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CAVENDISH, HAUSSLER
E ZABEL: LE STORIE
DELLA 100° SANREMO

All’arrivo, Erik Zabel piange. No, il cinematografo non proietta, sullo schermo di quell’affresco popolare che è la Sanremo, il remake della sua prima vittoria in via Roma, nemmeno quello, meno gioioso, della beffa subita al colpo di reni da Freire nel 2004. No, Erik Zabel piange oggi, primo giorno di primavera del 2009; oggi, primo giorno dell’era di Mark Cavendish. Di Federico Petroni.

.: nella foto Bettini, Mark Cavendish sul podio della Milano - Sanremo.

All'arrivo, Erik Zabel piange. No, il cinematografo non proietta, sullo schermo di quell'affresco popolare che è la Sanremo, il remake della sua prima vittoria in via Roma, nemmeno quello, meno gioioso, della beffa subita al colpo di reni da Freire nel 2004. No, Erik Zabel piange oggi, primo giorno di primavera del 2009; oggi, primo giorno dell'era di Mark Cavendish. "È incredibile: Mark ha fatto qualcosa di davvero grande e quando l'ho visto esultare, una volta tagliato il traguardo, mi sono emozionato". Il tedesco apre i rubinetti per il cucciolo di campione da questo inverno sotto la sua ala, accantonato il progetto che aveva per Gerald Ciolek, ex compagno del stesso Cavendish. "Ci siamo allenati insieme, ho cercato di insegnargli i trucchi del mestiere, ho cercato di trasmettergli tutta l'esperienza che ho accumulato". Zabel, detto "Herr Sanremo", è il plurivittorioso dell'ultimo quarto di secolo, con quattro successi a cavallo tra '97 e 2001: non fosse stato per la zampata di Tchmil nel '99, deterrebbe il record di cinque trionfi filati. Quando si dice un buon maestro?

Appesa la bici al chiodo, la nuova professione di chioccia di Zabel è stata facilitata dalla predisposizione dell'allievo: Mark Cavendish, velocista sui generis. Scordatevi il fisico michelangiolesco di Cipollini o l'erculea possanza di Boonen: il britannico è poco più di un Hobbit, dotato però di un'esplosività fenomenale già a 23 anni superiore di quella del suo epigono, Robbie McEwen. Cavendish ha sempre bruciato le tappe. Da quando Bob Stapleton che, ancora teenager, lo lanciò nel mondo dei grandi alla T-Mobile sono passati tre inverni; da quando, sgraziato e irruente, zampettava in coda al gruppo ogni volta che la strada s'impennava e sgomitava senza successo nei mucchi selvaggi delle volate del Tour 2007, sono trascorse due estati; da quando, messo alla prova al Giro, lasciò di bronzo pure di fusti di Riace al Lido di Catanzaro, non ha festeggiato più di un compleanno.

Era, evidentemente, una questione di misure. Quattro tappe alla Grande Boucle 2008 e l'elettrizzante vittoria alla Milano-Sanremo, e l'orchidea s'è palesata in tutta la sua bellezza, in un misto di velocità, scaltrezza, colpo d'occhio. E fondo. Nonostante non appartenga a quella categoria di velocista-diesel che necessita di essere lanciato ad alte velocità, il suo Team Columbia si sta attrezzando per fornirlo di vagoni superlativi, la cui giovane età fa pensare ad un dominio ipotecato per i prossimi cinque anni. Se non bastasse, ha pure uno stile inconfondibile, tutto raccolto sul mezzo, la schiena quasi incassata dalla potenza sprigionata, i denti digrignati alla Christopher Lee, versione "Dracula colpisce ancora". Palla di cannone, lo chiamano, e la velocità la reca inscritta nel DNA: viene dall'Isola di Man, luogo natale dell'asso del volante Nigel Mansell. Ora, però, risiede in Toscana, ad un tiro di schioppo dal cittì della sua nazionale, l'italo-britannico Max Sciandri. Adora girare in Vespa: con quella, almeno, va più piano.

A cinque metri dall'orgia di gioia di Cavendish e dei suoi, si consuma il dramma sportivo di Heinrich Haussler, accasciato a terra in un misto di bile e acido lattico. Ha perso per pochi millimetri. Il portacolori (colore, pardon, la maglia è tutta nera) della Cervelo non sarebbe stato un carneade: è giovane, classe '85, già 12 vittorie, una bomba ad orologeria destinata ad esplodere, come testimonia il fatto che ancora non abbia preso le misure con il suo talento. Oltre a non sapersi classificare, velocista o scattista, infatti, lo zelo del gran lavoratore lo portò, alla vigilia del Tour del 2007, ad esagerare con i carichi d'allenamento, arrivando in Francia già cotto. Nome, licenza e residenza (Cottbus) lo dipingerebbero teutonico ma la zazzera da surfista e uno spiccato accento "aussie" lo svelano essere australiano. Padre tedesco, nato nel Nuovo Galles del Sud, a 14 anni Heinrich è emigrato per inseguire il sogno del professionismo. Ora, rifiuta la convocazione con la Germania per inseguire il sogno di difendere i colori australiani nel mondiale di casa, quello di Melbourne 2010.

Oggi, invece, s'è fatto inseguire dall'incubo Cavendish. Imprevedibile come una pennellata di Pollock, la sua rasoiata ai 200m era perfetta, istintivamente calcolata, identica a quella con cui aveva divorato la prima tappa della Parigi-Nizza; peccato abbia scoperchiato il vaso di Pandora del talento di Cavendish. O forse no, meglio così, almeno la centesima edizione della Classicissima si è regalata un sussulto e ha tratteggiato le storie di questi pulzelli rampanti del pedale, dopo quasi sette ore soporifere. Questo è, d'altronde, il Dark Side di un corsa aperta e incerta, stuzzicante e alla portata di tutti, basta che si abbiano gambe e coraggio, non un'inaccessibile principessa per la quale ci si mette il cuore in pace ma una Carmen, magari non bellissima ma dotata di uno charme irresistibile.

Federico Petroni

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