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SPECIALE 86° GIRO D'ITALIA - L'ERTA FINALE

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SPECIALE 86° GIRO D'ITALIA
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*** IL PROCESSO ALLA TAPPA ***








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QUINDICESIMA FRAZIONE - MERANO-BOLZANO (42,5 km; cronometro individuale)
Domenica 25 maggio 2003

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L'ANALISI
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I TANTI MOTIVI PER CUI
SIMONI HA VINTO E VINCERA'

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Sarà una cronometro di forze. Sarà davanti chi avrà conservato più forze. Si dice delle crono che stanno a fondo corsa e seguono magari tappe impegnative. In cui si presume siano state spese più energie del consueto. E' un luogo comune del parlar ciclistico. O una mezza verità. E' vero che la capacità di correre la crono dipende sia dalla disposizione-abitudine (e quindi dal grado di adeguatezza delle abilità psicofisiche funzionali alla conduzione di una crono) sia dallo stato degli strumenti fisico e psichici che sono componente delle abilità e che co-determinano la funzionalità delle abilità stesse. E lo stato consiste nella qualità ma anche nella condizione, che dipende, tra l'altro, dalle così dette energie. Ma l'incidenza nel rendimento, che è l'espressione delle abilità, dello stato è inversamente proporzionale alla disposizione-abitudine. In altre parole: a parità di stato è avvantaggiato chi ha una migliore disposizione-abitudine. Ovvio si penserà. Sì. Ma nella considerazione sulle cronometro di forze non viene tenuto in conto.
E' successo anche alla vigilia del Giro quando si sono fatte le prime riflessioni sul percorso. E quindi anche sulle cronometro. Deciderà Milano, si diceva. Quest'anno saranno le cronometro a decidere. Bella forza. Anche quest'anno ci sono corridori che vanno forte sia a crono sia in salita. Il risultato finale è dato dalla sommatoria dei singoli risultati a cronometro e in salita. Gli scalatori guadagnano da una parte e perdono sostanzialmente dall'altra; i cronoman-scalatori guadagnano invece sia su un terreno sia sull'altro o quanto meno nel secondo caso non perdono in modo sostanziale. E il terreno su cui si differenziano decisamente dagli scalatori è appunto la cronometro. Dunque è ovvio che sia la crono a decidere. Ma questo accade in tutti i giri. La considerazione prescindeva perciò dalla valutazione specifica del percorso. E così finiva per tralasciare due dati fondamentali: la lunghezza delle prove contre-la-montre; soprattutto il loro posizionamento nel percorso.
Le due crono di questo Giro sono sì lunghe; ma non lunghe in assoluto; insieme fanno 80 km circa di contro il tempo, che è poco più della lunghezza di una sola cronometro del Tour de France. D'altronde poco importa nella determinazione della consistenza delle crono: in fondo è comunque vero, sono lunghe; sono abbastanza lunghe da impedire la copertura con uno sforzo continuo di soglia nell'espressione di determinazione e condizione. Sono crono per specialisti. Quindi sanno fare la differenza. C'è però il secondo aspetto che era stato tralasciato: il posizionamento nel percorso. Le due crono giungono entrambe nella terza settimana (sì, la prima la penultima domenica, dunque l'ultimo giorno della seconda, ma insomma); una terza settimana disseminata di due grosse frazioni di montagna; preceduta - la terza settimana - da una seconda in cui parimenti sono state affrontate due grosse tappe di montagna. E' una situazione assolutamente inedita. Almeno negli ultimi otto-nove anni di corsa rosa. La prima differenza dal solito sta nella collocazione della prima crono: di solito segue un solo giorno di quota, o quanto ne segue due vi è distanziata da diversi giorni di trasferimento. E quindi di scarico. Stavolta c'è contiguità: secondo arrivo in salita-trasferimento-terzo arrivo in salita-crono. Addirittura contiguità con due arrivi in salita. E alle spalle ce n'è già un terzo: il Terminillo (con tanto di frazione mossa, Faenza, a completare il quadro).
La seconda differenza sta nel numero di tappe di montagna prima della crono conclusiva: ben cinque, più la mossa, che è un numero sopra media sia per il Giro sia per la norma delle corse di tre settimane.
La terza differenza - meno incidente - è la coincidenza tra la crono e l'ultimo giorno di corsa. Il giorno cioè di solito riservato al carosello conclusivo. Che è una festa fino alla volata; corsa vera nello sprint. Ne consegue che prima di affrontare l'ultima crono si è vissuto un giorno in più di corsa vera. Peso aggiuntivo. Ma d'altronde il giorno in più è forse uno dei cinque di montagna. No. Piuttosto l'influenza della coincidenza tra la crono e l'ultimo giorno di corsa è nella tensione che deriva dalla vicinanza dal verdetto, per cui chi corre per vincere sa che comunque vada avrà il riscontro emozionale completo subito dopo la corsa. Ma in ogni caso resta una differenza di minore portata incisiva.
Per tornare invece al discorso cronometro nel regno delle montagne, vale a dire alla collocazione delle due crono a seguire di tapponi con arrivi in quota, è evidente che gli scalatori - per via della disposizione-abitudine a correre sulla strada che sale - in montagna avranno minori dispendio energetico e strascico di ingolfamento della condizione. E quindi si troveranno in condizioni di esprimere la forza effettiva nella crono. Mentre il cronoman puro si troverà - il giorno della crono - sotto-condizione; in condizioni insoddisfacenti. L'ipotesi contempla però che i corridori siano arrivati alle montagne con la stessa condizione assoluta. La condizione incide sia sul rendimento in montagna sia sull'influenza della giornata di montagna sui giorni successivi e quindi sulla crono sia, infine, sul rendimento a sè stante il giorno della crono.

I contendenti il Giro d'Italia sono uno scalatore puro, scattista, da rapporti agili, e un passista-scalatore con doti di velocità. Sono Gilberto Simoni e Stefano Garzelli. In rapporto al percorso è ovvio che Simoni sia stato avvantaggiato su Garzelli dalla contiguità montagna-cronometro. Tuttavia Garzelli va anche in montagna; dunque la sua spesa e i suoi strascichi dopo la montagna dovevano essere minori di quelli che avrà accusato, invece, un passista o cronoman puro. Eppure il rendimento di Garzo nella prova contro il tempo è stato inferiore: inferiore al suo standard e inferiore, addirittura, al rendimento di Gibì, come a dire che Garzelli ha prodotto una prova assai inferiore alla capacità media. I motivi sono riconducibili al discorso della condizione; e ad altri fattori più spiccioli di cui parliamo in seguito.
La condizione. Garzo è arrivato al Giro con otto - dicesi: otto - corse nelle gambe. E con questo s'intende che dalla primavera di un anno fa Garzelli ha corso solo otto corse. Otto corse nell'ultimo anno. Inoltre, per tutta la prima parte dell'anno in questione non si è neppure allenato. La corsa ha una incidenza fortissima sia nella brillantezza sia nel fondo; l'allenamento ha incidenza in primo luogo nel fondo, da cui del resto dipende la brillantezza. Il fondo - ne abbiamo già trattato in un precedente Processo, che vi invitiamo a cercare e a leggere, giù, a fondo pagina, nell'Archivio - è una componente funzionale di qualsiasi condizione muscolare e determina la tenuta del rendimento del muscolo e quindi dell'intero sistema di abilità di cui fa parte nel lungo periodo, anche in assenza di ripetizioni di sforzi di abilitazione o allenamento. In mancanza di fondo il rendimento scema alla distanza. Il rendimento di Garzo era destinato a scemare. E così è stato: primo a Terme Luigiane; primo sul Terminillo al fianco di Simoni; venti secondi nella mossa di Faenza; trenta nei 3 km finali dello Zoncolan; quaranta a Pampeago. Mentre il rendimento di Simoni - dotato di fondo - ha avuto continuità. Infine il varesino si è trovato nell'inabilità della espressione delle proprie capacità a cronometro. Inabilità d'altronde fomentata, anche, da un altro paio di fattori. I fattori di ordine spicciolo cui accennavamo prima.
Il primo è la desuetudine (così l'ha definita Claudio Ferretti a 'Stappa la tappa') alla conduzione della corsa contro il tempo. Desuetudine o mancanza di brillantezza della abilità. E' come se mancasse l'abilità. Con le conseguenze che abbiamo stabilito sopra.
Il secondo è la brama di acquisizione di secondi. Garzelli non è il passista-scalatore secondo in classifica di un Giro d'Italia nella norma, in cui non avrebbe avuto svantaggio il giorno della crono o avrebbe avuto lo svantaggio accumulato in un solo giorno di montagna; in cui non avrebbe avuto il chiaro senso della sconfitta e del ritardo dal primo che invece ha per via della contiguità (e quindi della vicinanza) montagne-crono, luogo del ritardo e luogo in questione; in cui non avrebbe avuto il deficit di lucidità che invece ha avuto anche per via della stanchezza inusuale accusata a seguito degli sforzi, intelligentissimi peraltro - non rincorsa a tenere la ruota, bensì dosaggio dell'impiego delle forze per disporne per tutta la durata dello sforzo avverso con cui confrontarsi - per contenere il distanziamento spaziale e cronometrico da parte di Simoni. No. Garzelli è un passista-scalatore secondo in un Giro in cui la prima cronometro segue tre arrivi in salita, due contiguamente. E quindi sente di più ed elabora con minore lucidità il bisogno di recuperare lo svantaggio acquisito. Così ha spinto subito al massimo. Senza avere le energie per tenere il ritmo di mantenimento della velocità dell'avversario; perdendo le residue per esprimere la massima capacità e pareggiare o contenere molto l'acquisizione di vantaggio di Simoni. Il contrario, insomma, di quanto aveva fatto in salita. Del resto lassù non corse dopo avere affrontato Terminillo, Zoncolan e Pampeago. Perchè sugli ultimi due stava lassù. Appunto.
Il terzo fattore è il vento contrario. E' vero che soffiava anche contro l'azione di Simoni. Ma Simoni aveva la forza per opporsi alla dinamica contraria alla direzione di corsa e nel contempo tenere un buon ritmo; Garzo no. Direte voi: il vento ha semplicemente evidenziato nel ritmo di crociera la mancanza di energie di Garzelli. Non proprio. Perchè Garzelli non aveva energie a sufficienza per tenere un buon ritmo e contrastare il vento; in assenza di vento avrebbe perso un tot, forse pareggiato, col vento invece ha perso un altro tot maggiore del potenziale. Perchè inoltre il vento ha imposto a Garzelli una fatica più debilitante di quella di Simoni, e dunque ha accentuato l'inibizione allo sforzo e ulteriormente demoralizzato il corridore. In corsa. Alla fine il varesino è invece apparso piuttosto sereno. Del resto alla fine del Giro mancano ancora diversi giorni. E le sensazioni che Garzo ha detto di sentire in seguito alla fine della corsa sono buone.
Nondimeno il Giro è agonisticamente concluso. Per agonisticamente s'intende per ciò che concerne la specificità tipica della corsa nella normalità delle condizioni atipiche della corsa stessa: quindi esclusa l'eventualità di cadute, infortuni, malanni, che non sono compiutamente prevedibili e quindi non possono essere conteggiati. E in presenza dei quali, invece, l'andamento potrebbe diversificarsi. Agonisticamente concluso, comunque, perchè Simoni ha il fondo e la carica che gli viene dalla rosa e dalla vicinanza del successo per non avere crolli negli arrivi in salita e nella crono di Milano. D'altronde è sempre andato all'attacco ed ha speso molto. Potrebbe subire se venisse aggredito sia verso Chianale sia verso la Cascata del Toce e se l'attacco partisse da lontano, e nel contempo chi lo producesse fosse in classifica - diciamo entro i tre-tre minuti e mezzo - e potesse contenere o guadagnare nel confronto con Simoni a cronometro l'ultima domenica. Ma tra chi è entro il limite di distacco c'è Garzelli che però è senza fondo e d'altronde finora non ha mai saputo stare al passo del trentino, figuriamoci lasciarlo. E c'è Yaroslav Popovych, che ha pedalato sempre agile salvando la gamba ed ha tenuto il passo dei primi anche sulle pendenze terribili dello Zoncolan e anche dopo una notte insonne con la febbre sui quattro GPM della giornata di Pampeago. Yaro che va a cronometro. Yaro che però non ha ancora la determinazione e la forza morale necessarie per compiere un'azione del genere. Pantani - sappiamo bene - sarebbe stato uomo da fargli uno scherzo finale del genere a Gibì. Ma non è ancora Pantani. Ancora.


Matteo Patrone
mpatrone@libero.it

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