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GARZELLI FISCHIATO. IL BLOCKHAUS SCRIVE UNA BRUTTA PAGINA DI (NON) SPORT

La sua colpa? Essere stato sportivo. Che, nello sport, ormai, sembra un’eresia. Stefano Garzelli ha “scippato” Di Luca dell’abbuono in cima al Blockhaus (4”, sic), finendo per ricevere fischi ed insulti dagli ultrà dell’abruzzese, nonché gli strali della pessima fauna che abbonda in RAI. Un antipatico episodio che intacca la bellezza del Giro e del ciclismo tutto. L’opinione di Federico Petroni.

.:nella foto Bettini, Garzelli dal podio tenta di scusarsi col pubblico abruzzese.

Una brutta pagina di sport s’è scritta sulle rampe della Majella. Mentre il Giro, occhieggiato dalle calendule e ammantato dai faggi, si arrampicava sui tornanti del Blockhaus, mentre Pellizotti s’involava da eremita a 15km dalla vetta per far suoi tappa e podio e mentre il diesel Sastre capitolava ad una tappa per esplosivi, l’increscioso e antisportivo morbo del tifo, dell’ultrà, del “il mio idolo deve vincere a tutti i costi” fa il suo ingresso nella carovana rosa.

I fatti. 500m al traguardo. Pellizotti ha già bucato la nebbia con il suo sorriso e con la sua bionda chioma. Tra gli staccati Di Luca e Menchov parte la volata per il secondo posto e subito il russo scricchiola. L’abruzzese s’incendia, rilancia, sogna di strappargli la metà del ritardo in classifica (39”). Ha fatto i conti senza l’oste, il rientrante Garzelli che gli piazza la ruota davanti. 4” di abbuono persi. Il pubblico, deluso, tributa comunque una calorosa ovazione all’enfant du pays che pure s’inchina alla premiazione per la maglia ciclamino. Il fattaccio avviene dopo, quando sul podio sale Garzelli per ricevere la veste di miglior grimpeur. Fischi, insulti, cori di sfottò (eufemismo).

Pur riconoscendo tutte le attenuanti del caso (invero una, la delusione di un popolo afflitto di non veder trionfare il suo campione che tanto tiene alla terra natia), la bilancia pende ampiamente verso il negativo. E non solo perché il pubblico ha tradito il primo comandamento del pedale (“incita ogni corridore come se fosse il tuo beniamino”) ma anche per il vizioso atteggiamento della televisione, dell’emittente di Stato, schiava del metalinguaggio da stadio (o dovremmo dire da Bar Sport?) che tiranneggia nello sport nostrano. Siamo stati costretti ad ascoltare la filippica di tal Luigi Sgarbozza che ha accusato: “Non si può correre tutti contro Danilo!” Apriti cielo!

La replica, serena ma stupefatta, lasciata al reo di turno, Stefano Garzelli. “Non vedo perché avrei dovuto rinunciare alla mia corsa per fare un regalo a qualcuno. A me, in questo Giro, nessuno ha mai regalato nulla. Vi ricordo che mi sono sorbito 100km di fuga solitaria nella Cuneo-Pinerolo e che mi sono venuti a riprendere. Ci sta, è la corsa. Ma non venite da me a pretendere favori insensati. Oggi mi hanno staccato dieci volte e dieci volte ho recuperato, se avessi dovuto fare regali non mi sarei dannato a morte. Dite che sono stato scorretto nei confronti di Danilo? E se lo avessi fatto passare, non sarei stato scorretto nei confronti di Menchov? Ognuno deve guadagnarsi la vittoria sul campo. Non bastasse, questo traguardo assegna punti decisivi per il mio grande obiettivo, la maglia verde e la mia squadra è abruzzese. Ci tenevo a fare bene”.

Un applauso, l’unico sentito sul Blockhaus, a Garzelli, sportivo vero, con una postilla: al varesino sono due anni che nessuno regala nulla. Non la tirannica emarginazione dell’Acqua & Sapone dalle grandi corse né la sfilza di secondi posti dello scorso anno né il Mondiale di casa visto sul sofà. Non che tutte queste cose gli siano dovute; però, come afferma Garzelli, stesso “le vittorie bisogna conquistarle sul campo”.

E invece? I media e il pubblico (una parte, certo, però consistente come non mai) indossano un paraocchi degno dell’esasperazione del calcio, dove tutto è dovuto e il tifoso corretto è surclassato dall’ultrà desperado. Dove l’aggettivo “sportivo” viene evocato come un corpo alieno. Se il ciclismo si fa trascinare in questa nefasta deriva, smarrisce se stesso. Perde il fascino dell’evento extrasportivo (o, forse, veramente sportivo). Perde la sua bellezza, dove l’appassionato incita il primo come l’ultimo. Perde l’ultimo retaggio dei tempi eroici, l’unico brandello di storia sopravvissuto alla centrifuga del doping e dell’UCI. Su questa patata bollente, Di Luca ha preferito glissare: “Sono i miei tifosi – indulge con paternalismo – allo stadio succede di peggio”. Le dichiarazioni a caldo andrebbero abolite. Spesso non si dice ciò che si pensa.

Federico Petroni

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