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TRE BUONI MOTIVI PER...IL GIRO D'ITALIA, MA NON DEGLI ITALIANI

La rubrica quotidiana di Gabriele Bugada ci ha accompagnato lungo le tre settimane della corsa rosa. Ora che il Giro si è concluso da 48 ore andiamo ad analizzare i temi che più hanno affascinato dalla Sicilia a Milano, con un occhio di riguardo alle evoluzioni che la prova contro il tempo tra le vie del capoluogo lombardo ha offerto. E’ stato davvero un gran bel Giro?

di Gabriele BUGADA

Tre buoni motivi per.. la passerella milanese.

PRIMO PER L’INGEGNERE (E GLI INGLESI)
Il Giro delle ricompense e delle rivincite - giustamente mai strillate - prevede anche la prima vittoria di tappa al Giro per l’ingegner Pinotti, già ottimo nel 2006 a Pontedera ma in quell’occasione sorpassato dai due protagonisti principi di Operacion Puerto. Un ulteriore sigillo High Road, vuoi vedere che non avere lo sponsor fa bene alla salute? A brevissima distanza anche altri due protagonisti della stessa squadra, nonché della rampa di lancio per Cavendish: il pistard inglese Wiggins e il promettentissimo astro nascente Tony Martin. In mezzo il pronosticato Ignatiev che ormai ricaricate le batterie sta iniziando il lungo rodaggio per Pechino.
A proposito di britannici, ne troviamo quattro nei primi tredici, quasi un terzo dell’alta classifica: segnali di rilancio per un movimento restato a lungo in ombra (probabilmente il più flebile d’Europa); un rilancio che passa dall’esordio londinese del Tour, dalla pista e dai Mondiali di Manchester 2008. Sui 219 partenti solo sei erano "sudditi della Regina", ma tutti e sei sono arrivati in fondo a questo Giro tutt’altro che agevole: specialmente quel Cavendish che dimostra già di non essere pedissequo erede di McEwen.
L’accenno a Mark richiama un fuori tema, la doverosa quanto poco notata nota d’eccellenza per Bennati, settimo a soli 24". Tanto per chiarire che ci sono tanti modi per essere un eccezionale... "velocista". Tutto questo con le variabili del fantomatico cambio di vento, o più probabilmente della gestione più rilassata, fuori classifica, del lombardo "week-end di paura". Variabili sì, ma i pedali a 50km/h bisogna pur sempre farli girare!

SECONDO PER I DUE SECONDI
Strepitoso duello tra i due veneti Pellizotti e Bruseghin, conclusosi in quel margine di 2" che fan la differenza tra essere l’ultimo dei primi o il primo degli ultimi - per modo di dire, sia chiaro! Seconde linee d’eccezione in un Giro ricco di primattori, si sono tolti entrambi una soddisfazione importante "contro i secondi" nelle due cronoprove più significative della corsa rosa. Fino all’anno scorso confinati ad un ruolo difficile, sospeso tra quello di "primi gregari" o di "secondi capitani", con tanto di mal sopite rimostranze (da parte di Pellizotti per il sacrificio di Bergamo; nei confronti di Bruseghin per l’eccessiva tutela della sua classifica, costata il posto a Martinelli). Quest’anno si giocano le proprie carte al massimo, come da ascendenza zoologica il delfino con guizzi d’inventiva, l’asinello con perfezionista regolarità. Entrambi danno l’idea di poter dire qualcosa anche al Tour, in virtù di una struttura fisica più robusta dello "scalatore italiano standard": specialmente se Pellizotti dimostrasse di aver acquisito una maggior tenuta nelle tre settimane, e confermasse i grandi progressi a cronometro.

TERZO PER GLI STRANIERI
Contador re del Giro, vincitore internazionale di grandissimo prestigio, stronca le polemiche su meriti e demeriti con una mostruosa crono conclusiva in puro stile Discovery. Se l’undicesima piazza di giornata a 39" da Pinotti non sembrasse a tutta prima una performance stratosferica, gli occhi si aprono, anzi spalancano facendo un confronto incrociato che tenga in conto solamente chi sabato si trovasse nel gruppetto dei migliori: si scoprirà allora che Contador è il primo assoluto, e per trovare il secondo bisogna calare al 25.o posto dello specialista (anche se questo Giro fa sospettare che si sia "snaturato" in preparazione per curare la salita, strategia che già a molti fu fatale) Menchov, staccato di quasi un minuto, e a sua volta poco avanti a Bruseghin o Pellizotti. Tutti atleti che hanno corso al massimo dovendo recuperare posizioni in classifica. A denunciare nello spagnolo una capacità di tenuta e recupero che conosce pochi termini di confronto.
Certo, va detto che lui sabato ha corso sicuramente MOLTO più al risparmio dei suddetti, comunque anche il minuto e 53" inflitto a Riccò dà da pensare, visto che pure il modenese, frittura di nervi a parte, non si è bruciato troppo sulle ascese recenti. tutti si sono fatti ingannare dall’apparenza esteriore del madrileno (che in realtà viene da un minuscolo e perifericissimo paesello agricolo credo andaluso), considerandolo scalatore, scattista... mentre questi sono stati almeno qui i suoi punti "deboli"; è invece nella crono che Alberto ha vinto un Giro che se non lesinava montagne non risparmiava nemmeno i prove contro il tempo.
Di Menchov ho già avuto modo di parlare, la buonissima crono conclusiva va anche qui pesata alla luce di una tappa del Mortirolo in cui il russo, lungi dall’andare in difficoltà, si è dimostrato uno dei più sicuri sulle pendenze estreme e reiterate: confermando che il suo punto debole è l’immancabile "giornata nera" in cui gli tocchi incappare, giacché invece dal punto di vista del fondo è probabilmente tra i migliori in assoluto.
Una citazione conclusiva per la promessa Van den Broeck, brutta crono, certo, ma - grazie alla prestazione atroce di un Di Luca che crono dopo crono viene sempre più indiziato di essere il più lindo in questo Giro - riesce a valorizzare con un altro gradino di classifica il proprio coraggio nell’affrontare stoicamente tappe massacranti con uno strappo muscolare. Grande carattere, e speriamo che la Lotto coltivi sempre più l’attenzione per le corse a tappe spesso colpevolmente trascurata nel passato decennio.
Post scriptum per Karpets, discreta tappa del Mortirolo, più che discreta crono. Peccato per le ambasce iniziali perché il russo si conferma ottimo regolarista e fondista, non certo un capitano ma un gregario potenzialmente devastante in una gara di tre settimane. Un po’ come tutti quanti gli uomini della Caisse, però (almeno uno a far classifica ci sarebbe stato... forse il cascato Arroyo)!

Tre buoni motivi per... il Giro d’Italia, ma non degli italiani.

PRIMO PER GLI STRANIERI
Dejà-vu. Di loro abbiamo già tanto parlato a proposito della crono milanese, per paradosso e buon auspicio vinta dall’italiano Pinotti (sì, ma nei dieci ci sono solo lui e Bennati...): e non a caso si parla a braccetto di crono e stranieri, perché la crono resta il tallone d’Achille dei nostri corridori, sebbene qualche speranziella sbocci qui e là. Fa sorridere - per non piangere - rendersi conto che sono i corridori in prima persona ad appassionarsi alla disciplina, a volerla curare, pur circondati dallo scetticismo del comparto tecnico. Sarebbe come dire che gli alunni vogliono fare i noiosi compiti sul teorema di Pitagora, mentre la maestra li scoraggia... Visconti, Pinotti, Savoldelli, Bruseghin, tutti aiutati dall’esperienza in squadre estere. Potrebbe essere un suggerimento per Nibali, se Basso dovesse eclissarlo piuttosto che fargli da chioccia.
Ma stiamo parlando ancora di cronometro! Eh sì, perché in una grande corsa a tappe - come il Giro è e vuole essere - l’esercizio contro il tempo è essenziale, e qui rientriamo "a bomba": propensione alla crono, presenza della crono nel tracciato, presenza di stranieri stimolati e stimolanti alla partenza e nella classifica finale (e aggiungerei anche: competitività dei partecipanti italiani su uno scenario più allargato all’Europa) sono elementi di un sistema fortemente interconnesso. Senza eccessi in un senso o nell’altro, senza snaturare l’identità di una corsa che (al di là degli ultimi anni, la sciagurata era Armstrong che condiziona ancor oggi i giudizi di tanti commentatori) ha SEMPRE saputo attrarre la passione dei grandi campioni internazionali, e ha SEMPRE saputo offrire chance paritarie di vittoria ai più grimpeur tra i grimpeur come ai campioni delle lancette.
Viva l’Internazionale del ciclismo, allora, per rilanciare la visibilità mediatica della corsa - con i susseguenti introiti e le opportunità collegate -; ma anche per ampliare i terreni di sfida tra protagonisti il cui spessore tecnico si misuri e commisuri in scenari diversi, in condizioni diverse, premiando l’eccellenza di ciascuno nella propria specificità, l’eccellenza di qualcuno nella propria assoluta versatilità.

SECONDO PER LA "DIFFERANCE"
Scomodiamo Derrida per un Giro che - e pochi l’hanno sottolineato - ha saputo proporre un percorso quanto mai ricco, articolato e completo nell’assortimento dei tracciati.
Si è forse esagerato, perché quattro cronometro sono un po’ troppe, ma pare quasi che si sia voluto simbolicamente "ribadire il concetto" della varietà offrendo tutte le tipologie (o quasi) delle prove a cronometro: prologo breve, e a squadre; lunga crono mossa; cronoscalata; crono piatta. La cronoscalata è apparsa superflua, la cronosquadre accessoria. Ma la diversificazione stessa, adottata come scelta una tantum, è un valore.
Abbiamo visto anche un’eccezionale distribuzione della tipologia di tappe. Dopo essere stata invocata da tutti per anni la riduzione delle tappe piattissime "à la Cipollini", così come l’introduzione di tappe solo apparentemente facili ma ricche di dislivelli "occulti" dall’inizio alla fine: ecco che quest’anno l’auspicio si è realizzato, ma ben pochi se ne sono accorti - se non i corridori. Colpa della televisione che mostra solo gli ultimi 50km? Ci si riguardino i profili di Agrigento, Catanzaro, Contursi, Peschici, Tivoli (e Varese), possibilmente calcolatrice alla mano (escludo Pescocostanzo o Cesena considerandole "mezza montagna"). Si capirà anche come mai si è arrivati all’ultima settimana con le gambe e le squadre a pezzi, e come mai fosse tanto arduo controllare una corsa facile da tenere in pugno come l’acqua o la sabbia.
Quattro cronometro assortite come detto, cinque tappe (quasi!) assolutamente piatte, sei tappe assai mosse, due tappe di mezza montagna, quattro tappe di montagna. Complimenti.
Anche le tappe di montagna si sono distinte per variegata distribuzione delle salite: tra grandi cavalcate, salite estreme seguite da altre più pedalabili, accoppiate da uno-due nel finale, finali trappola... chi si occupa del rapporto tra tattica e percorsi (sempre alla luce dell’incrollabile precetto del "conta come si corre") ha potuto compiacersi di uno dei grandi giri in assoluto meglio disegnati dell’ultimo decennio. Basti fare il confronto col peraltro durissimo Giro 2006, che peccava gravemente di "monosalita in fase terminale"... Ricordiamo infatti che l’obiettivo di chi disegna il percorso NON DEVE essere assicurare grandi scatti o distacchi a tutti i costi - per quello basta una tappa alpina con tanto dislivello e un finale impegnativo ma che "non faccia troppa paura".
No, l’obiettivo dovrebbe essere - almeno a mio parere - fornire il terreno per interpretazioni creative che "aprano" la corsa, dare spazio ai diversi caratteri e alle diverse predisposizioni. Ai corridori poi il compito di attuare queste interpretazioni.
E allora non a caso ecco un Giro dalla classifica prestigiosissima e apertissima, con corridori particolarissimi per punti di forza o di cedimento a confrontarsi in un clima di grande incertezza e competizione, in un susseguirsi di successi e difficoltà.

TERZO PER I NERVI A FIOR DI PELLE
Fughe, lasciate o scappate, controllate o incontrollabili... a bizzeffe. Cadute a ripetizione. Strategie di squadra, controllo tattico e "mercato nero" mirato a spostare il pronosticatissimo ago della bilancia CSF (che come è abitudine di questi "aghi", nello sport come in politica, alla fine è andato dal lato del più forte e più... "amichevole").
Tappe nervose sull’altimetria, nervose sulla strada, nervose negli occhi degli avversari.
Traferimenti estenuanti (questi van ridotti!).
Classifiche decise per pochi secondi.
Sembra che solo i duelli tra velocisti, classico regno delle polemiche, siano (quasi) scampati a questo clima grazie ai "gentiluomini" che li hanno animati.
E poi... chi voleva tanto vincere la tappa e proprio non ce l’ha fatta, chi ha rotto la bici vicinissimo al successo.
Paura, tensione, rabbia, dedizione, frustrazione, coraggio, il carattere di Di Luca (che è praticamente una categoria a sé stante).
A proposito: sotto il diluvio orobico, quella che probabilmente è stata la tappa più bella - tra Giro e Tour! - degli ultimi cinque anni... Ma ammetto che sono campanilista.

Emozioni fortissime, seppur emozioni "sottili", che richiedono una sensibilità particolare per essere apprezzate: SENTIRE la corsa, seguirla con attenzione in tutte le sue fasi, vibrare al ritmo dei movimenti sotterranei che la scuotono. Emozioni da intenditori, per così dire: che non si lasciano gustare facilmente dal "tifoso" pro Tizio o Contrario, da chi guarda solo la salita finale, da chi vuole che vinca chiunque purché italiano (...o purché non-italiano), da chi è più interessato alla politica (doping, wild card, organizzatori: e mi ci metto un po’ pure io) che appassionato alle persone (cioè i corridori) o al ciclismo, nella sua specificità tecnica.
Un gran bel Giro, con dentro tutto ma non per tutti.
Ovvero non per tutti i palati degli spettatori, ma per "tutti" i campioni! Ed è questo che conta.

Gabriele Bugada

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