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FACCIA A FACCIA: EL ANGLIRU VS ZONCOLAN

Come due gocce d’acqua, Angliru e Zoncolan presentano notevoli affinità. Perché allora il mostro asturiano offre sistematicamente una maggiore selezione rispetto al Gigante della Carnia? Non si diceva che le salite estreme non producono ampi distacchi? Federico Petroni analizza la questione tecnica.

di Federico Petroni

Gran parte della stampa iberica paragona l’Alto de El Angliru al Passo del Mortirolo. La salita asturiana presenta però più affinità con il Monte Zoncolan da Ovaro che con il valico valtellinese, più lungo e costante (non raggiunge mai il 20%). Le affinità con il Gigante della Carnia cominciano da una storia recente eppure già mitica. Risale al nuovo millennio la scoperta da parte di Enzo Cainero di questa salita che nel 2003 (versante Sutrio) fece il suo debutto, battezzata da Simoni, per poi ripetersi nel 2008. L’Angliru fu invece svelato alla Unipublic nel 1996, quando un dirigente della ONCE la segnalò dopo averla testata. Mentre del Mortirolo asfissia la costanza (senza tuttavia mai toccare il 20%), gli altri due mostri segano le gambe con un andamento scostante e fastidiosi cambi di pendenza. I chilometri di fuoco, quelli della Passione, sono gli stessi. L’Angliru vanta 6km al 13.6%, mentre lo Zoncolan conta su di una pendenza media di poco superiore al 14% sulla stessa lunghezza. Comuni sono anche il dislivello (1200m) e la non improba altitudine (1570m il primo, 1730m il secondo), alla quale l’aria non è così rarefatta come sui Pirenei o sullo Stelvio.

Curiosamente gemelle – o comunque sorellastre – da queste scalate ti aspetteresti un simile comportamento nei confronti dei malcapitati scalatori. La tappa dello Zoncolan al Giro 2007, grande successo dal punto di vista mediatico, non si rivelò tale sotto il lato tecnico-sportivo. Fuori dai denti, le aspettative di tappa epica non corrisposero ai risultati, come testimoniano i soli 37” tra i cinque migliori. Perché invece l’Angliru infligge sistematicamente pene più severe? Scorriamo dunque gli ordini d’arrivo. Nel 1999, Jimenez divorò 57” a Tonkov e lasciò a 1’ Heras in soli 4km. I primi dieci corridori furono separati da oltre 3’ e qualche nome importante collassò (Casero). Nel 2000, volarono i minuti, come dimostrano le cinque sberle prese da Fernando Escartin, 10° quel giorno, con Heras (3° al traguardo), capace di rifilare oltre 2’ ai diretti rivali. Più contenuta la selezione nel 2002, quando (Heras escluso, oltre 1’30” rifilato a tutti), i migliori si concentrarono in 75”, con un distacco medio di poco inferiore ai 7”. Resta comunque la capacità di fare la differenza e di infliggere distacchi rilevanti, fattore non emerso dalla tappa dello Zoncolan.

Dati come la Velocità Ascensionale Media ampliano il gap. Nel 2000, Heras salì a circa 1550m/h mentre nel 2007 Simoni conquistò lo Zoncolan con una VAM di poco inferiore ai 1800m/h. Se leggiamo con occhio analitico anche la 13° tappa di questa Vuelta che si appresta ad incoronare Contador, capiamo come l’Angliru abbia veramente rappresentato l’alfa e l’omega della ronda iberica. Tra il madrileno e Rebellin (11°) sono trascorsi 4’05”, distacco notevole inferto su 6km. Un’annosa querelle è aperta tra gli appassionati: le salite estreme sono puro show o sono tecnicamente valide, favorendo cioè ampi distacchi? L’Angliru sembra rispondere affermativamente, smentendo le impressioni registrate sullo Zoncolan. Ma come è possibile che due erte così simili abbiano prodotto risultati tanto diversi?

Oltre al diverso chilometraggio (l’Angliru misura 2km in più dello Zoncolan), la risposta sta nel dislivello totale della tappa. Tutte le precedenti gite sull’Angliru erano state caratterizzate da quattro colli almeno, due di prima categoria a ridosso della salita principe, per un dislivello medio sempre superiore ai 3000m. Ieri s’è fatto registrare un dislivello record di 3760m su 39.7km di salita, con tre colli di prima categoria a innervosire una tappa di 209km. La tappa dello Zoncolan, oltre ad una distanza scandalosa per un appuntamento alpino (142km), ne presentava meno di 3000m, completati su 29.4km di ascesa. Il gap è di 800m su 10km. In breve, serviva una salita in più per assistere a più ampi distacchi. È una questione di freschezza, in un ciclismo sempre più livellato dove non basta più un Pordoi come ai tempi eroici per frantumare il gruppo. Ai piedi dell’Angliru, grazie al forcing dell’Astana e al percorso selettivo, si è presentata una ventina d’atleti, ben diverso dall’allegro, numeroso e imbellettato gruppo che approcciò lo Zoncolan nel 2007. Ieri l’Angliru ne ha messi uno per cantone, sbriciolando i rivali di Contador.

La morale? Il ciclismo è nato come sport ad eliminazione, di resistenza. La sua epica stava nell’ampiezza dei distacchi che dava l’idea di una grandiosa avventura. Il ciclismo è cambiato, s’é livellato. Per rendere dura una salita (ed epica una tappa) non basta il nome di richiamo: servono le cosiddette “lunghe cavalcate alpine”, successioni di scalate. Presentando invece tappe mono-salita, si rischia una spettacolarizzazione priva di contenuti tecnici. E questo il Giro d’Italia deve tenerlo a mente, nel disegnare le sue giornate campali.

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