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L'APPROFONDIMENTO
PINO FARACA: STORIA DI UN CALABRESE IN MAGLIA BIANCA

Era il 1981 quando Pino Faraca, 22enne cosentino, conquistò la maglia bianca di miglior giovane sulle strade del Giro d’Italia. Oggi che la carovana rosa calcherà il suolo calabrese il nostro Mario Silvano ha raggiunto Faraca, diventato negli anni pittore di fama, per ripercorrere insieme a lui le tappe di una sfortunata carriera. L’intervista.

.: Nella foto (Fonte: www.dewielersite.net), Pino Faraca in azione.

di Mario SILVANO

Poteva essere il Bahamontes italiano. E non solo per una vaga rassomiglianza fisica con lo scalatore iberico, nei tratti del volto e in quei capelli neri come la liquirizia della sua terra.
Ma anche perchè Giuseppe Faraca in salita andava forte.
Lo aveva dimostrato sin da dilettante, ma è soprattutto per quella maglia bianca conquistata al Giro d’Italia del 1981 che è rimasto nella memoria di tanti. .
Una delle più belle rivelazioni di quella lontana edizione della Corsa Rosa, con un futuro assicurato da protagonista nelle corse a tappe: poteva essere l’inizio di un bel sogno e quella maglia bianca avrebbe potuto- un giorno- cambiare colore.
Talvolta, nella vita, i sogni muoiono all’alba e per Faraca, purtroppo, il sogno di una brillante carriera ciclistica è durato lo spazio di un mattino. Un tempo breve, dunque, ma più che sufficiente per fargli conquistare un posto nella storia del ciclismo e, cosa che più conta, nel cuore degli appassionati.

Pino Faraca è proprio come lo ricordavo da corridore: disponibile, gentile, modesto e nello stesso tempo determinato a raggiungere i suoi obiettivi, come sa essere la gente di Calabria.
Quella Calabria che ha avuto l’onore, nel 2005, di dare il via al Giro, con il prologo notturno sul più bel chilometro d’Italia - il lungomare di Reggio- e che anche quest’anno ospiterà una tappa, da Pizzo a Catanzaro.
E’ l’occasione di una chiacchierata con un campione che dal ciclismo ha ricevuto meno di quanto abbia dato I più giovani potrebbero chiedere: perché proprio Faraca e non Roberto Sgambelluri o Michele Coppolillo, solo per citare due corridori calabresi di epoca più recente?
Perchè Pino Faraca, cosentino, 49 anni ad agosto, ha una bella storia da raccontare .
Perchè siamo quasi coetanei e quel giorno di luglio lo aspettavo sulla Bocchetta per applaudirlo.
Perchè ha fatto un esordio col botto nel ciclismo che conta, dopo una carriera di tutto rispetto tra i dilettanti,con poco meno di cento vittorie all’attivo.
E che vittorie: tra le tante, il Giro della Campania a tappe e soprattutto, quella Bologna- Raticosa -la prestigiosa cronoscalata che aveva visto trionfare campioni quali Bartali, Massignan, Baronchelli- percorsa a tempo di record: un primato che è rimasto imbattuto per tanti anni, a dimostrazione del valore assoluto della prestazione.

Passa al professionismo con la Hooved- Bottecchia di Dino Zandegù: Mario Beccia è il capitano, ma Pino non è il tipo da sovvertire le gerarchie.
“Non ho trovato particolari difficoltà nel passaggio al professionismo” ricorda. “E’ pur vero che quello era un ciclismo molto controllato, con ruoli ben definiti, e non era facile mettersi in luce.
Un neoprofessionista, infatti, veniva tenuto d’occhio dai clan che contavano. Ma quando arrivavano le salite, saltavano le strategie: se andavi forte, non c’era verso che potessero controllarti”

E Faraca in salita andava forte. Nella quarta tappa , quella che arriva a Recanati, è con il gruppo dei migliori. Guidone Bontempi, che indossa la maglia bianca, arriva in ritardo e il ragazzo di Cosenza conquista il simbolo del primato nella categoria dei giovani .
“Quando sono partito per l’avventura del Giro”, confessa Pino a distanza di tanti anni “ neppure sapevo cosa fosse la maglia bianca!” La indossa solo due giorni per poi cederla , nella tappa di Rodi Garganico, al suo compagno di squadra Aliverti..
Ma è un interregno che dura pochi giorni perché, nella tappa di Cascia, Giuseppe la riconquista
“ Era la tappa del Terminillo, nella quale lo squadrone della Bianchi Piaggio lanciò il suo attacco. Io cercai di resistere al ritmo impresso da Prim, Contini e Baronchelli, poi fui costretto a cedere . Restai con Saronni, che era maglia rosa, e arrivai con un minuto di ritardo dal Tista, che si aggiudicò il successo.”
La terrà fino in fondo, quella maglia, e all’Arena di Verona, nel giorno del trionfo di Battaglin, c’è gloria anche per il ragazzo calabrese.
E ‘ stata una delle più belle sorprese del Giro, insieme a Moreno Argentin e Benedetto Patellaro
(“era mio compagno di squadra da dilettante”, ricorda) e i critici sono concordi : Faraca è il miglior giovane scalatore italiano. Con un po’ più di coraggio e meno sfortuna (la caduta nella tappa di Borno, ad esempio) poteva anche fare meglio, ma l’undicesimo posto finale in classifica generale è un risultato che deve essere visto in modo positivo. Arriva davanti a Beccia, il suo capitano, e Dino Zandegù è giustamente orgoglioso.

Poi, quando la carriera sembra proiettata verso traguardi ancora più prestigiosi, tutto si spezza al Giro dell’Appennino, in una domenica assolata di fine luglio.
Non ne parla volentieri, Pino, e lo si comprende.
“Di quel Giro dell’Appennino non ricordo praticamente nulla, è come se l’avessi cancellato dalla memoria. Ricordo solo mia madre, quando mi risvegliai dal coma”.
Un sonno durato una settimana a causa di un trauma cranico: una caduta al rifornimento di Gavi che fa temere il peggio.
Svaniscono anche i sogni di una maglia azzurra: Alfredo Martini, uno che di ciclismo se ne intende, aveva annotato il nome di Pino sul suo taccuino e c’era anche lui, quel giorno, ad aspettarlo sulla Bocchetta.
Perché Faraca andava forte, in salita, ma quel giorno non riuscì a dimostrarlo
Non è facile recuperare , dopo una simile esperienza, ma Pino ci prova, con coraggio e determinazione: si presenta i alla partenza del Giro dell’82, ma stavolta non avrà fortuna, così come l’anno successivo.
“Quando mi stavo riprendendo ho avuto altri incidenti, altre disavventure, che non mi hanno consentito di ritornare ai livelli dell’81.”
La carriera ciclistica dello scalatore cosentino si chiude nell’86 , ma se ne apre un’altra per Giuseppe Faraca: questa sì duratura e ricca di soddisfazioni e riconoscimenti.

“Sin da piccolo ho sempre avuto la passione per il disegno: è un dono di natura che ho sempre posseduto. Mi sono diplomato al Liceo Artistico e già dipingevo quando facevo il corridore”.
Carriera prestigiosa , quella del Maestro Faraca, artista di fama: ha uno studio e una galleria d’arte nel centro storico di Cosenza e le sue tele sono ben conosciute dagli intenditori
Sono figure stilizzate gli splendidi nudi femminili, e ci sono i colori della sua terra in tanti soggetti.
E c’è il mondo nel ciclismo, rappresentato con richiami al Futurismo. Quei corridori raffigurati in fuga,in volata, in salita o in discesa regalano emozioni, come quel quadro sul Giro d’Italia, che ogni appassionato vorrebbe avere in casa.

Ma qual è, oggi, il rapporto di Pino Faraca con il ciclismo?
“In verità non seguo con troppa assiduità il ciclismo. Le vicende di questi ultimi anni rischiano di intiepidire gli entusiasmi degli appassionati. Nasce un campione, poi arrivano i sospetti sulle sue prestazioni: un ciclismo molto diverso da quello che ho vissuto io…Certo che una Sanremo o una Roubaix, le grandi classiche insomma, non me le perdo”.
E neppure ha appeso la bicicletta al chiodo: “Lo scorso anno ho fatto quasi per intero la stagione da amatori con mio fratello Mario. Però mi manca il tempo: e non solo perché devo seguire le mie attività, ma anche perchè non voglio sottrarre troppo tempo alla famiglia”.
Ha due figli, Pino, uno dei quali compirà diciott’anni tra pochi giorni e che riceverà un regalo davvero speciale, una sorpresa d’artista.

Gli impegni (Faraca ha anche un negozio di biciclette) non gli impediranno, tuttavia, di essere presente sul tracciato della tappa calabrese. E come potrebbe, d’altronde, mancare all’appuntamento proprio lui che, in un recente sondaggio promosso da un quotidiano regionale, si è piazzato al quarto posto dopo San Francesco di Paola, Mia Martini e Raf Vallone nella classifica dei volti più rappresentativi della Calabria?
“Ci sarò senz’altro” dice Pino. “Non conosco nei dettagli il percorso ma è facile prevedere una fuga. Le tappe del Sud, infatti, sono sempre insidiose. Anche se non presentano salite che raggiungono altitudini significative, sono le nostre strade a fare la differenza. Strade con tante curve, che riportano alla mente un ciclismo antico. Per questo le tappe del Sud sono state spesso caratterizzate da fughe e penso che anche la tappa di quest’anno potrebbe offrire lo spunto per qualche tentativo “

Gli chiedo come mai la sua regione abbia dato così pochi corridori al professionismo.
“Ci sono molti cicloamatori in Calabria, ma il ciclismo non decolla E’ storia vecchia: servono molti soldi, le trasferte costano. Io stesso, da dilettante, ho corso in una squadra del Nord, la Passerini. La mancanza di industrie locali e di sponsor che si gettino in quest’impresa non favorisce certamente lo sviluppo del ciclismo a un certo livello”.

Lo lascio al suo lavoro, non prima di avergli confessato il rapporto speciale che mi lega alla sua terra (che è anche quella di mia moglie), i ricordi legati a momenti di vacanza a Tiriolo e, lo scorso anno, a Capo Vaticano.
E Pino ricambia simpaticamente con un apprezzamento per la Liguria, ricordando i periodi trascorsi – da dilettante- sulla Riviera di Ponente
Ci salutiamo dandoci appuntamento a Cosenza, il prossimo settembre, ma un’ ultima cosa gliela voglio chiedere, ora che abbiamo rotto il ghiaccio.
Scusa Pino, ma tu che musica sentivi, in quei primi anni 80? “Quando correvo” dice “ascoltavo soprattutto musica italiana: Tozzi, Baglioni e, in genere, i cantautori che andavano per la maggiore in quel periodo”.
Avevo visto giusto: in quella primavera dell’81, quando scendeva dalla bici, era proprio un ragazzo come me, Pino Faraca.
Poi, in quei mille mattini freschi di bicicletta (lo ricordi, Baglioni?) stringeva i fermapiedi e partiva per un’altra tappa, e lo aspettavano il Furcia e le Tre Cime di Lavaredo.

Che non lo spaventavano - sia chiaro- perché Giuseppe Faraca andava forte, in salita.

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