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IMOLA, IN BICI SUL PERCORSO CON MAZZANTI

Il nostro Federico Petroni è andato in ricognizione a Imola sul circuito dei Tre Monti, teatro del gran finale della vivace Settimana Tricolore organizzata dall’Unione Sportiva Imolese. Fa gli onori di casa un bolognese doc come Luca Mazzanti, 35enne della Katusha, che gentilmente si presta ad una sgambata non lontano da dove abita (Farneto, val di Zena, 30km da qua) per rinfrescare la memoria sui punti chiave del tracciato.

:nella foto, l’autodromo di Imola


“È talmente nervoso, il percorso, che allora mi confezionai panini in formato bignè, altrimenti non avrei avuto modo di rifocillarmi”. La voce è di Vittorio Adorni, l’”allora” ha una precisa data: 1 settembre 1968: il trionfo al mondiale di Imola, sullo stesso percorso che i professionisti solcheranno domani. Neanche il tempo di regolare il contachilometri, infatti, e già la strada sale. Alla curva della Tosa, le pendenze subito si fanno aspre, fetenti. C’è la chicane delle Acque Minerali: ancora salita. Si saluta l’Autodromo e, anticipata da un rettilineo lungo come un requiem, la strada verso i colli sale subito decisa. La prima caratteristica a balzare agli occhi del circuito dei Tre Monti che oggi assegnerà la maglia tricolore è la successione senza respiro di strappi.

“In totale sono sei, alcuni molto brevi ma due li abbiamo già passati”, anticipa il pimpante Mazzanti, intuendo la mia faccia già provata. Già, perché dopo il locale “La Vie en Rose”, è subito tempo di annotarsi la pendenza massima, intorno al 12-13%. Lo strappo è di quelli mortiferi, che toglie il fiato. “Ma in gara – rassicura Mazzanti – verrà spianato con il 23, a meno che nei primi giri non si salvi la gamba con il 25 ma dubito fortemente”. E intanto la strada sale, inerpicandosi tra qualche bella villa e appena intuibile tra le già foltissime scritte sull’asfalto. In totale, la prima ascesa misura poco più di mille metri ed è divisa in due impennate, l’ultima delle quali piuttosto veloce.

Ecco poi aprirsi un comodo falsopiano di circa 2km, ora a scendere, ora a salire. Quando il morso dell’erta fornisce una tregua, le parole tornano a scorrere. Mazzanti è deciso. “Questo è un tratto interlocutorio, a ruota si sta bene e chiudere su un eventuale scatto è piuttosto semplice. In più dobbiamo tenere conto che certe squadre porteranno più italiani possibile: la Lampre ha già annunciato che correranno in venti, quelli della Liquigas saranno in diciotto”. Per la serie, casseforti blindate. La pedalata, comunque, offre piacevoli scorci, a cominciare dalla “turrita” Dozza, uno dei “borghi belli d’Italia” o dalle colline su cui sono abbarbicati i solidi vitigni da cui sgorgano Sangiovese e Merlot.

Amene divagazioni divelte dall’onda d’asfalto che ci sovrasta. Non sarà il punto più ripido del percorso ma l’ultima ascensione del circuito è “quella dove si deve fare la differenza”, come ammicca Mazzanti. Mani basse sul manubrio e via, divorare d’un sol boccone uno strappo di circa 300m al 7%, seguito da un breve interludio prima dell’impennata conclusiva, 300m con punte al 10%, per un totale di 1000m scarsi di salita. Qui in cima, una curva a sinistra che distoglie dalla voglia di tuffarsi verso la Romagna, è custodito un aneddoto sacro della storia del ciclismo. Qui in cima, Adorni partì a 230km dal traguardo di quel torrido mondiale. Ma l’idea non fu sua. Al folle volo lo spinsero gli occhi felini di Von Looy che quasi lo sfidò, senza fiatare, solo guardandolo nelle pupille. La trappola a Merckx era scattata. Il cannibale non avrebbe più rivisto Adorni prima del traguardo.

Mazzanti mi sveglia da queste considerazioni. “Carino, no?”, scherza sulla “bellezza” dello strappo, per poi farsi serio: “Questo è il punto decisivo. Se si vuole arrivare da soli bisogna prenderlo di petto, tutto d’un fiato e averne ancora per rilanciare in discesa. Ma sarà dura. Le salite sono brevi, al traguardo mancano ancora 7.5km”. E vediamole, allora, queste battute finali. “Bisogna sempre spingere”, grida Mazzanti, le cui parole si disperdono nel vento della picchiata. E ha ragione, ci sono pure due brevi contropendenze e, esclusa una esse tecnica appena scollinati i 250m dei Tre Monti, la planata verso l’Autodromo non presenta grosse difficoltà. Per scappare servono le gambe.

Una piccola trappola c’è, a dire il vero. A meno 3km la strada spiana per poi tuffarsi di nuovo per 500m, nei quali si trova la flamme rouge. Solo gli ultimi 300m la strada è piatta. “Il circuito non è dei più duri, arriveranno in una quindicina – pronostica Mazzanti – ma chi avesse gambe e coraggio potrebbe sfruttare questo tratto per avvantaggiarsi: chiudere sarebbe complicato”. L’impressione è che solo un carneade, però, possa sfuggire alle maglie dei migliori. “Vero ma, sinceramente, spero che a vincere sia un corridore degno: il tricolore deve essere indossato dai migliori”. Che magari è lui, Mazzanti stesso. “Chissà – sbuffa il bolognese alzando gli occhi al cielo. La gamba non manca ma penso di lavorare per Pozzato. L’ho accompagnato a visionare il percorso e ne è rimasto impressionato per la durezza. Sarà che conosco a memoria queste strade ma non mi ha fatto la stessa impressione”.

Ma come, un circuito di 15.3km con più di 200m di dislivello da ripetere 11 volte, 260km totali e quasi 3000m di dislivello in un fine settimana di giugno non è duro? “Duro è duro ma sappiamo come vanno a finire i campionati italiani: ranghi compatti fino all’ultimo giro. In ogni caso, vincerà un fondista”. A proposito, pronostici? “Vedo bene Cunego. Ha corso un ottimo Giro di Svizzera che è stato molto duro, nonostante i commentatori lo bollassero come facile. Parola mia: là si andava a ritmi indiavolati. Altri nomi: Nibali mi sta convincendo, nonostante non sia veloce e debba sempre inventarsi qualcosa, poi il pimpante Bertagnolli e il rampante Pellizotti”.

Insomma, il bilancio è d’un circuito sì asfissiante per ritmo e successione di salite ma la condotta di gara e la lunga discesa pedalabile potrebbero serrare i ranghi e riservare, perché no, la classica sorpresa.

Federico Petroni

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