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GIALLO QUOTIDIANO: INTERVISTA A CUNEGO “DEVO RIPENSARMI”

Abbiamo incontrato Cunego la sera dell’Alpe d’Huez. Demoralizzato da un Tour scalognato, il veronese traccia il bilancio del suo luglio francese, cercando di porre fine alla fastidiosa querelle se sia un uomo da classiche o da corse a tappe. L’intervista rilasciata ai microfoni del nostro inviato Federico Petroni.

.: nella foto Bettini, Damiano Cunego in azione in salita.

Alpe d’Huez, ore 21. Nella terrazza sui ghiacciai della Meije e degli Ecrins le ombre della sera si allungano. Il sole bacia il grande carosello itinerante del Tour di ultimi, gelidi raggi. Come tanti soldati, gli appassionati accorsi nello stadio del ciclismo si rintanano nelle tende: domattina il termometro segnerà 8°C. Mentre la città tace, l’albergo MMV pullula di un frenetico andirivieni. In tanto frastuono, una tenera immagine colpisce il nostro sguardo. Damiano Cunego, lontano dal baccano che lo circonda, gioca al biliardo con la piccola Ludovica, animato dall’amore che solo un padre conosce. La felicità di rivedere la figlia cela appena un velo di stanchezza, spossatezza, delusione. È l’amarezza, non tanto la stanchezza fisica, per un obiettivo della stagione, forse addirittura una prova esistenziale, che non lascia risposte soddisfacenti. È un Tour de France in cui tutto gira storto: cadute, distacchi, poca brillantezza. Cunego si apre a rilento, quasi controvoglia, come se volesse procrastinare una riflessione molto profonda sul suo ego ciclistico.

Damiano, cos’è il Tour de France?
È una galoppata. Difficile. Difficile andare in fuga, difficile resistere ad una prima ora tirata alla morte, difficile restare aggrappati al gruppo in salita. Montagne difficili, non dure come al Giro. Ma è anche estate. Il bello del Tour è che si corre a luglio, la gente viene in vacanza e ogni salita diventa uno stadio. Non si può certo dire che vette come Hautacam o Tourmalet contassero meno spettatori. Magari fosse così anche al Giro d’Italia.

Damiano, cos’è l’Alpe d’Huez?
Emozione. Fascino. Storia. Anche lasciando perdere il mio secondo posto nel 2006 (dietro a Frank Schleck dopo una lunga fuga, N.d.R), per noi italiani significa qualcosa. Ad ogni tornante, un cartello ti ricorda le imprese di Coppi, Bugno, Pantani. Non è durissima, spingiamo rapporti più lunghi di altre, come il 19 o il 21, anche se ho il sospetto che Sastre, per dare due minuti alla compagnia, spingesse il 17. La cornice di pubblico, poi… Nel 2006 era appena finita l’era Armstrong e mancavano gli altri campioni (Basso e Ullrich fuori per Operacion Puerto, N.d.R): forse mancava l’interesse. Ricordo molte piazzole vuote. Oggi, i camper posteggiavano anche in verticale!

Damiano, com’è il Tour de France 2008 di Cunego?
Rispetto alle aspettative, più arduo del previsto, anche se finirò con una discreta condizione in vista delle Olimpiadi. Non dimentichiamoci che c’è tutta una seconda parte di stagione da vivere intensamente. Non credo di avere sbagliato la preparazione per l’appuntamento di luglio, né di avere sottovalutato nessun aspetto: fisico, tattico, tanto meno psicologico. Però faccio fatica, la classifica non mente. Se ho 14’ di ritardo ci sarà un perché. Non ho il cambio di ritmo e, quando i miei rivali accelerano, rifiato un attimo per poi salire con il mio passo.

Damiano, cos’è un corridore da corse di un giorno?
Esplosivo, scattante, veloce. Sveglio, scaltro, capace di limare. Deve essere pronto ad infilarsi nei buchi, a leggere l’andamento tattico, a limare per non perdere posizioni.

Damiano, cos’è un corridore da corse a tappe?
Una corsa a tappe è come una classica prolungata per più giorni. Come nella gara di un giorno devi andare forte nel finale, vero? Ecco, al Giro o al Tour devi chiudere la terza settimana in crescendo. Evidentemente non ho questa caratteristica.

Damiano, non credi che si possa essere entrambi i tipi di corridore? Non lo so. Esserlo non vuole dire per forza vincere sia classiche che grandi giri. Per le prime ho dimostrato di essere competitivo, nelle seconde più passa il tempo più mi accorgo che mi manca sempre qualcosa dai migliori. Forse il Giro mi calza più a pennello, le salite presentano pendenze maggiori, più adatte a scattisti come me. Qui si va sul col rapporto. Devi tenere sempre la ruota se la perdi fioccano i minuti.

Damiano, che differenza c’è tra Cunego e i suoi rivali?
Riescono a produrre (e a tenere) una fiammata cui io non arrivo. Errori nella preparazione? Inferiorità fisica? Non lo so. Forse è una questione di età. Guardate le età di quelli che occupano le prime posizioni: in tanti hanno passato la trentina. Evans, Menchov, Sastre: è da tanto che ci provano e col passare del tempo hanno raggiunto il top.

Damiano, cos’è la squadra?
Compagni, amici, commensali, colleghi, confidenti, famiglia.

Damiano, cos’è la fuga?
Fortuna. Per cogliere l’occasione giusta, la dea bendata deve baciare proprio te su 180 pretendenti. Vetrina. Quattro ore in testa alla corsa offrono la possibilità di premiare la tenacia. Coraggio ma anche opportunismo. A stare davanti, spesso si fatica di meno, dietro ci si scanna. Quest’anno arrivano più fughe del passato. A me l’avanscoperta piace, magari ci farò un pensierino per i prossimi Tour, per guadagnarmi notorietà. Ho voglia di soffrire.

Damiano, cos’è la sofferenza?
Tenere duro, non mollare mai, stringere il manubrio, serrare i denti, sbarrare gli occhi, svuotare la mente. Arrancare quando gli altri zampettano. E non finisce quando ti stacchi, perché magari i tuoi rivali sono fisicamente più dotati ma continua, forse anche maggiore perché subentra il lato psicologico. Col caldo è più difficile per me, preferisco il fresco. Voglia di soffrire l’ho sempre avuta ma se ti stacchi perchè sei fisicamente meno dotato dei tuoi rivali non puoi dire che Cunego non sa soffrire. Oggi, 70km di salita, già dai primi dieci sentivo mordere il muscolo, ero lì appeso ad un filo. Al posto mio altri prenderebbero trenta minuti.

Saint Etienne, ore 17 e 19. Mentre le carnose labbra delle miss sfiorano le ardenti gote di Andy Schleck, all’arrivo appare Damiano Cunego. Ultimo, sfinito, lacerato. Come un Sigfrido ferito a morte, è scortato dai fidi compagni Mori, Righi, Marzano e Tiralongo. Il loro eroe è caduto, pochi chilometri dalla partenza dell’ennesima tappa scalognata di un Tour scalognato. Ha un profondo taglio nel mento, abrasioni ovunque, un morale polverizzato. A differenza dell’eroe nordico, l’eroe della Lampre non è morto. Ha rincorso un gruppo indiavolato per quattro ore, buscando venti minuti, soffrendo come un cane bastonato. Poteva ritirarsi. Non l’ha fatto. Dignità, orgoglio, pazzia. Chiamatela come volete. Ma non dite che Cunego non sa soffrire.

Federico Petroni

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Il Diario del nostro Damiano Cunego con cui 'Il Ciclismo.it' è nato e cresciuto


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