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BASSO & CUNEGO, TRE ANNI DOPO

Erano partiti con grandi ambizioni ma la strada verso Roma s’è fatta irta d’ostacoli. Al netto di una corsa “comunque positiva”, Ivan Basso raccoglie meno del previsto, specie dal punto di vista del morale, mentre Damiano Cunego, sebbene non cullasse particolari sogni in rosa, non ha mai fatto breccia nell’edizione del Centenario. Le prestazioni dei due campioni analizzate da Federico Petroni.

.:nella foto Bettini, Basso in azione nella tappa del Vesuvio.

Quanta acqua è passata sotto i ponti del Giro, dal 27 maggio 2006. Aprica. Un aggettivo che per Dante significava luminoso. Un nome, un passo scolpito nel cuore degli appassionati di ciclismo. L’ultimo Basso trattore prima di Operacion Puerto. L’ultimo podio di Cunego in una tappa nella corsa rosa (il terzo posto a Montevergine nel 2007? Robetta, a confronto). Ivan volava, sradicava di ruota persino i camosci, come sul Passo Lanciano o sul Bondone. Damiano soffriva e cadeva, nelle prime tappe, per poi rialzarsi, mostrando al mondo, con il quarto posto finale, di quale pasta fosse fatto.

Ma ne è passata, di acqua, sotto i ponti. A distanza di tre anni, Cunego arranca nelle retrovie del plotone, staccato da una trentina di atleti sulle salite di un Giro diametralmente opposto alle sue aspettative, non per forza di vittoria ma almeno più lusinghiere di un incolore diciottesimo posto. A distanza di tre anni, il Basso che apriva il gas e intossicava, che infrangeva in diversi punti dell’Aprica il limite di velocità di 40km/h ma che soprattutto sfiancava di costanza, è un lontano miraggio, lasciato il passo ad un modo di correre più scattante, più spavaldo ma anche più naif.

Il Giro del Centenario se n’è volato via, per Cunego, a San Martino di Castrozza, benché nessuno, egli compreso, ne riscontrassero un indizio. Alle falde delle omonime Pale, il portacolori della Lampre chiudeva 14° una tappa stuzzicante, per le sue caratteristiche. Sganciato, come il pedale, diventato lo specchietto per le allodole ma anche il funesto presago del grigiore che sarà.

Il Giro del Centenario ha smesso, invece, di ammiccare a Basso proprio nel giorno Titanico (nel senso di naufragio) di Cunego: Alpe di Siusi, proprio nel giorno in cui tutti lo incoronavamo d’un diadema di carta: “il più forte in salita”. Quando sgasava, sferzava ma non recideva. Nessun caduto, pure secondi persi. Tappa corta, tappa per gente esplosiva, si mormorò (come tutto il Giro, d’altronde, disegnato con la fantasia d’un piano padano).

Ma il ciclista non ammaina la bandiera quando gli è forza scordarsi la “rosea”. Il Giro continua come è continuato per la maglia nera, il russo Sokolov, perché si continua a soffrire e a pedalare, in fin dei conti quello che fai tutti i giorni con il “piccolo” incentivo in più di saperti parte di uno dei primi eventi a pedali al mondo. Il Giro, per entrambi, è continuato, non hanno gettato la spugna al primo rimbrotto della strada, proseguendo nella sofferenza che qualcosa di catartico deve pure avercelo. Per Basso, schiaffata la sua smorfia sui teleschermi, la riconciliazione con la gente. Per Cunego, più dimesso, la perenne voglia di tenere duro, per tentare pure la sorte nell’epica tappa (l’unica, a onor del vero) di Monte Petrano.

Entrambi, pur con diversa magnitudo, sono finiti staccati, sempre e comunque. Eppure, un voto del tutto negativo non ci si sente di affibbiare a questi due pur “onesti” pedalatori. La vulgata vuole che Ivan Basso abbia pagato la forzata assenza dal livello più alto, tre anni tondi tondi, se escludiamo la parentesi alla Discovery Channel nel 2007, prima della confessione. Manca il ritmo, si dice, manca il ronzio di quattrocento ruote attorno a te, manca l’adrenalina della sfida: fattori non sostituibili dalla comunque proverbiale dedizione dell’atleta, arrivato a simulare piccole corse a tappe per affinare la gamba.

Tutto vero però una cosa non è mai mancata nella testa del varesino di Cassano Magnago: l’ansia o, meglio, la pressione. L’ansia di non tornare più quello d’una volta, di sentirsi dire che tutto quello che hai vinto l’hai ottenuto da dopato, di guadagnarsi sul campo i gradi di capitano (per colpa della bicefalia in Liquigas). Ansia unita alla conseguente pressione di dover sempre dimostrare qualcosa. Basso s’è spremuto, psicologicamente e fisicamente, sin dal debutto in Argentina al Tour de San Luis, ove pare avvenne un vergognoso episodio: a Nibali sarebbe stato detto di piazzarsi dietro a Basso nella cronometro. Poi s’è passati per l’infortunio in California che bene non ha fatto, passando per una Tirreno sugli scudi e un Trentino da schiacciasassi (batté anche Di Luca, per dirvi dell’anticipo), per finire la prima parte della stagione nel Delfinato (sic). Le critiche all’indomani della crono alla Tirreno svelano quali forche caudine attendessero Basso al primo “passo falso”.

Quanto a Cunego, non avrà pesato l’ansia del risultato (anzi, egli stesso fugava ogni velleità alla vigilia) quanto un blocco psicologico innervato nella sua testa da quasi un anno. Damiano è contratto, mentalmente rattrappito. Non ha giovato essere in palla già a fine marzo, quando ancora (Basso a parte, guarda un po’) i grossi pretendenti nicchiavano però il problema del veronese pare essere l’incapacità di dare tutto quando serve. Chi lo conosce ha l’impressione che finisca le corse sempre con della riserva, che sprigiona evidentemente a fine stagione, quando ha ben pochi rivali. Anche alle classiche del Nord, lo si è visto attendista, anche nei momenti in cui la corsa gli avrebbe potuto riservare invitanti occasioni. Non che un suo sblocco lo farà tornare quello del 2004 (non ce lo auguriamo, fosse solo perché un Giro così ridicolo e affollato di comprimari è irripetibile) ma favorirà certo un approccio alle gare più sereno.

Agganciandosi al filone “neanche Damiano è più quello d’una volta”, impossibile non notare la metamorfosi delle due ex (l’età galoppa) speranze dell’italico pedale. Cunego era scattista, s’è tramutato in un diesel. Basso era un trattore, è tornato scattista, a livelli di efficacia di La Mongie, Tour 2002. L’alfiere della Liquigas ha ripreso a scattare, conscio che certi ritmi non li riesce più (ancora?) a tenere, per sfiancare i rivali. È un Basso diverso, ridimensionato ma più semplice, più bello, più vero. Come Cunego, d’altronde. Entrambi, piccole formichine, passo dopo passo, mattone dopo mattone, sulla via di un finale di stagione che s’annuncia gravido di emozioni: la Vuelta per Basso, il Mondiale per Cunego. E, scommettendo sulle loro qualità da fondisti, gravido di soddisfazioni.

Federico Petroni

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