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Racconti di storie - Boghino, ritratto di un pastore errante

- Racconti di storie -
***BOGHINO***
Ritratto di un pastore errante




di Mauro MELANI




Sulla via Bonellina c’è una casa sulla cui facciata, sta scritto a caratteri cubitali: Hermita do Umbertum – Lugar Casenuove 1953 – Hay Santiago. Dall’altra parte della strada un traliccio metallico con un numero imprecisato di anemometri frullanti e segnavento impazziti. Vi si legge: “Pilar de helices”. Anche il passante più distratto e frettoloso si accorge immediatamente che l’autore vanta chiaramente un debole per la lingua spagnola. Questa predilezione è spiegata dai numerosi “Cammini di Santiago” portati a termine dal protagonista di questa storia, la maggior parte a piedi, uno in bicicletta. La maggior parte dei pellegrini che si cimentano con questa ciclopica impresa espiatoria arrivano in auto o in treno fino a Roncisvalle, sui Pirenei, e da lì iniziano il vero “cammino”, fino a Santiago de Campostela. Non è uno scherzo, ve lo garantisco. Ma immaginate cosa voglia dire partire da Pistoia, con uno zaino di una trentina di chili sulle spalle? Chi scrive è un semplice cicloamatore, ma è evidente a tutti che partire dalla propria casa in MTB, raggiungere Santiago di Campostela, arrivare fino all’Atlantico, a Capo Finisterre, e ritornare a casa, pedalando per quasi 7.400 chilometri non è un’impresa alla portata di tutti. Ecco chi è Boghino! Amarcord. Quando lo vidi per la prima volta stavo pedalando lungo il Serchio, in direzione di Bagni di Lucca. Fra i tanti miei difetti mi compiaccio di essere un buon osservatore e posso dire che da quella mia prima e sommaria analisi colsi tutta l’essenza del personaggio. Gran parlatore al limite del logorroico, era evidentemente in grado di raccontare qualcosa di veramente unico e affascinante, anche se la mia posizione “in coda” al gruppo non mi garantiva un audio sufficientemente chiaro della conversazione. Ma che dico “conversazione”! Il suo era un monologo, un soliloquio, un fiume in piena di parole e frasi, una valanga di inarrestabile loquacità che mi trascinava giù, lungo le corde della sua memoria e quindi nel profondo dell’anima sviscerata di questo pittoresco figurante, il cui unico scopo era quello di ipnotizzare e sbalordire il fortunato che si trovava, come me allora, a passargli accanto. Un anno dopo quel casuale incontro mi sono ritrovato a visitare la sua casa, o come lo chiama lui, “l’eremo dove il cieco vide la luce”. In effetti fin dal saluto cordiale sulla porta di quell’umile terratetto, sulla via che da Pistoia conduce verso S.Baronto e la zona di Vinci, si è letteralmente sommersi e tramortiti dalla quantità di spunti evocati, dalla mole enorme di sollecitazioni alle quali, gioco-forza, si è sottoposti nel franco e cordiale faccia a faccia, dalla infinita varietà di sfaccettature umane, psicologiche e sociali di questo autentico personaggio. Ci troviamo di fronte ad un esemplare unico, inimitabile e immutabile, legato mani e piedi al trascorrere del tempo secondo una sua personalissima percezione del valore e del significato delle parole e delle cose, legato al contatto con le persone e con la loro vibrante umanità, o come lui preferisce dire, alla loro essenziale animalità. Stiamo parlando di un cittadino del mondo tout-court, di un vero abitante della strada, intesa come luogo naturale di rendez-vous fantastici e reali, crocevia di fiabe ascoltate e inventate, porto di esperienze spirituali felici e dolorose, di moti nostalgici e sensazioni di struggente reminiscenza. La voglia di raccontare “Boghino” mi nacque immediata: non si poteva tralasciare di rivivere con lui alcune pagine della sua vita rocambolesca e condividere almeno parte di quella straordinaria esperienza vissuta, coraggiosa e terrifica, e abbandonare alla piatta superficialità dilagante quella testimonianza autentica di zingaro giramondo che ha fatto proprio il motto “Il desiderio di molti e il coraggio di pochi”. Pensate che è talmente felice, soddisfatto e convinto da quello che fa, dalla vita che conduce, delle amicizie che può vantare, che sulla sua Carta di Identità, alla voce professione, sta scritto: Benestante. E chi è più benestante di uno che, pur nella più evidente semplicità e ristrettezza di mezzi e risorse finanziarie, si alza la mattina e può decidere di partire, da solo, a piedi o in bici, per remoti luoghi sconosciuti o da cartolina ? In effetti molti di coloro che lo conoscono, compreso il sottoscritto, lo invidiano, e non gli negano la supremazia dell’esploratore, il bastone del comando di colui che tenta, prova, traccia il sentiero e si rimette in discussione quotidianamente, temendo solo sé stesso e le sue paure, alla ricerca di momenti che lo possano commuovere di nuovo, gratificare, spaventare, rendere più forte e al tempo stesso più debole, fragile davanti allo spettacolo quotidiano di una natura che sbalordisce chi la sa guardare e ascoltare. La redenzione umana attraverso la catarsi naturistica è stata da sempre la filosofia di questo “pastore errante”. Forse anche un certo Leopardi, Giacomo mi pare, durante le sue sporadiche uscite da Recanati e dalle Marche, ebbe la ventura di conoscere un prototipo alla Boghino, genere Wilderness. Scherzando un po’, si può tentare una similitudine con i contenuti della straordinaria ode intitolata appunto “Canto notturno di un pastore errante nell’Asia”. Azzardo quindi l’imperdonabile, incauto e ardito paragone e metto per un attimo sullo stesso piano Boghino, alias Umberto Rafanelli, e il “pastore errante” di leopardiana memoria. Chiedo scusa e attenzione. Quante volte il nostro coraggioso concittadino si sarà trovato abbandonato, in un deserto di solitudine e malinconia, a cavallo di una delle sue imprese ciclopiche, in un deserto infuocato o sulla montagna più impervia, nella valle più amena o sull’altopiano più ventoso. Lo sguardo atterrito alla ricerca di un riferimento sicuro, di un porto di serenità. Ecco lassù, troppe volte invocata, la diafana dea della notte, pallida e materna, pronta a rispondere alle richieste di certezza e sentimento.

“Che fai tu luna in ciel, dimmi che fai
silenziosa luna? sorgi la sera e vai
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
Somiglia la tua vita
la vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
muove la greggia oltre pel campo, e vede
greggi fontane ed erbe
poi stanco si riposa in su la sera
altro mai non ispera.


In un attimo Boghino è il nostro pastore. Il paragone provocatorio vuole che le sue greggi siano i camminatori, i pedalatori, gli autentici rendonners, gli amanti del trekking e della strada bianca intesa come “fil rouge” del proprio tempo libero, che lo accompagnano, anzi, che lui accompagna in giro per le strade del mondo. La sua bramata interlocutrice, pallida e silenziosa, lo guida per valli e deserti, montagne e laghi, e quel “Ancor non sei paga di riandar i sempiterni calli?”, più che ad un interrogativo, somiglia al compiacimento del gratificante e masochistico ripetersi di una ricerca deambulata e deambulante, che ogni volta, restando immutato il percorso e il panorama, regala sensazioni e moti dell’anima mai uguali ai precedenti. Non si spiegherebbero altrimenti le 13 Vueltas, i Cammini di Santiago, i due Camminitalia di oltre 7 mila chilometri l’uno, o le infinite escursioni sui ghiacciai perenni delle nostre momtagne, o ancora le digressioni mitteleuropee portate a termine, sempre rigorosamente a piedi o in bici, con gruppi più o meno numerosi o in solitaria, ma sempre ricercando l’estremo contatto con la natura. Mai in un Ostello, ma sempre “in preghiera” da solo, nella sua piccola tenda; mai in trattoria o ristorante ma sempre cucinandosi qualcosa in solitario, avendo per fedele compagna quella luna che certo non si nega al pellegrino, nelle notti basche o galiziane, sulle strade battute dalla devozione per l’apostolo Giacomo. Sembra azzardato il termine “preghiera”, ma come scriveva Scerbanenco raccontare la vita di un uomo è come recitare una preghiera. Nel riassunto di un’esistenza ci sono passioni, speranze esaudite e non, pentimenti ed ammissioni. Ci sono ringraziamenti e sogni realizzati o andati perduti. C’è il bilancio del passato, il vissuto dell’oggi, il desiderio del domani. Così ogni uomo, quando si racconta, riflette su sé steso e si proietta verso il futuro, com’è nella sua natura. Una preghiera, appunto, recitata per le strade della vita. Sempre le stesse strade e mai uguali, sempre gli stessi panorami e mai identici, sempre i medesimi profumi ma ispiratori di sensazioni strane e spesso antiteche.

“Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?”


Quante volte se lo sarà chiesto Boghino a cosa vale la sua vita! Ma la risposta sta proprio in quel suo motto …Il desiderio di molti, il coraggio di pochi! Eccola la sua verità: fare della propria vita un racconto prorompente di esperienze prima da vivere e poi da raccontare, senza mai rimpianti e codardi rincrescimenti di sorta. Usando compassione per tutti quelli che, pur nella possibilità materiale e spirituale di “farlo”, rinunciano a tutto questo “ben di Dio”, alla vita, al piacere di assaporarla fino all’ultima goccia, nascondendosi dietro luoghi comuni, scuse più o meno semplici e banali e bigotte convenzioni da miseri piccolo-borghesi.

“Vecchierel, bianco, infermo
mezzo vestito e scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
per montagna e per valle,
per sassi acuti ed alta rena e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l’ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anela,
varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e più e più s’affretta,
senza posa o ristoro,
lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
colà dove la via
e dove il tanto affaticar fu volto:
abisso, orrido, immenso,
ov’ei precipitando, il tutto oblia.
Vergine luna, tale
è la vita mortale?”


Eccolo di nuovo spuntare all’orizzonte il nostro protagonista, Boghino, che domanda e si domanda se tutto questo affaticarsi e penare dietro ad obiettivi inutili e ambiziosi, grandiosi ed effimeri, valga la candela. La risposta all’interrogativo esistenziale l’ho trovata mentre visitavo la sua casa, pardon, “eremo”: ogni angolo, ogni spazio, ogni buco di quelle semplici ma decorose stanze è tappezzato, ricoperto, riempito di ricordi, cimeli, foto, dediche di amici, oggetti che al semplice osservatore possono benissimo apparire pacchiani o addirittura kitsch, e che invece ad una più attenta analisi, filtrati e decodificati dalla espressiva loquacità di Umberto e dalla sensibilità forse ingenua ma sincera di chi vi scrive, esplodono in un significato profondo e straordinario: sì, ne è valsa la pena, lo rifarei. Anzi: lo rifarò! Il nostrale “pastore errante” vive di priorità: la natura e l’amicizia, prima di tutto. Gli basta vivere con poco ma ha quasi tutto. Vive bene da solo, ma ha amici che lo aspettano in tutto il mondo. E’ un tipo inusuale, strano, e se lo conosci non te lo dimentichi facilmente. Attenti a fare amicizia con lui: se non siete abbastanza forti, o forse deboli, per dire: No! Potreste ritrovarvi a camminare per settimane e mesi accanto ad un “pifferaio biondo”, con un enorme bastone alla Mosè e i Dieci Comandamenti, una Capesanta con croce rossa appesa al collo e uno zaino enorme e variopinto dal quale orgogliosamente spunta una bandierina tricolore, alla ricerca di luoghi ignoti e conosciuti, in compagnia del sole, della nebbia, della pioggia, delle stelle e del vento. Della strada. Tutti suoi cari e fidati amici.

Mauro Melani

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'Il desiderio di molti, il coraggio di pochi'
Timbro di Boghino

'L'eremo di Umberto dove il cieco vide la luz'
Timbro di Boghino
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