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GIALLO QUOTIDIANO
BARTALI, MAGNI E IL TOUR DEL 1950

La salita del Col d’Aspin che ha fatto sognare Riccò e i tifosi italiani custodisce la memoria di un evento misterioso e nazionalistico, testimone di un ciclismo che non c’è più, tra le bizze dei divi e la fedeltà, quasi credo religioso, dei gregari. Il 25 luglio del 1950, tappa a Saint Gaudens, Gino Bartali, offeso dagli insulti dei francesi, abbandona la corsa, trascinandosi dietro gli italiani che pure vantavano un Magni in giallo. La rievocazione di quella storica giornata affidata alla penna di Federico Petroni.

All’alba del 25 luglio, Gino Bartali e tutta la compagine italiana al Tour de France del 1950 non sapevano ancora che razza di giornata pirenaica li avrebbe attesi. O forse sì. Il nervosismo, la tensione, l’ebbrezza della sfida dovevano essere quelle di sempre, prima di una giornata campale. I patti erano chiari, in una Grande Boucle sino a quel momento trionfale per gli azzurri. Forti delle cinque vittorie parziali – Leoni a Liegi (2°), Pasotti a Lille e a Bordeaux (3° e 9°), Corrieri a Dinard (5°) e Magni a Niort (8°) – gli uomini comandati dall’ammiraglio Binda si apprestavano a dare nuovamente battaglia.
Nonostante l’esaltazione generale, il clima non era dei migliori. Offesi dalla razzia del 1949, l’edizione del dominio incontrastato di Coppi e Bartali, i francesi soffiavano il vento della discordia insinuando collusioni in corsa tra la nazionale italiana maggiore e quella dei cadetti. Pratiche non proprio sportive ma vecchie come il pedale. Il suscettibile pubblico francese aspettava al varco il passaggio dei cosiddetti “tricheurs”, degli sleali. Il Col d’Aspin è una tribuna pullulante di facce, visi e fischi. Una bordata all’unisono raggiunge Bartali in avanscoperta. Raggiunto da Robic, una moto dell’organizzazione compie una manovra spericolata e il toscanaccio capitombola con il francese “Testa di Vetro”. Scherni, risa, insulti. Ginettaccio, fiuto del contadino, vede spettri ovunque. Manie di persecuzione lo assalgono. Dice di essere stato minacciato con un coltello, quando invece si trattava di uno spettatore esagitato intento a cucinare un barbecue.
Il capo della discordia è comunque doppiato, si plana verso Saint Gaudens senza riuscire a sgretolare a dovere il gruppo dei favoriti, sul quale rientra persino Magni il funambolo, re delle picchiate, secondo cui “andare in discesa è come invitare un orso a ballare”. E Magni balla. La volata a Gino, a Fiorenzo la maglia gialla. L’orgoglio tutto toscano del vincitore di due Tour de France (’38 e ’48, l’unico ad essersi ripetuto a dieci anni di distanza), già punzecchiato dagli incidenti in corsa, ne esce ferito. Una significativa foto ritrae Bartali nell’immediato dopo-tappa, avvolto in un pesante impermeabile, volto solcato dall’aratro del tempo, rughe rese ancor più vistose da una rabbia non sopita dalla vittoria di tappa. E, forse, da un malessere fisico. Alcuni suiveurs raccontano di una cistite del toscano di Ponte a Ema, versione mai confermata dal diretto interessato.
La decisione è comunque già maturata in quel laborioso cervello. Via dal Tour. Il quotidiano L’Equipe riporta: “Non posso ripartire sapendo che sono stato vittima di fatti incompatibili con lo sport. Non ci tengo a continuare, la disciplina che pratichiamo è pericolosa. E lo sarà ancor di più se si giudica l’ostilità manifestata nei nostri confronti dal pubblico sui Pirenei. Siamo degli sportivi, non dei soldati!” Un meteorite cade sul Tour de France. A nulla valgono l’arguta diplomazia di Alfredo Binda, la supplicante visita del patron della corsa Jacques Goddet, men che meno la gialla armatura del compagno Fiorenzo Magni. L’Italia del pedale vive ore drammatiche. Assente Coppi per la rottura del bacino nella tappa Vicenza-Bolzano del Giro, si rischia comunque la spaccatura tra i fedeli a Gino e il partito di Magni, intenzionato a continuare.
Lo stesso montese adottivo è tentato. Ha già vinto due Giri delle Fiandre (il terzo, consecutivo verrà la primavera seguente) e un Giro d’Italia, quello del 1948 ma quella che si apre davanti a lui è l’occasione della vita. Un treno che passa, veloce come il vento. Il dilemma è amletico. Prendere o lasciare. Amor proprio o fedeltà. C’è chi tenta di convincerlo a proseguire il sentiero della gloria: nella cronometro di Saint Brieuc Magni aveva reso solo 17” alla locomotiva elvetica di Ferdi Kubler e sulle Alpi avrebbe potuto difendersi dagli strali di Bobet, di Robic, di Stan Ockers. I dubbi assillano il futuro Leone delle Fiandre fino alle otto della mattina seguente quando i corridori già si schierano per salpare verso Perpignan. Intimato dalla giuria a decidere, Magni sceglie la fedeltà e si sveste di giallo. Le due squadre italiane tornano al completo a casa.

Temendo rappresaglie, Goddet cancella l’arrivo a Sanremo, spostandolo al di qua del confine, a Menton. Il Tour proseguirà spuntato ma comunque entusiasmante, vissuto sul duello Bobet – Kubler, con il bretone disposto a tutto per sfiancare l’avversario svizzero, compresa una leggendaria fuga vincente verso Briançon. Nulla da fare. Ferdi è una macchina da guerra che nella crono di Lione, 98km contro tempo, macina e distrugge ogni ostacolo, tanto da rifilare 5’34” al secondo, il belga Ockers. Chissà se, sapendo del risultato finale di quella storica e folle Grande Boucle, Ginettaccio avrà provato un istante di rimorso per il leale Magni, come Kubler ferrato contro il tempo. D’altronde, il Tour è un treno e Magni ne era sceso proprio mentre guidava la locomotiva.

Federico Petroni


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