LANCIA SPEZZATA PER GLI AZZURRI DI BALLERINI

settembre 28, 2009
Categoria: Approfondimenti

Federico Petroni esamina l’operato della nazionale italiana a Mendrisio. Il lavoro compiuto non è stato perfetto come negli ultimi tre anni, ma c’è chi ha disputato un mondiale peggiore del nostro (gli spagnoli, nostri sfidanti dichiarati, per esempio). Sugli esiti di questo campionati del mondo si può e deve lavorare in vista delle prossime due rassegne iridate, apparentemente facili e che invece s’annunciano durissime da interpretare.

Come una fedele penna riporta in un poco elegante articolo sulla Gazzetta di oggi, a Bettini girano gli zebedei (eufemismo). L’ira funesta dell’ex mattatore azzurro che ora studia da cittì al fianco di Ballerini farebbe pensare ad una gara scriteriata della Nazionale ma è forse utile sin d’ora segnalare qualche punto per evitare fraintendimenti che minino la costruzione di un solido gruppo per gli anni a venire. Già, perché un tiro al piccione a questo o a quell’altro spulciando solo le dichiarazioni a caldo degli atleti posson solo far danni.

Scatta il mondiale, azzurri in prima fila (foto Bettini)

Scatta il mondiale, azzurri in prima fila (foto Bettini)

AVVERSARI In primo luogo, è sempre elegante ricordare che, a questo mondo, l’abbondanza impigrisce: ogni tanto qualcosa agli altri va lasciato. In altri termini, non si può vincere sempre. L’esemplare Franco Cribiori così recita: “Quando perdi perché ti battono gli altri, va bene”. Dobbiamo ammettere che Cancellara andava come un Tgv, Evans è stato al tempo furbo e rullatore, Kolobnev sembrava impazzito e Rodriguez pareva un personaggio del Libro Cuore. Sono andati semplicemente più forte. Quand’anche Cunego (vedi sotto) avesse corso con un filo di calma in più (uno scatto, deciso, in salita) non avrebbe raccolto molto di più.

CUNEGO Alla luce di questa considerazione, va notato come a Cunego siano mancate le gambe, nonostante, sempre da dichiarazioni a caldo (che sarebbe meglio abolire), “chi dice questo non capisce nulla di ciclismo”. Le chiacchiere sulla pressione psicologica, sull’acume tattico e sull’affidabilità del veronese fanno ridere. Così come i voti in pagella. Cunego ha disputato un’ottima gara: valga su tutto la prontezza con la quale s’è buttato, intuendo il pericolo, nella penultima discesa dall’Acquafresca. Delle due, l’una. S’è trovato prigioniero nella gambia (rosso)dorata degli spagnoli e di gambe non in perfetto rodaggio. Pazienza, verranno dì più rosei.

FUGA In terzo luogo, la latitanza d’azzurro nella prima fuga, quella che ha guadagnato a subito dieci minuti. E’ fastidiosa, ormai, la prassi che obbliga gli italiani a tirare. In previsione di ciò, tra spagnoli atarassici, belgi fumosi ed elvetici sornioni, uno come Visconti o Garzelli o Bruseghin avrebbe dovuto seguire i comprimari all’attacco.

GARZELLI Passando più in profondo nelle pieghe della Nazionale, abbiamo regalato un uomo. Un oggetto non identificato s’è aggirato per tre quarti gara in testa al gruppo. Stefano Garzelli, il regista in corsa, espressione sulla quale bisogna ancora che la Treccani del pedale ci illumini, nonostante il lodevole sforzo di Tiralongo qualche giorno fa. Mai scorto a rendere la corsa dura, soprattutto a fare quel lavoro a metà corsa che avrebbe risparmiato un pestatore come Scarponi per il prosieguo.

BALLAN La fuga dei trenta poteva andare bene. Ma s’è anche detto che ci si è rialzati per favorire il rientro di Cunego. Quand’anche fosse la motivazione principale, tatticamente quell’azione non stava profilando un bel quadro. Ballan, pur avendo giocato bene le sue carte, era nervoso: perché? Con Visconti e Scarponi a sfacchinare e un bello stopper come Paolini, perché agitarsi? In fuga, va detto, c’erano nomi grossi ma nessuno era disposto a dare una mano agli azzurri: spagnoli e belgi, tutti con lo specchietto per le allodole del capitano nelle retrovie. Un’azione morta sul nascere. Sarebbe bello che un giorno Ballerini lanciasse in fuga dal mattino dal primo giro un italiano, magari ignoto come potrebbe essere Santambrogio.

PENULTIMA ASCESA DI NOVAZZANO Eccolo, il Calvario azzurro. Su quello strappo largo ma ingannevole, nella penultima tornata, i nodi son venuti al pettine. Lì la Nazionale ha fatto il lavoro giusto con gli uomini sbagliati. Paolini stravolto, Garzelli disperso, Scarponi già sfruttato (quando il marchigiano è tra i pochi ad avere accelerazioni devastanti dopo 230km, vedi Cipressa 2009), Pozzato e Basso si sono spremuti, in tal modo perdendo l’opportunità di fiancheggiare Cunego nell’ultimo giro. A Varese abbiamo riempito la saccoccia in virtù della superiorità numerica. A Mendrisio abbiamo pagato la solitudine del numero primo. Un compagno è imprescindibile per cucire la corsa, compiere scatti stana-rivali, rilassarsi mentalmente.

CONSOLAZIONE In ultimo, consoliamoci: c’è chi ha corso peggio e di molto. Se in assoluto la prestazione italiana v’ha fatto storcere la bocca, in relativo è stata la migliore tra le corazzate. Prendete la Spagna, dove la fiducia reciproca (come le gerarchie) non esiste. Rodriguez è detto “El Purito”, il sigaro ma è stato usato come una sigaretta: usato e gettato, non degustato. Una sintesi della sua intera carriera. In fuga con due compagni, Cobo e Barredo, non gli hanno creduto, facendogli tornare sotto due (Sanchez e Valverde) che non solo sono andati più piano ma si son fatti la guerra. L’acredine tra i due risale a Salisburgo 2006, quando Valverde seguì negli ultimi 700m lo scatto di Sanchez, di fatto tirandosi dietro Zabel e Bettini. Anche ieri il marcamento reciproco ha partorito un misero bronzo, pur essendo in superiorità. Prendete il Belgio, mai un contributo in attesa di un Gilbert cui, pur tra i migliori, ha pagato il dislivello eccessivo, come alla Liegi. O prendete tutti quei mestieranti francesi, tedeschi, inglesi, olandesi (il solo Hoogerland all’attaco cui però manca acume tattico): li avete mai notati? Perché autoevirarsi in una gara così dura, restando nascosti con l’unico orizzonte di staccarsi il più tardi possibile?

Spero che questi punti possano chiarire che l’Italia non ha corso male, pur facendo piccoli errori che, specchiati nella perfezione degli anni scorsi, risaltano più del dovuto. Con avversari così restii a collaborare prima ma così agguerriti nel finale, il risultato forse non sarebbe cambiato, anche con qualche scelta del cittì (a monte) più lungimirante. Perdersi in sterili accuse incrociate minerebbe un gruppo che dovrà dimostrarsi unito per ben figurare (vincere no, non importa) nei prossimi mondiali (Geelong e Copenhagen), adatti ad un mazzo molto ampio di jolly italiani e che s’annunciano durissimi da interpretare.

Federico Petroni

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