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SPECIALE CORSA ROSA - PRESENTAZIONE

SPECIALE 86° GIRO D'ITALIA - L'ANALISI

Questo è lo studio del Giro più duro. Scopriamo il percorso, le novità, approfondiamo il rapporto tra montagne e contre-la-montre concentrate nella terza settimana. Contiamo le ragioni per cui la corsa rosa è la più difficile degli ultimi anni: gli arrivi in quota, la collocazione delle crono, la cancellazione del carosello finale, lo spauracchio-Zoncolan, le tappe di avvicinamento, la coincidenza tra tappa più lunga e ultimo traguardo in salita. E, infine, facciamo le pulci ai contendenti la maglia rosa.

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"Abbiamo abolito il Processo alla Tappa. Abbiamo eliminato un nome che non ci piaceva. Abbiamo voluto togliere l'immagine fosca del processo. L'Italia e' un paese in cui ci sono anche troppi processi''.

Paolo Francia, direttore di RaiSport


"Anche in salita non sto male, ho reagito bene quando ha attaccato Simoni, però dal restare coi migliori a staccarli completamente devo lavorare ancora".

Marco Pantani, campione

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L'ANALISI
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Il Giro più duro degli ultimi anni. Per sei ragioni. La prima sono gli arrivi in salita: cinque; più di quanti ne siano stati affrontati gli anni passati; quattro al termine di frazioni con almeno altri due gran premi della montagna e in due casi con oltre quaranta chilometri di salita complessivi. Ragione numero due: la collocazione delle crono. Due, come gli altri anni, ma a differenza del solito non una nelle prime settimane e una nell’ultima, bensì entrambe dopo la seconda settimana, nella terza fase di corsa. E non solo. Nella terza settimana e quindi a ridosso delle salite. La prima cronometro viene dopo le dolomiti di Pampeago che a sua volta segue una frazione piana che la distanzia di un giorno dalle fatiche dello Zoncolan; la seconda cronometro, quella di Milano, che sostituisce il carosello di fine Giro, succede alla tappa di Cantù che viene dopo l’ultimo arrivo in salita alle cascate del Toce. La terza ragione è la sostituzione del carosello con la seconda crono. Senza cambiare il numero dei giorni e delle frazioni. Ne consegue che questo Giro avrà una tappa vera in più; e proprio alla fine di tutta l’avventura, quando sarà stata accumulata la fatica delle tante ascese e delle centinaia di km di corsa. La quarta ragione è la novità del monte Zoncolan. Non si affronta una salita così dura al Giro, dal dopo-Madonna di Campiglio del ’99, quando il trampolino verso l’arrivo dell’Aprica fu niente di meno che il passo del Mortirolo. E non è tutto. Perché la salita più dura da molti anni in qui – e si giura che sia anche più dura del Mortirolo; e, si badi, il versante che verrà affrontato quest’anno non è il più duro possibile: ma i promotori della frazione promettono di adoperarsi al fine di far sì che in giro di qualche anno le corse possano affrontare pure il secondo – segue due ascese come la Fuessa (10,5 km con pendenza media dell’8,7 %) e la Sella Valcalda (6,6 km al 6,15%). La quinta ragione sono le tappe di avvicinamento. Si comincia a salire il giorno della quinta frazione, quando a chi sta in corsa toccherà affrontare i 25 km (pendenza media 4%, d’accordo) della portella Mandrazzi, nel verso di Catania. Dopo il Terminillo, primo dei cinque arrivi in salita, ecco la decima tappa, 200 km da Montecatini a Faenza, continui saliscendi col colle di Canaglia (18,3 km al 4%) e un’ascesa che ha fatto storia, nel ciclismo, ovverosia il Valico del Trebbio (al 6,85% di media) a rappresentare gli ostacoli più duri. E quindi trasferimento a San Donà di Piave e l’inizio delle ostilità con Zoncolan e parenti prossimi. La sesta ragione, che si aggancia e sviluppa alla seconda, la collocazione delle due prove contro il tempo, è la coincidenza tra la tappa più lunga, i 236 km della Canelli-Cascata del Toce, tutto l’asse longitudinale piemontese, e l’ultimo arrivo in salita, che si svolge, attenzione, due soli giorni prima della cronometro finale. Per tutto questo è il Giro più duro. E potenzialmente più bello. Anzi, senz’altro.

A corollario di questo prima analisi, altre considerazioni di approfondimento.

1) La novità più interessante resta la collocazione delle cronometro. Come detto nella settimana che è dominio delle grandi tappe di montagna. Entrambe. E la seconda proprio l’ultimo giorno in luogo del deposto (per quest’anno) carosello finale. E, in terzo luogo, la loro lunghezza: solo ottanta km in complesso. Per intenderci si tratta della distanza di una delle due (più prologo e cronosquadre) gare contro il tempo (solite) al Tour de France. Questo induce tre suggestioni: la prima è che Castellano non ami le prove a cronometro (ma si fa per scherzare); la seconda, più seria, è che al predominio di corse a tappe, brevi e lunghe, francesi, il direttore della Rcs e organizzatore, oltre che del Giro, pure della Tirreno-Adriatica (che non ha presentato chilometri a cronometro) stia cercando di opporre la maggiore caratterizzazione per chi fa forte in salita delle nostre corse, così da recuperare attenzione dei grandi interpreti della montagna che sono anche i più grandi interpreti del ciclismo in genere; la terza, serissima, è che Castellano abbia davvero voluto fare una corsa in prevalenza per scalatori in ragione di diverse osservazioni: a) la predominanza di scalatori tra i corridori italiani che puntano al successo finale a questo Giro d’Italia; b) la predominanza di questo gruppetto di corridori italiani in quel gruppo più grande che sono gli aspiranti vincitori (e quindi i grandi presenzialisti) della corsa rosa; c) possibilità del recupero e del rilancio di Marco Pantani: Castellano ha detto: “Noi siamo per lo spettacolo”, a chi gli chiedeva della ipotesi di invitare la Mercatone Uno-Scanavino del nascente (o rinascente) campione di Cesenatico alla Milano-Sanremo (opinione che s’immagina trasposta in egual modo in relazione al Giro d’Italia, al quale infatti la Mercatone è stata invitata. Certo, è ovvio direte voi…); d) ancora, necessità di differenziazione dal Tour nell’impossibilità di contrastarlo e di vincerlo (per così dire) sullo stesso piano, e cioè della classicità (grandi montagne senza picchi fuori dal mondo e grandi cronometro, grandi tappe di pianura per i velocisti nella prima settimana) delle corse di tre settimane, in cui la Grand Boucle, per molte ragioni che uno di questi giorni magari ci industrieremo per andare a scoprire, è regina: la differenziazione consente di pescare in un bacino di utenza – con caratteristiche e intenzioni distinte o compatibili con quelle dei protagonisti di luglio – diverso o compatibile con quello della corsa francese.

2) La collocazione delle crono e la successione senza pausa delle tappe di montagna rende le crono potenzialmente nulle come strumento di prevalenza degli specialisti; e semmai funzionali a definire l’ordine di classifica di chi invece, in salita, avrà fatto il vuoto. I problemi degli specialisti sono vari e consistenti. Uno, la vicinanza delle montagne (mai come quest’anno, almeno nella ripetitività del fenomeno: è vero che pure l’anno scorso la crono conclusiva si corse a due giorni di distanza da una delle frazioni decisive, anzi, la decisiva, quella di Passo Coe-Folgaria su cui Paolo Savodelli fece il vuoto e vinse il Giro; ma quest’anno la successione montagna-pianura-crono in tre giorni si ripete per ben due volte in una settimana) imporrà condizioni di affaticamento il giorno dell’approccio del momento di correre contro il tempo. Certo, toccherà anche chi va in salita ma in misura minore, e in ogni caso agli scalatori sarà concesso anche il morale che i buoni esiti delle scalate gli avranno per certo portato; agli scalatori potrà creare problemi, semmai, il cambio di passo, ma di questo diciamo dopo. Due, dopo la prima crono ci sarà stanchezza delle prime salite e la prossimità della tappa più dura, quella della Fauniera, Esischie-Sampeyre per capirci, con arrivo (in salita, seppur lieve) lassù a Ponte Chianale; e dopo di questa ancora l’ascesa alle Cascate del Toce. E dunque da una parte una necessità di preservarsi, dall’altra il timore della nullità degli sforzi compiuti per fare la differenza a cronometro, in quanto potenzialmente vanificabili dagli scalatori nelle successive tappe con ascese. Certo, avviene in tutte le corse a tappe in cui si alternino crono e montagne; ma qui a distanza di un nonnulla, senza la tranquillità del riposo possibile e la soddisfazione del mantenimento sicuro della maglia eventualmente conquistata (o della favorevole posizione di classifica raggiunta) per qualche giorno prima di rischiare di perderla.

3) La vicinanza delle cronometro alle salite, e in particolare il loro collocamento sempre dopo tappe di montagna, possono d’altronde comportare difficoltà pure per gli scalatori. Soprattutto per quanto concernerà la prima cronometro, perché nell’ultima chi sarà davanti in classifica avrà il conforto del buon risultato centrato e della vicinanza dell’obiettivo finale, oltre alle manifestazioni di stima della gente e degli addetti ai lavori, per le quali avrà senz’altro umore più favorevole e quindi ‘marcia in più’. Nella prima prova contro il tempo, però, questo fattore sarà ovviamente limitato. E dunque la condizione in cui si affronta la difficoltà che ora andiamo ad analizzare lascerebbe meno margine di vantaggio con cui far fronte al ritorno degli specialisti (per la correlativa, alla difficoltà di scalatori, parziale superiorità). Si parla del cambio di passo. Vale a dire il cambiamento dell’impostazione del lavoro di corsa, sia psicologico sia fisico, nella conduzione di una frazione (decisiva) di montagna e di una cronometro. Nel caso della montagna rapporto tendenzialmente agile (per forza nell’ascesa di monte Zoncolan) e andatura fuori soglia – con riferimenti – solo per un tratto di frazione, di certo di minor portata dei quaranta chilometri della crono. Ma soprattutto il rapporto agile. Nel caso di gara contro il tempo, invece, rapporto più lungo o comunque – a parità di rapporto – maggiore frequenza di pedalata, per un lavoro quasi a soglia o fuori soglia lungo la maggior parte dei quaranta km della prova e senza riferimenti visivi e di percorso. Ma soprattutto il rapporto agile. La differenza quanto a impostazione dei rapporti dipende dalla differenza del percorso: strada che sale in un caso e che in vece spiana o sale docile nell’altro, forza di gravità contraria nel primo caso e insensibile nell’altro. In ogni caso l’approccio della scalata richiede una impostazione psicofisica inconciliabile con l’altra per le prove contro il tempo o comunque per l’andatura in piano. Il cambiamento repentino, senza la possibilità di abituarsi all’una o all’altra impostazione in tappe a percorso mediano, impone tutta la difficoltà del cambio di impostazione. D’altronde la difficoltà è maggiore nel passaggio dal piano al ripido della strada che sale; e al Giro si compierà invece (se non per il solito accesso alle montagne dalle due settimane di pianura, che però non differenzia questo Giro dai precedenti e dagli altri giri di tre settimane) nell’altro senso: montagna e poi tappa di pianura e di seguito cronometro. Tocca in conclusione agli specialisti della crono affrontare le loro prove (quelle in cui vanno forte e fanno la differenza) nello svantaggio di doversi riabituare, e non agli scalatori in salita. C’è che l’abitudine al cambiamento dalla salita alla pianura è meno traumatico del contrario; e c’è la tappa intermedia di pianura tra la salita e la crono che lo favorisce. Ma c’è anche che, oltre alla necessità in due casi su due – contrariamente alle altre corse a tappe e agli ultimi Giri in cui, come detto, avveniva di solito in una sola occasione -, il cambiamento di impostazione e la necessità di rifarsi la gamba avverrà in mancanza di un precedente allenamento in corsa (leggi: apposita prova contro il tempo) prima delle salite. Una differenza rispetto agli ultimi anni. Per meglio dire: anche allora la prima cronometro si svolgeva dopo le prime frazioni di media-alta montagna a loro volta dopo il primo arrivo in salita, per tradizione collocato tra la prima e la seconda settimana; ma dopodiché c’erano ancora diversi giorni di pianura e solo dopo si approcciava la serie alpi-dolomiti che decideva il Giro. Qui tutto in sette giorni, dopo tre arrivi in salita di qui uno poco prima e quello prima che è lo Zoncolan; dopo i cinque arrivi in salita, le due tappe da oltre quaranta chilometri di montagna dura, una sola tappa per rifiatare e rifare la gamba. Insomma, forse anche questo dato – la successione salita-cronometro in luogo dell’inversa – avvantaggia gli scalatori. Differentemente da quanto ipotizzato all’inizio della considerazione.

4) Fin qui si è fatto il confronto dei vantaggi e degli svantaggi del percorso atipico per gli scalatori e per i cronoman. Ma il Giro non verrà affrontato da un generico manipolo fatto da ignoti membri di una e dell’altra categorie di corridori; bensì da un novero specifico di scalatori e uomini da crono. E in particolare: Simoni, Casagrande, forse Pantani scalatori più o meno puri; Garzelli e Tonkov forti in salita ma non come gli altri e competitivi a cronometro più dei primi tre ma non come specialisti; Aitor Gonzalez e Dario Frigo competitivi parimenti (o quasi) ai migliori in salita, più forti di tutti a tal punto da sapere fare la differenza nelle prove contro il tempo. In realtà si noti che a questo Giro non correranno cronoman puri con ambizioni di classifica. Intendendo perciò uomini che vanno forte a cronometro e in salita si limitano a difendersi. Senza avere la capacità di tenere il passo dei migliori scalatori e, a parte gli specialisti grimpeur dal fisico esile e leggero e la pedalata agile, riuscire magari anche a metterne in difficoltà con un cambio di ritmo anche in salita. Non sono tali certamente Gonzalez e Frigo. Tra gli uomini che vanno forte in salita Casagrande meglio degli altri nelle prove contro il tempo; Frigo più pronto al cambio di ritmo in salita ma in dubbio sulla distanza delle tre settimane e in genere se la scalata è lunga e o segue altre lunghe (e a questo Giro succede sempre, fors’anche il giorno della salita più dura, lo Zoncolan, preceduta da almeno un’altra signora ascesa di oltre dieci km con pendenze medie che sfiorano il 10%). La collocazione delle cronometro e i problemi che ciò comporta dovrebbe ridurre il valore della versatilità di Garzelli e Tonkov, che si ridurranno per lo più al confronto in salita con gli specialisti (senza trovare, nella crono, forza per scavare lì una differenza). Nondimeno resta la loro capacità di andare anche contro il tempo, meglio degli altri forti in salita. Fin qui, valutate le capacità dei candidati alla vittoria finale senza contare le condizioni in cui versano oggi e senza entrare nello specifico delle tappe e delle caratteristiche delle singole prove, ecco una classifica di forza in chiave-Giro: Casagrande davanti in quanto più forte in salita e capace di tenere a cronometro; Simoni, Garzelli, Tonkov ed Aitor Gonzalez per lo più sullo stesso piano per ragioni distinte; un gradino sotto Pantani e Frigo. Se però si approfondisce l’entità delle singole prove, guadagnano Simoni, Aitor Gonzalez e Pantani, mentre resta l’adeguatezza di Nando Casagrande che conferma la sua forte candidatura alla vittoria finale. L’ascesa durissima del monte Zoncolan è ovviamente la situazione ideale per lo scalatore puro: dunque Simoni e Pantani. Viene prima di una crono per la quale uno di due, o entrambi se riusciranno ad andar forte e fare il vuoto sul monte friulano, sarà galvanizzato e dunque in condizioni favorevoli per reggere la prova in confronto con gli specialisti quale che sia l’incidenza del fattore della collocazione in calendario di corsa per questi ultimi. Più che la frazione di Pampeago, favorevole a loro la grande cavalcata in provincia di Cuneo, tra Esischie, Sampeyre e Ponte Chianale. Tra Zoncolan e Ponte Chianale i due possono davvero fare il vuoto con i contendenti. Gonzalez tiene anche sulle salite ripide e tecniche (ha tenuto sull’Angliru; certo allora era davvero al top della condizione, dopo una intera stagione di buona gestione personale con il sesto posto, galvanizzante, al Giro d’Italia, e peraltro correva sulle strade di casa, in Spagna); può avere qualche problema a sostenere le ripetute di fatiche in tappe di montagna che l’ultima settimana imporrà. E specie per l’ultima crono potrebbe non avere la forza di imporre la propria superiorità contro il tempo. Lo scorso anno vinse la contre-la-montre decisiva per la vittoria del Giro. Ma non correva per vincere il Giro. E non lo aveva fatto nei giorni precedenti. E dunque aveva speso meno e pochissimo quanto a energie mentali. Ma comunque quest’anno il Giro si fa più duro, lo abbiamo detto più volte, inutile questa specificazione. Casagrande resta dunque il principale avversari di Simoni, e di Pantani qualora fosse in condizione. Fin qui la valutazione delle possibilità dei corridori nell’analisi della conciliabilità tra le loro caratteristiche e il percorso, senza considerare la condizione di forma e i precedenti in questa stagione che sono indicativi dello stato in cui si presentano alla corsa rosa. Incognita Pantani: nello speciale leggerete che non c’è dubbio – nel giro delle tre settimane – possa recuperare il cambio di ritmo e quindi mettere tutti in fila anche il giorno dello Zoncolan; da vedere se avrà il fondo per tenere davanti a tutti tutte e tre le settimane di corsa e soprattutto la terza. Certezza Simoni: è il più forte e il più forte candidato anche perché si presenta in uno stato di forma di grazia, e dunque alla adeguatezza al percorso si aggiunge la forza del buon momento e dell’umore che gli viene dai successi e dalle prove di forza di queste settimane: ecco perché è il grande, assoluto favorito per la vittoria finale. Casagrande è da vedere sulle salite di maggior lunghezza di quelle affrontate finora in cui ha dimostrato di avere la gamba e il cambio di ritmo. Non c’è dubbio d’altronde sulla capacità di tenuta sulle tre settimane: ha corso di meno e con maggiore raziocinio, sotto peraltro la supervisione e il consiglio di un uomo come Beppe Saronni, che ha corso e vinto il Giro e sa come ci si avvicina, ed è lucido ed attento osservatore per cui ha di certo compreso le caratteristiche e le esigenze di preparazione di Casagrande. Garzelli e Tonkov si sono rivisti all’attacco anche in salita, e del resto non erano in dubbi le loro abilità psicofisiche sulla strada che sale e in funzione-successo. Ma per ragioni distinte – entrambi hanno corso poco finora; e per di più Tonkov non ha squadra e già negli anni scorsi aveva mostrato segni di stanchezza e di difficoltà nella tenuta sulla lunga distanza – è dubitabile riescano a tenersi davanti fino a fine Giro. Frigo è crollato al Romandia ed ha qualche acciacco fisico, il percorso non è propriamente adatto a lui e per di più avrà tutte le remore psicologiche che gli vengono dalle difficoltà di questa fase della stagione e dal timore di non riuscire a stare in condizione per tre settimane dopo le esperienze del crollo nell’ultima corsa rosa. In più sente di dovere qualcosa a Ferretti e Fassa proprio al Giro, per il quale l’hanno ripreso e per la cui capacità di vincerlo gli danno fiducia. Il timore di non riuscire a dimostrare la fondatezza della fiducia e le aspettative su di sé per il bisogno, invece, di dimostrarla possono dargli stress in eccesso che pagherebbe sulla lunga distanza. Aitor Gonzalez troverà forma nelle prime due settimane. I dubbi sulla tenuta in una terza settimana che mortifica le crono (anche corte rispetto alla media) e impone sforzi ripetuti in lunghe e dure ascese riducono un po’ il valore della sua candidatura alla vittoria finale, molto più di quanto – a parità di condizioni del corridore – non si farebbe, ad esempio, qualora all’orizzonte ci fosse la Vuelta dello scorso anno che del resto ha vinto; o, paradossalmente, un Tour de France alla cui partenza ci fosse ancora Lance Armstrong. Per tutto ciò, la nostra classifica di forza: cinque stelle a Gilberto Simoni, quattro a Casagrande, tre e mezzo ad Aitor Gonzalez, tre a Frigo, due e mezzo a Tonkov e due a Stefano Garzelli. Un punto di domanda, con la certezza della capacità di fare il vuoto in montagna e il dubbio della capacità di tenersi davanti per tutta la terza settimana, Marco Pantani. Che comunque, purché al top, è l’unico sinceramente in grado di battere un Gibì Simoni che potesse fare la sua corsa senza incidenze fuori dalla norma e dalla previsione.

5) La partenza di Lecce, senza prologo (che d’altronde non è certo una abitudine del Giro d’Italia), subito una frazione in pianura per velocisti, l’assenza di asperità significative fino alla quinta tappa (in cui comunque non si affronta certo la Marmolada), indicano la ragionevolissima intenzione della organizzazione di andare incontro alla volontà-possibilità del nostro campione del mondo, Mario Cipollini, di battere già in questo Giro (in cui ha ancora la certezza della integrità fisica e di stimoli, che non può ancora avere, come è per ognuno, quanto ai prossimi anni) il record di vittorie di tappa alla corsa rosa del grande Alfredo Binda, il secondo campionissimo della storia del ciclismo (nostro e non solo), dopo Girardengo, e protagonista del dualismo gentile con Learco Guerra, appena prima che la classe del ’15-‘22 facesse il suo ingresso in scena coi signori Bartali e Fausto Coppi finendo senza remore per monopolizzarla (la scena).

Matteo Patrone
mpatrone@libero.it



SPECIALE CORSA ROSA – LE TAPPE

Si parte sabato da Lecce con una frazione per velocisti. Primo arrivo in salita il 17 sul Terminillo (Campoforogna; nella foto, una veduta). Il 22, dopo la frazione mossa sull'appennino emiliano, l'ascesa del monte Zoncolan. Quindi Rolle e Pampeago, la crono di Merano, Esischie-Sampeyre e l'ultimo arrivo in salita alla Cascata del Toce. Prima della crono finale...


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IL RACCONTO
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Sabato 10 maggio si parte da Lecce, una città che ammalia per i suoi scorci classici e le vestigia di un passato glorioso, ma non si confina certo a centro museale. È luogo attivo, dinamico, come l’intera terra cui fa da riferimento. Per questo il 10 maggio il Giro muove dal capoluogo alla scoperta delle bellezze del Salento, per fare poi ritorno a Lecce, dove si assegna la prima maglia rosa. Anch’essa sprintata, in tono con la città, dopo 192 km a passo di carica. Da Copertino l’indomani si muove in direzione di Matera. Frazione senza sussulti, con il solo strappo di Montescaglioso. Lunedì 12 si va da Policoro verso Terme Luigiane, che propone un’ascesa finale di comodo, 11,5 km con pendenze non da brivido (media 3%). Una frazione che potrebbe registrare piccoli sussulti e proporre un finisseur, vale a dire un uomo da colpo di mano nell’estremo finale. Da Terme Luigiane, martedì 13, ci si porta a Vibo Valentia. In menu la cresta di Zungri, una salita che non fa male. Senza scossoni, peraltro possibili, nuovamente un esercizio conclusivo allo sprint. Oltrepassato lo Stretto, da Messina mercoledì 14 si procede verso Catania affrontando la portella Mandrazzi, una salita certamente lunga (quasi 25 km) ma agevole nelle pendenze (media 4%). Tappa buona per gli ardimentosi, quelli che la corsa sanno inventarsela. Trasferimento e riposo coincidono, giovedì 15, con la ripresa delle ostilità da Maddaloni, venerdì 16, per raggiungere Avezzano. Tappa lunga (218 km), ma senza particolari difficoltà, perché tale non può essere considerato il Valico di Monte Salviano. Il finale propone i Piani del Fucino. La settima tappa porterà i corridori da Avezzano al Terminillo (Campoforogna; nella foto, una veduta) e procederà alla prima scrematura del gruppo. Lungo i 16,1 km di salita ci sarà spazio per le ambizioni di tutti, anche se i verdetti della montagna reatina saranno in ogni caso interlocutori. Niente di ultimativo dopo il primo arrivo in quota, soltanto una classifica mossa, verosimilmente con distacchi finalmente in doppia cifra. Domenica 18 si va da Rieti ad Arezzo, passando per la Forca dell’Arrone. Tappa di riflessione, lunga 217 km, quanto basta per sollecitare i coraggiosi. La tappa che segue, tutta toscana, propone i dolci declivi collinari: si va da Arezzo a Montecatini Terme, dove lo striscione d’arrivo aspetta i velocisti. Tappa dalle molte insidie, la decima, in programma martedì 20: da Montecatini Terme a Faenza è un continuo saliscendi con due ascese degne di nota, utili a chi accenderà le polveri: il Colle di Casaglia è un bell’ostacolo, lungo 18,3 km con pendenza media del 4%, cui segue una montagna storica del ciclismo, il Valico del Trebbio, pendenza media del 6,85, situato abbastanza vicino all’arrivo. Tappa tutta da ammirare, soprattutto se i corridori se ne approprieranno, dal punto di vista agonistico, lungo i 200 insidiosi chilometri. Il giro di boa del Giro, il metà gara, coincide con la frazione Faenza-San Donà di Piave in programma mercoledì 21. Una tappa del tutto agevole, a vantaggio dei cacciatori veloci di traguardi, con o senza “treni” che li portano in prossimità dello striscione d’arrivo. Attesissima per un inedito che sarà difficile dimenticare, lo Zoncolan, la frazione con arrivo in quota (e partenza da San Donà di Piave), in programma giovedì 22 maggio. Una tappa, la dodicesima, che promette di rivoluzionare la classifica. Se sino a quel giorno avremo assistito a scaramucce, la prova della verità per gli scalatori si svilupperà lungo tre ascese: la Fuessa, ragguardevole ostacolo (10,6 km di salita con pendenza media dell’8,7 %), la Sella Valcalda (6,6 km con il 6,15% di pendenza media) e soprattutto il Monte Zoncolan che è chiamato a una bella setacciata. Il Giro affronta per la prima volta questa salita, che è un autentico spauracchio: lungo i 13,3 km la pendenza media è di rilievo (9%) ma ci sono tratti - al 19% e al 22% - che impressionano. Sullo Zoncolan l’imperativo categorico per chi va forte a cronometro è salvare la gamba. L’indomani, si va da Pordenone a Marostica, per una tappa destinata a ripristinare le molte energie perdute in montagna: una frazione salutistica, breve (155 km), con il solo strappo della Rosina e un circuito finale da inanellare tre volte nello scenario davvero unico della città consacrata agli scacchi animati. Ma la partita in bicicletta è di tutt’altro genere, è fatta di poco tatticismo e di molta azione. Nuovo tappone, anzi il tappone, in programma sabato 24: da Marostica si procede verso l’Alpe di Pampeago, con un altro arrivo in quota che mette insieme molte montagne sacre del Giro: si comincia con i 23,1 km del Passo Rolle (pendenza media 5,5), i 6,8 del Valles (pendenza media 7,1%), i 5,8 km del San Pellegrino (pendenza media del 9%) per arrivare, ultima deliziosa fatica, in cima all’Alpe di Pampeago, dopo 8,9 km con pendenza media del 9,6. La classifica rifletterà, dopo quella frazione, i valori in campo, senza alcun dubbio. E ci sarà chi, senza colpe, uscirà di scena, abbandonando i sogni di successo. Per una volta l’Alto Adige, domenica 25, si consacra a una frazione a cronometro che porterà i corridori da Merano a Bolzano: 42 chilometri per stabilire una prima graduatoria sul passo, con gli specialisti montani chiamati in difesa del loro presumibile margine. Contano i nervi saldi, siamo alla vigilia dell’ultima settimana. Da Arco di Trento si procede, tutto d’un fiato, verso Pavia, per 207 km, dopo di che i dintorni, in particolare Salice Terme, diventeranno luogo di ricreazione per un giorno. Riposo davvero meritato, martedì 27, in prossimità degli impegni di rilievo che attendono i corridori negli ultimi cinque giorni di gara. Mercoledì 28 si va da Salice Terme ad Asti per una sgroppata di soli 130 km, allegro anticipo di una frazione di grande impegno, quella che giovedì 29 porta i corridori dal Santuario di Vicoforte a Chianale: 175km che includono il colle di Esischie (20,6 km di salita con pendenza media del 7,5%), il Sampeyre (16,4 km all’8,3%) e la salita che porta a Chianale, ultimo ostacolo al 4,14%, lungo i 20 km conclusivi della frazione. Diciannovesima tappa, venerdì 30 maggio, da Canelli alla Cascata del Toce. La frazione più lunga, 236 km, con un altro arrivo inedito poco a sud del confine con la Svizzera. È l’ultimo traguardo in quota lungo la salita di 18,3 km che a quel punto sarà molto selettiva, per le energie quasi al lumicino di non pochi protagonisti. Una fiammata, l’ultima, riservata ai velocisti, nella sgroppata di salute che, sabato 31 maggio, porterà gli atleti da Cannobio a Cantù, lungo 122 km pieni di verde e di saliscendi agevoli. L’ultimo acuto, domenica 1° giugno, lo riserva la cronoeetro: si va dall’Idroscalo a Milano, come a dire dalla periferia al centro storico della città, affrontando le insidie di 42 km contro il tempo.


SPECIALE CORSA ROSA – I PRETENDENTI

Simoni e Casagrande, Gonzalez, Frigo, Tonkov, Garzelli e Pantani. Sono sette e sono gli uomini che puntano al rosa a Milano. Un'occhio sui grandi che si giocano il Giro d'Italia in una graduatoria tutt'altro che banale. Tra le cinque stellette del trentino di Palù di Giovo e il punto di domanda del romagnolo.


GILBERTO SIMONI *****

Dalla Spagna all’Appennino in tutta questa prima fase di stagione Gibì è sempre andato fortissimo. Eppure arriva alla corsa rosa con meno sforzi del solito nelle gambe. Il Giro lo ha già vinto due anni fa. Ha una squadra competitiva sia in pianura sia in montagna. Quando la strada sale ha soprattutto un Sabaliauskas che tra Giri di Trentino e Appennino non ha mai lasciato la ruota del capitano, e un Damiano Cunego che rispetto al lituano più giovane e non ancora del tutto maturo e tuttavia proprio per questo svincolato (o meno vincolato) al lavoro per Simoni, dunque più adatto – anche a fronte di maggiori ambizioni in chiave futura - a ritagliarsi pure qualche spazio per sé, ma comunque pronto a dare il suo contributo al trentino. La (per ora) mediocre condizione di forma di Quaranta dovrebbe tra l’altro ulteriormente votare la Saeco alla causa di Gibì. Per proseguire nell’elenco dei motivi che lo favoriscono verso il Giro, Simoni ha dalla sua la voglia di riscatto dopo il mezzo furto subito lo scorso anno. Ha già visionato i principali arrivi in salita, venerdì una seconda volta lo Zoncolan per stabilire il rapporto adatto. Inoltre è l’unico corridore di prima fascia ad avere affrontato, almeno di recente e con efficacia, una salita lunga ed impegnativa come se ne troveranno alla corsa rosa: passo della Bocchetta all’Appennino. E’ dunque lui, Gilberto Simoni, il principale e assoluto favorito per la vittoria finale del Giro d’Italia. E nessuno dei contendenti ‘conosciuti’ ha condizioni di approccio migliori. Si è detto: ‘conosciuti’, perché tale non è, ad esempio, il Pantani che aveva mostrato uno stato di forma eccellente per il quale andava ragionevolmente messo tra i potenziali concorrenti. Ma poi è sparito. Di lui non si sa nulla. Dunque, è (un partecipante al Giro) sconosciuto. E viene poi da dire che soltanto un Pirata che andasse fortissimo potrebbe impedire a Simoni di bissare il suo Giro. Ma ciò non significa che Gilberto avrà vita facile o staccherà tutti su tutte le ascese. I contendenti ci sono e sono di primissimo piano. Solo che il trentino è, oggi, un gradino sopra gli altri.


FRANCESCO CASAGRANDE ****

Beppe Saronni lo ha convinto a ridurre l’intensità della prima fase di stagione per arrivare al Giro con più energie a disposizione. Ma in una sola occasione Casagrande era rimasto a corto di forze nel lasso delle tre settimane di corsa: nel ‘00, quando correva per la Vini Caldirola di Maggioni e perse il Giro nella cronometro conclusiva a vantaggio di Garzelli, dopo aver tenuto la maglia rosa fino ad allora con la crisi (che comunque non gli aveva tolto il primato) nell’ultimo arrivo in salita il giorno precedente a Prato Nevoso. D’altronde in tutti gli altri casi in cui era arrivato alla Rosa da favorito non è riuscito ad andare in fondo… Per ragioni che, com’è noto, trascendono dall’impegno in bici. Quest’anno poi il Giro si decide davvero nell’ultima settimana: c’è il Terminillo nella seconda ma, intanto, dallo Zoncolan a Milano sono concentrati tutti gli altri arrivi in salita e i tapponi; e, seconda cosa, ed è una novità, c’è che entrambe le prove a cronometro stanno tra gigante friulano e Milano, dove si corre (al posto del carosello) l’ultima gara contre-la-montre. E dunque a maggior ragione in questo Giro è funzionale tenere fin in fondo, a discapito magari della brillantezza nei primi quindici giorni di corsa. La scelta di Saronni è perciò sostenuta sia dalla valutazione dei precedenti di Nando sia dall’analisi del percorso. Si tratta di vedere come Francesco risponderebbe qualora riscontrasse, ad esempio il giorno del Terminillo, una minore condizione rispetto alle edizioni precedenti. Ma le ultime uscite del toscano lasciano intravedere che - nonostante la diversa strategia di preparazione - la condizione con cui si presenta al via non si differenzia poi di tanto dal solito. Mentre è indubbia la maggiore riserva di energie in primo luogo mentali. Merito anche della fiducia che ha trovato alla Lampre (che vinse il Giro con Simoni) e della unicità della sua candidatura, in squadra, alla vittoria finale, cosa che invece non verificava alla Fassa Bortolo, dove Nando trovava Frigo e un Belli – che si è trasferito con lui da Saronni – con velleità di fare classifica. All’Amstel, in salita, e dopo oltre duecento chilometri di gara, andava più forte degli altri e ancora molto, molto forte. Però si trattava di uno strappo, ancorché duro e impegnativo, e Nando – come gli altri avversari di Simoni - non si è ancora testato su salite lunghe e difficoltose, dando forfait alla vigilia dell’Appennino, dove avrebbe invece trovato la Bocchetta, su cui è arrivata la conferma della grande condizione di Gibì. La prova in Coppa del Mondo, la ritrovata tranquillità, la probabilità di una tenuta a più lunga gittata per via del maggior risparmio fino ad oggi lo pongono comunque subito alle spalle del favorito, e davanti a tutti gli altri.


AITOR GONZALEZ JIMENEZ ***1/2

Per la prima volta affronta il Giro per vincerlo, ma non è in discussione la sua tenuta in grandi corse a tappe. Ha dato prova di esserci alla sua prima volta alla corsa rosa, un anno fa, quando pur senza velleità chiuse a ridosso dei primi strapazzando tutti a cronometro, anche in quella decisiva, dopo le fatiche delle dolomiti. Ha vinto la scorsa Vuelta Espana, anche più selettiva di un Giro, quello che è pronto a partire, pur durissimo; con un novero di avversari competitivi almeno più nutrito; e contro i due che lo precedono nel nostro pronostico per la maglia rosa a Milano, Simoni e Casagrande, che però arrivarono al Giro di Spagna, per ragioni distinte (pure se per entrambi più mentali che fisiche, o prima mentali e per effetto fisiche), decisamente sotto tono. Come il compagno di squadra Frigo è andato molto forte nella prima parte di stagione, vincendo il rinato Giro di Calabria; poi si è un po’ perso per strada, e al Romandia si è fatto staccare da un gruppetto di buoni corridori ma niente di più in salita (che però per la maggiore non correranno il Giro, e quindi possono permettersi di fare sforzi maggiori sulle strade della Svizzera Romanda), su una ascesa non troppo dura e non lunga ma con un tratto aspro in avvio. D’altronde ha perso meno di Frigo, che è proprio andato in crisi (o così è apparso; così si immagina anche per via delle intenzioni del milanese di far bene nella corsa di cui ha vinto le ultime edizioni, che negano l’ipotesi di una prova al risparmio). A maggior ragione per lui, che in salita tiene ma non va forte come gli scalatori e punta a scavare il solco nelle tappe contro il tempo che, stavolta, sono concentrate nell’ultima settimana e sempre subito dopo dure frazioni di montagna, è opportuno tenersi coperti e risparmiare fino al giro di boa della corsa rosa. E dunque ci sta un minimo di ritardo di condizione di salita a questo punto. Peraltro, ribadiamo: chi ha tagliato il traguardo prima di lui non correrà il Giro o comunque non lo farà con ambizioni di classifica, il che gli dà il via libera per maggiori spese in questi giorni e senz’altro ha consigliato una preparazione a gittata più corta che lo portasse in condizione adesso piuttosto che fra un mese.


DARIO FRIGO ***

Nonostante tutto tre stelle a Dario Frigo. E non a caso. Ecco perché. D’accordo la crisi al Romandia e non c’è dubbio sia stata crisi. Ma Frigo non correva da diverse settimane. Le buone prove prima di questa corsa lo hanno senz’altro rassicurato sulla bontà del lavoro svolto in preparazione del Giro. E dunque può avere avuto una umanissima flessione. Come detto per Gonzalez, chi è arrivato davanti era pronto più dei due Fassa per il Romandia. Ancora, le prime due tappe mosse ma non troppo non gli hanno dato modo di riattivare l’andatura in salita. Al momento in cui scriviamo si debbono ancor correre le ultime due frazioni: ebbene, c’è qualche probabilità che Frigo risorga sin da domani. E in ogni caso, quand’anche non accadesse, non si dimentichi la caratteristica principale del Giro 2003: i momenti-chiave, sia per chi va in salita, sia per chi va a cronometro, sono concentrati in sette giorni conclusivi fino a Milano. Per di più, c’è la strettissima vicinanza-alternanza montagne-crono: Frigo, che è scalatore e specialista a cronometro, specie nelle brevi corse a tappe di quest’anno ha mostrato di sapere produrre con facilità il cambio di passo. Anche se in quei casi le crono erano brevi e così le salite; e l’alternanza seguiva l’ordine: crono-salita, e non viceversa, che è invece quanto – per lo più – accadrà al Giro. In ogni caso non si creda che la questione della leadership Fassa si sia risolta già oggi a favore dello spagnolo.


PAVEL TONKOV **1/2

Lo ha scritto Fabio Panchetti di “Eurosport.com/it”: Pavel Tonkov è in crescita. Sull’ormai famoso (per chi legge) passo della Bocchetta, comunque momento significativo dell’avvicinamento al Giro, specie quest’anno che i grandi contendenti hanno scelto Trentino e Trittico e snobbato il Romandia per prepararsi alla corsa rosa, Tonkov ha perso contatto dai soli Simoni e Sabaliauskas, mantenendo da solo la terza posizione nonostante un gruppetto dietro, tirato soprattutto da Damiano Cunego. Ha mantenuto la posizione in salita e, poi, anche in discesa e in pianura, venti chilometri circa dal passo e dallo scollinamento. Tonkov non ha una squadra competitiva ma questo non sarà un problema, se non nelle frazioni di pianura quando il russo dovesse rimanere attardato – e specie le prime tappe, il gruppo che viaggerà fortissimo condotto dagli uomini di Cipollini che faranno la corsa, il vento del sud a favorire ventagli, bisognerà stare davanti e prestare attenzione perché le probabilità saranno di un certo rilievo -, o in salita se Pavel perderà contatto dai primi – ma a quel punto la mancanza della squadra si farà sentire, sì, nella lunga marcia-incubo fino al traguardo, ma senza grosse implicazioni per la classifica, perché, con tanti contendenti, il che implica corsa dura per i diversi tentativi, ressa nelle parti alte della graduatoria, chi si stacca ha ben poche chance, e di rientrare, e di tenere quanto basta per restare ai primi posti -. In salita, Tonkov nel gruppo dei primi, potrà sfruttare il lavoro dei compagni di chi si porrà in opposizione a chi altro, in quel momento, starà facendo la corsa. Mentre però per Frigo e Aitor Gonzalez, e quant’altri in questa stagione sono già andati forte, pure senza la continuità fino a questo punto alla vigilia del Giro, c’è la certezza della proprietà del cambio-ritmo in salita e quindi della disponibilità di una condizione sufficiente per puntare alla corsa rosa, e per la stessa ragione, e per aver corso molto, non c’è dubbio sulla tenuta sulle tre settimane; per quanti per contro – come Tonkov perché è alla prima prova di forza della stagione; per Garzelli che ha poche corse nelle gambe – non hanno mai avuto exploit sopra la media del gruppo, o non si ha la certezza del fondo e quindi della tenuta sulle tre settimane, qualsiasi informazione che venga da questi giorni conclusivi di preparazione non basta a dare la certezza della deduzione immediata in chiave-Giro. E dunque, per Tonkov come per Garzelli, bisognerà aspettare. Tonkov più probabile di Garzelli, però, sulla distanza delle tre settimane: per via del fondo. Ma per il colpaccio in una frazione, diremmo di più Garzelli. Ma quanto interessa a due così stare coi primi senza battagliare o la vittoria di tappa?


STEFANO GARZELLI **

La sparata al Giro del Trentino aveva illuso. Non si tenne conto di diversi elementi. Il primo: fattore di incoscienza della condizione di chi rientra dopo tanto tempo. Allora interviene una forte voglia di dimostrare di esserci, di far bene; a maggior ragione se il distacco è stato obbligato ed è seguito una brutta vicenda in cui sono state messe in discussione le doti morali e la verità della bravura in corsa. Non ci si è ancora provati nel ritmo della corsa, sulle distanze della corsa, il susseguirsi delle prove in giorni contigui, senza pause. Insomma, non si sa con chiarezza come si stia in funzione della gara – gli stimoli e la voglia inducono a sopravvalutarsi – in mancanza di bisogno di tenuta, duri strappi, fattori climatici che accrescono la fatica – si tiene e si può anche andar forte, se si hanno le qualità, s’intende. Ed è quello che è successo a Garzelli. Il Trentino non è stata una corsa dura per diverse e molte ragioni. Che costituiscono il secondo elemento di cui non si è tenuto conto nella valutazione della prova del varesino che ha fornito l’illusione che avesse già la condizione per vincere il Giro. Il primo motivo è che il percorso non presentava ascese lunghe e dure come quelle che si trovano nei grandi viaggi di tre settimane. Eppure sulla seconda ascesa, a Ronzone, Stefano ha lasciato 11’’ al suo avversario di corsa Gilberto Simoni. Secondo motivo è che il Trentino dura solo quattro giorni. Il terzo, lo abbiamo citato nell’analisi di contrapposizione tra Trentino e Romandia, il Trentino non accoglie la partecipazione di corridori di livello che non preparino il Giro d’Italia; che sono poi quei corridori che a quel punto della stagione potrebbero andare molto forte e non avere paura di darsi e di spendere energie, e quindi velocizzare e intensificare una corsa che altrimenti si fa per certi versi blanda, relativamente, insomma come può esserlo una corsa di professionisti d’altissimo livello. La prova che Stefano non aveva dimostrato di avere recuperato e la tenuta e la condizione in salita c’è stata sul solito passo della Bocchetta, al Giro dell’Appennino, dove il corridore della Vini Caldirola-Sydermec ha perso contatto, in modo significativo, dal vincitore Simoni e dal suo gregario Marius Sabaliauskas. Però, solito discorso, di qui al momento-chiave del Giro mancano ancora molti giorni. Garzelli correrà sia Industria e Artigianato di Larciano sia Giro di Toscana. Ma forse avrebbe fatto bene a partecipare al più duro e selettivo Romandia. A costo di scoprire lì, sotto l’attenzione di tutti, di non essere ancora pronto per tenere il passo dei primi. Almeno però avrebbe avuto la durezza del giro della Svizzera Romanda per accelerare la riacquisizione della condizione. Così rischia invece di trovarla quando per il Giro sarà troppo tardi. Non che sia la fine del mondo: Garzelli punta pure al Tour ed avrà modo di correre tante altre corse rosa. Però è una occasione parzialmente mancata. E Garzelli, al Giro, anche per note ragioni, ci tiene parecchio. Nonostante tutto, comunque, resta tra i grandi in lizza per la maglia rosa.


Quanto a Pantani vi rimandiamo allo “speciale” con l’avvertenza che è stato scritto prima che Panta sparisse in Spagna e desse forfait a Trentino, Appennino, Larciano e Toscana. Quanto agli altri c’è Caucchioli che però con in un Giro così competitivo che affronta in condizioni mediocri per via del problema fisico accusato nelle ultime settimane non ha molte chance neppure per il podio. C’è poi chi l’anno scorso era all’esordio ed ha chiuso nelle prime venti posizioni: Popovych e Scarponi, gli imperatori del Giro delle Regioni under 23 2000 dal quale l’ucraino prese il volo verso il Mondiale per confermarsi fenomeno e dare il via al conto alla rovescia del passaggio tra i professionisti e del momento dell’esplosione anche ai massimi livelli, dal quale Scarponi rimase un po’ in sordina nella attenzione degli addetti ai lavori, salvo riproporsi all’inizio di questa stagione; ma ha già speso una miriade di energie e non si è ancora testato sulle salite lunghe e impegnative, quali non sono le pur durissime cotes delle prove delle Ardenne. C’è Julio Alberto Perez Cuapio che vincerà senz’altro un paio di tappe con arrivo in salita ma non sembra ancora in possesso della capacità di gestione e della forza a cronometro per vincere il Giro d’Italia. C’è Figueras che però è ancora giù di condizione e in ogni caso non è uomo da tre settimane. Di Cunego abbiamo già detto: è al suo primo Giro d’Italia era l’alter ego sulla strada che sale di Pippo Pozzato rispetto al quale è però più timido e ancora un po’ immaturo non ha ancora completato la maturazione di uomo e di corridore ma potrebbe essere il grande futuro del ciclismo italiano in salita e nelle grandi corse di tre settimane. Per lui, se Simoni non avrà troppo bisogno, sarebbe ottimale un piazzamento nelle prime quindici-venti posizioni. C’è Pellizotti ma i pretendenti più solidi sono molti e questo Giro è davvero durissimo, forse oltre le sue pur validissime possibilità attuali (che crescono in chiave futura). C’è Laurent Dufaux ma quando la strada sale in modo significativo finisce che si stacca (lo si è visto al Romandia, inizio dell’ascesa della tappa numero due con arrivo in quota), poi magari si riprende, ma se le tappe sono lunghe e le ascese tante e più dure può giocarsi una frazione ma per la generale è sotto livello. Lo svizzero, con Caucchioli e Pellizotti (corrono tutti e tre per l’Alessio di Cenghialta) insieme possono scompigliare i giochi e togliersi qualche soddisfazione in arrivo in salita. E tenere almeno uno dei tre in classifica – ma per la maglia rosa se ne riparla fra un qualche stagione, con Pellizotti.


Matteo Patrone
mpatrone@libero.it

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