liberi.
Non è che nell’avvio di quel Giro i nostri fossero sugli scudi. Dopo undici tappe la maglia rosa era sulle spalle di uno spagnolo, Perez Frances, ma i giochi erano ancora aperti.
La tappa del Blockhaus era molto attesa e, come tutte le novità, suscitava discussioni.
C’era chi la considerava durissima, una salita alpina trasferita nel centro Italia; altri ne sottolineavano la lunghezza (24 chilometri) ma, quanto alle pendenze, non le consideravano neppure eccessive.
Solo un po’ più difficile dell’Etna che – a detta di Taccone - non era poi un gran che.
E anche Bartali, uno che di salite se ne intendeva, non la considerava pari a quelle dei suoi tempi.
Solo la corsa avrebbe dato ragione agli uni o agli altri.

Fu Taccone a rendersi protagonista di una fuga sulle salite della sua terra.
Dopo che la prima parte della gara era stata percorsa ad andatura quasi turistica, con un tentativo di Aimar e di Gonzales che aveva raggiunto il minuto e mezzo di vantaggio, a 50 chilometri dall’arrivo Taccone scattò .
Ma non era più l’indomito attaccante della tappa di Moena di quattro anni prima e, dopo trentacinque chilometri di cavalcata solitaria tra l’entusiasmo dei suoi conterranei, fu raggiunto quando mancavano tredici chilometri alla conclusione.
Il tempo era inclemente: in vetta c’era un vento con raffiche simili alla bora triestina e cadevano fiocchi di neve gelidi.
Gli abruzzesi, gente tosta, c’erano comunque, avvolti nelle coperte e con cartelli che inneggiavano al loro beniamino: ”Frate Taccone, tu sì nu santu”. Si sperava nel miracolo.

Saranno state le avverse condizioni metereologiche o la mancanza di coraggio da parte di qualcuno, fatto sta che la selezione che il Blockhaus pareva promettere non ci fu.
Una trentina di corridori erano ancora insieme quando mancavano due chilometri alla vetta.
Fu Silvano Schiavon a rompere gli indugi. Scattò, il veneto, e Zilioli gli rispose
Italo prese cento metri e pareva avviato ad una vittoria di prestigio - e magari alla conquista della maglia rosa, considerato che era secondo nella generale - quando dal gruppo uscì un uomo in maglia bianco-nera della Peugeot.
Era Merckx, il giovane belga che si era aggiudicato le ultime due edizioni della Sanremo e che – tra la sorpresa generale - scattava in montagna.
Raggiunse Zilioli quando mancavano ottocento metri al traguardo e lo lasciò da solo ai meno cinquecento.
Una volata a duemila metri d’altitutine, mica sul vialone di Via Roma!
Vinse il belga, lasciando Zilioli – che aveva avuto un problema al cambio proprio nel momento dello scatto decisivo del suo avversario - a dieci secondi.
Perez Frances, la maglia rosa, fu terzo a 20 secondi, precedendo di poco Anquetil che si era difeso bene su quella salita.
Chi prese quasi un minuto in due chilometri fu Gimondi il quale, vittima del freddo e del mal di gambe, non aveva trovato la forza di accodarsi ai migliori.
Ci fu anche qualche strascico polemico perchè Zilioli fu accusato di essere scattato troppo presto, mentre sarebbe dovuto stare vicino a Gimondi che, a detta del piemontese, gli aveva dato via libera.
Una grandinata subito dopo l’arrivo fu il corollario di quella tappa che, a dire il vero, non mantenne le attese della vigilia.
Ci fu, anzi, chi la ridimensionò brutalmente, proprio a causa della vittoria di Eddy, un velocista fiammingo che si era imposto in alta montagna. Sarebbe stata solo la prima delle innumerevoli vittorie in salita del Cannibale, solo che allora mica si sapeva che quel corridore avrebbe dominato i grandi giri negli anni a venire.
Giornata storica, quindi, proprio per questo fatto, ma il gigante d’Abruzzo non aveva provocato gli attesi sconquassi in classifica generale.

E neppure l’anno successivo, quando il Giro ritornò lassù, si assistette alla sfida tra Merckx (che ormai in salita non temeva rivali) e i nostri portacolori.
Una fuga di sette corridori, iniziata proprio ai piedi della salita conclusiva, ebbe un finale inatteso: Franco Bodrero, un giovane piemontese ex operaio alla Fiat, vinse la sua unica corsa di prestigio battendo Franco Bitossi.
Versò lacrime amare, il toscano. Era scattato ai cinquecento metri e si vide superare in prossimità del traguardo da quel corridore che non aveva tirato un metro. Una delusione che non sarà mitigata dall’assegnazione della vittoria a “tavolino”, a seguito della positività all’antidoping di Bodrero.
Neppure quella volta, dunque, il Blockhaus segnò le sorti del Giro.

Avremmo dovuto aspettare ancora quattro anni per assistere ad un’impresa su quella salita e non ci fu bisogno neppure di arrivare in vetta, né di GPM impegnativi disseminati lungo il percorso.
Una semitappa di 48 chilometri - la metà dei quali percorsi ad andatura cicloturistica -.fu sufficiente a Fuente per volare verso il traguardo di Fonte Tettone.
In una giornata dal cielo terso, i monti d’Abruzzo si mostrarono in tutto il loro splendore.
Lo scalatore spagnolo partì quando mancavano quindici chilometri al traguardo e la sua fu una progressione inarrestabile.
Merckx, senza gregari e circondato dagli spagnoli, non potè che limitare i danni, in un giorno che vide il crollo di Bitossi, la conquista della maglia ciclamino da parte di Gianni Motta e i fuori tempo massimo di Basso, Sercu e Dino Zandegù.
Provocà più selezione quella tappa - corsa quasi all’alba - che un tappone dolomitico!

Montagna indecifrabile, il Blockhaus, capace di regalare imprese come quella di Fuente, battezzare il primo successo in salita di Merckx, ma anche di assistere all’unica vittoria significativa di uno sconosciuto o, ancora, al successo di Argentin su Moser, negli anni ‘80.
Forse sta proprio in questo il fascino del gigante d’Abruzzo.
Può succedere tutto o niente, ma ogni volta ci s’interroga su quello che potrebbe capitare su quell’ascesa dove, un pomeriggio di maggio di quarantadue anni fa, un giovane belga aveva fatto sapere al mondo che le salite non lo spaventavano.
Il Blockhaus fu la sua prima conquista: se ci fosse una” Cima Merckx”, tale riconoscimento le spetterebbe di diritto perché fu proprio lassù che Eddy scoprì di andare forte in montagna.
E scelse il Blockhaus per dimostrarlo: da quel giorno la salita abruzzese entrò nella leggenda.

Mario Silvano


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