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GIRO - ANALISI FINALE
RETROSCENA E DIFETTI DA PALERMO A MILANO? VE LI ILLUSTRA VOIGT

Non è tutto oro ciò che luccica. Accanto ai (tanti) pregi sottolineati ieri, si accompagnano gli inevitabili difetti che un viaggio di tre settimane può trascinare con sè. Peccati veniali e non svelati da un’ospite di eccezione: Jens Voigt. Federico Petroni riassume il tutto nella sua analisi finale condita dagli spunti del diesel teutonico.

di Federico PETRONI

Al netto di un bilancio in promettente avanzo, in vista del proprio rilancio, restano alcuni dettagli da rifinire per rendere l´affresco del Giro d´Italia perfetto. Chiedere ad un corridore italiano di sviscerare la materia è palese conflitto d´interessi. Come sondare il terreno presso un parlamentare circa un taglio del proprio stipendio. Uno straniero, meglio se navigato. L´identikit conduce ai piedi del metro e novanta di Jens Voigt, alle soglie delle 37 primavere e una decade da professionista.

Il discorso prende le mosse dalla cronoscalata di Plan de Corones, al termine della quale ci siamo imbattuti nell´imbufalito tedescone. "Sono favorevole alle maratone di 200km, il ciclismo è uno sport duro fatto per uomini duri. Ma guardatevi attorno: è una località sciistica. Come si può pensare di arrivare sin quassù? C´è un limite alle pendenze estreme e c´è un limite allo spettacolo. Secondo me, lo abbiamo sorpassato. Sembra di stare al circo! Non vorrei che simili esperimenti aprissero la strada a corse del genere." Già Bruseghin aveva storto il naso per la cronoscalata ma il bilancio della giornata è stato positivo, anche perché, ai fini della classifica, ha comunque offerto spunti tecnici. Deve restare una tantum, uno sfizio da togliersi ogni tanto, non diventare un leit motiv da spacciare per giornata di alta montagna.

Dal contingente al generale, Voigt si tuffa nel bilancio della corsa rosa. "Il Giro è una corsa fantastica. Ha tutto: pubblico, percorsi, paesaggio, combattività", dice il nativo di Grevesmuhelen. "Ha però dei difetti." E ingrana subito la quinta. "E´ come una gigantesca bicicletta i cui ingranaggi non sono ben oliati. Fanno un fastidioso rumore di sottofondo, come se la ruota toccasse il freno." Prima fra tutti, la piaga dei trasferimenti. "Assurdi. Nella prima settimana, arrivavamo in albergo alle 22.30, anche alle 23, senza possibilità di fare i massaggi, fondamentali per il recupero. Ci spostassimo in autostrada, sarebbe meglio. Invece spesso dobbiamo coprire oltre 100km su strade statali. Un esempio? Dopo la frazione di Agrigento, un´altra tappa: 165km fino a Catania, anche alcuni GPM!" Il tedesco tocca un tasto dolente. Dei circa 2000km di trasferimento totali (nemmeno troppi in assoluto), i primi sette giorni ne sopportavano quasi la metà, senza giorni di riposo, anzi, pure due ore di traghetto (più 106km su strada) da Milazzo a Pizzo.

La CSC, a San Vigilio, è stata più che fortunata. L´Hotel Condor si trovava (letteralmente, non scherziamo) sulla partenza. Altre squadre hanno avuto difficoltà a raggiungere il villaggio. "Al Tour de France, se non otteniamo sistemazioni comode, possiamo utilizzare corsie preferenziali sulle strade per recarci alla partenza. Inoltre, ci si sposta in TGV. Tutta un´altra storia!" Voigt vede nella disorganizzazione del movimento degli atleti un causa di questi scompensi. "Non vi lamentate se poi partiamo all´acqua di rose, ridendo e scherzando per due ore. E neppure se siamo scontrosi, arrabbiati e musoni! Il discorso è più ampio. Noi corridori non riusciamo a fare sentire la nostra voce e per questo siamo trattati come merce, come bestie da spettacolo. Da tutti, nessuno escluso: organizzatori, istituzioni, antidoping. Non è facile, tutto l´anno giriamo il mondo, ma dovremmo discutere più spesso, tra di noi."

Le retrovie della corsa sono spesso zone franche dove vige non la legge del più forte ma del più furbo. "Troppi disonesti appesi alle ammiraglie. Occorre più controllo, più severità. Certi furfanti si sono salvati dal tempo massimo solo per gli aiutini. È scandaloso." Il pubblico ha risposto alla grande, anche se popolato da qualche becero scalmanato. Purtroppo, una pecora nera si nota anche in mezzo a mille bianche. Spinte e rincorse agli atleti, oltre ad arrecare potenziali danni (vedi Di Luca, quasi a terra in cima al Mortirolo), sono contrarie all´essenza del ciclismo, fatto di fatica e sudore. Lo spettacolo è ammirarlo da vicino, non snaturarlo. Voigt, stressato dalle troppe spinte, rincara la dose. "Se solo provano a darmi una mano, la mano gliela do io, ma sulla faccia!" Un vero esempio di cultura sportiva. Pugilistica.

Nubi e rovesci, geli e scrosci. Risultato? Duecento corridori inzuppati e bronchitici, per tre lunghe tre settimane. Il maltempo ha inciso, sullo spettacolo e sul rendimento di certi corridori. Non è un difetto della corsa in sé, come neppure la scalmana di un certo pubblico. Non vale, dire: "Piove, organizzazione ladra!" Ha ben altre gatte da pelare. Il marketing, ad esempio, rendere la corsa appetibile. Al pubblico. Sito internet: lento e povero (chicche di Pastonesi, meravigliose, escluse). Promozione: il battage dell´evento non è martellante come dovrebbe. Televisione: il servizio offerto dalla RAI scricchiola. Il "Processo alla Tappa" si è trasformato in un ridanciano e sterile chiacchiericcio, poco approfondito, alieno agli stranieri (Menchov è stato invitato a "Chi l´ha visto?"). Riccò lo ha definito "un supermarket". Poco ci manca, siamo ai livelli di un mercato del pesce. È importante uscire dalla concezione "italianistica" dell´evento. Il Giro è una grande corsa internazionale. Parlare sempre e solo di e con atleti nostrani lo provincializza, specie nella mente del telespettatore.

Disseminare il percorso di traguardi volanti con abbuoni e GPM agevola il compito di rendere appetitose anche frazioni pianeggianti o intermedie. Striminzito, un solo sprint intermedio a tappa. Il Tour ne prevede tre (due, dalle montagne in poi). La battaglia per la maglia rosa si fa più agguerrita, le antenne sono sempre dritte, le mascelle non si devastano di sbadigli. Francia e Spagna invidiano l´orografia italiana. Alla Grande Boucle, per vivacizzare il percorso, anche i cavalcavia assurgono al rango di GPM, numerosissimi in tutte le tappe. L´ultimo Giro ne ha offerti trenta, tre in media ogni frazione. Poco, in relazione alla serie spaccagambe di salite della prima settimana. Strappi valutati come erte micidiali (Pescocostanzo valeva come la Marmolada). Vere e proprie salite cadute nell´oblio. Su tutte, le prime della tappa di Pampeago, pendenze e chilometraggi importanti. Passi il costo dei GPM ma se non si dissemina il percorso di tranelli, lo strapotere di Sella genera disinteresse verso la prestigiosa maglia verde.

Fiore all´occhiello del Giro d´Italia, l´invito dell´Astana è stato provvidenziale per ravvivare l´immagine internazionale della corsa. L´ingranaggio degli inviti, per riprendere la metafora di Voigt, non va solo oliato, ma sostituito in toto. La piena discrezione dell´organizzatore non garantisce trasparenza, permette sotterfugi come quello della NGC, di cui si è sentita poco la mancanza, vero, ma fa capire come spesso si giochi con le vite (sportive) degli atleti. Serve un meccanismo di selezione di corridori e formazioni chiaro e trasparente, un diritto-dovere da parte dei campioni, basato sui risultati ottenuti negli anni. La meritocrazia rischia di venir sopraffatta dal clientelismo. Il problema non è particolare del Giro, investe tutte le grandi corse. La guerra tra organizzatori e istituzioni ha prodotto questo caos, per cui Contador, defender del Tour, non è più tale. Se il Giro d´Italia volesse porsi come leader del movimento, dovrebbe lanciare una proposta in tal senso. Nei vuoti di potere, a volte basta un´idea, una scintilla per ritrovare il lume disperso.

Federico Petroni

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