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SARA' BATTAGLIA
ALL'ULTIMO SCATTO

Il Vesuvio ha dato un verdetto: saranno le ultime due frazioni a decidere il Giro del Centenario. Di Luca e Menchov, il russo è l’ombra dell’abruzzese sulla salita che porta al Vesuvio, l’uno che controlla l’altro, chi attacca e chi risponde. Alla fine Danilo rosicchia 8 secondi di abbuono con il terzo posto. Ma non basta, è ancora tutto aperto.

Il servizio di Federico Petroni

Palpitante. È un cuore che pulsa, questo Giro d’Italia. È la passione di un adolescente, è bello come un primo amore, è adrenalina. Lo sghembo ma vincente incedere di Sastre, Chiodo di Avila. Il viso stravolto dalla persistenza di Pellizotti. La generosa consegna delle armi dello sconfitto ma leale Basso. Il rabbioso sbattere contro il muro del mai domo Di Luca. La resistenza di Menchov, erede degli assediati di Stalingrado. E questa è soltanto la punta di un iceberg. C’è anche un velocista che tira sulle prime rampe della salita (Petacchi) e due esili giunchi (Masciarelli e Seeldrayers) che si sfidano a colpi di pedale per una maglia che è una speranza, quella bianca. L’unico a non sprizzare emozioni come sudore è Leipheimer ma se non l’ha fatto in dodici anni non si vede perché cominciare sul Vesuvio.

“Tu chiamale se vuoi emozioni”, canterebbe Lucio. E il servizio migliore a questa indimenticabile - proprio perché sul filo dei secondi - Edizione del Centenario è offerto dal lato inconscio e insondabile della mente umana. Il Vesuvio ha fatto il vulcano, senza eruttare lava - come ogni monte di questo Giro - ma concedendo lapilli di puro spettacolo, abbracciato dai due Golfi, di Napoli e di Salerno, straripanti colori e pubblico, calore e allegria. Nel puro spirito d’un’avventura nomadistica come il Giro d’Italia. Insomma, un degno finale di tappa. Finale di tappa e non tappa, attenzione.

Ripresi dall’amplesso partenopeo, infatti, non possiamo non considerare un dato: l’impatto della terza settimana sull’economia della corsa. Non sul nostro elettrocardiogramma, badate bene, perché il Giro è sbocciato nella sua bellezza proprio a partire dal Lunedì nel Montefeltro, teatro dell’arrivo in salita a Monte Petrano. No, stiamo parlando dell’impatto della terza settimana sulla classifica generale e, in parte, sui valori che emergono da questo incandescente finale di corsa.

Arriviamo al punto. Nel ciclismo del nuovo millennio, livellato a dismisura, occorre disegnare in modo molto oculato una corsa di tre settimane per esaltare le qualità dei fondisti, dei più resistenti, essendo il ciclismo uno sport ad eliminazione, non una gara di Moto GP dove vince chi dà la sgasata più forte. Bisogna, cioè, inserire maratone montane, cavalcate alpine, serie di colli uno dietro l’altro per attentare col cesello alle gambe dei corridori, per non far emergere sempre e solo lo scattista che attende il traguardo per lucrare sugli abbuoni. E non vale invocare il mostro del doping: l’equazione “tappa meno dura = tappa meno dopata” andrebbe invertita in “tappa più facile = tappa più accessibile anche ai paracarri = tappa più dopata”.

Eppure questo Giro disegnato da Zomegnan & Co. non prevedeva tutto ciò ma, anzi, una terza settimana depurata di qualsiasi richiamo all’essenza del ciclismo: due arrivi in salita, duri sì ma con il gap di essere inseriti in un chilometraggio ridicolo (Blockhaus, 83km) o di svettare eremiti nel piano napoletano (Vesuvio). Che poi l’esperimento del Blockhaus fosse interessante può andare, come scusante, ma non inserito in un Giro privo proprio di questo elemento di selezione. Il tappone marchigiano? Fantastico, è vero, peccato fosse seguito da un giorno di riposo e dalla volata verso il Blockhaus, provvidenziale perché gli impiccati fregassero il boia (vedi Pellizotti).

Per carità, siamo lungi dall’accusare la RCS di incompetenza, essendo questo anzi proprio il disegno dell’esperto Zomegnan: indecisione sino all’ultimo respiro. Ha colto nel segno. Persino la sgroppata ciociara di domani rischia di stravolgere il canovaccio degli ultimi giorni e di regalare la maglia rosa a Di Luca (grazie all’abbuono, vincesse la tappa) sullo schiaffo (non strappo) di Anagni. Per poi ribaltare il roseo calzino l’indomani con l’abbuono al tic-tac per il russo Menchov. 

La ciambella è riuscita col buco. Resta però sacrificata, sull’altare del Dio delle volate in salita, la fantasia. La fantasia di attaccare con “cento e più chilometri alle spalle e cento da fare”, come ai tempi eroici. La fantasia di scovare nella salita sconosciuta un trampolino di lancio, ingrediente mancato verso il Vesuvio, dove un qualunque Monte Faito avrebbe di sicuro acceso la miccia. La fantasia di impostare una tattica (ahi, la tattica, questa sconosciuta!) per eliminare gli scudieri dei campioni e combattere un duello tra generali, non un macello tra chi ha il TGV più veloce.

Le corse le fanno i corridori, questo è un dogma. Ma un aiuto, uno stimolo a correre con la fantasia, il percorso lo può dare. Questo Giro non l’ha dato. Se n’è sentita la mancanza? Per noi sì. E per voi?



Lpr a tutta ma senza di luca

Terra di poeti

Tanto pavè ad ercolano, viscido il fondo

Liquigas compatta ripete la tattica del blockhaus

Ginestra: “sterminator vesuvio”

“Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell’impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;

E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell’uman seme,”

Basso, garzo poi simoni, i due crepano, contrattacca sastre.

Federico Petroni

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