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GIALLO QUOTIDIANO
AFFAIRE FESTINA
DIECI ANNI DOPO

La cacciata di Riccò, in data 17 luglio 2008 verrà ricordata come una pagina nera per il ciclismo italiano. Dieci anni esatti prima un grave fatto scuoteva il Tour de France: la cacciata della Festina, dopo la scoperta del sistema di doping di squadra. Federico Petroni rievoca un affaire enorme, i cui strascichi giungono sino ai giorni nostri e nel quale, come sempre nel mondo del ciclismo, giustizia non fu fatta appieno.

di Federico PETRONI

Il 17 luglio 1998 il Tour scopre la vergogna. In una selva di microfoni, il patron Jean-Marie Leblanc annuncia l´esclusione della squadra Festina in base all´art. 29 del regolamento: infrazione dei principi generali della corsa. Nove giorni prima, la scoperta, alla frontiera franco-belga, che l´ammiraglia del team, guidata da Willy Voet, si era trasformata in una farmacia ambulante. I dubbi erano stati fugati dalla scioccante confessione del diesse Bruno Roussel: il doping di squadra. Pianificato, monitorato, centellinato nei minimi dettagli. È corto circuito. Un Virenque in lacrime pesta i piedi come un bambino, nega l´evidenza, vuole disputare la crono di Corrèze. Le autorità sguinzagliano i segugi. Perquisizioni, scioperi, gendarmi, addii, incarcerazioni si susseguono come veloci ma tempestose nubi in cielo. Il Tour rischia per la prima volta nella sua storia di interrompersi. ma le imprese di Pantani e l´orgoglio di una nazione ferita (forse ostinazione) tengono in vita la Grande Boucle.

Come era nato, come si è sviluppato, che strascichi ha lasciato l´affaire Festina, il più grave degli scandali di doping della storia del ciclismo e forse dello sport?

Dublino, partenza del Tour. La squadra di Virenque era ambiziosa e agguerrita. Schierava Zulle, Hervé, Moreau, Borchard, Stephens, Meier, Rous. La favorita. Nonostante le smentite ufficiali, all´appello manca qualcuno. Di ritorno dal Belgio, il massaggiatore Willy Voet è stato pizzicato dai doganieri a Neuville en Ferrain con l´ammiraglia stracolma di prodotti dopanti: "234 dosi di EPO, 80 flaconi di ormoni della crescita, 160 capsule di ormoni maschili, 60 dosi di testosterone, corticoidi e 60 capsule di Asaflow, un prodotto a base di aspirina", un fluidificante coprente assunzioni di EPO. Nelle mutande, un "vasetto belga", una porcheria in voga a cavallo tra gli anni ´80 e ´90, all´epoca di composizione ignota (per dire degli scrupoli di certa gente) ma contenente anfetamine, cocaina, eroina, analgesici e caffeina. Voet è accusato di traffico di traffico di sostanze stupefacenti. "Tutta quella roba è troppa per una squadra!", si difese ingenuamente Richard Virenque.

Bastava. Il sistema doping messo in piedi da Bruno Roussel e Erik Rijckaert (diesse e medico della squadra) si basava sulla gestione concertata, paritaria tra dirigenza e corridori dei prodotti da assumere. L´obiettivo? Ottimizzare le prestazioni, sotto stretto controllo medico, per evitare una corsa al doping personale e quindi selvaggia, concorrenziale e dannosa per la salute al doping. Voet ne era il corriere nonché il braccio armato. Tutto cominciò a fine 1993, quando Roussel, scoperte le pratiche del medico belga Rijckaert, optò per un doping di squadra, sicuro e monitorato, dirottando rispetto ad un esordio di carriera in rotta di collisione con il doping. I ricorrenti sotterfugi e l´impossibilità di pedinare tutto il giorno i corridori lo avevano convinto.

Un simile arsenale non si coglie dagli alberi. Costa. Dalle confessioni dei dirigenti, si evince l´esistenza di un fondo nero per l´acquisto dei prodotti, alimentato dalle vincite e dagli stipendi dei corridori stessi, dopo un primo anno finanziato dalla squadra stessa. Il denaro finiva nel caveau di una banca di Andorra, per un totale di 400'000 franchi l´anno. Insufficienti, se teniamo conto della testimonianza di Voet, secondo il quale i corridori più avidi (Virenque ed Hervé, a detta sua) assumevano circa 80 dosi l´anno di EPO (450F l´una) e 60 dosi di ormoni della crescita (600F l´una sul mercato nero). Il totale? 72´000F per corridore ogni anno. Circa 11'000 euro.

L´ingenua difesa di Virenque sopra riportata (come faceva un innocente a sapere quante fossero le dosi sufficienti?) cela un fondo di verità. Voet fu sospettato di approvvigionare anche altre squadre in quel Tour de France. Dopo le confessioni e la perquisizione della sede della Festina a Meyzieux, dove furono trovati ben 18 prodotti diversi, il Tour è agli arresti. Il 23 luglio, i corridori della Festina raggiungono Roussel, Rijckaert e Voet in prigione e vengono sottoposti ad ogni controllo possibile e immaginabile: due mesi più tardi, i test rileveranno tracce di doping nei campioni di Brochard, Zulle, Hervé, Rous e Stephens. I primi due più Meier, Dufaux e Moreau avevano già confessato. Lo stesso giorno, un reportage serale di France 2 mostra il ritrovamento nei cassonetti dell´hotel dell´italiana Asics di siringhe con le iniziali dei corridori. Le perquisizioni a Once, Polti, Française de Jeux, Casino, Big Mat scoprono prodotti proibiti nel camion dell´ultima e portano all´arresto di Rodolfo Massi (maglia a pois della Casino) e dei direttori sportivi Lavenu (Casino) e Madiot (FdJ). Si riapre il caso TVM, nelle cui vetture, a marzo in Spagna, erano state trovate 104 dosi di EPO: Priem (manager) e Michailov (medico) sono agli arresti.

Il clima di assedio vissuto dai corridori porta al ritiro dal Tour de France di numerose squadre. Le prime a lasciare il plotone sono Once, Banesto e Riso Scotti, seguite da Kelme, Vitalicio e TVM. Il gruppo reagisce al servizio di France 2, ritenuto "tendenzioso e disonesto", con un tentativo di sciopero il 24 luglio verso Cap d´Agde ma la minaccia rientra. Si tratta soltanto di una tregua. Il 29 luglio, la tappa di Aix les Bains è annullata. Il dibattito sul significato sportivo galoppa, infuriando tra chi ritiene sia meglio fermare il Tour (e appende la bici al chiodo) e chi vuole andare avanti. Le imprese di Pantani e l´orgoglio (o l´ostinazione?) di una nazione ferita tengono in vita la Grande Boucle. Solo 86 corridori vedranno i Campi Elisi.

Nell´ottobre del 2000 si apre il processo Festina con la confessione di Virenque, il più riluttante ad ammettere l´evidenza. Il corridore francese si vede comminata una sentenza di due anni di reclusione e 100´000F di multa, poi tradotta in una pena sportiva di nove mesi di inattività. Willy Voet fu sospeso per dieci mesi con una multa di 30´000F. Bruno Roussel per un anno con una multa di 50´000F. Nel processo fu coinvolto anche il medico della ONCE al Tour del 1998, Nicolas Terrados, condannato a pagare 30´000F di multa per importazione di sostanze dopanti, trovate nelle perquisizioni della gendarmerie. Erik Rijckaert morì nei primi giorni del 2001. Nell´ambito del processo, anche i quadri della Française des Jeux furono implicati: Marc Madiot, attuale manager della FdJ, fu accusato di tollerare il doping presso i suoi corridori ma non di avere messo in piedi un sistema organizzato come quello della Festina. In ogni caso, il massaggiatore del team, Jef d´Hondt fu sospeso per nove mesi e costretto a pagare una multa di 20´000F.

Si può dire che giustizia sia stata fatta? Non esattamente. I responsabili hanno pagato, anche se i corridori in maniera decisamente inferiore rispetto ai quadri del team. Nel suo libro, "Massacro alla catena", Willy Voet sottolinea la assoluta democraticità del sistema doping, nel quale corridori e dirigenti avevano lo stesso peso nelle decisioni. Il massaggiatore belga precisa inoltre come abbiano pagato coloro che maggiormente si preoccupavano per la salute degli atleti, sullo sfondo di un doping massiccio, di controlli ancora arretrati - nei periodi invernali assenti -, di una federazione internazionale deleteria nel porre il limite del 50% di ematocrito nel sangue, come se fosse possibile doparsi entro un certo limite. La Festina era allora l´unica squadra ad alto livello a frenare i corridori entro il 54%, mentre alcuni team si foderavano gli occhi, concedendo pure di sfondare quota 60. Bjarne Riis fu soprannominato "mister 60%", all´epoca del successo ad Hautacam del 1996 che gli valse la maglia gialla.

Cosa è cambiato, a distanza di dieci anni?

Difficile sostenere che i corridori si siano moralizzati. Di fronte a certe promesse, alla presenza in gruppo ci certi stregoni, all´ignoranza sugli effetti disastrosi di certi prodotti, il singolo rischia sempre di essere stritolato dalla piovra del doping. Gli anni ´90 hanno rappresentato il periodo più buio del doping e non conforta la presenza in ammiraglia di soggetti che fino a pochi anni prima si caricavano come tori.

I controlli si sono però evoluti, trovando un felice apice nel passaporto biologico, una sorta di carta d´identità del profilo sanitario del ciclista, un dossier che raccoglie tutti i rilevamenti e grazie al quale è possibile riscontrare anomalie. Se si pensa che certi atleti sono stati controllati una ventina di volte nei primi mesi del 2008, si può certo tirare un sospiro di sollievo.

I test antidoping sono come i programmi antivirus dei computer: reazione, non iniziativa. La morsa del doping traina la prevenzione, non il contrario. Esistono tuttora sostanze non riscontrabili a copertura di pratiche illecite o esse stesse veicolo di doping. Voci di corridoio affermano il riscontro nei test del Giro del 2008 della stessa sostanza contestata a Riccò, la CERA. Anche il Viagra, normalmente usato per le disfunzioni erettili, interessa da vicino i ciclisti: l´aumento della viscosità del sangue. Proprio come l´EPO.

Federico Petroni

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