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7a TAPPA: GENOVA - TORINO
27 MAGGIO 1909: GANNA FA TRIS, GLI ORGANIZZATORI FANNO GAFFE

Giornata dai risvolti tragicomici la penultima di corsa. Per fronteggiare l’imprevista marea umana che si riversa prima a Genova, sede di partenza della settima tappa, e poi a Torino gli organizzatori decidono di attuare una doppia strategia per ingannare il pubblico: la prima parte del piano riuscirà alla perfezione, al punto da essere riproposto in futuro, la seconda fallirà a causa di un clamoroso errore di Costamagna e Cougnet. Chi non sbaglia è Ganna che ottiene uno strepitoso terzo successo…. Ma la partita non è ancora chiusa

Le mani nei capelli…. È questo il gesto che immediatamente compiono Cougnet e Costamagna alle 2.30 del mattino del 27 maggio, al loro sopraggiungere al raduno di partenza della penultima tappa. Nonostante l’ora, il terrazzo dei Magazzeni Generali, luogo previsto per le operazioni di foglio firma, è letteralmente preso d’assalto dai tifosi. Sono in tantissimi, sia in questo luogo, sia al Ponte di Cornigliano, dove sarà dato il via ufficiale. La folla è eterogena: ci sono eleganti dame di classe strette a fianco di più rustiche popolane, amanti dello sport pigiati ai “camalli”, gli aitanti scaricatori del porto di Genova. La preoccupazione per l’incolumità dei corridori sale, memori di quanto successo due giorni prima al Lido d’Albaro ed alla luce delle notizie che, fin dalla sera precedente, sono telegrafate da Torino. Dal capoluogo piemontese, dove sono attesi ben 50000 tifosi, gli ammistratori fanno sapere che non potranno assicurare un efficiente servizio d’ordine poiché, a causa di un’improvvisa manifestazione di piazza, si dovrà indirizzare una gran parte degli agenti preposti alla sicurezza verso un corteo di fornai in sciopero.
Subito si decide si tenere una riunione d’emergenza con i membri della giuria, per risolvere la questione. Nell’incontro è studiato un “piano di battaglia” in due tempi, il primo da attuare alla partenza e l’altro all’arrivo. Il primo tempo prevede di effettuare una doppia partenza, un sistema che si rivelerà efficacissimo e che poi sarà utilizzato da tutte le corse. Alle 4, concluse le operazioni d’avvio, i corridori sono trasferiti al Ponte di Cornegliano, seguiti da un codazzo non ufficiale di auto e di amatori in bicicletta. La giuria procede all’appello, al quale non risponde Gerbi (il corridore astigiano si era ritirato nella tappa precedente, prima che iniziassero le montagne), da’ il via fittizio alla tappa e poi i “girini” si dirigono verso un luogo periferico di Genova dove, lontano da orecchie ed occhi indiscreti, è data la seconda partenza. Nell’occasione sono avvertiti della seconda parte del piano: la tappa sarà segretamente più breve di 6 Km per la decisione d’anticipare il traguardo a Beinasco, in modo da “bidonare” la folla. Complessivamente la Genova – Torino misura 354 Km, con il tratto iniziale tracciato sulle ancora non usuali strade della Milano – Sanremo, la corsa che la Gazzetta dello Sport aveva messo in calendario per la prima volta due anni prima. Dopo Imperia si lascia il mare per raggiungere la pianura padana scavalcando le ultime due grandi salite del Giro 1909, i colli di San Bartolomeo e di Nava, mentre il finale non prevede più asperità.
I su e giù dell’Aurelia non creano grande scompaginamento in testa alla corsa, nemmeno quando l’inghiaiata salita della Colletta d’Arenzano costringe il gruppo a disporsi su due file, con i corridori in fondo al plotone costretti a scendere di bici ed a percorrere una cinquantina di metri a piedi. In vista del passaggio per Laigueglia il gruppo è ancora forte di 35 uomini, poi la famosa teoria di capi compie una prima selezione. Mele e Cervo fanno poco, è il Berta a creare la maggior selezione. Al passaggio per Oneglia (Imperia non c’è ancora, nascerà solo 14 anni dopo, frutto del “matrimonio” col vicino comune di Porto Maurizio), davanti sono rimasti in sette: Rossignoli, Ganna, Chiodi, Ernesto Azzini, Lampaggi, Rotonni e Beni. Gli immediati inseguitori hanno già un minuto di ritardo. Molti riescono a rientrare, ma alcuni di essi sono immediatamente respinti dall’ascesa verso il San Bartolomeo.
Mentre i corridori sono impegnati sul Colle di Nava, l’Itala di Cougnet allunga ed affronta a tutta velocità la discesa verso Ormea, dove l’auto si ferma e il direttore di corsa si arma di orologio e cronometro per costatare quanto male abbia fatto l’ultima grande salita del Giro. Selezione c’è stata e i corridori transitano alla spicciolata: quando passa il primo, Oriani, l’orologio di Cougnet segna le 11.13. Trenta secondi dopo transita il capoclassifica Ganna, alle 11.15 sopraggiungono Canepari e Sala, alle 11.18 Chiodi, seguito a mezzo minuto da Galetti, che stava divinamente scendendo in testa alla corsa, ma era stato fermato da una foratura.
Improvvisamente, si scatena l’inferno. Sulla corsa rosa si rovescia un devastante nubrifagio, la temperatura scende di parecchi gradi, sembra di assistere al diluvio universale. A tratti grandina pesantemente mentre la strada prende la parvenza del letto di un fiume. Passata la bufera, l’Itala si ferma muovamente a Ceva, stavolta per una sosta fuori programma: la tempesta ha seriamente danneggiato la vettura e i meccanici impiegheranno quasi un’ora per ripararla. Cougnet approfitta dello stop forzato per telegrafare le ultime direttive al traguardo: solo ed esclusivamente le autorità dovranno essere avvisate del trasferimento a Beinasco, per dar loro modo di allontanarsi da Torino senza dare nell’occhio.
Nessun problema registra la Zust sulla quale viaggia Costamagna che, solo in testa alla corsa, gongola per il successo della sua creatura. Si sta per transitare da San Michele Mondovì, il paesello dov’è nato e dove, 16 mesi prima, era scoccata la scintillia primigenia del Giro d’Italia. È un onore per lui che il primo Giro passasse per le sue terre e comincia a meditare ad un ritorno (cosa che accadrà già l’anno dopo, quando il secondo Giro proporrà un traguardo a Mondovì).
Nel frattempo, sotto la tempesta, i vari gruppetti si erano saldati. Ora marcia in testa un trio di attaccanti di spessore (Oriani, Ganna e Rossignoli), tallonati a circa 3 minuti da un altro terzetto di tutto rispetto (Galetti, Canepari e Chiodi). Avvicinandosi a Cuneo dal gruppo d’avanguardia si stacca Oriani, come il solito appediato da una foratura: non riuscirà più a rientrare.
All’arrivo a Beinasco, a “Magno” viene quasi un colpo, non certo per lo strepitoso terzo successo di Ganna (a dire il vero, arrivato grazie alla provvidenziale foratura – a 3 Km dalla meta – di Rossignoli). Lo scenario che si presenta ai suoi occhi è esattamente l’opposto di quel che si aspettava: una folla strabocchevole, le autorità mischiate ai “profani”, una massa che i pochi volontari del comitato tappa non riescono a trattenere. E dei tutori dell’ordine? Neanche uno! Per capire cosa sia avvenuto è necessario attendere l’arrivo di Cougnet. Un veloce scambio tra i due ed emerge una clamorosa gaffe organizzativa: nel baillame generale, erano state allertate le autorità, ma ci si era dimenticati di avvisare del trasferimento gli agenti!!!!
La folla - che non era proprio così “collettivamente stupida”, come l’aveva definita qualche giorno prima lo stesso Cougnet – vedendo gli invitati svignarsela alla chetichella, aveva mangiato la foglia e si era subito accodata alle vetture dirette a Beinasco.
In quei concitati momenti TUTTI i vigili si aggiravano come anime in pena per le vie improvvisamente sgombre di Torino, chiedendosi che fine avessero fatto tutti.
TUTTI al maiuscolo…. Perché i vigili erano realmente presenti al completo sul traguardo. La notizia dello sciopero era stata inventata di sana pianta dagli organizzatori per rendere credibile, l’indomani sulla Gazzetta, le motivazioni delle loro scelte.
Invece, quel giorno, a nessun torinese mancò, sul proprio desco, almeno una fragrante pagnotta.

8 - continua

Mauro Facoltosi [info@ilciclismo.it]

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