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VINCE GILBERT. DOMANI PIOVE

Premiato il belga per la scelta di rimanere al Giro fino in fondo, resistendo nella fatica anonima pur di raccogliere l’unico arrivo tagliato per lui. O per Pozzato, già tornatosene a casa assieme alle ambizioni Katusha di fare una comparsata non del tutto anonima. Menchov suggella la rosa portando a 20” il proprio vantaggio, proprio grazie agli abbuoni intermedi che eran stati vagheggiati da un Di Luca sempre più schiacciato sotto al tallone del russo; ma intanto l’abruzzese e lì: domani a Roma pare possa anche piovere, e con tutte quelle curve una frazione di minuto non sarebbe rassicurante per nessuno.

 

.:nella foto Bettini, Gilbert taglia il traguardo anagnino

 

L’eterno ritorno dell’identico avvolge nelle proprie spire il Giro: Di Luca cerca di sfuggire dalla presa ferrea di Menchov, ma dal volto marmoreo del russo non si può scampare più che dall’austera figura del Commendatore mozartiano. Di Luca non ha nulla da rimpiangere, di cui pentirsi: la sua corsa è stata all’insegna della vitalità e della generosità, di un desiderio che non arrossisce di bruciare, ma il russo è stato, semplicemente, inesorabile.

Il traguardo volante oggi si trasforma quasi in traguardo per davvero, e traguardo non solo di una giornata ma compendio di un intero Giro d’Italia. E come vedremo quello che avrebbe potuto essere lo schiaffo di Anagni si accontenterà di risuonare – meno citazionista – già a Frosinone, e lì sancire il fato che rintocca alla vigilia della ventunesima ora del Giro.

La fuga è partita di buon’ora, la LPR ha iniziato a lavorare come al solito, ma oggi trova alleati di strada, benché destinati a farsi nemici nel finale: sono tante, troppe, le squadre che il Centenario ha lasciato brutalmente a bocca asciutta, deprivate di successi parziali, maglie minori o gagliardetti, di riprese televisive perfino. Sono tanti i team anonimi in questo esperimento di mediazione tra i criteri del Pro Tour e le pretese degli organizzatori, e in gruppo serpeggia la fame.

Il Centenario si celebra d’altronde con la media più alta di sempre, a testimoniare una duplice e ambivalente verità: da una parte un Giro combattuto, che non consente di prendere fiato a nessuno, da vivere come fosse un arrembaggio perfino nelle retrovie del gruppo; dall’altra un Giro facile, dall’altimetria annacquata per facilitare la digestione degli stomaci più delicati per senilità sportiva incipiente o inoltrata (non a caso abbiamo una delle alte classifiche più “anziane” degli ultimi tempi), un Giro che però in questo modo lascia poco spazio ai combattenti di giornata, ai fuochi fatui, agli improvvisatori, concedendosi piuttosto ai fondisti solidi, esperti, e di squadra quadrata.

Tutto questo per dire che anche Barloworld e Columbia hanno interesse a collaborare per riprendere al più presto gli evasi, di modo che mentre la fuga viene fagocitata abitualmente ai meno epsilon dall’arrivo, oggi invece essa è bella che assorbita prima del traguardo volante, in conclusione, per così dire di semitappa.

E qui, ecco il fatto di cronaca del giorno. Di Luca schiera i suoi grigi scherani per blindare quel traguarduccio che elemosina sei, quattro, due secondi, briciole insomma, ma briciole che a tutt’oggi potrebbero valere oltre il 30% del distacco tra la maglia ciclamino e la sua pallida ombra rosa.

Menchov è lì, in scia.

Petacchi è l’ultimo uomo designato nel treno di Di Luca, ma ecco che il russo esce di scia, anticipa la volata, parte lungo con cattiveria. Petacchi si guarda la ruota, eccelera, Di Luca è lì tiene la progressione ma stenta, stenta, non rientra. Petacchi si decide per la riduzione del danno, e con una sgasata veemente e improvvisa va a prendersi il primo posto, e i sei secondi. Poi c’è Menchov, e Di Luca, porta il suo orgoglio coraggioso e mesto al terzo posto, a racimolare quei due secondi che gli valgono un distacco complessivo di venti minuti secondi. Venti minutissimi secondi. Venti secondi sufficienti a vestirsi di rosa in caso di trionfo ad Anagni, venti secondi per sperare. Ma venti secondi pesantissimi, una ripetizione duplice del numero due che scandisce a chiare cifre un verdetto: secondo, Di Luca sei secondo. Non c’è altro da fare, non c’è altro da dire. Gli occhi più acuti, tra cui quelli pungenti dello stesso Danilo (in uno specchio di specchio che intrappola la propria ambizione nell’aspra consapevolezza), avevano intuito questa possibilità già dopo il Petrano.

Non è poco essere secondo, non è male: specie perché tutto può accadere, cadute, forature, classifiche riscritte come ricorda con malignità qualcuno. Qualcosa che appartiene al bellissimo romanzo picaresco del ciclismo, ma non allo sport come trionfo del migliore: e il migliore nel Giro 2009, comunque finisca domani, ormai è Menchov; il secondo invece è, e sarà, Di Luca.

Così finisce la semitappa di Frosinone, così finisce il Giro del Centenario. Quasi.

Ma c’è da dire anche della tappa di Anagni.

Scappano altre fughe, si infiammano altre insoddisfazioni.

Danilo Di Luca, come sempre, benché sappia qual è il destino, dice “NO”. Non si arrende, non si pente. Non lascia fuggire le fughe. Mette a tirare come fossero arti del suo corpo tutti gli uomini della squadra, e una volta, quest’ultima volta, trova ancora alleati in un Giro che lo ha visto isolato, assieme ai suoi, nella più patagonica delle solitudini. Sembra un ultimo lumino di speranza, questo tirare della Quickstep (per Davis, certo), della Silence (per Gilbert, certo), della Liquigas (!) perfino (per Pellizotti, certo): ma ce ne fossero state altre di consimili caduche alleanze, che durano fino ai meno mille e non di più, ma che servono, aiutano, salvano.

La corsa, in questo modo, anche questa seconda corsa, è incredibilmente chiusa. Peccato per Tiralongo che in prima persona per l’ennesima volta prova a regalare uno scampolo di sogno alla Lampre, come quasi tutti i gregari fucsia han fatto, come perfino Cunego ha fatto, ma senza nemmeno l’illusione di un successo. Vasi di coccio tra vasi di ferro.

Si arriva tutti assieme al finale. Gli avversari sono tanti e feroci e affamati, primi tra tutti proprio Davis e Gilbert, ma anche Garzelli, o Popovych e Voeckler se vogliamo. Ma Di Luca è lì, Di Luca è forte, è un arrivo dei suoi, certo, ci proverà…

Invece no.

Parte violento Gilbert, manca un km e mezzo di salita, ma il belga è un macigno che rotola, una rolling stone che è trascinata verso l’alto da una sorta di gravità inversa che si chiama fame di vittoria, una fame che è nerissima per lui e per la squadra. Lo cerca di pigliare per la coda del sontuoso frac Popovych, ma questo frac da gran gala si chiama talento, classe sopraffina, e non c’è verso; la ruota di Popovych la succhiava Voeckler che tenta il balzo, anche lui sfiora con la punta del naso la scia di Gilbert, ma Philipp(id)e oggi ne avrebbe per correre tutto solo fino a Maratona. E non c’è verso.

In tutto ciò, Di Luca fa da spettatore. Li ha visti partire, ma non reagisce. È secondo, definitivamente secondo. E questo è, come dire, naturale. C’è una serenità, nell’amarezza della rassegnazione.

Come c’è serenità nella spietatezza di un Menchov che corre da assassino professionista in gara – l’assassino del killer –, per poi mite ammettere con modestia che capisce il pubblico, capisce di essere stato perfino fischiato (addirittura si rallegra che il ciclismo con questo dimostri di suscitare passioni!), capisce che non sia esaltante una corsa affrontata così, ma, confessa testuale: “con questo percorso e questa importanza degli abbuoni per vincere non si può fare altro”. Chi ha disegnato queste strade dovrebbe tener presente queste lucide disamine, del vincitore poi!, a fianco dei propri peana.

L’assatanato Garzelli vince la volatina del gruppetto, dilaniando Davis, lì si danna l’anima tra i posseduti dall’ansia di fare di più anche Pellizotti, e perfino Boasson Hagen, spauracchio oggi non così dirompente. Dietro, pur dietro, non poteva mancare il presenzialista Visconti.

Di Luca, invece, non c’è.

È rimasto a Frosinone. Oppure sul “suo” Blockhaus sfumato, o sul Petrano.

Ma a Roma ci sarà, e anche se sarà secondo, sarà vincitore – non soltanto della classifica a punti –.

 

Gabriele Bugada

 

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