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CRONO TRICOLORE 2009: COSÌ PICCOLA CHE NON SI VEDE

Poker tricolore per l’ingegnere bergamasco, e nuova coccarda da appuntare nel palmares stagionale, strabordante fino al barocco, di un Team Columbia bulimico. Sconcerta però nel panorama italiano il tasso tecnico sempre più modesto del settore, con l’aggravante del disinteresse dei media, perfino di quelli specializzati. Noemi Cantele domina la prova femminile che viveva essenzialmente della sfida tra la varesina e Tatiana Guderzo.

:nella foto Bettini, Pinotti fasciato dalla sua quarta maglia tricolore di specialità

di Gabriele Bugada

Basso non c’è, rinuncia ad un appuntamento fissato da tempo con se stesso ma perfino con il movimento tutto, perché vedere un atleta di punta lottare per un titolo italiano a cronometro sarebbe stata una piacevole novità, uno stimolo per una disciplina essenziale ma avviata nei nostri confini ad una crisi ormai quasi trentennale.
La defezione è più che giustificata per i problemi gastrici di una certa importanza che hanno estromesso Basso già da quel Delfinato che avrebbe voluto correre da protagonista, tuttavia l’esito di questo abbandono sulla lista degli iscritti non è anch’esso giustificato né giustificabile, per quanto sia ormai consueto per gli sconsolati appassionati: ci troviamo di fronte una sfida tra robusti gregari di qualità o giovani vagamente promettenti, addirittura “specialisti” di questa singola competizione (il campionato italiano a crono!), a fronte dell’assenteismo totale di chi nelle gare si fregia invece del titolo di capitano.
Eppure Visconti o Nibali, che dimostrano una certa affinità elettiva e un gusto personale nei confronti delle lancette, avrebbero ben potuto cimentarsi.

Non aiuta sicuramente l’atteggiamento indisponente dei mezzi di comunicazione: la RAI non programma l’evento neppure nei propri canali digitali specializzati nello sport (!), concedendo solo una finestra durante una trasmissione come “Uno mattina”; la Gazzetta.it non andrà oltre un micragnoso servizio di poche righe senza richiami in prima pagina, ridotto a cronaca spicciola e condito da un’ipocrita dicitura “segue servizio completo” che rimane tale a oltre cinque ore dalla conclusione della gara. È chiaro che a fronte di un ritorno di immagine pressoché nullo le squadre non si sentono di incentivare i propri atleti a preparare un appuntamento così specifico.
Tutto ciò nonostante la scelta promettente dell’organizzazione che ha spostato quasi tutte le prove contro il tempo nel giorno inaugurale, il quale essendo un sabato avrebbe garantito anche una discreta presenza di pubblico sia sul percorso (affascinante conclusione con uno o più giri dell’autodromo imolese) sia, eventualmente, sui canali televisivi.
Scorrendo il programma della Settimana tutta colpisce favorevolmente l’impegno degli organizzatori nel proporre una dimensione di vero e proprio “evento”, con musica dal vivo, cene, proiezioni e soprattutto la bella iniziativa della pedalata tricolore, che porta in bicicletta la gente comune sulle strade dei campioni, in una riscoperta del “mezzo ciclistico” come tale che, quando avesse successo, andrebbe a costituire l’humus fondamentale – sul quale impiantare poi necessariamente il bagaglio tecnico – per la crescita del movimento sportivo; l’Italia che si infiammava per il ciclismo epico era un’Italia che ogni giorno… pedalava.
È in queste occasioni – fondate sulla partecipazione, sulla presenza reale, sull’esperienza vissuta – che deve riporre ormai le proprie speranze la passione ciclistica, per contrastare con la propria vitalità inesauribile tutta una serie di spinte istituzionali, fatte di cattiva volontà o cattiva coscienza, che sembrano congiurare per marginalizzare uno sport invece così centrale per la nostra cultura. Auguriamo quindi i migliori auspici per Virgilio Rossi, che a capo di questa organizzazione vorrebbe questa settimana fare le prove generali di un possibile Mondiale su queste stesse strade. Suggeriremo tra qualche riga di modificare proprio il percorso della crono, mentre gli oltre 3000m di dislivello su 260km della prova in linea appaiono già all’altezza (sarà da fare 11 volte la salita verso Pediano, comprendente due strappi di circa un km l’uno intorno all’8%, separati da 1500m di falsopiano).

Quello che capita al ciclismo tutto nel confronto con altri sport (che poi sono sempre e solo il solito calcio, i soliti motori) e tuttavia quanto si replica in scala, a mo’ di matrioska, nel ciclismo italiano contro la cronometro.
Come anticipato, la sfida si riduce a un confronto, anche piuttosto scontato, tra i soliti noti, in una monotonia che denuncia davvero basso livello tecnico: con tutto il rispetto e la simpatia per Pinotti, lodevole anche per la sua affezione all’appuntamento, considerare che il bergamasco vada a podio da sei anni consecutivi e vinca da tre in fila (quattro vittorie in tutto) rattrista un po’ nel commisurare poi la statura del bravo corridore sullo scenario internazionale.
Con la caduta in un fosso di Bruseghin a 12km dalla fine, il duello è tutto tra l’ingegnere e un Bosisio uscito in ottimo spolvero dal Giro (meno di 20” il suo distacco finale), giacché l’altro nome per così dire “di spicco”, cioè Quinziato, sembra davvero appannato, con il motore definitivamente ingolfato dalla corsa rosa dopo una primavera su alti regimi.
Per il resto in classifica – con distacchi oltre il minuto – si segnala il rinnovato terzo posto di Maurizio Biondo, evidentemente affezionatosi a questo bronzo dopo il 2008, e un’infinita serie di “enfants du pays” ovvero corridori legati all’area geografica per origine personale o per motivi di squadra: questo non è un demerito per loro, ovviamente, ma dichiara molto chiaramente quanto ridotte siano ormai le motivazioni che portano i corridori italiani ai cancelletti di partenza di questa gara. Scorrendo la prima metà del risicato ordine di arrivo (23 classificati in tutto!) troviamo Montaguti, Celli, Amerighi, Marangoni… sono tutti di queste parti, come della zona è la CSF Navigare, squadra più rappresentata al via.
L’unica nota positiva può essere riconosciuta nella volonterosa presenza di qualche atleta molto giovane e già capace di fare benino nelle classiche del pavé, germogli spuntati in una pietraia per dare speranza al settore più arido del nostro movimento nazionale: Rivera o Dall’Antonia, per esempio, ma anche – nonostante un risultato non incoraggiante – Capelli.

Nel pomeriggio il tedesco Tony Martin (Team Columbia, che altro?), venuto dalla pista e da una fenomenale consuetudine con la cronometro, è andato a vincere uno dei più impegnativi arrivi in salita al Giro di Svizzera: questi sono naturalmente eccessi – e fors’anche parecchio inquietanti – come anche quelli altrettanto elvetici di un pur tornito e motivato Cancellara.
Nondimeno è importante citarli per dimostrare come l’attitudine per il cronometro non sia un fastidioso handicap, una pesante zavorra o una perdita di tempo, come sembra essere sotto il tricolore, quanto una disciplina essenziale che può contribuire a formare corridori polivalenti, in grado di esprimersi in forme e terreni differenziati. Senza di essa il movimento sarà destinato a prolungare il periodo di vacche magre che lo attanaglia in termini di classiche del pavé, vittorie di tappa al Tour e trionfi nelle piccole e medie corse a tappe; senza parlare di quelle grandi, di corse a tappe, che nell’appiattirsi altimetricamente sottraggono sempre più spazio in classifica agli scalatori puri, seppure di qualità.
Disegnare un campionato nazionale di soli 32km, con un’altimetria in cui il circuito di Formula 1 era sede delle principali asperità (300m al 6%, e un paio di falsipiani…), non aiuta molto in questo senso, per quanto forse sia ormai una tendenza generale quella di disegnare percorsi facili per attrarre partecipanti. A volte funziona, come al Giro Centenario, altre volte non è necessario, come al Delfinato, ma quando si disegna un tracciato banale eppure esso non richiama, come è accaduto qui, il risultato è davvero il più deprimente!

Questo dato è ancor più incredibile se si pensa invece che la prova femminile non è stata troppo più breve, con soli 8km in meno.
Anche qui, però, c’è poco di che gioire, se non della grande classe di Noemi Cantele. La varesina non è propriamente una specialista di cronometro, però, quindi il pesante distacco subito dalle teoricamente più adatte Guderzo e Valsecchi – che completano il podio a 1’10” e 1’38” – non è esattamente una buona notizia, anche perché dalla Baccaille in giù i distacchi esplodono superando e doppiando rapidamente i due minuti.

Più incoraggiante, allora, rivolgere lo sguardo sugli juniores maschili (gli under 23 sono rimasti per il martedì), dove Orsani e Dal Col lottano per finire in quest’ordine con soli 8” di differenza, come non lontano è il terzo, Ravaioli. In generale è promettente una classifica che vede ben 12 atleti entro il minuto e addirittura 30 entro i due minuti, su quasi 50 partenti (e questa è la notizia migliore): volendo escludere per ottimismo una diffusa incapacità naturale, se ne deve dedurre che il potenziale da arricchire tecnicamente non manca affatto, e si tratta quindi di non lasciare per anni e anni che l’orologio ticchetti invano.

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