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ENZO MOSER, IL RICORDO DI ILCICLISMO.IT

Nel giorno dei funerali di Enzo Moser, fratello secondogenito della dinastia del ciclismo, Mario Silvano apre per noi lo scrigno dei ricordi per tratteggiarne. Ciclista negli anni ’60, due giorni in maglia rosa, poi diesse di Francesco, ne divenne guida morale e supporto familiare. Il ricordo de Il Ciclismo.it

Era già successo a Silvano Schiavon, tanti anni fa. Un incidente mortale col trattore, mentre lavorava la terra.

Se n’è andato in questo modo tragico Enzo Moser: più giovane di Aldo, il capostipite; più anziano di Diego e di Francesco (il Campione di famiglia), ma anch’egli con la bicicletta nel cuore.

Se Aldo e Francesco sono stati esempi di longevità sportiva (vent’anni di professionismo per il primo, poco meno per Francesco) Enzo ha vissuto solo alcune stagioni da corridore nel ciclismo dei grandi.

Come Enzo, d’altronde, ma a differenza di quest’ultimo ha saputo ritagliarsi brevi momenti di notorietà e, soprattutto, ha intrecciato la sua vita con quella dei fratelli, stando al loro fianco, quale D.S., in momenti delicati delle loro carriere e contribuendo in maniera decisiva – in particolare con Francesco - al raggiungimento di prestigiosi traguardi..

Nato nel 1940, coglie importanti successi nella categorie giovanili e, quando passa al professionismo, nel 1962, ci sono aspettative sul suo conto.

Aldo ha già vinto parecchie corse: due Baracchi, un Gran Premio delle Nazioni battendo addirittura Riviere, ha indossato la maglia rosa al Giro del 58.

E’ uno stimolo la sfida con il fratello maggiore e quando lo batte al Giro del Trentino, nella stagione d’esordio, pensa che la sua carriera potrebbe essere anche più ricca di successi.

Resterà invece l’unico acuto di quell’anno, vissuto con la maglia della San Pellegrino, ma Enzo non demorde.

All’esordio al Giro d’Italia, l’anno successivo, vuole mettersi in mostra..

Ancora alla San Pellegrino, sceglie di continuare la Corsa Rosa quando la sua squadra -nella quale corre Marino Fontana, campione italiano riconosciuto dalla lega del professionismo- decide di ritirarsi per protestare contro la decisone del Coni, che assegna la maglia tricolore a Mealli, campione tricolore riconosciuto dalla Federazione.

Alla fine di una querelle che ha tenuto banco nei primi giorni di gara, Moser e Giorgio Zancanaro decidono di proseguire la corsa: indosseranno una maglia nera, con la scritta “Sport”.

E si fanno onore: Zancanaro, vincitore a La Spezia, è addirittura terzo in classifica alla vigilia del tappone dolomitico, distanziato di soli 56 secondi dalla maglia rosa Adorni.

Moser, fuori classifica, proverà ad aiutarlo nella tappa che si corre nella sua terra.

Da Belluno a Moena, 194 chilometri con cinque colli da scalare (Duran, Staulanza, Rolle, Valles e San Pellegrino) si scatena Taccone.

Qualcuno prova a stare con lui: c’è anche Enzo tra quelli e aspetta che Zancanaro si faccia sotto.

Ma non è giornata per l’alessandrino e Moser, sull’ultima ascesa di giornata, si ritrova alle spalle di Vito, ormai lanciato verso il successo.

Balmamion supera il trentino, ma in discesa fora. Enzo ritorna alla carica e all’arrivo precede il futuro vincitore del Giro, aggiudicandosi la piazza d’onore al termine di quella cavalcata dolomitica.

Una gran bella soddisfazione, colta proprio davanti alla sua gente. Se la vittoria al Trofeo De Gasperi (quand’era ancora tra i dilettanti) aveva entusiasmato, il secondo posto conquistato a Moena pare una consacrazione per il ragazzo di Palù di Giovo.

L’anno successivo, passato alla Lygie, affronta il Giro insieme al fratello Aldo.

Nella seconda tappa si trova nella fuga buona . Sul traguardo di Brescia è quarto e in classifica generale occupa addirittura il posto d’onore, in compagnia di Chiappano e Brugnani, a soli tre secondi da Michele Dancelli.

Si può sognare la maglia Rosa? L’ha indossata Aldo, qualche anno prima, perché non provarci?

Il giorno dopo, nella tappa con arrivo a San Pellegrino, Enzo è ancora là davanti, con gli attaccanti di giornata. E’ una tappa dura, ed i migliori sono distanziati, tenuti a bada da Aldo che è in compagnia di Dancelli, di Anquetil e di Zilioli.

Con Bitossi c’è poco da fare, all’arrivo, ma il sesto posto sul traguardo gli consente di indossare la maglia rosa. Un altro Moser conquista il simbolo del primato, e lo conserverà anche il giorno successivo: mamma Cecilia può essere orgogliosa del suo ragazzo!

Poi, nella crono da Parma a Busseto, Anquetil ristabilisce le gerarchie, ma quei 50 chilometri percorsi in Rosa tra gli applausi dei tifosi gli fanno venire la pelle d’oca.

Non andrà alla deriva, il trentino. Resterà terzo in classifica sino a metà Giro e solo dopo l’arrivo di Roccaraso uscirà dai primi dieci posti della “generale”.
Ha un sussulto d’orgoglio nella Cuneo–Pinerolo. All’inseguimento di Franco Bitossi, che si aggiudica la tappa che fu di Coppi, c’è il gruppetto dei Grandi: Adorni, Motta, Zilioli, Anquetil, De Rosso. Con loro c’è Enzo Moser, e il settimo posto finale è un premio alla sua tenacia.

Alla fine sarà ventiduesimo, ma quei due giorni in Rosa resteranno il momento più esaltante della sua breve carriera.

Nel 65 sarà ancora al Giro e ancora una volta insieme ad Aldo.

Non ci saranno particolari occasioni per mettersi in evidenza, ma il giorno dell’arrivo sullo Stelvio c’è anche lui nel gruppetto della maglia rosa Adorni e a fine stagione è tra gli attaccanti di giornata al Lombardia.

Le statistiche ci dicono che per altri due anni Enzo Moser farà parte della Vittadello, ma in realtà sarà il solo Aldo che in quelle stagioni difenderà il nome dei Moser sulle strade.

E’ un tipo tranquillo, Enzo: ha assaporato il grande ciclismo ma preferisce ritornare in famiglia. Il papà è morto da pochi anni e i campi hanno bisogno di braccia.

Ma è una famiglia, quella dei Moser, nella quale il fascino del ciclismo è contagioso .

Ha cominciato Aldo, che portava tutti i giorni in salita una gerla di pane da Lavis fino a Palù. Poi Enzo, Diego e adesso anche Francesco (che la mamma voleva frate) ha cominciato a pedalare.

No, non è possibile restare lontani dall’ambiente delle due ruote.

Nel 1971 Enzo diventa direttore sportivo della G.B.C., la squadra nella quale , oltre al fratello maggiore Aldo, c’è anche Diego, passato da poco professionista. Nel suo nuovo ruolo avrà la soddisfazione di condurre Aldo alla conquista della maglia rosa, che indosserà al termine della tappa con arrivo a San Vincenzo, tredici anni dopo la prima volta.

Si commuove, Aldo e si commuove l’Italia per quel “vecchietto” primo in classifica.

Enzo sarà alla guida dell’ammiraglia anche l’anno successivo, sempre per i colori della G.B.C. e nel 73, quale vice di Valdemaro Bartolozzi, accompagnerà Francesco nell’esordio nel mondo dei pro, con Aldo e Diego in sella al suo fianco: tre fratelli in maglietta e calzoncini e uno in tuta al loro fianco.

Il quale assisterà alla prima vittoria di Francesco al Giro d’Italia, alle Cascine di Firenze ma a fine anno abbandonerà il mondo delle corse.

Aldo è arrivato alla fine della carriera e il giovane Francesco ha dimostrato di sapersi valere: ha carattere, quel ragazzo, e non ha bisogno di angeli custodi.

Per anni Enzo resta in disparte a godersi i trionfi di Cecco: il mondiale, le Roubaix, le innumerevoli classiche…. Poi, nel 1984, ritorna alla guida della Gis Tuc-Lu: Francesco ha in mente grandi cose e, come è avvenuto al suo esordio, vuole il fratello al suo fianco. Sarà l’anno dei record dell’ora, della Sanremo, del Giro d’Italia, della stagione della rinascita. Staranno insieme ancora un anno, i due fratelli, a godersi insieme gli ultimi trionfi.

Diventerà costruttore di biciclette, Enzo, e continuerà a coltivare con passione la terra, come faceva suo padre.

Ho rivisto oggi una vecchia foto che ritrae Enzo accanto a Francesco.

Era l’84: Francesco, seduto in ammiraglia, appariva teso, concentrato prima del tappone dolomitico di Arabba. Enzo era appoggiato alla portiera, tranquillo e sorridente, pronto a dare consigli e rasserenare il fratello alla vigilia di una prova decisiva. “Era la mia guida”ha dichiarato il campione di Palù.

Nel rivedere quella foto ho capito il perché.


Mario Silvano

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